"Il 29 maggio 1985 allo stadio
Heysel di Bruxelles, prima della finale di Coppa dei
Campioni Juventus-Liverpool, muoiono 39 tifosi
bianconeri. Muoiono nel settore Z, schiacciati e
soffocati dalla calca, sotto i colpi degli hooligans
inglesi instupiditi dall’alcool, con la connivenza
decisiva delle autorità belghe, della polizia locale e
dell’Uefa, incapaci di prevedere e d’intervenire. Una
tragedia annunciata che si è abbattuta con disperante
drammaticità sul calcio come sport e sulle coscienze di
tutti noi come uomini prim’ancora che come sportivi. Una
ferita aperta e mai rimarginata, perché non si può e non
si deve morire di calcio. Tutti hanno raccontato quello
che è successo prima di Juventus-Liverpool, molti hanno
raccontato il durante e il dopo, anche il proprio, ma
nessuno s’è mai veramente addentrato nelle scomode
verità. Gli effetti personali rubati, l’arroganza delle
autorità, la lunga, faticosa e snobbata battaglia legale
portata avanti dall’Associazione delle vittime,
dall'aretino Otello Lorentini che in Belgio ha perso il
figlio Roberto. L’umanità calpestata di 39 famiglie tra
meschinità d’ogni genere. Questo libro è un atto dovuto
alla memoria e alla dignità di 39 persone che hanno
perso la vita per assistere a una partita. Ho scritto
questo libro ("Heysel, le verità di una strage
annunciata", editore Bradipo Libri, N.D.R.) per
ricordare ciò che l’ambiente calcio ha cercato troppo
spesso e troppo in fretta di dimenticare".
Francesco Caremani
"L'Heysel è una memoria e
un'eredità insieme, qualcosa che non tutti riescono a
comprendere. L'Heysel è tutti gli anni, tutto l'anno,
non solo negli anniversari 'pari'. L'Heysel sono i
colleghi arrabbiati quanto te e a parte Vincenzo Murgolo
non ne conosco altri. L'Heysel è una serata a Rosa
Marina (Ostuni) nella quale i più grandi ti fanno i
complimenti e i più giovani ti ringraziano per avergli
raccontato una storia che non conoscevano, perché non
erano nati. Una serata nata grazie a una persona unica
come Vito Plantamura e Angeli senza frontiere OdV. Sono
passati 37 anni, ne passeranno ancora, e mentre alcuni
si stanno preparando al quarantennale... "noi siamo
ancora qua eh già", cit. Soprattutto Andrea Lorentini e
l'Associazione fra i Familiari delle Vittime
dell'Heysel".
Francesco Caremani
Lo scrittore Caremani
presenta il libro sull’Heysel alla Ubik di Cesena
di Marco Cavini
Una
serata per ricordare una delle più drammatiche pagine
del calcio europeo. Venerdì 24 maggio, alle 18.30, il
giornalista e scrittore Francesco Caremani sarà alla
libreria Ubik di Cesena in piazza del Popolo per
presentare il suo libro "Heysel, le verità di una strage
annunciata", addentrandosi nelle scomode verità celate
da una tragedia che ha turbato il mondo del calcio e le
singole coscienze. L’appuntamento permetterà di
approfondire i fatti che hanno preceduto la finale di
Coppa dei Campioni del 1985 tra Liverpool e Juventus
quando nel settore Z morirono trentanove persone che
furono schiacciate e soffocate dalla calca sotto i colpi
degli hooligans inglesi instupiditi dall’alcool, con la
decisiva incapacità di prevedere e di intervenire delle
autorità belghe, della polizia locale e delle
istituzioni calcistiche. "L’Heysel", ricorda il
giornalista Roberto Beccantini nell’introduzione,
"rimane una ferita immane che riga la memoria e sfigura
molte coscienze che, non solo in Italia, sanno di averla
fatta sporca. Ritornarci sopra significa scacciare la
tentazione indecente di metterci una pietra sopra.
Trentaquattro anni e trentanove morti dopo". "Heysel, le
verità di una strage annunciata", edito da Bradipo
Libri, rappresenta un atto dovuto alla memoria e alla
dignità di persone che hanno perso la vita per assistere
ad una partita. In questo senso, il valore della
testimonianza dell’opera è testimoniato dal fatto che si
tratta dell’unico libro ufficialmente riconosciuto
dall’Associazione fra i Familiari delle Vittime
dell’Heysel per ricordare cosa è stata la strage di
Bruxelles, quale eredità ha consegnato e continua a
lasciare. Nel corso della serata alla libreria Ubik sarà
possibile riscoprire questa vicenda proprio attraverso
l’incontro e il confronto tra Giovanna Prati e l’autore
del libro, il giornalista aretino Caremani che da sempre
scrive di sport e che collabora, tra gli altri, con i
quotidiani Il Foglio e Tuttosport. Autore di oltre dieci
libri, con un articolo dedicato all’Heysel e pubblicato
su Il Foglio ha meritato il terzo posto nella categoria
"Writing Best Column" degli Sport Media Pearl Award, gli
oscar del giornalismo sportivo mondiale tenutosi nel
2015 ad Abu Dhabi. "Questo libro è prezioso e
bellissimo" - ha scritto Walter Veltroni nella
prefazione - "Lo è perché ci ammonisce a non
dimenticare, e perché narra puntualmente e con notizie
verificate tutto ciò che è accaduto; ma lo è anche
perché è un libro d’inchiesta che ha dentro la passione
del diario, della pagina biografica".
20 maggio 2019
Fonte: Informazione.it
Il giornalista
Francesco Caremani racconta la strage dell'Heysel
Eventi a Cesena
Una serata per ricordare una
delle più drammatiche pagine del calcio europeo. Venerdì
24 maggio, alle 18.30, il giornalista e scrittore
Francesco Caremani giunge alla libreria Ubik di Cesena
in piazza del Popolo per presentare il suo libro
"Heysel, le verità di una strage annunciata",
addentrandosi nelle scomode verità celate da una
tragedia che ha turbato il mondo del calcio e le singole
coscienze. L’appuntamento permette di approfondire i
fatti che hanno preceduto la finale di Coppa dei
Campioni del 1985 tra Liverpool e Juventus quando nel
settore Z morirono trentanove persone che furono
schiacciate e soffocate dalla calca sotto i colpi degli
hooligans inglesi instupiditi dall’alcool, con la
decisiva incapacità di prevedere e di intervenire delle
autorità belghe, della polizia locale e delle
istituzioni calcistiche.
20 maggio 2019
Fonte: Cesenatoday.it
Francesco Caremani
vince il premio letterario "Alessandro Terziani"
La cerimonia di
consegna si terrà martedì 21 maggio, alle 21.30, nei
locali del Museo Amaranto.
Francesco
Caremani si aggiudica il primo premio letterario
"Alessandro Terziani" promosso dal Museo Amaranto. La
cerimonia di consegna si terrà alle 21.30 di martedì 21
maggio nei locali del museo presso lo stadio "Città di
Arezzo" e rappresenterà un’occasione per valorizzare
l’impegno di due aretini accomunati da una forte
passione per lo sport. L’iniziativa, infatti, è mossa
dalla volontà di ricordare uno dei più noti sportivi del
territorio quale Terziani che, scomparso improvvisamente
lo scorso ottobre, era stato vicino alla nascita del
Museo Amaranto, era un grande conoscitore di calcio ed
era un amante della letteratura sportiva. Queste
caratteristiche hanno motivato l’istituzione del premio
a lui dedicato da assegnare ad un’opera con un forte
legame con il territorio e dunque, per l’edizione
inaugurale, la scelta è ricaduta all’unanimità sullo
scrittore e giornalista Caremani per il suo libro
"Heysel, le verità di una strage annunciata". "Tra le
molteplici iniziative del Museo Amaranto nel suo
rapporto con il territorio - sottolinea il presidente
Stefano Turchi - rientra l’intitolazione di un premio
letterario per l’amico e tifoso Alessandro Terziani, il
cui amore per la letteratura sportiva era secondo solo
all’amore per l’Arezzo. La sua prematura scomparsa ha
lasciato un vuoto enorme, dunque ricordarlo era un
dovere prim’ancora che un triste piacere". "Heysel, le
verità di una strage annunciata" racconta una storia che
ha colpito profondamente la provincia di Arezzo e non
solo, ricordando i drammatici fatti che hanno preceduto
la finale di Coppa dei Campioni del 1985 tra Liverpool e
Juventus quando morirono trentanove tifosi (tra cui
anche alcuni aretini) che furono schiacciati e soffocati
dalla calca sotto i colpi degli hooligans inglesi. Nella
sua opera, l’autore rende omaggio alla memoria e alla
dignità di quelle persone che hanno perso la vita per
assistere ad una partita, addentrandosi nelle scomode
verità di una tragedia che ha turbato il calcio e le
coscienze. La cerimonia di consegna del premio
letterario "Alessandro Terziani" sarà arricchita da un
dialogo di Caremani con l’amico e collega Andrea
Lorentini, presidente dell’Associazione fra i Familiari
delle Vittime dell’Heysel che è stata rifondata nel 2015
per ricordare cosa è stata la strage di Bruxelles, quale
eredità ha consegnato e quanto continua a lasciare. Alla
serata sono state invitate le autorità e le istituzioni
cittadine, oltre ai rappresentanti della Ss Arezzo e
dello sport locale, ma l’appuntamento sarà aperto alla
libera partecipazione del pubblico.
16 maggio 2019
Fonte: Arezzonotizie.it
Quella notte all’Heysel
vista da Todi
di Gilberto Santucci
L'inaugurazione dello
Juventus Club intitolato a Franco Martelli con la
presentazione del libro di Francesco Caremani ha
permesso di raccogliere testimonianze dirette inedite.
Dopo tanto tempo si è tornati a
parlare di Heysel a Todi con la presentazione del libro
di Francesco Caremani, ospite dello Juventus Club
intitolato alla memoria di Franco Martelli, tuderte, una
delle 39 vittime di quella tragedia, un volume che ha
squarciato il silenzio su una materia dura, difficile,
dolorosa e che testimonia quanto sia complicato in
Italia coltivare in alcuni casi la memoria, che è
materia complessa e che non può ridursi ad una targa, ad
una messa, ad una cerimonia commemorativa di faccia.
Serve ricordare per non dimenticare, ricordare per
capire e perché non accada mai più: altrimenti la
memoria diventa solo un feticcio da stadio. È lo spirito
che ha animato la serata di venerdì all’Hotel
Villaluisa, caratterizzata non solo dagli interventi del
Sindaco Ruggiano, che ha portato il saluto dell’avvocato
Vedovatto che si è occupato del processo a Bruxelles, e
dell’assessore allo sport Ranchicchio, ma anche
di alcuni testimoni di quella notte, compagni del
viaggio di andata con Franco Martelli. Dopo
un’appassionata ricostruzione di Francesco Caremani, al
tavolo sono stati invitati a parlare uno dopo
l’altro Vittorio Spazzoni, Massimo Mosca e Giampiero
Sargeni, i quali hanno raccontato il loro Heysel,
aggiungendo aneddoti che, a 33 anni di distanza, hanno
procurato profonda partecipazione nella platea.
Particolarmente toccante quello di Sbarra, che ha
accettato di parlare per la prima volta in pubblico di
quanto vissuto nella notte del 29 maggio 1985. "La
memoria è un lavoro quotidiano - ha detto Caremani - è
soffermarsi a ripensare a Franco Martelli e agli altri
non solo il 29 maggio. La memoria è andare nelle scuole,
parlare con i giovani, fargli capire cos’è stato
l’Heysel per il calcio contemporaneo, iniziando a
ripulire l’argomento dai luoghi comuni trovati in Rete e
dalle falsità prorogate/propagate nel tempo, spesso in
malafede, in Italia e all’estero. E dopo questo lavoro
di ripulitura raccontare le verità (non la Verità !), le
tante piccole, a volta minuscole, verità di ciò che è
accaduto, del perché, di come poteva essere evitato, del
processo, delle responsabilità e poi di chi si è
comportato bene e chi male con le vittime e i loro
familiari". Una scelta difficile e non scontata quella
di intitolare lo Juventus Club a Franco Martelli, in una
città che ha saputo comunque dedicargli anche lo stadio
di calcio di Pontenaia. Una scelta in parte sofferta
anche quella di inaugurare il nuovo corso del Club con
un argomento tanto delicato e controverso, ma che alla
fine si è confermata preziosa per riflettere sullo sport
di ieri e di oggi e per ribadire che il focus di quella
tragedia sono soltanto i 39 morti e
nient’altro. "Esistono verità fattuali e processuali
inequivocabili e per un discorso serio sull’Heysel, per
una memoria compiuta, si parte da qui", ha concluso
Caremani.
25 novembre 2018
Fonte: Iltamtam.it
Domani si parla della
strage dell'Heysel: ospite a Todi Francesco Caremani
di Antonello Menconi
Al via le attività del neonato
Juventus Club Todi intitolato a "Franco Martelli", il
giovane tifoso tuderte che perse la vita nel 1985 allo
stadio dell’Heysel. E proprio a Martelli e al ricordo di
quella tragedia sarà dedicata la giornata di
presentazione ufficiale del club fissata per domani,
venerdì, alle ore 21, presso la sala convegni dell’Hotel
Villaluisa. Nell'occasione si rivivranno emozioni e
ricordi di una serata che mai verrà dimenticata. "La
nostra volontà - dice il presidente del Club Daniele
Caporali - è quella di promuovere momenti di incontro e
di promozione della cultura sportiva che possano andare
oltre le trasferte e, i pur importanti, momenti di
ritrovo per vedere insieme alle partite. L’obiettivo è
di stimolare occasioni di riflessione e di aggregazione
utili soprattutto ai tifosi più giovani". Nella serata
di domani, venerdì, sarà ospite a Todi il giornalista e
scrittore Francesco Caremani, vincitore di vari premi ed
autore di una decina di libri, tra cui "Heysel, le
verità di una strage annunciata", che sarà presentato e
dibattuto a 33 anni da quella notte di sangue e di
dolore per lo sport tutto, che rappresenta una ferita
mai del tutto rimarginata. Il 16 dicembre, sempre al
Villaluisa, si terrà invece la cena di Natale del club,
con in programma una tombola con premi bianconeri ed
un’asta finale sempre in salsa juventina. Entro la fine
dell’anno, il 29 dicembre, è in programma infine la
prima trasferta per assistere alla partita
Juventus-Sampdoria, con trasferimento in autobus,
ingresso allo stadio e visita al museo. Nel frattempo,
in attesa del taglio del nastro, il Club tuderte ha
preso parte ad un contest fotografico promosso dalla
società torinese, iniziativa che ha fatto maturare
l’idea della realizzazione di un calendario tuderte
bianconero.
22 novembre 2018
Fonte: Perugia24.net
La verità sull’Heysel
dove morì Franco Martelli
di Gilberto Santucci
A Todi, venerdì 23
novembre, alle 21, all'Hotel Villaluisa presentazione
del libro di Francesco Caremani promossa dal rinnovato
Juventus Club.
Sono trascorsi più di 33 anni
da quella notte del 29 maggio 1985 quando a Bruxelles,
durante la finale di Coppa di Campioni, perse la vita
anche il giovane tifoso tuderte Franco Martelli (a cui
la città ha intitolato lo stadio di calcio di
Pontenaia). I più giovani non ricordano o magari
addirittura non sono a conoscenza che anche Todi fu
toccata da quella tragedia che vide morire 39 persone.
Non lo hanno però dimenticato gli amici e i tifosi
bianconeri che a Franco Martelli hanno intitolato il fan
club, di recente rinnovato con alla guida il neo
presidente Daniele Caporali. All’insegna della passione,
la stessa che animava Franco, ma anche della memoria e
dell’impegno, lo Juventus Club inaugura il suo nuovo
corso venerdì 23 novembre con un incontro di festa ma
anche di rispettosa riflessione. All’Hotel Villaluisa,
infatti, si terrà, alle ore 21, aperta a soci,
simpatizzanti e quanti altri interessati, la
presentazione del libro "Heysel: le verità di una strage
annunciata" scritto dal giornalista juventino Francesco
Caremani, autore di numerosi saggi sportivi ed oggi
firma del Fatto Quotidiano, del Corriere Fiorentino
(edizione toscana del Corriere della Sera), de "Il
Calcio Illustrato" e di Radio Vaticana. Pubblicato per
la prima volta nel 2003, riproposto poi in edizione
aggiornata e disponibile anche in lingua inglese, è
l’unica opera riconosciuta dall’associazione dei
familiari delle vittime. Il libro ricostruisce quanto
successo in quelle drammatiche ore ma soprattutto quello
che accadde dopo, nei lunghi anni del processo che ha
portato alla condanna di una dozzina di hoolingans del
Liverpool, per pene dai 4 ai 5 anni di reclusione,
aprendo uno squarcio anche sull’accertamento delle
responsabilità indirette di Uefa e polizia belga, delle
quali in Italia si è scritto poco o nulla. Dura ma
sempre rispettosa nei confronti di ciascuno dei morti
italiani, è una lettura che non può mancare sugli
scaffali di un tifoso doc, sia esso bianconero o meno.
Per l’occasione il Club ha ritrovato anche la
pubblicazione che, un anno dopo la tragedia, fu
realizzata dagli amici e dalla famiglia Martelli per
ricordare Franco. Un opuscolo dove il dolore e il
rimpianto per la prematura scomparsa si accompagna ai
ricordi per l’amore sconfinato per la sua squadra del
cuore. Lo stesso con il quale lo Juventus Club ha
organizzato la serata del 23 novembre.
21 novembre 2018
Fonte: Iltamtam.it
Heysel - la
verità di una strage annunciata
di Andrea Giannini
E’ un libro che fa male. Molto
male. Soprattutto perché è scritto molto, troppo bene da
Francesco Caremani, che con la dovizia del giornalista
vero ma anche con il dolore e la partecipazione di chi,
quella storia, in qualche modo l’ha vissuta. In prima
persona, in parte, ma anche con il senso di
responsabilità di stare accanto a chi, la verità, l’ha
sempre ricercata. Heysel - La verità di una strage
annunciata ripercorre con estrema precisione non solo
quanto accadde quella maledetta notte di Bruxelles del
29 maggio 1985 quando, in occasione della finale di
Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, 39 tifosi
bianconeri morirono schiacciati e soffocati dalla calca,
sotto i colpi degli hooligans inglesi e con la
connivenza decisiva delle autorità e della polizia
belghe. Un fatto di cronaca che ancora oggi fa male e
crea imbarazzo a chi, sotto il falso nome dello sport,
non ha avuto il coraggio di sospendere quel maledetto
match (vinto dalla Juventus) e di andare a fondo verso
la verità e la giustizia. Giustizia e verità. A dire il
vero, qualcuno c’è andato: Otello Lorentini, padre di
Roberto che morì in quella tragica notte cercando di
salvare altre persone dalla furia cieca degli ultrà
inglesi. Lorentini, accompagnato dall’emozionante quanto
partecipata narrazione di Caremani, ripercorre tutte le
tappe dal giorno in cui la tragedia si è verificata a
tutti i passaggi successivi, attraverso anni di dure
battaglie, vane attese, cocenti delusioni, ottusi
silenzi ma anche importanti e significative vittorie,
nella costante ricerca di giustizia e verità in nome del
figlio Riccardo (NDR: Roberto) e delle altre 38 vittime
innocenti. Le responsabilità. Il libro, con precisione,
rigore e intransigenza ripercorre tutte le tappe
processuali che si sono succedute negli anni dopo la
tragedia. Un percorso lunghissimo che ha portato alla condanna dei responsabili (in primis, le autorità belghe
ma anche quelle calcistiche del tempo) ma anche
attraverso omissioni, insabbiamenti e depistaggi. Tutto
perfettamente documentato nel libro, con la perizia del
vero giornalista che cita fonti certe e attendibili,
esprimendo opinioni ( e ci mancherebbe altro) se non
dopo la dimostrazione oggettiva di fatti e passaggi
realmente accaduti. Un atto d’amore. Come scritto
nell’emozionante prefazione di Walter Veltroni "Questo
libro è un grande atto d’amore verso trentanove
innocenti, e un monito a non perdere la strada
dell’umanità e della pietas". Per non dimenticare,
neppure oggi, a più di trent’anni di distanza. E per
insegnare alle nuove generazioni tolleranza, voglia di
giustizia e amore per lo sport vero.
30 marzo 2017
Fonte: Andreagiannini.com
Heysel, a Viterbo la
tragedia del 1985 raccontata da Francesco Caremani
L’aretino Francesco Caremani,
giornalista e scrittore, autore di "Heysel. La verità di
una strage annunciata", sarà a Viterbo giovedì 10
novembre nella sede della Ssd Il Signorino (Strada
Signorino) per raccontare una delle storie più assurde
del calcio moderno, la finale di coppa dei Campioni del
1985, Juventus-Liverpool, che portò in dote trentanove
morti, lacrime e sangue. Caremani, da sempre in prima
linea per la ricerca della verità e dei colpevoli,
proprio grazie al suo libro è riuscito ad aprire le
menti di molti, all’oscuro di una storia vissuta senza
internet, nell’era in cui i telefonini e la tecnologia
moderna erano progetti futuribili. "L’Heysel non è
successo per caso - sottolinea Francesco Caremani - nel
mio libro racconto le verità di quella strage che troppo
spesso in Italia si è voluto cancellare e dimenticare
perché scomode. Gli hooligans sono gli assassini
materiali e con le loro cariche provocano il panico e la
morte nel settore Z, ma Uefa e autorità belghe sono i
mandanti morali di quella strage. Nel libro sono
spiegate tutte le negligenze commesse e che hanno
portato alla carneficina". La serata viterbese tornerà
utile per ascoltare una storia di vita vissuta e per
poter colloquiare in maniera amabile con l’autore.
3 novembre 2016
Fonte: Olimpopress.it - Ontuscia.it
GORGONZOLA LA SERATA
ORGANIZZATA DA EXLIBRIS
A distanza di 31 anni,
cosa resta dell’Heysel ?
Il lascito della serata
con lo scrittore Francesco Caremani e col presidente
dell‘ associazione dei familiari delle vittime Andrea
Lorentini.
Il 29 maggio 1985 allo stadio
Heysel di Bruxelles morirono 39 persone che si erano
recate in Belgio per vedere la finale di Coppa dei
Campioni, la "partita del secolo" tra Liverpool e
Juventus. Il background storico era chiaro ai più, ma la
serata di venerdì 14 ottobre organizzata da Exlibris con
lo scrittore Francesco Caremani, autore del libro
"Heysel, le verità di una strage annunciata", e con il
giornalista e presidente dell’associazione dei familiari
delle vittime Andrea Lorentini, è stata un’ottima
occasione per approfondire quello che è veramente
successo quella sera e quelli che sono stati gli
sviluppi successivi. Caremani ha presentato il suo libro
grazie a delle slide dove si ripercorrevano i punti
principali della vicenda. La scelta dello stadio, mai
così miope da parte della Uefa, la volontà di creare un
nuovo settore, il famigerato settore Z, separandolo
dalla curva degli hooligans inglesi solo con una rete di
metallo. Poi l’assalto, secondo la tecnica del "take an
end" (prendi la curva), conosciuta dagli inglesi ma non
dalle famiglie che popolavano il settore Z. Quindi il
drammatico tentativo di fuga e il muretto che cade,
creando una calca mortale che toglierà la vita a 39
persone, di cui 32 italiane. "Questi sono i fatti ha
chiarito Caremani dopo aver raccontato lo svolgimento
della vicenda si dicono tante cose e spesso mi trovo a
parlare con tifosi che sbandierano verità false e
ideologiche". C’è stato anche un post Heysel, ovviamente
molto duro per tutte le famiglie coinvolte. Il
protagonista della vicenda è stato Otello Lorentini che
il 29 maggio 1985 si recò allo stadio con il figlio
Roberto e i nipoti. Nella tragedia perse la vita Roberto, medico aretino che stava provando a salvare la
vita ad un ragazzo nel settore Z. La volontà di Otello
non è mai stata quella di cercare la vendetta contro
qualcuno, ma bensì quella di ottenere giustizia per il
figlio e per le altre vittime. Ci riuscì, visto che il
processo andato in scena in terra belga vide la storica
condanna della Uefa, l’organizzatrice dell’evento. Cosa
fa l'associazione ? Il lavoro dell’associazione non è
stato mai facile, Caremani durante la serata ha
ricordato come il processo fosse snobbato dai media
italiani e Otello dovesse telefonare alle redazioni dei
quotidiani nazionali per comunicare l’andamento del
processo. Incredibilmente nessuno seguiva il
procedimento contro la Uefa con l’attenzione dovuta.
Incredibile sì, ma fino a un certo punto se si pensa che
la stessa Juventus ha sempre avuto difficoltà a trattare
il tema. "Per noi dell’associazione la Juve ha perso
l’ultima opportunità lo scorso anno in occasione del
trentennale - ha spiegato Andrea Lorentini, figlio di
Roberto e nipote di Otello che ha preso le redini
dell’associazione dopo la morte del nonno -, ora
collaboriamo con il Coni e con la Federazione, ma con la
società bianconera no". Il percorso non è stato facile.
Nel 2000, durante gli Europei, la delegazione italiana
portò una targa di ricordo delle vittime allo stadio,
nel frattempo diventato "Re Baldovino". Nel 2005 invece
dall’urna dei sorteggi di Champions League uscì il
quarto di finale tra Liverpool e Juventus. Ad Anfield
andò in scena una pietosa commemorazione posticcia. "Il
miglioramento è avvenuto nel 2015. A novembre c’è stata
l’amichevole tra Belgio e Italia a Bruxelles e noi
dell’associazione eravamo in tribuna - ha spiegato
Lorentini - ora siamo pronti a collaborare".
Il mancato dialogo con la
Juventus
Già, ma allora perché con la
Juve non si riesce proprio ? Il comportamento della
società torinese da quel 29 maggio in poi è sempre stato
oggetto di polemiche. I giocatori sapevano ? Perché
giocarono nonostante i 39 cadaveri sdraiati nel
parcheggio dello stadio? Perché festeggiarono il gol su rigore di Platini
? Perché esposero trionfalmente la coppa appena arrivati
a Caselle ? "E’ stato detto tanto - ha raccontato
Caremani - la verità è che i giocatori sapevano quello
che era successo prima di entrare in campo. Poi successe
che il presidente Giampiero Boniperti impose loro di
dire che erano all’oscuro di tutto, perché temeva che la
vittoria della squadra potesse perdere valore sportivo".
Su questo punto Boniperti e Lorentini hanno litigato per
anni. Fu giusto giocare ? "Si giocò per una questione di
ordine pubblico, ciò che fu insopportabile fu
l’esultanza di Platini e la coppa mostrata all’arrivo a
Torino". Non ci si è mai riavvicinati: "Ho parlato per
due ore con Andrea Agnelli un giorno - spiega Andrea
Lorentini - e speravamo che con lui si potesse fare
qualcosa. Poi l’anno scorso ci hanno proposto un
monologo teatrale sulla vicenda, con un testo riveduto
dalla società dove Platini piange sotto il settore Z
dopo aver segnato il rigore decisivo. Per noi è finita
lì". Il pubblico, molto interessato, tant’è che al
termine della serata Caremani e Lorentini si sono dovuti
fermare per quasi un’ora a rispondere alle molte
curiosità, ha partecipato al dibattito sollevando alcune
questioni interessanti. Particolarmente importante è
stata anche la testimonianza di un tifoso che nel 1985
si trovava a Bruxelles ma, per sua fortuna, non nel
settore Z ma nella curva del tifo organizzato juventino.
Se ora le finali organizzate dalla Uefa sono eventi da
sogno lo si deve anche alla battaglia, fatta con
grandissima dignità, di Otello Lorentini. Non voleva
vendetta, voleva solo giustizia per il figlio che aveva
visto morire per una partita di calcio, e ha dato il suo
contributo per un calcio migliore.
(df)
? ottobre 2016
Fonte: Radar N.38
(Settimanale di Gorgonzola)
Grande partecipazione ieri sera
a Gorgonzola per la serata/incontro con Francesco Caremani e Andrea Lorentini. Si è parlato di Heysel,
memoria, educazione civico-sportiva. Un sentito
ringraziamento all'associazione culturale Exlibris 12,
al comitato genitori Montalcini, al comitato genitori
Molino Vecchio e alla città di Gorgonzola.
18 ottobre 2016
Francesco Caremani
Heysel 1985, la strage
annunciata
di Giovanni Zambito
Fattitaliani intervista
Francesco Caremani: "Heysel, una strage: Uefa e Belgio i
mandanti e gli hooligans gli assassini".
La strage dell'Heysel fu una
tragedia accaduta il 29 maggio 1985, poco prima
dell'inizio della finale di Coppa dei Campioni di calcio
tra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles
nel settore Z, in cui morirono 39 persone, di cui 32
italiane, e oltre 600 rimasero ferite. Tante le cose che
sono state dette e contraddette nel corso degli anni e a
distanza di più di trent'anni la verità dai più non è
conosciuta. Il giornalista Francesco Caremani ha
pubblicato il volume "Heysel, le verità di una strage
annunciata" (Bradipolibri nella collana Arcadinoè, pagg.
248, €15). Di recente, l'autore ne ha parlato ad Arezzo
davanti a studenti del liceo Francesco Redi, della
scuola europea 3 di Bruxelles e del liceo Primo Levi di
Torino nell'ambito del progetto "Un pallone per la
memoria". Fattitaliani lo ha intervistato.
Sintetizzare è
complesso, ma quali sono "le verità" che hanno reso
"annunciata" la strage dell’Heysel ?
"L’Uefa che insieme alle
autorità, sportive e politiche, belghe ha scelto uno
stadio fatiscente e inappropriato per la finale di Coppa
dei Campioni. L’ordine pubblico completamente
disorganizzato da parte del Belgio e l’inadeguatezza del
numero di poliziotti all’interno dello stadio. L’aver
diviso il settore Z da quelli X e Y per vendere più
biglietti e quindi mettere le famiglie dei tifosi
italiani vicino agli hooligans del Liverpool".
Quali sono state,
invece, le bugie più clamorose?
"Quella più clamorosa è scritta
nelle autopsie (fasulle), dove si certificava che 39
persone erano morte tutte accidentalmente intorno alla
mezzanotte, quando verso le 20 erano già decedute. Che i
calciatori non sapevano dei morti invece ne erano a
conoscenza. Infine che è stata una tragedia, l’Heysel è
stata una strage, con mandanti (Uefa e Belgio) e
assassini (hooligans)".
C’è qualcuno che ha
pagato per quello che è successo ?
"Alcuni hooligans del
Liverpool, il capitano della polizia belga responsabile
della sicurezza allo stadio, ma soprattutto l’Uefa,
condannata in appello e Cassazione".
Quali provvedimenti
sono stati presi allora ? Sono ancora in vigore ?
"La condanna dell’Uefa è
storica, ha fatto giurisprudenza, rendendola per sempre
corresponsabile delle manifestazioni che organizza. Per
quanto riguarda la sicurezza negli impianti sportivi i
provvedimenti più importanti sono stati presi alcuni
anni dopo, soprattutto in Inghilterra".
Perché ha deciso di
scrivere il libro ?
"Perché me l’ha chiesto Otello
Lorentini, che all’Heysel ha perso l’unico figlio
Roberto, medico, medaglia d’argento al valore civile per
essere morto tentando di salvare un connazionale, poi
presidente dell’Associazione tra i familiari delle
vittime che, da solo contro tutti, ha fatto condannare
l’Uefa".
Ci sono state in
passato altre inchieste simili sull’argomento ?
"Prima della mia no, anche
perché si voleva silenziare i familiari delle vittime.
Dopo la mia, che è stata la prima al mondo, tante".
Come si è mosso nella
ricerca delle fonti ? Con chi ha parlato ?
"Be’ la voce narrante del mio
libro è Otello Lorentini, prima presidente poi memoria
storica dell’Associazione tra i familiari, aveva
conservato tutto: documenti, trasmissioni televisive,
articoli dell’epoca, tutto. Lui e i suoi documenti sono
stati le mie fonti".
Conosceva personalmente
alcune vittime o i loro familiari ?
"Roberto Lorentini era un amico
di famiglia e collega di mio padre, una grande perdita
per tutta la nostra comunità. Era una persona
straordinaria".
In tutto questo che
figura ci fanno il Belgio, la Juve e il Liverpool ?
"Il Belgio pessima perché era
colpevole e non ha pagato, perché non ha mai ricordato
quella strage e perché ancora oggi cerca di cancellarne
i luoghi. Juventus e Liverpool hanno avuto comportamenti
sbagliati dei quali non vanno fieri nemmeno oggi, per
questo rifuggono scioccamente la memoria e le verità
processuali di quello che è accaduto. Più grave alla
fine il comportamento della società inglese che non
ammette, dopo trentuno anni, le gravi responsabilità dei
propri hooligans".
Se ci fosse stato
internet a suo tempo, sarebbe cambiato molto ?
"Tutto, dall’informazione alla
comunicazione, alla partita, al peggio che si può
immaginare".
Quando parla
dell’argomento raccontando come sono andati i fatti,
quale reazione è la più comune fra il pubblico ?
"All’inizio diffidenza e
incredulità, poi rabbia, emozione, commozione e infine
consapevolezza".
6 ottobre 2016
Fonte: Fattitaliani.it
"La memoria dell’Heysel - I
fatti, le responsabilità", è questo il titolo
dell’intervento che farò all’interno della tavola
rotonda "Oltre le frontiere: sport, memoria e fair
play", alla quale prenderanno parte: Lucia Tanti,
assessore allo Sport del Comune di Arezzo, Anselmo
Grotti, dirigente scolastico, Andrea Lorentini,
presidente Associazione fra i familiari delle vittime
dell’Heysel, Piero Ferruzzi, presidente Panathlon Club
Arezzo e Francesco Graziani, campione del mondo 1982.
Parteciperanno anche gli studenti del liceo di Arezzo,
sezioni sportivo e linguistico, del liceo sportivo Primo
Levi di Torino e dell’Ecole Europeenne di Bruxelles.
22 settembre 2016
Francesco Caremani
PREMIO OVERTIME 2016 a
Francesco Caremani
Più che il premio, poté la
motivazione #Heysel: "Un giornalismo coraggioso e di
denuncia può rappresentare uno degli antidoti ai veleni
del calcio. Lontano da logiche facili e comode, con le
sue parole Francesco contribuisce a gettare il seme
della vera cultura sportiva".
Heysel, 31 anni dopo
Francesco Caremani:
"Dovevo essere lì. Invece oggi ne scrivo, per non
dimenticare, mai"
di Marco Bonomo
Francesco Caremani doveva
essere all'Heysel quel 29 maggio 1985. Un brutto voto in
latino però non gli fece vincere la scommessa con papà,
così niente finale come premio. Lui, nato ad Arezzo,
amico della famiglia Lorentini, di Otello e Roberto, che
invece a Bruxelles ci andarono. Roberto però non sarebbe
più tornato: è uno dei 39, morto per una partita di
calcio, morto a 31 anni da eroe perché dopo aver salvato
papà Otello tornò indietro per cercare di soccorrere
altre persone: era un medico, non ce la fece. Otello
trasformò quel dolore incalcolabile in una battaglia
civile, creando un'associazione dei familiari delle
vittime per ottenere giustizia:
"Otello non voleva vendetta -
racconta ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com - non gli
interessava nemmeno sapere quanti anni di galera
avrebbero scontato gli assassini: voleva che un
tribunale dimostrasse le responsabilità delle autorità".
Ci riuscì nel 1991, dopo un processo che in primo grado
aveva assolto tutti ma che alla fine vide la condanna
della Uefa e delle autorità belghe. "Un giorno Otello mi
disse: vorrei che tu scrivessi quella che è stata la mia
vita, le mie verità. Verità al plurale: perché la verità
è un concetto che ha un alone mistico che non mi si
addice, mentre parlare di tante verità significa andare
a cercare cause e responsabilità, per riportarle alla
memoria e per evitare che vengano dimenticate. E invece
questa vicenda è stata dimenticata per tantissimi anni:
questo vuoto ha acuito il dolore dei familiari delle
vittime, tant'è che alcuni non fanno parte
dell'associazione che è stata rifondata recentemente da
Andrea Lorentini, nipote di Otello e figlio di Roberto.
Alcuni non hanno più voglia di combattere. Negli ultimi
anni però c'è stata
una presa di coscienza da parte di
tutti, mi piace pensare che sia in parte anche merito
del mio libro (Le verità sull'Heysel. Cronaca di una
strage annunciata. Libri di Sport, 2003). La partita fu
giocata per evitare di peggiorare la situazione, forse
fu l'unica decisione sensata di quella sera. La Juve
stava già andando via, ma per evitare che Bruxelles si
trasformasse in un campo di battaglia fu chiamata a
tornare indietro. Una decisione che all'inizio nemmeno
Otello capì, con il cadavere di suo figlio accanto: "qui
sono tutti matti". Poi però si rese conto che era
l'unica soluzione per evitare l'imponderabile. Perché il
ponderabile, purtroppo, era già successo.
Incredibile
come sia stato permesso che le famiglie di italiani
venissero sistemate nel settore Z. Un settore che in
realtà faceva parte della curva occupata dagli hooligans
e che era un'unica area: XYZ. Nei biglietti degli
italiani erano cancellate col pennarello le lettere X e
Y, in quegli degli inglesi la Z. La causa scatenante fu
l'attacco degli hooligans, che però vennero messi nelle
condizioni ideali per sferrarlo. E il concetto di
hooligans va al di là della nazionalità, del tifo: è
pura violenza. Perché in altri settori c'erano inglesi e
italiani che si scambiavano sciarpe e si fotografarono
insieme. Capire come quei biglietti, venduti solo per
guadagnare, siano finiti in mano agli italiani, è forse
una delle uniche cose che non sono riuscito a sviscerare
e approfondire bene. Oggi, con Andrea Lorentini andiamo
spesso nelle scuole: perché la memoria va allenata ogni
giorno. Non è facile, perché parliamo di qualcosa che i
ragazzi non hanno vissuto. Ma ora che Otello non c'è più
mi sento ancora più in dovere di portare una
testimonianza". E pensare che questi ragazzini hanno
l'età di Giuseppina Conti, un'altra vittima di Arezzo,
la seconda più giovane dei 39. Aveva 17 anni e a
differenza di Francesco andava bene a scuola: per questo
papà Antonio le regalò la finale di Coppa dei Campioni. La ritrovò in mezzo alla calca, avvolta in una bandiera.
"Il dolore che ho scorto nello sguardo di Otello e
Antonio è come un pozzo senza fondo, che ti spegne
l'anima". Giuseppina non ce la fece, altri sì e si
ritrovarono soltanto alle 4, alle 5, alle 6 del mattino,
dopo aver bussato nelle case dei belgi per chiedere di
fare una telefonata in Italia. Molti ricevettero una
porta chiusa in faccia, altri spesero tutti i soldi per
chiamare dai telefoni pubblici".
Una guerra, per una partita di
calcio. 31 anni dopo e negli anni ancora a venire, è un
dovere ricordare, è naturale che il rispetto venga dato
anche senza essere chiesto. E il ricordo passa dalla
testimonianza, dopo essere passato attraverso la
giustizia. Perché non si verifichino mai più simili
tragedie nel calcio; perché il calcio resti soltanto un
gioco: bellissimo, intenso, sofferto, sentito. Ma mai
violento. E affinché quel (+)39 sia un monito, un numero
tatuato nel cuore di ogni tifoso che ama questo sport.
Perché amore e odio, quindi violenza, non potranno mai
andare di pari passo..
29 maggio 2016
Fonte:
Gianlucadimarzio.com
7 maggio Heysel a
Cortona
Aula Magna "Domenico
Petracca" - Istituto Angelo Vegni Capezzine. Francesco
Caremani presenta HEYSEL LE VERITA' DI UNA STRAGE
ANNUNCIATA in occasione dell'evento: LA TRAGEDIA
DELL¹HEYSEL LA TESTIMONIANZA DI UN RICORDO PER EDUCARE
AL FAIR PLAY.
Una iniziativa per ricordare
una delle tragedie più gravi del mondo dello sport,
quella dello stadio Heysel di Bruxelles, prima della
finale di Coppa dei Campioni tra Liverpool e Juventus
nel 1985 in cui morirono 39 tifosi tra cui 32 italiani.
Il Comune di Cortona assieme all¹Istituto Angelo Vegni
di Capezzine e all'Associazione Panathlon International
e all'Associazione Familiari Vittime dell'Heysel
organizza per sabato 7 maggio proprio presso la scuola
di Capezzine (Aula Magna) alle ore 10 un incontro
testimonianza che sfocerà nella Firma del Protocollo di
Partecipazione "Sport in rete nella comunità" e nella
Consegna agli alunni del Vegni della "Carta dei diritti
delle ragazze e dei ragazzi e dei doveri dei genitori
nello sport". Questo il programma : Maria Beatrice
Capecchi (DIRIGENTE SCOLASTICO I.S.I.S. "ANGELO VEGNI")
- Giorgio Cerbai (DELEGATO PROVINCIALE C.O.N.I.) -
Andrea Bernardini (ASSESSORE ALLO SPORT E POLITICHE
SOCIALI - COMUNE DI CORTONA) Lo Sport in rete nella
comunità - Francesco Caremani (GIORNALISTA E SCRITTORE)
Heysel - Le verità di una strage annunciata - Andrea
Lorentini (PRESIDENTE DELL'ASSOCIAZIONE FRA I FAMILIARI
DELLE VITTIME DELL'HEYSEL) Heysel: il valore della
memoria per educare i giovani ai veri valori dello sport
- Piero Ferruzzi (PRESIDENTE ASS. PANATHLON CLUB AREZZO)
Diritti e doveri di ragazzi e genitori: un impegno
comune in favore dell'etica sportiva - Gioiello Gori
Testimonianza. MODERA L'INCONTRO Andrea Fioravanti
docente dell'Istituto Angelo Vegni Capezzine.
"Ciao Francesco buongiorno.
Innanzitutto inizio col dirti che è stato un piacere
grande conoscerti di persona. Poi ti faccio i miei
complimenti per come hai saputo raccontare e
coinvolgerci tutti quanti nel tuo racconto della Strage
dell'Heysel. Sono stato attentissimo quando hai parlato
e sei riuscito a farmi emozionare e commuovere. Sono
sempre stato un grande tifoso juventino, ma ieri
ascoltandoti ho scoperto e capito di saperne ben poco
relativamente a quella tragica notte. Ognuno di noi
invece deve prenderne maggiore coscienza, non
dimenticare e rispettare sempre quelle vittime e le loro
famiglie. Ed è grazie a persone come te se la gente
riuscirà a fare questo".Stefano
7 maggio 2016
Fonte: Bradipolibri.it
L'ARTICOLO PREMIATO ALLA SERATA DEGLI OSCAR
DEL GIORNALISMO di ABU DHABI
Che cosa resta
dell'Heysel, trent'anni dopo
di Francesco Caremani
Trent'anni fa la
tragedia sugli spalti dello stadio belga prima della
finale di Coppa Campioni tra Liverpool e Juventus. I
silenzi, gli imbarazzi e la lotta dei sopravvissuti in
questi anni.
Otello è morto l’anno scorso,
di maggio come Roberto, il suo unico figlio deceduto
nella strage dell’Heysel il 29 maggio 1985. Era un
giovane e bravo medico di Arezzo, Roberto, tifoso della
Juventus, era stato ad Atene nel 1983 (quando a sorpresa
l’Amburgo vinse la coppa dalle grandi orecchie), a
Basilea nel 1984 (quando contro il Porto i bianconeri
conquistarono la Coppa delle Coppe) e a Bruxelles ci
andò, come sempre, col padre e i due cugini, Andrea e
Giovanni. Un viaggio che doveva essere una festa, la
finale del secolo (come fu ribattezzata allora) contro
il Liverpool che si trasformò nella tragedia del secolo
e nella definitiva perdita dell’innocenza del calcio
mondiale. Roberto era salvo, nonostante la calca e le
cariche degli hooligan del Liverpool, ma si lanciò in
mezzo all’inferno per tentare di salvare un connazionale
(molto probabilmente Andrea Casula, 11 anni, la vittima
più piccola) con la respirazione bocca a bocca, gesto
che gli è stato fatale e che oggi una medaglia d’argento
al valor civile appesa nel salotto di via Giordano Bruno
51 ricorda.
A Bruxelles, nel fatiscente
stadio Heysel, il 29 maggio 1985 morirono 39 persone, 32
italiani, 4 belgi, 2 francesi e un nordirlandese. Uccisi
dagli hooligan inglesi, ubriachi all’inverosimile (tanto
che avevano messo a ferro e fuoco la Grand Place poche
ore prima) e armatisi in un cantiere adiacente
l’impianto che era in ristrutturazione, con la
responsabilità dell’Uefa e delle autorità sportive e
politiche belghe, che non si curarono di scegliere uno
stadio sicuro e che organizzarono cialtronescamente
l’ordine pubblico. Senza dimenticare che il settore Z
sarebbe dovuto essere completamente appannaggio del tifo
neutrale accanto alla marea inglese, invece molti di
quei biglietti furono venduti dai bagarini in Italia a
prezzi maggiorati e per 39 angeli si rivelarono di sola
andata. Angeli delle famiglie e delle comitive che
entrarono in quello spicchio di stadio dopo una fila di
quasi tre ore passando da una porta larga 80 centimetri,
l’unica via di fuga che diventerà di fatto
inaccessibile. Angeli impreparati all’improvviso lancio
di oggetti contundenti, ai pochi (circa sei) poliziotti
che scappano, alla rete da giardino che li divideva e
che viene giù in un secondo, alle cariche continue,
impreparati a morire per una partita di calcio. Partita
che si gioca lo stesso, decide l’Uefa insieme al Belgio.
Non sanno più cosa fare e devono evitare altri morti. Si
gioca per chiamare l’esercito (arriveranno i carri
armati), si gioca per una questione di ordine pubblico e
si assegnerà la Coppa dei Campioni perché così hanno
voluto quelli del Liverpool. Non è un’amichevole, ma
diventa una farsa perché si gioca mentre i 39 corpi sono
ancora lì, in fila sotto la curva Z ridotta a un campo
di battaglia, in cui gli hooligan hanno irriso i morti
prima che li portassero via. Si gioca sapendo, come ha
sempre confermato Stefano Tacconi, portiere di quella
Juventus.
Otello Lorentini non poteva
accettare di avere perso l’unico figlio (assunto
dall’ospedale di Arezzo con lettera datata 29 maggio
1985) per una partita di calcio, così, su consiglio di
un avvocato, fondò l’Associazione tra le famiglie delle
vittime di Bruxelles per portare davanti a un giudice i
responsabili della strage che ha cambiato per sempre il
football. Un processo lungo, difficile, condotto in
solitudine, quella solitudine che è durata decenni e che
in parte dura ancora, perché ricordare l’Heysel da
fastidio a tanti, ricordare quello che è accaduto, le
colpe, i comportamenti durante e dopo, soprattutto dopo,
non è cool, in particolare oggi dove imperversano il
gossip e il patinato, dove si scrive e si parla sempre
meno di calcio. L’Heysel fa parte della nostra storia,
anche sportiva, e ogni 29 maggio è lì a ricordarcelo,
nonostante le amnesie, che vengono a galla quando nei
nostri stadi o nelle adiacenze accade qualcosa di
violento (inaspettato ?), allora tutti a sciacquarsi la
bocca con la strage di Bruxelles, senza sapere, senza
essersi documentati, tutti a citare la Thatcher e fare
figure meschine, perché chi sa non confonde. Gli inglesi
non hanno messo mano al loro football dopo l’Heysel
bensì dopo Hillsborough e ancora oggi, sono passati 26
anni, non conoscono la verità e le cause che hanno
determinato la morte di 96 tifosi del Liverpool; non
sanno che la tragedia di Hillsborough è figlia
dell’Heysel, perché gli inglesi hanno preferito
polemizzare, inventare scuse, arrabbiarsi per la
squalifica dei club dalle coppe europee, mettendo la
testa sotto la sabbia. Mai risveglio è stato più
drammatico. Se avessero imparato la lezione, quella che
nessuno, soprattutto in Italia, pare aver imparato,
forse Hillsborough sarebbe rimasto solamente il nome di
uno stadio.
E la Juventus ? Una messa nel
2010 e una messa quest’anno, nel mezzo uno spazio dentro
il Museum bianconero con targa e nomi, di più nemmeno
Andrea Agnelli sembra capace di fare, il primo
presidente che ha intrapreso, con difficoltà, un
percorso verso la rinata Associazione fra i familiari
delle vittime dell’Heysel, presieduta da Andrea
Lorentini, figlio di Roberto e nipote di Otello, vice
presidente Emanuela Casula che all’Heysel ha perso il
padre e il fratello, Giovanni e Andrea. Rinata anche per
difendere la memoria dei propri cari, vituperati e
ignominiosamente offesi negli stadi italiani da
trent’anni, cori sanzionati per la prima volta nel 2014,
la perdita di memoria genera mostri come il sonno della
ragione. Non c’è, infatti, una memoria condivisa e in
troppi preferiscono cullare il proprio Heysel
dimenticandosi dei familiari delle vittime e di quei 39
morti, quasi fossero un ostacolo per ammirare una coppa.
L’Heysel sarebbe dovuta diventare la Superga bianconera,
con tutte le differenze che in troppi banalmente
sottolineano: un momento di comune condivisione di un
ricordo che non potrà mai essere cancellato, dalle
nostre memorie e dalle nostre coscienze. Senza
dimenticare che a Bruxelles sono morti tre interisti,
come Mario Ronchi che andò con gli amici, forse quando
l’amicizia era più importante del tifo. Per questo
l’Heysel dovrebbe essere, come Superga, una tragedia
italiana non solo juventina, ma Lega e Figc hanno
brillato meno della Juventus in questi trent’anni e mai
hanno tentato di ricordare e di commemorare i 39 angeli
di Bruxelles. Qualche settimana fa l’Associazione ha
chiesto il ritiro (simbolico) della maglia azzurra
numero 39, simbolico perché quel numero di maglia in
Nazionale non esiste, gesto accolto con scetticismo e
critiche dall’opinione pubblica, si sa i parenti delle
vittime si preferiscono silenziosi e discreti, quando
reclamano rispetto e memoria vengono attaccati e
stigmatizzati, perché, come ha detto Paul Valéry,
"quando non si può attaccare il ragionamento, si attacca
il ragionatore". E pare proprio una gara quella che in
questi ultimi mesi ha tentato di sminuire
l’autorevolezza dell’Associazione fra i familiari delle
vittime dell’Heysel e di chi li ha sostenuti e
accompagnati in tutti questi anni.
Ma allora cosa resta
dell’Heysel ? C’è stata giustizia ? Come ha sempre detto
Daniel Vedovatto, l’avvocato italo belga dei familiari
italiani, in quelle condizioni e con il diritto che
all’epoca vigeva in Belgio è stato ottenuto il massimo:
condanna dell’Uefa, di un capitano di polizia, dei pochi
hooligan rintracciati e risarcimenti, che nessuno ha mai
chiesto. Forse qualcuno s’è perso, ma la condanna
dell’Uefa, resa corresponsabile delle manifestazioni che
organizzava e che organizza è storica, ha fatto
giurisprudenza e ha cambiato per sempre il football
europeo, soprattutto le coppe, esigendo severi requisiti
di sicurezza per gli stadi delle finali e non solo. Se
non ce ne siamo accorti è perché ce ne siamo
dimenticati. Trent’anni sono una vita, un vuoto
incolmabile e recuperare terreno è quasi impossibile.
Resta la forza di Otello Lorentini che ha guidato i
familiari delle vittime italiane contro i migliori
avvocati d’Europa, la forza che l’ha spinto a citare
direttamente l’Uefa nel processo, dopo che in primo
grado erano stati tutti assolti, restano i volti, le
immagini, i ricordi, i sogni, i sorrisi e il terrore di
39 persone che sono morte dentro uno stadio per vedere
una partita di calcio. Li sentite ? Stanno sussurrando
qualcosa: "La storia (dell’Heysel) siamo noi, nessuno si
senta offeso".
26 Maggio 2015
Fonte: Il Foglio.it
Il sindaco Ghinelli sul
premio a Francesco Caremani
"Plauso a Francesco
Caremani, terzo agli
Oscar del
giornalismo sportivo mondiale"
"Desidero esprimere, a nome
dell’amministrazione comunale, le congratulazioni a
Francesco Caremani classificatosi terzo agli Oscar del
giornalismo sportivo mondiale che si sono svolti di
recente ad Abu Dhabi. Il giornalista aretino ha dunque
portato, con la sua professionalità, il nome della
nostra città nel mondo. I motivi del premio sono da
rimarcare: la giuria, tra oltre cento lavori, ha
ritenuto meritevole del podio l’articolo "Che cosa resta
dell’Heysel, trent’anni dopo": Francesco Caremani si è
così confermato tra i più competenti esperti della
tragedia avvenuta pochi momenti prima della finale della
Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool e nella
quale persero la vita due concittadini. Nei decenni,
grande è stato il suo impegno per ricostruire quelle
pagine drammatiche e per arrivare a una verità tanto
dolorosa quanto scomoda. Il ricordo di quanto avvenuto
dovrebbe fare da monito: perché lo sport è gioia,
rispetto reciproco e sana competizione. Valori che,
purtroppo, vengono ancora calpestati in nome di una
violenza ingiustificabile".
12 gennaio 2016
Fonte: Informarezzo.com
Memoria nel deserto
di Nereo Ferlat
Oggi in quel di Abu Dhabi c’era
anche un po’ d’Italia alla premiazione degli Sports
Media Pearl Awards. L’amico Francesco Caremani di Arezzo
si è classificato al terzo posto con l’articolo "Che
cosa resta dell’Heysel trent’anni dopo", pubblicato sul
Foglio il 26 maggio scorso a cavallo del trentennale...
Per una volta il pallone è stato messo in secondo piano
e grazie allo stile di Francesco che, alimentato dal
compianto Otello Lorentini, ha scritto di Heysel
riuscendo in modo mirabile a riempire tutte le parti di
quella tragedia, come un puzzle, nel quale oltre quello
che è successo il 29 maggio 1985, con ricordo di quelle
39 vittime innocenti, ha anche scritto del processo e
della storica sentenza in cui l’Uefa venne condannata e
ritenuta responsabile da quella sentenza degli incidenti
negli stadi, cosa che prima era a carico della società
organizzatrice dell’evento. Francesco non si ferma solo
allo scritto ma va ramingo eroe dove lo chiamano per una
testimonianza, percorrendo in lungo ed in largo lo
stivale. Perché parlare ad una platea di giovani che non
sanno cosa è stato l’Heysel è un modo di tenere sempre
allenata la memoria, scongiurando il pericolo
dell’oblio… Ben vengano persone così !
18 dicembre 2015
Fonte: Juwelcome.com
Presentazione di un
libro-inchiesta
"Heysel Le verità di
una strage annunciata"
di Ivan Cuconato
Il 26 maggio scorso si è
tenuta, presso la Sala Giunta di Piazza Europa,
un'interessante serata cultural-sportiva organizzata
dalla Bradipolibri in collaborazione con l’Assessorato
allo Sport del Comune di Caselle Torinese. L'editore
torinese Luca Turolla ha portato nella nostra cittadina
lo scrittore aretino, e giornalista sportivo, Francesco
Caremani, autore del libro-inchiesta "Heysel Le verità
di una strage annunciata", nell'occasione del
trentennale di quella maledetta serata, 29 maggio 1985,
che da festa dello sport e potenziale gioia per il
popolo bianconero si trasformò in un girone dantesco.
L'impegno e la passione dell'autore avrebbero meritato
un pubblico numericamente più degno, mentre i presenti
erano solo una decina: peccato. I casellesi hanno perso
un'occasione. Ad aprire l'appuntamento l'assessore allo
Sport Angela Grimaldi "Quella serata mi colpì molto e mi
è rimasta impressa nella mente. Ero una ragazzina e la
mia famiglia si era riunita per assistere ad un evento
sportivo gioioso che si è invece trasformata in
un'assurda tragedia". Dopodiché, la parola è passata
all'autore Francesco Caremani: "lo quella sera dovevo
essere a Bruxelles per assistere
alla partita. Ero un
ragazzo, tifoso della Juventus, e sarei dovuto partire
in compagnia di amici di famiglia: dovetti rinunciare
alla finale perché persi una scommessa scolastica con
mio padre. Invece Giuseppina Conti, una mia concittadina
ed una ragazza anche lei, all'Heysel ci andò proprio per
premio e morirà avvolta nella bandiera juventina come
sudario. Questo libro quindi, oltre ad essere un lavoro
ovviamente professionale, per me è anche un lavoro
personale. Due furono le vittime aretine di quella
serata di lucida follia: l’altro ragazzo ucciso era
Roberto Lorentini medaglia d'argento al valor civile ed
un amico di famiglia. Quella sera all'Heysel non ci fu
sport: ben 39 persone persero la vita. Sono passati
trent'anni e si rischia di perdere la memoria di ciò che
successe in quella bolgia. Di quelle vittime, 32 erano
italiane: perché non si parla mai con i loro familiari,
prima che sia troppo tardi ? Forse la stiamo già
perdendo la memoria. Il calcio inglese è cambiato,
perché quello italiano no ? In realtà le cose nel Regno
Unito sono cambiate non proprio dopo I'Heysel ma dopo le
96 vittime di Hillsborough e che vide coinvolto ancora
il Liverpool ed i suoi tifosi. Le similitudini con la
tragedia di Bruxelles sono imbarazzanti. Ora Liverpool
ha il suo Memory Day, mentre a Torino perché non si può
commemorare l'Heysel o la tragedia di Superga con il
rispetto dovuto ?". Il giornalista passa quindi ad
analizzare le cause di quella tragedia: "l colpevoli di
quella strage sono molteplici. Partiamo con l’Uefa che
ha scelto uno stadio sbagliato, fatiscente, un cantiere
aperto. La disorganizzazione regnò sovrana: nel
famigerato Settore Z non ci dovevano essere tifosi
italiani invece i bagarini vendettero i biglietti a
famiglie italiane che si ritrovarono a stretto contatto
con gli hooligans inglesi ubriachi: a dividere i settori
cinque o sei poliziotti. I tifosi del Liverpool
trovarono nel cantiere dello stadio spranghe, bastoni,
pietre, mattoni. Fu un massacro. Molti morirono per
soffocamento o schiacciamento causato dal panico
generato dall'attacco. La polizia belga numericamente
insufficiente ed impreparata, i soccorsi lentissimi,
autopsie farsa. Al processo di 1° grado tutti assolti,
poi le condanne a, solo, 14 hooligans: una farsa. Otello
Lorentini, papà di Roberto, fondatore dell'associazione
dei familiari delle vittime, decide con i legali di
citare l’Uefa per responsabilità nell'accaduto: una
scommessa, rischiosissima, ma vinta. Allora l’Uefa non
era responsabile della sicurezza degli eventi che
organizzava: se i tifosi bianconeri potranno andare a
Berlino per assistere alla finale con il Barcellona con
i biglietti nominativi, lo devono alla tenacia di
Otello". Caremani chiude la serata con una critica alla
Juventus: "Nel trentennale della tragedia, i parenti, la
gente, i tifosi, si aspettavano qualcosa di più dalla
società".
Luglio 2015
Fonte: Cose Nostre
(Mensile)
Quei 39 morti
dell’Heysel hanno ancora molto da dirci
di Alfio Quarello
Bollengo, sulla
tragedia della finale di Coppa campioni il libro bibbia
di Caremani. Dalle responsabilità della dirigenza
juventina alle zone d’ombra del settore Z.
BOLLENGO. Nel trentennale della
tragedia dell’Heysel, dove morirono 39 persone poco
prima dell’inizio della finale di Coppa campioni tra il
Liverpool e la Juventus, alcune istituzioni del
Canavese, tra cui il Comune di Bollengo, hanno ospitato
in questi giorni Francesco Caremani, scrittore e
giornalista aretino, autore del libro Heysel: una strage
annunciata, edito da Bradipolibri. Libro definito
dall’associazione delle famiglie delle vittime la bibbia
dell’Heysel, per la minuziosa ricostruzione di quanto
accaduto in quella notte. La vita di
Caremani è legata a
doppio filo a quel 29 maggio 1985 che non lo vide
spettatore solo per un caso fortuito. "Dovevo andare
anch’io a Bruxelles insieme a un amico, ma presi un
brutto voto in latino e per punizione i miei genitori mi
fecero rimanere a casa". Dall’opera di Caremani, un
libro che non fa sconti a nessuno e che l’autore
consiglia di "non leggere prima di andare a dormire", la
dirigenza juventina dell’epoca non ne esce molto bene.
"La cosa che imputo maggiormente alla società è di aver
ostentato troppo quella Coppa e di non essere stata
presente a fianco dei familiari delle vittime durante
gli anni del processo". Processo dove venne fatta una
giustizia sommaria. Gli
hooligans la fecero franca così
come il Belgio che non poteva condannare le proprie
istituzioni (pagò solo il capo della polizia) mentre fu
condannata la Uefa. In verità, una zona d’ombra nel
libro è rimasta e riguarda i biglietti del settore Z,
quello incriminato. Vista la divisione dello stadio che,
parole di Caremani "oggi non sarebbe omologato neanche
per partite di Terza categoria", quel settore era
destinato a un pubblico neutrale. E allora perché quei
biglietti sono finiti ai sostenitori della Juventus ?
Bagarinaggio ? Molto probabile. Ma quella partita si
doveva proprio giocare dopo quello che era successo ? "A
posteriori - dice ancora Caremani - va affermato che far
giocare la partita fu necessario per ragioni di
sicurezza, e che una volta in campo, le due squadre
giocarono per davvero, con il Liverpool che, se avesse
vinto, avrebbe tranquillamente festeggiato. D’altra
parte è ormai assodato, dalle parole di Tacconi e Rossi,
che i giocatori della Juventus fossero al corrente della
tragedia prima di scendere in campo". Oggi, vista la
violenza negli stadi, si può presumere che l’Heysel non
abbia insegnato niente. "A ben guardare è così ma io
continuo ad avere un minimo di speranza che quei 39
morti possano ancora insegnarci molto".
8 giugno 2015
Fonte:
Lasentinella.gelocal.it
Intervista a F. Caremani di GUIDO ALBUCCI
"Buongiorno Italia"
1.06.2015
30 ANNI FA LA TRAGEDIA DELL' HEYSELL
A Rivarolo e Caselle in
tanti ricordano il 29 maggio
Caremani: "Teniamo viva
la memoria di quei 39 angeli di Bruxelles"
Rivarolo e Caselle
hanno ospitato lunedì e martedì scorso i ricordi della
tragedia dell’Heysel, la sera del 29 maggio 1985 in cui
39 tifosi (32 italiani, di cui tre interisti, 4 belgi,
due francesi e un nord irlandese) persero la vita prima
dell’incontro di finale di Coppa dei Campioni di calcio
tra la Juventus e il Liverpool.
Lunedì sera presso il municipio
di Rivarolo si sono ritrovate una trentina di persone
interessate all'argomento, e dopo una breve introduzione
da parte del sindaco Alberto Rostagno, Francesco
Caremani, autore del libro "Heysel. Le verità di una
strage annunciata", ha tenuto la sua relazione. Al
termine c'è stata subito una pronta verifica di quanto
esposto in maniera semplice e chiara: Alberto Cappella
di Castellamonte, che all’epoca era un ragazzo di 17
anni, anche lui era quella sera nel maledetto Settore Z
salvato dalla prontezza di riflessi del padre, che dopo
la prima carica degli hooligans inglesi prendeva per
braccio il figlio e lo trascinava verso l’unica porta
che dava verso l'esterno, quel budello di 80 cm dal
quale tutti erano entrati a fatica dopo molti controlli,
e attraverso cui in pochi erano riusciti a guadagnare la
fuga poi, nella calca e nella ressa dopo le ondate delle
cariche. Una sorta di "reduce" Alberto, che ha
confermato quanto quella sera molto sia stato mosso dal
caso, ma che molto si sarebbe dovuto fare in fase di
prevenzione. Da parte dell’Uefa ad esempio, che fino ad
allora non era responsabile di ciò che succedeva negli
eventi da essa organizzati e che solo dopo la sentenza
emessa nei suoi confronti ha iniziato a pensare
diversamente sulle grandi manifestazioni allestite. Da
parte della polizia locale, presente con poche centinaia
di unità allo stadio, la maggior parte all’esterno,
mentre tra gli inglesi e le famiglie ospitate dal
"Settore Z" ce n'erano solo 5, per presidiare una rete
da pollaio subito divelta. Martedì mattina, un gruppo di
studenti dell'Istituto tecnico di Rivarolo ha
partecipato all'incontro con Francesco Caremani presso
il salone comunale di via Montenero, incontro voluto
dall'amministrazione con in testa la giovanissima
assessore allo Sport, Costanza Conta Canova, che ha già
lanciato l’appuntamento con la nuova iniziativa a cui il
Comune ha aderito sempre sullo stesso argomento, i
"Settanta angeli in un unico cielo" dal 5 al 7 giugno
dove sono unite Heysel e Superga, tragedie sorelle,
presso la Villa Vallero in corso Indipendenza 68 a
Rivarolo (inaugurazione alle 20,45 di venerdì 5), per
iniziativa della Saladellamemoriaheysel.it di Domenico
Laudadio e del Museo dei Grande Torino e della Leggenda
Granata di Domenico Beccaria. Alla serata di Caselle,
incontro voluto fortemente martedì sera anche in questo
caso da un assessore allo sport donna, Angela Grimaldi,
altri interessanti spunti di riflessione da pubblico e
giornalisti presenti in sala, che hanno sottolineato
quanto poco bastasse per evitare una strage annunciata,
ma che poi specialmente per noi in Italia, non è servita
a cambiare molto i nostri atteggiamenti, visto il derby
di Roma di lunedì.
29 maggio 2015
Fonte: Il Risveglio
Heysel, le verità di
una strage annunciata
Trent’anni dopo
di Francesco Caremani
Ricordo ancora quella sera e i
giorni seguenti il 29 maggio 1985. Un ricordo violento,
perché quello che accadde cambiò per sempre il mio
essere ragazzo, tifoso, e ha cambiato anche il
giornalista che sono diventato. L’Heysel è una cicatrice
che fa male ancora oggi e che non se ne vuole andare,
forse proprio perché in troppi hanno cercato di
cancellarla, ma non c’è cura. Anzi, una ci sarebbe: la
memoria, una memoria condivisa che dovrebbe avere (ha)
come assioma l’unica verità storica e processuale
riconosciuta (perché dimostrata e dimostrabile)
dall’"Associazione fra i familiari delle vittime
dell’Heysel", presieduta da Andrea Lorentini che a
Bruxelles perse il padre Roberto, giovane medico aretino
medaglia d’argento al valor civile per essere morto
mentre tentava di salvare un connazionale. "Abbiamo
sconfitto l’Uefa, abbiamo fatto giurisprudenza, ma in
troppi se la sono cavata", mi ha detto Otello Lorentini
prima di soccombere sotto gli acciacchi della vecchiaia
e morire lo scorso maggio. Lui che le udienze del
processo di Bruxelles se l’è fatte tutte, lui che
prendeva l’aereo da Roma, lui che cercava i giornalisti
per informarli di quanto stava accadendo. Un processo
per iniziare il quale i familiari delle vittime italiane
si sono autotassati. Otello Lorentini - nonno di Andrea
e padre di Roberto - fondò la prima Associazione per
avere giustizia di fronte a una strage in cui tutti
volevano farla franca: gli hooligans inglesi come l’Uefa,
come le istituzioni sportive e politiche belghe. Otello
ha fatto meno fatica a portare avanti il processo che
non il ricordo di quella sera. La paura era che le 39
vittime fossero uccise una seconda volta dall’ignavia,
spesso in malafede, di un Paese che preferisce rimuovere
le tragedie. Soprattutto per questo ha litigato spesso,
a distanza, con Giampiero Boniperti, ricambiato. Perché,
come mi ha detto Antonio Conti (che ha perso la figlia
diciassettenne Giuseppina), guardandomi negli occhi: "è
dura, sono contento che se ne parli ancora, ma il dolore
non se ne va". In questi trent’anni non si è dimenticata
solo la strage, ma anche la solitudine, la dignità e la
forza con cui i familiari delle vittime sono andati
avanti: "Mi hanno detto che m’avevano pagato il marito
morto, che la macchina (che avevo anche prima) me l’ero
comprata con quei soldi - ricorda Rosalina Vannini
vedova di Giancarlo Gonnelli. Nessuno sa cosa ha
significato andare avanti senza Giancarlo e con tutti i
problemi che ha avuto Carla (la figlia, ndr)", che
dell’Heysel non vuole ancora parlare.
PRESENTAZIONE LIBRO
28.05.2015
E allora cosa ci resta di
quella vicenda, di quella battaglia condotta in
solitudine da 32 famiglie italiane che si sono fatte
forza nella figura di un uomo che aveva perso l’unico
figlio per una partita di calcio e che non si dava pace
? Sicuramente la condanna dell’Uefa, passata anch’essa
sotto i tacchi di una certa inconsistenza giornalistica,
che l’ha resa, per sempre, corresponsabile delle
manifestazioni che organizza. Se gli stadi delle finali
delle Coppe europee devono avere determinati requisiti
di sicurezza (con biglietti nominali, dotati di
microchip) non lo si deve certo all’evoluzione del
calcio, bensì alla testardaggine di Otello Lorentini e
allo choc di vedere tutti gli imputati assolti in Primo
grado. Così decise, insieme con gli altri familiari
delle vittime italiane, di citare
direttamente l’Uefa,
che è stata condannata in Appello e in Cassazione. Non
tutti sanno che in Inghilterra, ancora oggi, è al lavoro
una commissione d’inchiesta per stabilire le vere cause
di un’altra strage, quella dell’Hillsborough Stadium di
Sheffield, dove il 15 aprile 1989 morirono 96 tifosi del
Liverpool. Quella che poi ha dato il via ai grandi
cambiamenti che fanno della Premier League il campionato
televisivamente più affascinante e il più sicuro dal
punto di vista degli impianti. Disorganizzazione e
inadeguatezza delle forze di polizia sono alcune delle
cause, forse le più importanti, ma
questo lo stabilirà
l’inchiesta. Sono passati 26 anni. Ecco, se avessero
imparato la lezione del 29 maggio 1985, se avessero
riflettuto invece di respingere le accuse e cercare di
nascondere la vergogna di quello che, in concorso,
avevano fatto all’Heysel, forse Hillsborough sarebbe
rimasto solo il nome di uno stadio. In Italia, se
possibile, è andata anche peggio. Nel 1995, per il
decennale, a Otello Lorentini promettono una puntata del
Processo del Lunedì ad Arezzo, ma poi non se ne farà
niente. Nel 2010 la prima messa della Juventus, che con
la presidenza di Andrea Agnelli ha intrapreso, con
difficoltà, un cammino verso i familiari delle vittime.
Dietro 25 anni di vuoto. "Ho ricevuto l’invito ma non
andrò, ognuno ha la sua coscienza" mi disse Maria Teresa Dissegna, che all’Heysel ha perso il marito Mario
Ronchi, uno dei tre interisti morti a Bruxelles.
Abbandono, fastidio, oblio, questo hanno continuato a
subire i familiari delle vittime e coloro che sono morti
il 29 maggio 1985, insieme alle continue offese negli
stadi italiani, quasi mai sanzionate: "In tutti questi
anni la Procura federale non mi è sembrata così pronta e
attenta", mi ha confidato Andrea Lorentini. La memoria
va allenata per non dimenticare, perché non accada mai
più. Grazie a Otello Lorentini, Domenico Laudadio,
Annamaria Licata, Claudio Il Rosso, il Nucleo 1985, lo
Juventus Club Supporters Juve 1897, il Comitato "Per non
dimenticare Heysel" Reggio Emilia, Andrea Lorentini, che
ha la stessa stoffa del padre e la stessa tenacia del
nonno, e a tutti gli altri famigliari che meritano
(glielo dobbiamo, glielo dovete!) dopo 30 anni che si
parli dell’Heysel con cognizione di causa, senza
edulcorazioni, ipocrisie di parte e interessi economici.
Anche per questo vado fiero della scritta che posso
esibire sul mio libro "Heysel, le verità di una strage
annunciata": "L’unico libro ufficialmente riconosciuto
dall’Associazione familiari vittime Heysel". Sperando
che chi ha ancora voglia di raccontare quello che è
accaduto trent’anni fa faccia finalmente i conti con le
famiglie delle vittime, stranamente dimenticate in tanti
libri e documentari. Li sentite ? Stanno sussurrando
qualcosa: "La storia (dell’Heysel) siamo noi, nessuno si
senta offeso".
23 maggio 2015
Fonte:
Francescocaremani.com
Il manifesto Heysel, la
verità di una strage annunciata
di Luca Manes
Heysel 29 maggio 1985 allo
stadio Heysel di Bruxelles, prima della finale di Coppa
dei Campioni tra Juventus e Liverpool, morirono 39
tifosi bianconeri. Morirono nel settore Z, schiacciati e
soffocati dalla calca, sotto i colpi degli hooligans
inglesi con l’evidente connivenza delle autorità e della
polizia belghe, incapaci di prevedere e d’intervenire.
In "Heysel, le verità di una strage annunciata",
Francesco Caremani, giornalista e juventino,
ricostruisce quanto accaduto in quelle drammatiche ore
di 30 anni fa, ma soprattutto quanto accadde dopo, nei
lunghi anni del processo che ha portato alla condanna di
una dozzina circa di hooligans del Liverpool, per pene
dai 4 ai 5 anni di reclusione. Anche l’Uefa è stata
dichiarata colpevole e obbligata a pagare i risarcimenti
(da un minimo di 14 a un massimo di 400 milioni di
vecchie lire) in quanto ritenuta responsabile per aver
fatto giocare una partita così importante come l’atto
conclusivo della Coppa dei Campioni in un impianto
fatiscente, dove la gestione dell’ordine pubblico e
della sicurezza da parte delle autorità locali fu, come
accennato, del tutto deficitaria e inadeguata. Edito nel
2003 dalla casa editrice Bradipolibri, nelle ultime
settimane è stato riproposto in libreria e ne è stata
prodotta una versione in inglese. È l’unica opera
ufficialmente riconosciuta dai parenti delle vittime
dell’Heysel, cosa di cui Francesco Caremani va
giustamente fiero, come ci ha ribadito di persona nel
corso dell’intervista che ci ha concesso.
Qual è il tuo ricordo
personale di quel giorno ?
Avevo 15 anni e in realtà sarei
dovuto essere anche io all’Heysel a incitare Platini e
compagni. Non ci andai solo perché avevo
un’insufficienza in latino e i miei non mi diedero il
permesso. Così vidi la partita a casa di un mio amico.
Lì l’anno prima avevamo visto la finale di Coppa delle
Coppe che la Juve vinse con il Porto e quindi ci
sembrava giusto non cambiare "sede". Dell’incontro non
ricordo assolutamente nulla, sebbene l’abbia visto.
Rammento solo perfettamente che mia madre mi chiamò per
dirmi che Roberto Lorentini, un nostro amico di
famiglia, era ferito. In realtà era una bugia, perché il
padre Otello, che era con lui, sapeva già della morte
del figlio. Quando tornai a casa vidi delle persone che
festeggiavano nel centro di Arezzo, la mia città. Ci
rimasi molto male. Poi la mattina abbiamo scoperto la
terribile verità sulla sorte del nostro amico. Roberto
Lorentini era un medico e, nonostante si fosse salvato
dopo la prima carica degli inglesi, ritornò indietro per
soccorrere un bambino ferito, secondo alcune
testimonianze Andrea Casula, la vittima più giovane di
quella tragedia (aveva solo 11 anni, N.D.R.). Morì
travolto da una seconda carica degli hooligans mentre
era chinato a praticargli la respirazione artificiale.
Ci racconti un po’ la
genesi del libro ?
In realtà non avevo mai pensato
di scrivere un libro sull’Heysel, sebbene conoscessi
molto bene come ti ho detto Otello Lorentini, che poi è
diventato il presidente dell’Associazione dei parenti
delle vittime. Fu proprio lui a chiedermi di farlo. Fui
colpito dalla luce nei suoi occhi, dalla sua voglia che
si facesse finalmente chiarezza su come i familiari dei
39 tifosi morti quel maledetto 29 maggio fossero stati
lasciati soli, dimenticati e soprattutto messi a tacere.
Tanto per farti capire che cosa intendo, Otello in
quegli anni è stato intervistato più dalle televisioni
straniere che da quelle italiane, soprattutto nel decimo
e nel ventesimo anniversario. Eppure lui è stato un
testimone diretto di quanto accaduto nel settore Z e di
quello che si è verificato dopo, in particolare durante
il processo. Per questo io dico sempre che il mio è un
libro di parte, la parte giusta.
Perché dici che i
parenti delle vittime sono stati messi a tacere ?
Perché era meglio non parlare
di Heysel, era un argomento scomodo. La polemica tra il
direttore della Gazzetta dello Sport, il compianto
Candido Cannavò, e il presidente della Juventus
sull’opportunità di restituire o meno la Coppa è
esemplificativa. Per Boniperti quella coppa doveva
rimanere nella bacheca del club. La posizione della Juve
era che i giocatori non sapevano nulla di quanto
accaduto nel settore Z prima di entrare in campo, eppure
prima Stefano Tacconi nel 1995 e poi Paolo Rossi nel
2004 hanno fatto dichiarazioni che vanno in direzione
contraria. Con l’avvento di Andrea Agnelli la società
bianconera ha iniziato a fare qualcosa per ricordare
l’Heysel. C’è una sezione sulla tragedia nel museo dello
Stadium e nel 2010 è stata celebrata una messa in
ricordo delle vittime. Anche il prossimo 29 maggio ci
sarà una messa, ma credo che si dovrebbe fare molto di
più.
Eppure le colpe di
quanto accaduto non sono certo della Juventus…
Esatto, sono degli hooligans
del Liverpool, delle autorità e della polizia belga e,
non dimentichiamolo, dell’UEFA, come dimostrano le
sentenze emesse dal tribunale di Bruxelles.
Chi ti ha aiutato di
più a scrivere il libro ?
Otello, che purtroppo dall’anno
scorso non c’è più, è stato senza dubbio di
un’importanza fondamentale, era il mio Omero che mi ha
trascinato all’interno di quel dramma. Ma non vorrei
dimenticare Daniel Vedovatto, avvocato italo belga e
all’epoca consulente dell’ambasciata italiana a
Bruxelles, che nella causa si è battuto contro principi
del foro assoldati dal governo belga, dall’Uefa e dagli
hooligans inglesi e che mi ha dato una grossa mano per
redigere l’appendice del libro dedicata agli atti
processuali. Vedovatto è convinto che, visti i mezzi a
disposizione all’epoca e nonostante precedenti
giurisprudenziali non favorevoli, giustizia sia stata.
Che cosa stai facendo
in queste settimane che precedono l’anniversario ?
Molte presentazioni del libro
un po’ in tutta Italia; in particolare, nella settimana
dell’anniversario, in varie località del Piemonte ne ho
anche 3 – 4 al giorno ! Nelle scuole superiori incontro
ragazzi che nel 1985 non erano nemmeno nati. È
importante spiegare loro che cosa ha voluto dire quella
tragedia e anche che cosa voglia dire andare allo
stadio, vivere il momento della partita nella maniera
più giusta e corretta possibile. Questa esperienza mi
sta arricchendo molto e sono molto rincuorato dalla
reazione dei ragazzi. In una scuola di Bologna hanno
apprezzato così tanto l’incontro che mi hanno chiesto di
tornare nel giro di un mese.
Come vivono il ricordo
i tifosi della Juve ?
In maniera non del tutto
omogenea. Tanti ultrà criticano il gesto di aver alzato
la coppa. C’è un gruppo che si chiama Nucleo1985 proprio
in memoria dell’Heysel. Però altri la pensano in maniera
differente e purtroppo spesso ci sono polemiche che io
ritengo a dir poco sterili, come quando la rinata
Associazione dei parenti delle vittime ha chiesto di
ritirare (simbolicamente) la maglia numero 39 della
Nazionale e tanti juventini hanno criticato questa
iniziativa.
Quale lezione ha tratto
il mondo del calcio in generale e il calcio italiano in
particolare dalla tragedia dell’Heysel ?
Il calcio italiano non ha
imparato nulla. Nei nostri stadi si è continuato a
morire e nemmeno le norme emergenziali hanno risolto un
granché. La mancata memoria di quell’evento così
luttuoso è la cartina di tornasole di un movimento
malato, dove non c’è cultura sportiva, tutto è
subordinato alle vittorie e le società continuano a
essere ricattate dalla parte negativa del mondo ultrà, i
"fucking idiot" per intendersi. Nonostante la richiesta
di una memoria condivisa da parte dei parenti, in
un’Italia spaccata tra antijuventini e juventini i cori
a dileggio dei morti dell’Heysel ci sono sempre stati.
Ci hanno messo 29 anni prima di sanzionare gli ultrà
della Fiorentina che li facevano (cioè la società,
N.D.R.), tanto per farti un esempio.
Invece in Inghilterra
le cose sono cambiate…
Sì, è vero, ma non dopo
l’Heysel. C’è voluta un’altra tragedia, quella
dell’Hillsborough, quando 96 tifosi del Liverpool
morirono schiacciati in una curva dello stadio dello
Sheffield Wednesday, per far sì che anche loro
imparassero la lezione.
23 maggio 2015
Fonte: Il Manifesto
30 ANNI FA LA TRAGEDIA
DELL'HEYSEL30 ANNI FA LA TRAGEDIA
DELL'HEYSEL
Lunedì 25 e martedì 26
incontri col giornalista Francesco Caremani
A Rivarolo e Caselle si
ricorda uno dei momenti più tragici del calcio, il 29
maggio
di Bruno Bili
Trent’anni sono passati da quel
mercoledì 29 maggio 1985, serata nella quale lo stadio
Heysel di Bruxelles ospitava la finale di Coppa del
Campioni di calcio Va Liverpool e Juventus. Una serata
finita malissimo, non solo per le 39 vittime di
un'assurda guerriglia innescata dai tifosi ubriachi
inglesi che inscenavano una carica su inermi spettatori
italiani, distruggendo la fragile barriera che li
divideva, una rete metallica da recinzione.L’improvvisa ritirata della folla verso il muro
di cinta degli spalti causava il crollo, fatale ad un
altro gruppo di spettatori, cosi tutto il settore Z
dello stadio, adibito inizialmente al neutro pubblico
belga di casa, ma riempito all'ultimo momento con i
biglietti invenduti ritornati da più parti e riciclati
senza molte attenzioni (con aumenti da 9.600 lire fino
anche a 70-80mila) nonostante la vicinanza con il
settore degli hooligans anche ai tifosi italiani,
diventava in un attimo una sorta di campo di battaglia.
Le autorità locali non avevano predisposto alcun piano
di prevenzione per quel settore, i bianconeri
organizzati erano dall'altra parte dello stadio, erano
completamente impreparati e non capirono per tempo cosa
stava succedendo (la centrale operativa era in città,
non allo stadio), respingendo persino con le botte chi
cercava scampo scendendo in campo per farsi medicare.
Man mano però che le cose prendevano la loro vera
fisionomia, si capiva che la priorità assoluta era far
giocare la partita per evitare altri incidenti e non
fare esaltare ulteriormente gli animi. Così fu, e in un
clima surreale per una partita di calcio di quelle
dimensioni, una finale europea, Scirea lesse un
comunicato al microfono dello stadio per invitare alla
calma e al tifo tranquillo i suoi. Si giocò e la Juve
vinse, con un rigore fischiato nonostante il fallo su
Boniek lanciato a rete fosse avvenuto ben fuori
dell'area. Rete di Platini e alla fine ci fu anche il
giro del campo dei giocatori con la coppa sollevata al
cielo, e mostrata con enfasi anche il giorno dopo
scendendo dall'aereo a Caselle. Tutto questo fece
indignare molti, la coppa insanguinata secondo una fetta
dell'opinione pubblica doveva essere riconsegnata all'
Uefa, altra parte colpevole della pessima gestione
dell'evento. I famigliari delle vittime si costituirono
in associazione e faticosamente con lunghe battaglie
ottennero il riconoscimento dei fatti e i risarcimenti,
superando le ostilità dei belgi che volevano scaricare
le colpe sui nostri e degli inglesi che avevano mandato
il meglio del Foro londinese a cercare di far ricadere
la colpa degli attacchi hooligans sugli inermi italiani.
Poco sensibile la dirigenza juventina di allora,
Boniperti in testa, che chiese anche che tre anni di
interdizione al Liverpool dalle coppe, oltre i 5 anni di
stop per le squadre inglesi inflitti dall'Uefa, erano
troppo. Su tutto questo e soprattutto sulle 39 vittime
di quella sera, 7 i non italiani, non deve mai calare il
silenzio. Rivarolo e Caselle sono inserite in un ampio
programma che vede il giornalista aretino Francesco
Caremani, autore del libro "Le verità sull'Heysel",
ricordare i trent'anni di una "strage annunciata". A
Rivarolo, lunedì 25 alle 20,45 in sala Consiliare nel
municipio in via Ivrea 60 incontro col pubblico, martedì
26 alle 10 incontro con gli studenti del liceo
dell'Istituto Santissima Annunziata presso il salone
comunale di via Montenero 12. A Caselle incontro con il
pubblico presso la sala della Giunta di Palazzo Civico
in piazza Europa martedì 26 alle 20,45.
21 maggio 2015
Fonte: Il Risveglio
When live football
turned into a deadly horror
By Chris Summers
That month saw three
terrible tragedies which highlighted how dangerous the
game had become off the pitch
On 11 May 56 people died when
flames tore through the old wooden main stand at
Bradford City’s Valley Parade ground during a game with
Lincoln. On the same day – in an incident which was
eclipsed by the Bradford fire – a 15-year-old boy was
killed at Birmingham City’s St Andrews ground during a
huge brawl between Birmingham and Leeds United fans. As
a 17-year-old who was on the fringes of the "casuals"
scene at the time, it was both an exciting and
terrifying time. I remember watching on TV as the third
tragedy unfolded on the night of 29 May. It was the
European Cup Final in Brussels, between Liverpool and
Juventus. Liverpool, the English champions, had in their
team great players like Kenny Dalglish, Ian Rush and
Alan Hansen while the Turin team included italian
legends Marco
Tardelli and Paolo Rossi aswell as
Poland’s Zbigniew Boniek and Frenchman Michel Platini,
one of the best players of his generation. But as the
pundits discussed the game beforehand it was clear that
trouble was brewing on the crumbling terraces of the old
Heysel stadium. Segregation was poor and antagonism
between the two sets of fans suddenly triggered an
invasion of a section involving Juventus fans by
Liverpool supporters, many of whom had been drinking all
day. As the italians fled a crush was caused at one end
of the terrace and 39 people died, mostly italians. The
tragedy played out live on television with commentators
struggling to put into words what was happening in front
of their eyes. The game should have been postponed but
officials feared there would be more trouble if they did
so, so after a delay of more than an hour it finally
kicked off and Juventus won 1-0, with a Platini penalty.
But the score was almost irrelevant amid the death toll
and Platini’s ashen face suggested it was a hollow
victory. Thirty years later Francesco Caremani, the
author of a new book on the tragedy, told totalcrime:
"Heysel was the worst massacre in the history of world
football, because there was nothing random or accidental
in what happened. "Hooliganism was well known in England
and widely underestimated in Europe. AfterHeysel the whole world realised how serious
hooliganism had become, but the British did nothing to
combat it." English clubs were banned from European
competition for several years – ironically Liverpool’s
great rivals Everton were the biggest losers – but Mr
Caremani says nothing was done to reform football in
England until after the Hillsborough disaster four years
later. In that case the victims were ironically
Liverpool fans. Mr Caremani said: "I’m convinced that
Hillsborough is the son of the failure of memory of
Heysel". When Liverpool played Juventus for the first
time since Heysel some unforgiving italian fans raised
placards which suggested the deaths at Hillsborough were
some sort of payback for the actions of Liverpool fans
at Heysel. After Heysel some Liverpool fans claimed they
were provoked by stones being thrown from the Juventus
section. Mr Caremani says there is no truth in this
claim and added: "The English (were) trying to invent
excuses for a shame that they will never erase".
Fourteen Liverpool fans were convicted for their part in
the violence at Heysel. In 2005 one of them, Terry
Wilson, visited Arezzo in Italy to try and apologise to
Otello Lorentini, who lost his only son at Heysel. As
well as the deaths, 600 Juventus fans were injured, some
of whom were permanently disabled. One, Carla Gonnelli,
went into a coma. When she eventually woke up she
discovered that her father, who had taken her to the
match with her, had died. The Heysel stadium was later
renovated and renamed the King Baudouin stadium but
there are persistent rumours that it will be demolished
and replaced with houses. This year Juventus have made
it to the final of the European Cup again and many fans
of the "Old Lady" of italian football hope they will win
the trophy on 6 June to honour the 39 dead at Heysel. If
you were at Heysel on 29 May 1985 please contact me on
totalcrime70@gmail.com
18 May 2015
Source:
Totalcrime.co.uk
Le famiglie italiane hanno combattuto nei
tribunali. Un giornalista è stato vicino a loro.
"Da soli per avere
giustizia"
di Francesco Caremani
Ricordo ancora quella sera del
29 maggio 1985 e i giorni seguenti. Un ricordo violento,
perché quello che accadde cambiò per sempre il mio
essere ragazzo, tifoso, e ha cambiato anche il
giornalista che sono diventato. L’Heysel è una cicatrice
che fa male ancora oggi e che non se ne vuole andare,
forse proprio perché in troppi hanno cercato di
cancellarla, ma non c'è cura. Anzi, una ci sarebbe: una
memoria condivisa che dovrebbe avere (ha) come assioma
l'unica verità storica e processuale riconosciuta
dall'Associazione fra i familiari delle vittime
dell'Heysel, presieduta da Andrea Lorentini, che a
Bruxelles perse il padre Roberto, giovane medico aretino
medaglia d'argento al valore civile per essere morto
mentre salvava un connazionale. "Abbiamo sconfitto l'Uefa, abbiamo fatto giurisprudenza, ma in troppi se la
sono cavata" mi ha detto Otello Lorentini prima di
soccombere sotto gli acciacchi della vecchiaia e morire
lo scorso maggio. Otello era il padre di Roberto e il
nonno di Andrea. Lui le udienze del processo di
Bruxelles se l'è fatte tutte. Prendeva l'aereo da Roma e
poi cercava i giornalisti per informarli di quanto stava
accadendo. Un processo per il quale i familiari delle
vittime italiane si sono autotassati. Otello Lorentini
fondò la prima Associazione per avere giustizia di
fronte a una strage in cui tutti volevano farla franca:
gli hooligans inglesi come l'Uefa, le istituzioni
sportive come la politica belga. La paura era che le 39
vittime fossero uccise una seconda volta dall'ignavia,
spesso in malafede, di un Paese che preferisce rimuovere
le tragedie. Soprattutto per questo Otello e gli altri
hanno litigato spesso, seppure a distanza, con Giampiero
Boniperti. Perché, come mi ha detto Antonio Conti (che
ha perso la figlia Giuseppina, 17 anni), guardandomi
negli occhi: "Sono contento che se ne parli ancora, ma
il dolore non se ne va". In questi trent'anni non si è
dimenticata solo la strage, ma anche la solitudine, la
dignità e la forza con cui i familiari delle vittime
sono andati avanti: "Mi hanno detto che m'avevano pagato
il marito morto, che la macchina (che avevo anche prima)
me l'ero comprata con quei soldi" ricorda Rosalina
Vannini, vedova di Giancarlo Gonnelli. "Nessuno sa cosa
ha significato andare avanti senza Giancarlo e con tutti
i problemi che ha avuto nostra figlia Carla". Lei
dell'Heysel non vuole ancora parlare. E allora, cosa ci
resta di una battaglia condotta in solitudine da 32
famiglie italiane, fattesi forza nella figura di un uomo
che aveva perso l'unico figlio per una partita di calcio
? Sicuramente c'è la condanna dell'Uefa, passata
anch'essa sotto i tacchi di una certa inconsistenza
giornalistica, che l'ha resa per sempre corresponsabile
delle manifestazioni che organizza. Se gli stadi delle
finali delle Coppe europee devono avere determinati
requisiti di sicurezza (con biglietti nominali, dotati
di microchip) non lo si deve certo all'evoluzione del
calcio, bensì alla testardaggine di Otello Lorentini e
allo choc di vedere tutti gli imputati assolti in Primo
grado. Cosi il presidente dell'Associazione decise,
insieme con gli altri familiari delle vittime italiane,
di citare direttamente la Uefa, che è stata poi
condannata in Appello e in Cassazione. A Hillsborough,
Sheffield, il 15 aprile 1989, morirono 96 tifosi del
Liverpool. E’ la strage che ha dato il via ai grandi
cambiamenti che fanno della Premier League il campionato
più sicuro dal punto di vista degli impianti.
Disorganizzazione e inadeguatezza delle forze di polizia
sono forse le cause più importanti, ma questo lo
stabilirà l'inchiesta ancora in corso dopo 26 anni.
Ecco, se avessero imparato la lezione del 29 maggio
1985, se avessero riflettuto invece di respingere le
accuse e cercare di nascondere la vergogna dell'Heysel,
forse Hillsborough sarebbe rimasto solo il nome di uno
stadio. In Italia, se possibile, è andata anche peggio.
Nel 1995, per il decennale, a Otello Lorentini promisero
una puntata del Processo del Lunedì ad Arezzo, ma poi
non se ne fece niente. Nel 2010 ci fu la prima messa
della Juventus, che con la presidenza di Andrea Agnelli
ha intrapreso, con difficoltà, un cammino verso i
familiari delle vittime. Dietro, 25 anni di vuoto. "Ho
ricevuto l'invito ma non andrò, ognuno ha la sua
coscienza" mi disse Maria Teresa Dissegna, che
all'Heysel ha perso il marito Mario Ronchi, uno dei tre
interisti morti a Bruxelles. Abbandono, fastidio, oblio:
questo hanno continuato a subire i familiari delle
vittime e coloro che sono morti il 29 maggio 1985,
insieme alle continue offese negli stadi italiani, quasi
mai sanzionate: "In tutti questi anni la Procura
federale non mi è sembrata cosi pronta e attenta" dice
Andrea Lorentini. La memoria va allenata, perché non
accada mai più. Lo dobbiamo a Otello Lorentini, Domenico
Laudadio, Annamaria Licata, Claudio II Rosso, il Nucleo
1985, lo Juventus Club Supporters Juve 1897, il Comitato
"Per non dimenticare Heysel" di Reggio Emilia, Andrea
Lorentini e a tutti gli altri famigliari. Senza
edulcorazioni, ipocrisie di parte e interessi economici.
Anche per questo vado fiero della scritta che posso
esibire sul mio libro "Heysel, le verità di una strage
annunciata": "L'unico libro ufficialmente riconosciuto
dall'Associazione familiari vittime Heysel". Chi ha
ancora voglia di raccontare quello che è accaduto 30
anni fa, faccia i conti con le famiglie delle vittime.
La storia dell'Heysel sono loro, nessuno si senta
offeso.
11 maggio 2015
Fonte: Guerin Sportivo
"Heysel, la
verità di una strage annunciata è un pugno nello
stomacoche ci ricorda che quella
tragedia si doveva evitare"
di Michele Angella
Stadiotardini.it ha
chiesto a Michele Angella, giornalista di Teleducato,
appassionato di letteratura sportiva, oltre che di
calcio e di stadi europei, di recensire il libro
"Heysel, la verità di una strage annunciata", di
Francesco Caremani, edizione ristampata e aggiornata
nell’imminenza del trentesimo anniversario della
tragedia.
Nonostante una rivalità molto
accesa verso la Juventus, sfociata talvolta in episodi
di violenza anche molto gravi, i tifosi del Parma hanno
sempre rispettato - doverosamente - la tragedia
dell’Heysel. Ne sono un esempio il ricordo comparso nel
maggio del 2014 sul sito internet dei Boys e lo
striscione (sia pure dai toni provocatori e bellicoso)
esposto dagli stessi ultras gialloblu lo scorso 11
aprile in occasione di Parma-Juve al Tardini
("Dall’Heysel a Scirea i vostri morti abbiamo sempre
rispettato, voi il Bagna avete infangato. Infami"). Un
atteggiamento diverso da quello di altre curve (vedi
Fiorentina) che a quel tremendo episodio hanno spesso
rivolto scritte o cori beceri. Eh sì, la tragedia
dell’Heysel: tra pochi giorni, il 29 maggio, ne ricorre
il 30ennale e la memoria è ancora forte. Tra chi
purtroppo quei fatti li riesuma in maniera vergognosa in
funzione anti-bianconera e tra chi, per fortuna cerca di
tenerli vivi per non dimenticare la barbarie di quanto
accaduto, per inchiodare le responsabilità delle
autorità civili e sportive oltre che delle forze
dell’ordine. E’ il caso, quest’ultimo, del 46enne
giornalista toscano Francesco Caremani, autore del
volume "Heysel, la verità di una strage annunciata", da
poco uscito (edizione ristampata ed aggiornata) per
Bradipo Libri Edizioni. A spingere Caremani,
collaboratore di numerose testate e autore di altre
interessanti pubblicazioni a sfondo sportivo, a dare
vita alla ricostruzione della vicenda Heysel, oltre che
un apprezzabile e marcato spirito d’inchiesta, è stata
anche la stretta conoscenza di una delle persone che
quella sera di 30 anni fa a Bruxelles, dove si giocava
la finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool,
persero la vita: si tratta di Roberto Lorentini, aretino
proprio come Caremani e collega del padre dello
scrittore stesso. Il libro contiene, infatti, le
significative testimonianze di Andrea Lorentini, il
figlio della vittima, che allora aveva appena tre anni e
a cui Caremani ha deciso di affidare la presentazione
del suo certosino e anche commovente lavoro.
"Heysel, la verità di una
strage annunciata" è una sorta di pugno nello stomaco,
perché ci riporta a quei drammatici momenti e perché ci
fa capire che quello che si verificò era evitabile, si
poteva e si doveva evitare. Il volume, che si snoda per
227 documentatissime pagine, oltre a ripercorrere
l’accaduto, contiene le voci dei sopravvissuti e dei
famigliari dei tifosi morti, stralci di articoli
giornalistici sulla tragedia, dichiarazioni di
calciatori della Juventus, di dirigenti del club
torinese e della Uefa, di politici, di avvocati, di
magistrati. La prefazione porta la firma di Walter
Veltroni che definisce la pubblicazione "un grande atto
d’amore verso trentanove innocenti e un monito a non
perdere la strada dell’umanità e della pietas".
L’introduzione è, invece, del giornalista Roberto
Beccantini: "Leggete queste pagine, non scoprirete
novità sconvolgenti. Scoprirete, semplicemente come è
stato duro accendere una candela di giustizia. Una
candela, non un lampadario". Il volume, infatti, prende
in esame anche il tortuoso iter processuale e si compone
di due appendici giuridiche. La prima è quella relativa
a tutti i giudizi che si sono susseguiti negli anni. La
seconda si riferisce, invece, all’evoluzione sulle
normative in materia di sicurezza negli stadi, sia in
Italia che a livello internazionale. Chi scrive, nel
2007, trovandosi a Bruxelles, avvertì l’interesse e lo
stimolo emotivo di recarsi all’Heysel. Lo stadio della
famigerata strage di fatto non esiste più. E’ stato
completamente ristrutturato nel 1995 e ha cambiato nome:
si chiama Re Baldovino. A ricordare la tragedia una
targa con i nomi delle vittime e una scultura, una
meridiana comprendente una pietra con i colori della
bandiera italiana e di quella belga, insieme alla poesia
Funeral Blues scritta dall’inglese W.H. Auden a
simboleggiare il dolore delle tre nazioni. Presenta,
inoltre, trentanove luci che brillano, una per ogni
vittima. L’aspetto del quale ebbi conferma è come
l’opinione pubblica locale abbia tentato di rimuovere
quanto accaduto nel 1985: me ne accorsi chiedendo
dell’Heysel ad un attempato taxista, ad un libraio
nemmeno cinquantenne e ad un giovane addetto del negozio
di merchandising della nazionale di calcio, in pieno
centro. In tutti e tre i casi risposte vaghe e scarsa
disponibilità alla memoria e al colloquio. Concludo
dicendo che questa sera, nella semi-finale di Champions
League, strizzerò l’occhio al Real Madrid. Per la
Juventus ho sempre avuto scarsa simpatia (sentimento
accresciuto durante l’era Moggi), tuttavia se i campioni
d’Italia dovessero raggiungere la finale di Berlino (…
anche in quel caso starò dalla parte degli avversari) e
dovessero vincere il prestigioso trofeo continentale, mi
farebbe piacere se dedicassero il titolo alle 39 vittime
di Bruxelles, nel trentennale della strage… Anzi, vorrei
sperare che qualcuno a Torino ci abbia già pensato.
13 maggio 2015
Fonte: Stadiotardini.it
Heysel. The truth
(English Edition)
On 29 May 1985 at the Heysel
stadium in Brussels, before the European Cup final
between Juventus and Liverpool, 39 people died. They
died in block Z, crushed and suffocated by the crowd,
under the blows of English hooligans dulled by alcohol;
and due to the distinct complicity of the Belgian
authorities, the local police and UEFA were unable to
predict what would occur, and to intervene. It was a
predictable tragedy that struck the sport of football
and our consciences with desperate drama. It is an open
wound that has never healed, because no one can or
should die during a simple football match. What happened
before Juventus–Liverpool has been recounted by everyone;
many have told about what happened during and after the
event, including their own stories, but no one has ever
really delved into the real, uncomfortable truths. The
personal effects stolen, the arrogance of the
authorities, the long, hard, disdained legal battle
carried out by the Association of Victims, by Otello
Lorentini who in Belgium lost his son Roberto (awarded a
silver medal for Civil Valour for having died trying to
save a fellow human being). The humanity of 39 families
has been trampled for no justifiable reason.This book is
a gesture owed to the memory and dignity of 39 people
who lost their lives to watch a game. To remember what
the football environment has triedtoo often and too
quickly to forget. "This book is the Bible of Heysel"
(Emanuela Casula, sister of Andrea and daughter of
Giovanni, two of the 39 victims of the massacre in
Brussels). "If the British had learned the lesson of
Heysel, maybe the Hillsborough tragedy would never have
happened". (Francesco Caremani, author)
12 maggio 2015
Fonte: Amazon.it
IL LIBRO DELLA
SETTIMANA
Heysel, trent’anni
dopo: la storia, la denuncia
di Annalisa Celeghin
PADOVA. "Trentadue italiani,
quattro belgi, due francesi, un nordirlandese. E
seicento feriti. Intorno tutto è infinito. Voci suoni
colori deflagrano e raggiungono il silenzio. Sono le
21.40. L'assurdo è così banale che le squadre entrano in
campo". Le squadre sono Juventus e Liverpool, è il 29
maggio 1985, la finale di Coppa dei Campioni: siamo allo
stadio Heysel, l'arena nazionale belga, le cui
condizioni non erano ottimali già da tempo e che diverrà
triste teatro di uno degli "incidenti" più gravi nella
storia del calcio. Quest'anno si celebra il trentennale
di quella tetra giornata di sangue, anniversario che non
passa inosservato anche grazie all'uscita di due volumi
che, in modo del tutto differente, vogliono ricordare i
fatti accaduti. …Omissis (Vedi articolo gemello nella
pagina del libro di Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto)
Francesco Caremani, giornalista freelance, ha
scritto l'unico libro ("Heysel. Le verità di una strage
annunciata", BradipoLibri, 15 euro) ufficialmente
riconosciuto dall'Associazione familiari delle vittime:
racconta le tante piccole e grandi verità di quel giorno
maledetto, il giorno in cui "finì l'innocenza del calcio
mondiale". "Avvenne, a Bruxelles, ciò che in molti
avrebbero potuto facilmente prevedere ed evitare, e non
vollero o non seppero farlo. Quel giorno lo stadio del
gioco diventò lo stadio della morte, trasmessa in
diretta e in mondovisione... Persero tutti, nonostante
la coppa alzata, il giro del campo, nonostante i
sorrisi, i "non sapevamo", nonostante il gol. Nonostante
la vittoria persero tutto, in quella sera luttuosa
all'Heysel, quando il battito del cuore improvvisamente
cessò per trentanove persone": lo spiega bene nella
prefazione Walter Veltroni.
4 maggio 2015
Fonte:
Mattinopadova.gelocal.it
Ecco il libro-verità
sull'Heysel
Pubblichiamo la
prefazione scritta da Walter Veltroni al libro "Heysel -
La verità di una strage annunciata" (Bradipolibri)
scritto dal giornalista Francesco Caremani.
È una mano pietosa e indignata,
quella di Francesco Caremani che ci guida in quel 29
maggio 1985, il giorno in cui lo sport dismise i panni
dell’amicizia e della gioia per vestire quelli del
dolore e della violenza. Avvenne, a Bruxelles, ciò che
in molti avrebbero potuto facilmente prevedere ed
evitare, e non vollero o non seppero farlo. Quel giorno
lo stadio del gioco diventò lo stadio della morte, una
morte trasmessa in diretta e in mondovisione. Una morte
che si mescolò col gioco del pallone (e per questo fu
più crudele e più odiosa) che portò via il soffio della
vita a chi avrebbe voluto semplicemente applaudire,
vincere o perdere con la propria squadra, coi propri
beniamini. E invece persero tutti, nonostante la coppa
alzata, il giro del campo, nonostante i sorrisi, i "non
sapevamo", nonostante il gol. Nonostante la vittoria,
persero tutti, in quella sera luttuosa all’Heysel,
quando il battito del cuore improvvisamente cessò per
trentanove persone. Erano italiani in gran parte, ma il
necrologio riporta anche quattro nomi belgi, due
francesi e uno irlandese. Il più giovane aveva undici
anni e si chiamava Andrea. Seicento furono i feriti. Le
cronache ci raccontarono che la violenza degli hooligans
inglesi non rispettò nemmeno i poveri corpi senza vita,
oltraggiati col furto, con la denigrazione. La pietà
muore più volte, e ciò che chiamiamo bestiale è,
purtroppo, proprio dell’Uomo, non della ferinità, poiché
solo l’Uomo può adoperare con consapevole raziocinio la
crudeltà, l’offesa, il gesto delittuoso fine a se
stesso. Scriveva Salvatore Quasimodo in "Uomo del mio
tempo", nel 1946, cogli orrori della guerra davanti agli
occhi: "(…) Hai ucciso ancora,/ come sempre, come
uccisero i padri, come uccisero/ gli animali che ti
videro per la prima volta./ E questo sangue odora come
nel giorno/ Quando il fratello disse all’altro
fratello:/ "Andiamo ai campi". E quell’eco fredda,
tenace,/ è giunta fino a te, dentro la tua giornata
(…)". Anche all’Heysel si udì quell’eco, nelle urla
degli hooligans, nel silenzio della polizia belga, nei
piani di sicurezza mal attuati. È facile alzare la mano
sugli innocenti, sui più deboli, sugli inermi. Questo ci
insegna la strage dell’Heysel: il Male ha una sua feroce
semplicità, lo si incontra anche nel luogo che per sua
fattura dovrebbe invitare all’amichevole aggregazione,
come uno stadio. E invece no: il gioco è il pretesto, la
violenza è il fine. Quegli hooligans cercavano lo
scontro, questo ci racconta il libro, e cercavano
d’uccidere, dopo aver fatto crescere l’eccitazione con
fiumi di alcol. Nelle pagine successive i lettori
troveranno ricostruzioni esatte e agghiaccianti. Un
testimone così racconta: "Queste cose dovete scriverle.
Quelli del Liverpool avevano pistole, forbici, coltelli,
spranghe. Hanno ammazzato un ragazzo con un lanciarazzi,
ho visto tutto con i miei occhi… È cominciato tutto col
lancio di razzi. Dalla zona degli inglesi ne è arrivato
uno, poi un altro e un altro ancora. Il quarto razzo ha
colpito in pieno un tifoso. Era a venti metri da me.
L’ho visto cadere, era una maschera di sangue. Nessun
poliziotto è intervenuto".
I lettori troveranno
spiegazioni, opinioni, denunce. Troveranno le cronache
dei processi, i pareri degli avvocati. Troveranno le
parole di Otello Lorentini, l’anziano padre di Roberto,
uno dei morti dell’Heysel cui è dedicato il libro.
Roberto è morto mentre tentava di salvare un bambino
ferito con la respirazione bocca a bocca. Quando
Caremani chiede il motivo per cui ha deciso di
costituire l’Associazione tra le famiglie delle vittime
di Bruxelles, Lorentini risponde che non poteva
sopportare che si pensasse anche solo per un attimo che
"39 persone erano morte da sole, per pura fatalità".
Arrivando alla fine del libro, quelle parole saranno una
delle chiavi di lettura dell’intera vicenda, perché quel
giorno della fine di maggio del 1985 furono gli uomini e
non il Fato a decidere come in un’antica arena romana se
avesse dovuto esserci il pollice verso, e fu così che
morirono gli innocenti dell’Heysel: qualcuno li uccise,
qualcuno lasciò fare. Caremani è un ottimo giornalista.
Ci emoziona, ci commuove anche, eppure ci avverte a ogni
passo di non lasciarci distogliere dal dolore, perché
oltre il dolore deve esserci giustizia. Non è un lieto
fine, quello che l’autore ci racconta, né potrebbe
esserlo, poiché non c’è letizia per chi ha perso i
propri amici e familiari, ma c’è un risultato importante
che l’impegno di Otello Lorentini e di altri riescono a
raggiungere: la condanna della Uefa non è solo un atto
giudiziario, ma indica un dovere di assunzione di
responsabilità. Caremani sa bene che la giustizia degli
uomini non è infallibile, ma è conscio di come quella
sentenza rappresenti davvero un fatto storico per la
giurisprudenza. Questo libro è prezioso e bellissimo. Lo
è perché ci ammonisce a non dimenticare, e perché narra
puntualmente e con notizie verificate tutto ciò che è
accaduto; ma lo è anche perché è un libro d’inchiesta
che ha dentro la passione del diario, della pagina
biografica. Caremani dichiara che questo è il libro che
non avrebbe voluto mai scrivere, eppure ciò che è
avvenuto ha trasformato queste pagine nel "suo libro".
Dentro e dietro il cumulo di dimenticanze, di
superficialità, di pressappochismo, di mancanze, di
colpe, l’autore indaga con la passione di chi ha
ricevuto il testimone più scomodo: quello della memoria.
Egli raccoglie indizi, ascolta e riferisce, forse
affinché quel suo dolore si asciughi almeno un poco, e
davvero quel dolore, quel nodo scuro, quel groppo alla
gola che Caremani si portava dentro, si trasformano in
coraggio e tenacia. La rabbiosa voglia di sapere diventa
forte denuncia civile, diventa un pezzo di storia da
leggere e conservare, diventa testimonianza lucida e
critica di un massacro evitabile. Voglio bene a questo
libro: è un grande atto d’amore verso trentanove
innocenti, e un monito a non perdere la strada
dell’umanità e della pietas. Walter Veltroni
19 aprile 2015
Fonte: Formiche.net
Francesco Caremani
presenta:
"Heysel, le verità di una strage annunciata"
di Massimo Righi
Il giornalista
Francesco Caremani, sarà a Bologna giovedì e venerdì
26-27 marzo, per presentare il suo libro "Heysel, le
verità di una strage annunciata", sui fatti accaduti a
Bruxelles il 29 maggio 1985.
La strage dell’Heysel di cui
proprio quest’anno ricorre il trentennale, rappresenta
una delle pagine più nere della storia del calcio e
dello sport. Per non dimenticare ma anzi rilanciare e
tenere viva la memoria dei fatti, battendosi e
raccontando la verità, si è ricostituita l’Associazione
Familiari delle vittime dell’Heysel, grazie all’impegno
dei parenti delle vittime, fra cui il presidente Andrea
Lorentini che ha perso il papà in quel 29 maggio 1985,
prima della finale di Coppa dei Campioni fra Liverpool e
Juventus. Ma Andrea e i membri dell’Associazione non
sono soli nel cercare di far giustizia riguardo a quella
tragedia in cui persero la vita 39 persone, ma ci sono
tanti altri che ricercano la verità sugli eventi
accaduti all’Heysel, fra i quali Francesco Caremani
giornalista professionista free lance, che collabora con
importanti testate italiane e straniere. Scrittore e
tifoso juventino, Caremani è già noto al pubblico per il
suo impegno riguardo la ricerca della verità sulla
triste vicenda dell’Heysel che ancora oggi richiede
chiarezza. Domani, giovedì 26 marzo
2015, Francesco Caremani sarà presente alla Polisportiva Antal
Pallavicini, insieme con Roberto Beccantini e Matteo
Marani, per presentare il suo libro: "Heysel, le verità
di una strage annunciata", a partire dalle 20.45. Il
giorno dopo, venerdì 27 marzo, Caremani sarà invece al
Liceo Augusto Righi a partire dalle ore 11 per parlare
della sua pubblicazione, assieme al presidente dello
Juventus Club Bologna "Gaetano Scirea", Franco Febbo.
Sono due appuntamenti interessanti per chi ama il calcio
a prescindere dalla fede e per chi ha vissuto quel
giorno da semplice spettatore davanti alla tv o da
tifoso: un ulteriore modo per tenere viva la memoria del
29 maggio 1985, grazie all’impegno di Francesco e di
tutti coloro che non hanno mai smesso di cercare e
documentare quanto successo all’Heysel
ormai 30 anni fa.
"Heysel, le verità di una strage annunciata" - Il 29
maggio 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles, prima della
finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool, nel
settore Z, muoiono 39 tifosi bianconeri, schiacciati e
soffocati dalla calca, sotto la furia degli hooligans
inglesi, con la connivenza delle autorità e della
polizia belghe, incapaci di prevedere e d’intervenire.
Una tragedia annunciata che si abbatte con drammaticità
sul calcio come sport e sulle coscienze di tutti noi
come uomini prima che come sportivi. Una ferita aperta e
mai rimarginata, perché non si può e non si deve morire
di calcio. Tutti hanno raccontato quello che è successo
prima di Juventus-Liverpool, molti hanno raccontato il
durante e il dopo, anche il proprio, ma nessuno s’è mai
veramente addentrato nelle scomode verità. Gli effetti
personali rubati, l’arroganza delle autorità, la lunga,
faticosa e snobbata battaglia legale portata avanti
dall’Associazione delle vittime, che fu presieduta da
Otello Lorentini prima del nipote Andrea, che in Belgio
hanno perso il padre-figlio Roberto. Questo libro è un
atto dovuto alla memoria e alla dignità di 39 persone
che hanno perso la vita per assistere a una partita.
25 marzo 2015
Fonte:
Ilpallonegonfiato.com
NDR: (Fotografia
gentilmente donata da Francesco Caremani) Bruxelles 29
maggio 2005, ex stadio Heysel, insieme al collega de
L'Equipe, Jean-Philippe Leclaire, e all'avvocato
dell'Associazione dei Familiari delle Vittime che aveva sconfitto l'Uefa, Daniel
Vedovatto.
"La memoria è una cosa
seria, la memoria non è protagonismo, la memoria non è
spettacolarizzazione, la memoria, in Italia, è spesso
sporca, brutta e cattiva. La memoria è un gesto
quotidiano, una battaglia senza fine. La memoria non ha
né vinti né vincitori, perché quando si deve difendere
la dignità di 39 morti dagli idioti siamo tutti
sconfitti" Francesco Caremani