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LIBRI e HEYSEL 2012
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TESI di LAUREA  2010  Giacomo Aricò
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Juventus, dalla Z all'Arena la memoria del futuro

di Giacomo Aricò

La triste vicenda dell’Heysel ha segnato in modo indelebile gli animi di chi vedeva nel calcio e nello sport un momento di felicità, di sogno. Di sogno condiviso, con senso di appartenenza, per dei colori, per una maglia. Il tifo è una questione di cuore, di passione. Quella notte, non la prima e non purtroppo l’ultima di giornate di follia, è stato un violento colpo al cuore... Un colpo da ko che parte inaspettato, nemmeno sul ring. Le aspettative tradite, la realtà che sembra un incubo, da cui però non ci si può svegliare. Forse una botta così tremenda che non permetteva di rialzarsi subito. Perché chi è caduto senza più rialzarsi è un insulto all’anima e alla mente per chi credeva allo spirito sportivo, e ancor prima alle regole di civiltà. Regole costruite nella Storia, nei secoli di guerre e battaglie, di morti. A questi strappi non corrispondono risposte meccaniche, immediate. Il lutto, il dolore e la sofferenza vanno rielaborate. Ci sono risposte inconsce, diversi percorsi di uscita, ognuno segue la sua strada. La voglia è quella di dimenticare, di bruciare la fotografia del pensiero brutto. Ma non è quella la soluzione, non è quella la via d’uscita. Perché prima o poi, con il tempo necessario a lenire le ferite, occorre tornarci sopra. Come un risveglio della coscienza, mettere le cose a posto, fare pace. Non rimuovere ma elaborare, non voltarsi ma capire, non chiudere gli occhi ma aprirli. La venticinquesima ricorrenza, un quarto di secolo dopo, offre la possibilità di fare qualcosa in più. Più forte perché è stato troppo debole prima. Ma al di là della forma, della qualità di una manifestazione di commemorazione, conta la sua oggettiva esistenza. Basta un segno, una traccia che accenda il ricordo. Verso la direzione giusta, quella della lezione. Una lezione da imparare, da insegnare. E allora poi non occorrerà più ricordare, ma riconoscere. Il ricordo nasce da uno sforzo, un recupero di elementi, occorre trovare i singoli pezzetti di un puzzle da comporre. Comporta un lavoro introspettivo difficile, mettersi davanti allo specchio e parlare con noi stessi. Senza nascondere alcun dettaglio per poter vedere la forma finale. Credo che il disegno sia stato completato lo scorso 29 maggio 2010. Ora si tratta di riconoscere che dopo aver fatto il passo indietro adesso bisogna farne due avanti. Il riconoscimento dell’Heysel, e non più il ricordo, permette di avere bene in mente quelli che sono gli obiettivi del calcio del futuro. La curva Z deve essere un’immagine ben fissa nella testa con la scritta "mai più". E tutti dobbiamo averla in mente. Da chi uno stadio lo progetta e lo costruisce, a chi poi ci entra come spettatore e tifoso. Anche da chi la partita la organizza e anche da chi la gioca e da chi la commenta. Tutti. Perché fare un percorso dalla A alla Z indica completezza, interezza. Andare dalla Z alla A è il passo successivo, quello dalla fine all’inizio, un nuovo inizio. Dal punto più basso a quello più alto, dall’inferno alla speranza. Dalla Z, l’ultima curva, all’Arena, il luogo in cui si può imparare ogni giorno come a scuola, in cui osservare le stelle e ricominciare a sognare. Il luogo in cui tornare a credere e innamorarsi perdutamente del pallone, dello sport, della vita.

18 aprile 2011

Fonte: Tesi di Laurea in Scienze della Comunicazione di Giacomo Aricò

Per Editori interessati alla Tesi : giacomo.arico01@universitadipavia.it

 110 e lode alla Memoria

L'Heysel, la Juventus ed il suo nuovo stadio in una eccellente tesi di laurea in giornalismo di Giacomo Aricò per la quale intervista Guido Vaciago, Bruno Pizzul, Michele Uva, Carlo Laudisa, Carlo Nesti, Domenico Laudadio, Mario Sconcerti, Francesco Caremani, Darwin Pastorin, Italo Cucci, Emilio Targia, Roberto Perrone, sul tema della memoria e del lutto legati ai fatti tragici della strage di Bruxelles del 29 maggio 1985.

  Juventus, dalla Z all'Arena 2010  

Presentazione Tesi di Laurea di Giacomo Aricò

Intervista esclusiva di Giacomo Aricò a Domenico Laudadio

"Juventus: dalla Z alla Arena"

Intervista per la stesura della sua tesi di laurea all' ideatore e custode del museo virtuale multimediale dedicato alle 39 vittime dello stadio Heysel di Bruxelles.

Giacomo Aricò: La memoria è un atto etico, un legame che ci unisce ai morti. C’è il pericolo di attribuire troppo valore alla memoria e poco al pensiero ?

Domenico Laudadio: "La memoria nel nostro paese spesso è come un involucro di plastica, svuotato della spontaneità e del sentimento, osservata come un precetto da chi vuole lavarsi la coscienza di perbenista ipocrita, avulsa acriticamente dal giudizio impietoso della storia. Come se davvero la morte cancelli le responsabilità dei carnefici assieme alla presenza fisica delle loro vittime. Assistiamo tante volte durante l'anno a cerimoniali spenti, a fredde recite di parole disincantate. Mi viene in mente, ad esempio, la giornata del 25 Aprile che divide gli italiani, anziché riunirli, nel rispetto delle ragioni storiche, da vincitori e vinti. Il ricordo serve più ai vivi che ai morti. In questa visione tutt'altro che passivamente vittimistica si colloca il mio personale modo di celebrare la memoria, una palestra per i pensieri coraggiosi, non il loro annichilimento di fronte al dolore rivisitato con slogan scimmiottati dai media, privandola della verità dei fatti. I pensieri sull'Heysel, a circa ventisei anni dalla tragedia, non leniscono la rabbia verso i responsabili della strage, non restituiscono i loro cari ai familiari delle vittime, ma dovrebbero coagularsi in un sentimento comune, all'interno di un luogo fisico, una sala della memoria nel nuovo stadio di Torino, come accade nel mio sito museo virtuale multimediale. In questo modo la memoria è la madre dei pensieri attivi che nutriranno la verità nella testimonianza ai posteri".

Giacomo Aricò: Sei d’accordo con quanto afferma Susan Sontang in "Davanti al dolore degli altri" sul fatto che il problema non è che ricordiamo grazie alle fotografie ma che ricordiamo solo quelle ? Il ricordo attraverso la fotografia può eclissare altre forme di comprensione e di ricordo ?

Domenico Laudadio: "Penso che siamo dal primo vagito abili fotografi della realtà circostante. Le fotografie che ci portiamo dentro sono leve del motore delle emozioni. Ho fatto teatro per dieci anni. Conosco le potenzialità evocative delle voci dell'anima... Le fotografie sono attimi di vita imbalsamati, le muoviamo noi nella immaginazione esattamente come un attore rigurgita il personaggio sulla scena, facendo verità nella finzione. In realtà certe fotografie sono come le icone religiose, possono dire tutto e il contrario di tutto, è una questione di fede. La memoria delle cose s'incarna nei lineamenti delle immagini, vive nello sciame delle nostre passioni consce ed inconsce, nel turbinio che le ammanta di simboli".

Giacomo Aricò: Nel libro di Emilio Targia racconti quella tua esultanza dopo la partita, istintiva e rabbiosa: "aggiunse vergogna alla vergogna". Eri però un tifoso. Cosa ne pensi delle esultanze dei giocatori ? Quanto è credibile spiegare certe esultanze, giocatori e tifosi, come espressioni di disperazione e rabbia profonda ?

Domenico Laudadio: "Penso sia l'unica vera macchia indelebile della storia della Juventus. Non li condanno per il dopo partita perché credo abbiano vissuto, in una sorta di trance collettiva assieme ai loro tifosi, una situazione paradossale nella quale la vita e la morte si contraddicevano a vicenda, autogiustificandosi. Trovo molto più vergognoso aver alzato il trofeo all'aeroporto di Caselle, la mattina dopo, un pugno al cuore per i familiari delle vittime. Non credo ci possano essere giustificazioni per questo da parte della Juventus. La vergogna è un dato, inconfutabile, la memoria affettiva verso le vittime ed i loro familiari la sublimi. Io chiedo perdono alle vittime ed ai loro familiari attraverso il mio sito soprattutto da juventino".

Giacomo Aricò: Dopo anni di silenzi e di commemorazioni molto formali quasi obbligate esclusivamente dal calendario, la Juventus costruisce il suo stadio e all’interno dedica un luogo (Blanc parla di un monumento) alle vittime dell’Heysel. Nemmeno nel sito ufficiale c’è uno spazio ben visibile (solo una sottosezione in "Storia" che comunque carica un file esterno in cui c’è giusto l’elenco dei morti e la frase "La Juventus e i tifosi non dimenticheranno mai"). Quanto è importante che la Juventus ricordi questo fatto nella sua nuova "casa", rendendolo parte portante delle proprie mura accendendo il ricordo ogni giorno (tenendo conto che sarà uno stadio che "vive" sette giorni su sette) ?

Domenico Laudadio: "E' un atto dovuto, colpevolmente tardivo, ma tengo a precisare che i migliori in campo in tutti questi anni sono stati soltanto gli Ultras della Juventus e pochissimi altri. La loro memoria è stata sempre puntuale e sinceramente affettuosa. La maggior parte di essi rinnegano quel trofeo e mi sono stati sempre vicini e solidali nella costruzione del sito, fornendomi reperti, ringraziandomi, pur non militando in gruppi del loro tifo organizzato. La Juventus Football Club, invece, mi ha sempre snobbato, mai mi ha degnato di una lettera di risposta formale alla mia ripetuta proposta di intitolare una sala della memoria all'interno della nuova struttura di Torino. Nessuno dei tre Presidenti che si sono succeduti dal 2006 ad oggi. Nessuno degli addetti alla comunicazione. Trovo questo atteggiamento nei miei confronti una mancanza del proverbiale "stile" e più concretamente di buona educazione, ma è praticamente nulla rispetto all'indifferenza verso le famiglie delle vittime dei decenni trascorsi. Io vorrei che il monumento ai caduti fosse vivo, non di bronzo. E' un fatto di cuore, non di materia".

Giacomo Aricò: Il tema della stella regna nel nuovo impianto: 50 campioni-stelle della Juve e le stelline riservate ai tifosi. Sembra che la Juventus dopo Calciopoli voglia ricordare il passato per scrivere il futuro e farlo insieme ai suoi tifosi, sempre più stakeholder attivi nella crescita (anche e soprattutto economica) della società. Fare un passo indietro per farne due avanti. Il ricordo dell’Heysel, dopo 26 anni, come si può leggere ? Una sconfitta o una vittoria ? Vale la frase "non è mai troppo tardi" ? Trovi che sia un tentativo per pulirsi un po’ la coscienza ?

Domenico Laudadio: "La memoria non è mai una sconfitta, anche se postuma, ed è la vittoria di tutti, vincitori e vinti, vittime e carnefici che possono espiare la colpa solo attraverso il riconoscimento del proprio misfatto nel ricordo. Apprezzo molto la volontà della nuova dirigenza ed in particolare del Dottor Andrea Agnelli di rielaborare finalmente in un modo visibile il lutto della società per i caduti. Resta amaro, ad ogni modo, il disappunto per le omissioni societarie dei decenni precedenti".

Giacomo Aricò: L’Heysel, su cui si è scritto e parlato molto, è un simbolo, una lezione. Qual era e quale può essere ancora oggi la forma e il modo giusto per ricordarlo e per insegnarlo alle generazioni future ? Un monumento pubblico ha una forma e un significato maggiore rispetto alla lapide nascosta e più intima fatta mettere da Boniperti nel cortile interno della sede della società ?

Domenico Laudadio: "L'Heysel è un fatto storico unico nel suo genere. Non il primo caso in cui si muore di calca in uno stadio. Ma è la prima ed unica volta in cui si assiste ad una serie di cariche armate di tipo militare su spettatori avversari inermi, indisturbate dall'impreparazione non solo tattica, ma mentale della polizia belga. Un'aggressione omicida dal sapore etnico e barbarico che non è paragonabile a nessuno scontro fra ultrà avversari dentro e fuori gli stadi. Il monumento è un'opera d'arte, l'Heysel ha bisogno di spazio nel cuore di un giovane che si accosta allo sport. L'idea di una sala museo nel nuovo stadio potrebbe didascalicamente fornire un corredo di nozioni ed emozioni maggiormente consoni alla dignità di questa dolorosa memoria rispetto ad un pachiderma di pietra o di ferro. Non è tanto una questione di visibilità, ma di profondità del messaggio contro la violenza nello sport di ogni ordine e grado".

Giacomo Aricò:  Provando a fantasticare, come la faresti tu la "Sala della memoria" nel nuovo stadio ? Quale significato avrebbe, quale valore, quale simbolo dovrebbe rappresentare ?

Domenico Laudadio: "Immagino un salone molto ampio, semibuio, in sottofondo l'audio della diretta del pre-partita di Bruno Pizzul, un enorme schermo panoramico su cui proiettare le immagini dell'evento, un corredo multimediale di fotografie ed articoli di stampa sui muri perimetrali ed una grande bacheca a forma di numero trentanove con cimeli e reperti della partita. Un museo della memoria a tutti gli effetti. Sarebbe fortemente simbolico porre il monumento commemorativo al centro di questa sala, circondato in un fossato, ove deporre fiori, dalle foto dei trentanove "angeli".  Riposta in una cassetta di legno, imballata così come era stata consegnata furtivamente alla Juventus negli spogliatoi, la Coppa dei Campioni ai suoi piedi. Si potrebbe rimettere le cose a posto moralmente. Quella coppa ai piedi di chi è morto innocentemente senza poterla festeggiare e nel legno di una cassa come le bare che hanno accolto i loro corpi violati. Qualcuno vorrebbe restituirla. Questo sarebbe un modo di ridimensionarla allo stato dell'acciaio, di ristabilire un po' le cose eticamente. Nella sala dei trofei della Juventus Football Club accanto alla meravigliosa Champions League vinta in Italia allo stadio Olimpico di Roma, sarebbe più giusto posare una targa dorata con i 39 nomi delle vittime. Possiamo anche conteggiarla come vinta, ma sappiamo molto bene che quella Coppa di fronte ai trentanove tifosi morti non può contare niente".

Giacomo Aricò e Domenico Laudadio

18 aprile 2011

Fonte: Saladellamemoriaheysel.it

NDR: Intervista amichevolmente concessa da Domenico Laudadio a Giacomo Aricò per la sua tesi universitaria di laurea in scienze delle comunicazioni dal titolo "Juventus, dalla Z all'Arena. La memoria del futuro". Si prega chiunque voglia utilizzarne i contenuti di citarne cortesemente la fonte.


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