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Juventus, dalla Z
all'Arena la memoria del futuro
di Giacomo Aricò
La triste vicenda dell’Heysel
ha segnato in modo indelebile gli animi di chi vedeva
nel calcio e nello sport un momento di felicità, di
sogno. Di sogno condiviso, con senso di appartenenza,
per dei colori, per una maglia. Il tifo è una questione
di cuore, di passione. Quella notte, non la prima e non
purtroppo l’ultima di giornate di follia, è stato un
violento colpo al cuore... Un colpo da ko che parte
inaspettato, nemmeno sul ring. Le aspettative tradite,
la realtà che sembra un incubo, da cui però non ci si
può svegliare. Forse una botta così tremenda che non
permetteva di rialzarsi subito. Perché chi è caduto
senza più rialzarsi è un insulto all’anima e alla mente
per chi credeva allo spirito sportivo, e ancor prima
alle regole di civiltà. Regole costruite nella Storia,
nei secoli di guerre e battaglie, di morti. A questi
strappi non corrispondono risposte meccaniche,
immediate. Il lutto, il dolore e la sofferenza vanno
rielaborate. Ci sono risposte inconsce, diversi percorsi
di uscita, ognuno segue la sua strada. La voglia è
quella di dimenticare, di bruciare la fotografia del
pensiero brutto. Ma non è quella la soluzione, non è
quella la via d’uscita. Perché prima o poi, con il tempo
necessario a lenire le ferite, occorre tornarci sopra.
Come un risveglio della coscienza, mettere le cose a
posto, fare pace. Non rimuovere ma elaborare, non
voltarsi ma capire, non chiudere gli occhi ma aprirli.
La venticinquesima ricorrenza, un quarto di secolo dopo,
offre la possibilità di fare qualcosa in più. Più forte
perché è stato troppo debole prima. Ma al di là della
forma, della qualità di una manifestazione di
commemorazione, conta la sua oggettiva esistenza. Basta
un segno, una traccia che accenda il ricordo. Verso la
direzione giusta, quella della lezione. Una lezione da
imparare, da insegnare. E allora poi non occorrerà più
ricordare, ma riconoscere. Il ricordo nasce da uno
sforzo, un recupero di elementi, occorre trovare i
singoli pezzetti di un puzzle da comporre. Comporta un
lavoro introspettivo difficile, mettersi davanti allo
specchio e parlare con noi stessi. Senza nascondere
alcun dettaglio per poter vedere la forma finale. Credo
che il disegno sia stato completato lo scorso 29 maggio
2010. Ora si tratta di riconoscere che dopo aver fatto
il passo indietro adesso bisogna farne due avanti. Il
riconoscimento dell’Heysel, e non più il ricordo,
permette di avere bene in mente quelli che sono gli
obiettivi del calcio del futuro. La curva Z deve essere
un’immagine ben fissa nella testa con la scritta "mai
più". E tutti dobbiamo averla in mente. Da chi uno
stadio lo progetta e lo costruisce, a chi poi ci entra
come spettatore e tifoso. Anche da chi la partita la
organizza e anche da chi la gioca e da chi la commenta.
Tutti. Perché fare un percorso dalla A alla Z indica
completezza, interezza. Andare dalla Z alla A è il passo
successivo, quello dalla fine all’inizio, un nuovo
inizio. Dal punto più basso a quello più alto,
dall’inferno alla speranza. Dalla Z, l’ultima curva,
all’Arena, il luogo in cui si può imparare ogni giorno
come a scuola, in cui osservare le stelle e ricominciare
a sognare. Il luogo in cui tornare a credere e
innamorarsi perdutamente del pallone, dello sport, della
vita.
18 aprile 2011
Fonte: Tesi di Laurea
in Scienze della Comunicazione di
Giacomo Aricò
Per Editori
interessati alla Tesi :
giacomo.arico01@universitadipavia.it
110 e lode
alla Memoria
L'Heysel, la Juventus ed il suo
nuovo stadio in una eccellente tesi di laurea in
giornalismo di Giacomo Aricò per la quale intervista
Guido Vaciago, Bruno Pizzul, Michele Uva, Carlo Laudisa,
Carlo Nesti, Domenico Laudadio, Mario Sconcerti,
Francesco Caremani, Darwin Pastorin, Italo Cucci, Emilio
Targia, Roberto Perrone, sul tema della memoria e del
lutto legati ai fatti tragici della strage di Bruxelles
del 29 maggio 1985.
Presentazione Tesi di
Laurea di Giacomo Aricò
Intervista esclusiva di
Giacomo Aricò a Domenico Laudadio
"Juventus: dalla Z alla
Arena"
Intervista per la
stesura della sua tesi di laurea all' ideatore e custode
del museo virtuale multimediale dedicato alle 39 vittime
dello stadio Heysel di Bruxelles.
Giacomo Aricò: La
memoria è un atto etico, un legame che ci unisce ai
morti. C’è il pericolo di attribuire troppo valore alla
memoria e poco al pensiero ?
Domenico Laudadio: "La memoria
nel nostro paese spesso è come un involucro di plastica,
svuotato della spontaneità e del sentimento, osservata
come un precetto da chi vuole lavarsi la coscienza di
perbenista ipocrita, avulsa acriticamente dal giudizio
impietoso della storia. Come se davvero la morte
cancelli le responsabilità dei carnefici assieme alla
presenza fisica delle loro vittime. Assistiamo tante
volte durante l'anno a cerimoniali spenti, a fredde
recite di parole disincantate. Mi viene in mente, ad
esempio, la giornata del 25 Aprile che divide gli
italiani, anziché riunirli, nel rispetto delle ragioni
storiche, da vincitori e vinti. Il ricordo serve più ai
vivi che ai morti. In questa visione tutt'altro che
passivamente vittimistica si colloca il mio personale
modo di celebrare la memoria, una palestra per i
pensieri coraggiosi, non il loro annichilimento di
fronte al dolore rivisitato con slogan scimmiottati dai
media, privandola della verità dei fatti. I pensieri
sull'Heysel, a circa ventisei anni dalla tragedia, non
leniscono la rabbia verso i responsabili della strage,
non restituiscono i loro cari ai familiari delle
vittime, ma dovrebbero coagularsi in un sentimento
comune, all'interno di un luogo fisico, una sala della
memoria nel nuovo stadio di Torino, come accade nel mio
sito museo virtuale multimediale. In questo modo la
memoria è la madre dei pensieri attivi che nutriranno la
verità nella testimonianza ai posteri".
Giacomo Aricò: Sei
d’accordo con quanto afferma Susan Sontang in "Davanti
al dolore degli altri" sul fatto che il problema non è
che ricordiamo grazie alle fotografie ma che ricordiamo
solo quelle ? Il ricordo attraverso la fotografia può
eclissare altre forme di comprensione e di ricordo ?
Domenico Laudadio: "Penso che
siamo dal primo vagito abili fotografi della realtà
circostante. Le fotografie che ci portiamo dentro sono
leve del motore delle emozioni. Ho fatto teatro per
dieci anni. Conosco le potenzialità evocative delle voci
dell'anima... Le fotografie sono attimi di vita
imbalsamati, le muoviamo noi nella immaginazione
esattamente come un attore rigurgita il personaggio
sulla scena, facendo verità nella finzione. In realtà
certe fotografie sono come le icone religiose, possono
dire tutto e il contrario di tutto, è una questione di
fede. La memoria delle cose s'incarna nei lineamenti
delle immagini, vive nello sciame delle nostre passioni
consce ed inconsce, nel turbinio che le ammanta di
simboli".
Giacomo Aricò: Nel
libro di Emilio Targia racconti quella tua esultanza
dopo la partita, istintiva e rabbiosa: "aggiunse
vergogna alla vergogna". Eri però un tifoso. Cosa ne
pensi delle esultanze dei giocatori ? Quanto è credibile
spiegare certe esultanze, giocatori e tifosi, come
espressioni di disperazione e rabbia profonda ?
Domenico Laudadio: "Penso sia
l'unica vera macchia indelebile della storia della
Juventus. Non li condanno per il dopo partita perché
credo abbiano vissuto, in una sorta di trance collettiva
assieme ai loro tifosi, una situazione paradossale nella
quale la vita e la morte si contraddicevano a vicenda,
autogiustificandosi. Trovo molto più vergognoso aver
alzato il trofeo all'aeroporto di Caselle, la mattina
dopo, un pugno al cuore per i familiari delle vittime.
Non credo ci possano essere giustificazioni per questo
da parte della Juventus. La vergogna è un dato,
inconfutabile, la memoria affettiva verso le vittime ed
i loro familiari la sublimi. Io chiedo perdono alle
vittime ed ai loro familiari attraverso il mio sito
soprattutto da juventino".
Giacomo Aricò: Dopo anni di silenzi e di
commemorazioni molto formali quasi obbligate
esclusivamente dal calendario, la Juventus costruisce il
suo stadio e all’interno dedica un luogo (Blanc parla di
un monumento) alle vittime dell’Heysel. Nemmeno nel sito
ufficiale c’è uno spazio ben visibile (solo una
sottosezione in "Storia" che comunque carica un file
esterno in cui c’è giusto l’elenco dei morti e la frase
"La Juventus e i tifosi non dimenticheranno mai").
Quanto è importante che la Juventus ricordi questo fatto
nella sua nuova "casa", rendendolo parte portante delle
proprie mura accendendo il ricordo ogni giorno (tenendo
conto che sarà uno stadio che "vive" sette giorni su
sette) ?
Domenico Laudadio: "E' un atto
dovuto, colpevolmente tardivo, ma tengo a precisare che
i migliori in campo in tutti questi anni sono stati
soltanto gli Ultras della Juventus e pochissimi altri.
La loro memoria è stata sempre puntuale e sinceramente
affettuosa. La maggior parte di essi rinnegano quel
trofeo e mi sono stati sempre vicini e solidali nella
costruzione del sito, fornendomi reperti,
ringraziandomi, pur non militando in gruppi del loro
tifo organizzato. La Juventus Football Club, invece, mi
ha sempre snobbato, mai mi ha degnato di una lettera di
risposta formale alla mia ripetuta proposta di
intitolare una sala della memoria all'interno della
nuova struttura di Torino. Nessuno dei tre Presidenti
che si sono succeduti dal 2006 ad oggi. Nessuno degli
addetti alla comunicazione. Trovo questo atteggiamento
nei miei confronti una mancanza del proverbiale "stile"
e più concretamente di buona educazione, ma è
praticamente nulla rispetto all'indifferenza verso le
famiglie delle vittime dei decenni trascorsi. Io vorrei
che il monumento ai caduti fosse vivo, non di bronzo. E'
un fatto di cuore, non di materia".
Giacomo Aricò: Il tema
della stella regna nel nuovo impianto: 50
campioni-stelle della Juve e le stelline riservate ai
tifosi. Sembra che la Juventus dopo Calciopoli voglia
ricordare il passato per scrivere il futuro e farlo
insieme ai suoi tifosi, sempre più stakeholder attivi
nella crescita (anche e soprattutto economica) della
società. Fare un passo indietro per farne due avanti. Il
ricordo dell’Heysel, dopo 26 anni, come si può leggere ?
Una sconfitta o una vittoria ? Vale la frase "non è mai
troppo tardi" ? Trovi che sia un tentativo per pulirsi
un po’ la coscienza ?
Domenico Laudadio: "La memoria
non è mai una sconfitta, anche se postuma, ed è la
vittoria di tutti, vincitori e vinti, vittime e
carnefici che possono espiare la colpa solo attraverso
il riconoscimento del proprio misfatto nel ricordo.
Apprezzo molto la volontà della nuova dirigenza ed in
particolare del Dottor Andrea Agnelli di rielaborare
finalmente in un modo visibile il lutto della società
per i caduti. Resta amaro, ad ogni modo, il disappunto
per le omissioni societarie dei decenni precedenti".
Giacomo Aricò:
L’Heysel, su cui si è scritto e parlato molto, è un
simbolo, una lezione. Qual era e quale può essere ancora
oggi la forma e il modo giusto per ricordarlo e per
insegnarlo alle generazioni future ? Un monumento
pubblico ha una forma e un significato maggiore rispetto
alla lapide nascosta e più intima fatta mettere da
Boniperti nel cortile interno della sede della società ?
Domenico Laudadio: "L'Heysel è
un fatto storico unico nel suo genere. Non il primo caso
in cui si muore di calca in uno stadio. Ma è la prima ed
unica volta in cui si assiste ad una serie di cariche
armate di tipo militare su spettatori avversari inermi,
indisturbate dall'impreparazione non solo tattica, ma
mentale della polizia belga. Un'aggressione omicida dal
sapore etnico e barbarico che non è paragonabile a
nessuno scontro fra ultrà avversari dentro e fuori gli
stadi. Il monumento è un'opera d'arte, l'Heysel ha
bisogno di spazio nel cuore di un giovane che si accosta
allo sport. L'idea di una sala museo nel nuovo stadio
potrebbe didascalicamente fornire un corredo di nozioni
ed emozioni maggiormente consoni alla dignità di questa
dolorosa memoria rispetto ad un pachiderma di pietra o
di ferro. Non è tanto una questione di visibilità, ma di
profondità del messaggio contro la violenza nello sport
di ogni ordine e grado".
Giacomo Aricò:
Provando a fantasticare, come la
faresti tu la "Sala della memoria" nel nuovo stadio ?
Quale significato avrebbe, quale valore, quale simbolo
dovrebbe rappresentare ?
Domenico Laudadio: "Immagino un
salone molto ampio, semibuio, in sottofondo l'audio
della diretta del pre-partita di Bruno Pizzul, un enorme
schermo panoramico su cui proiettare le immagini
dell'evento, un corredo multimediale di fotografie ed
articoli di stampa sui muri perimetrali ed una grande
bacheca a forma di numero trentanove con cimeli e
reperti della partita. Un museo della memoria a tutti
gli effetti. Sarebbe fortemente simbolico porre il
monumento commemorativo al centro di questa sala,
circondato in un fossato, ove deporre fiori, dalle foto
dei trentanove "angeli".
Riposta in una cassetta di legno, imballata così
come era stata consegnata furtivamente alla Juventus
negli spogliatoi, la Coppa dei Campioni ai suoi piedi.
Si potrebbe rimettere le cose a posto moralmente. Quella
coppa ai piedi di chi è morto innocentemente senza
poterla festeggiare e nel legno di una cassa come le
bare che hanno accolto i loro corpi violati. Qualcuno
vorrebbe restituirla. Questo sarebbe un modo di
ridimensionarla allo stato dell'acciaio, di ristabilire
un po' le cose eticamente. Nella sala dei trofei della
Juventus Football Club accanto alla meravigliosa
Champions League vinta in Italia allo stadio Olimpico di
Roma, sarebbe più giusto posare una targa dorata con i
39 nomi delle vittime. Possiamo anche conteggiarla come
vinta, ma sappiamo molto bene che quella Coppa di fronte
ai trentanove tifosi morti non può contare niente".
Giacomo Aricò e
Domenico Laudadio
18 aprile 2011
Fonte:
Saladellamemoriaheysel.it
NDR: Intervista
amichevolmente concessa da
Domenico Laudadio a Giacomo Aricò per la sua tesi
universitaria di laurea in scienze delle comunicazioni
dal titolo "Juventus, dalla Z all'Arena. La memoria del
futuro".
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