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Giornalista
e Scrittore
Autore del
Libro
"HEYSEL Le verità di una strage
annunciata" |
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ESCLUSIVA CALCIONEWS24.COM
Heysel, Francesco Caremani: "Rabbia per
la mancanza di memoria di una strage"
di Alberto Mauro
Francesco Caremani, autore del libro
"Heysel: le verità di una strage annunciata" ha
parlato in esclusiva ai nostri microfoni. Le sue
parole.
Da 35 anni il 29 maggio è una data che fa male,
malissimo. Una data che molti vorrebbero
dimenticare ma che invece deve essere ricordata
per far in modo che non accada più. Il 29 maggio
del 1985 39 persone morirono in una delle più
grandi tragedie calcistiche. 39 vite
spezzate prima del fischio d’inizio della finale
di Coppa Campioni allo stadio Heysel tra
Juventus e Liverpool. Francesco Caremani, autore
del libro "Heysel: le verità di una strage
annunciata" è uno di quelli che più si è speso
negli anni per ricordare e commemorare le
vittime di quella immane tragedia. Queste le sue
parole in esclusiva ai microfoni
di calcionews24.com.
35 anni dopo cosa rimane di una delle
più grandi tragedie sportive in Italia e nel
mondo ?
"Secondo me rimane la figura di Otello
Lorentini. Rimane la figura di Otello per il
semplice motivo che è lui che decide di fondare
l’associazione dei famigliari, è lui che decide
di portare i responsabili a processo perché non
accettava che l’unico figlio fosse morto per una
partita di calcio. Roberto (il figlio ndr), tra
l’altro, era un giovane medico volontario con
medaglia d’argento al valore civile: morì
tentando di salvare un connazionale nella curva
Z. Facendo condannare i responsabili portò alla
luce tutto. Una delle tante cose che non si
ricordano dell’Heysel è che il caso ha fatto
giurisprudenza. La Uefa prima prendeva l’81%
degli incassi degli stadi ma non era
responsabile di quello che poteva succedere. Con
quella sentenza si è assunta le proprie
responsabilità, se oggi le Coppe europee vengono
programmate, organizzate e gestite in un certo
modo lo dobbiamo solo ad Otello Lorentini".
Quali sono le conseguenze che ha avuto
la tragedia dell’Heysel nel breve e adesso 35
anni dopo ?
"Nel breve la conseguenza più concreta fu
l’esclusione delle squadre inglesi dalle coppe
europee per alcuni anni. Però, secondo me, noi
paghiamo ancora dazio per la mancata memoria. Io
ho scritto il libro perché Otello me l’ha
chiesto e me l’ha chiesto perché non accettava
che questi morti fossero dimenticati. Per lui
era come se li avessero uccisi due volte. Questa
mancata memoria cosa ci ha portato ? Basta fare
due passi indietro: dal 1985 ad oggi cosa è
successo negli stadi italiani ? Di tutto, perché
ci siamo dimenticati l’Heysel. Quindi la mancata
memoria, non solo della Juve, ma anche di Lega e
Figc ha portato a quello che vediamo. Quando non
si contrasta la violenza verbale e di altro
genere poi si arriva alla violenza fisica. Nel
1995 con Vincenzo Spagnolo a Genova c’erano gli
ospiti che abbandonavano le trasmissioni e gli
studi… Sono storie".
Come anche l’ispettore Raciti o il
motorino giù dalla curva…
"La cosa che mi fa arrabbiare è che tutti
parlano di Heysel ma nessuno ha mai studiato.
Nessuno l’ha voluto capire e si continua a fare
retorica".
All’interno del tuo libro quali sono gli
episodi che ti hanno colpito di più e ti hanno
lasciato più perplesso ?
"La cosa che mi fa ancora arrabbiare è che
bastava pochissimo per evitare quella strage. Io
la chiamo strage perché non si tratta di
tragedia o fatalità. Innanzitutto il settore Z
non esisteva perché c’erano X,Y e Z come M,N e O
per gli juventini. Quindi creano il settore Z
con una rete da giardino, vendono questi
biglietti e lì non dovevano esserci le famiglie
italiane, se le metti di fianco agli hooligans
deve esserci la polizia. Se vedi che succede
quello che succede intervieni prontamente ed
eviti la strage. È stato scelto lo stadio
sbagliato visto che era in ristrutturazione e
gli hooligans hanno potuto armarsi in un
cantiere lì vicino. Uno stadio dove c’era già
stato un morto. Quello che ho sempre detto è che
la UEFA e le istituzioni sportive belga sono
stati i mandanti, gli hooligans gli assassini
materiali di 39 persone, cioè hanno
disorganizzato l’ordine pubblico. Questo è
spaventoso. Quello che succedeva ad Heysel
poteva succedere a Basilea l’anno prima (Finale
Coppa delle Coppe 1984 ndr). Quello stadio era
allucinante, ci passava quasi una ferrovia solo
che per fortuna non c’era rivalità tra i tifosi.
Quelli del Porto erano tranquilli così come
quelli della Juve. Questo mi ha impressionato
sinceramente, cioè l’idea di andare a vedere una
partita come Juventus-Liverpool, che era
considerata la finale del secolo, in pratica
quasi con la consapevolezza di andare a perdere
la vita perché c’erano condizioni inaccettabili
per qualsiasi partita di calcio, figuriamoci per
una finale di Coppa di campioni. Poi c’è
un’altra cosa che mi ha colpito…".
Prego…
"Al di là dei biglietti bagarinati all’interno,
del fatto che ci hanno lucrato sopra, mi ha
colpito il fatto che delle persone arrivate lì
una volta vista la situazione hanno detto: "Ma
io mio figlio a farlo ammazzare dagli inglesi
non ce lo porto" e clamorosamente trovano
biglietti o scambiano il biglietto della curva Z
per andare da altre parti. Perché c’erano altri
posti oltretutto".
Quindi c’era consapevolezza del
pericolo, non si trattava solo di una fatalità…
"Sì c’era. Gli hooligans erano instupiditi
dall’alcool poi improvvisamente buttano giù la
rete, attaccano il settore Z e lo fanno
all’inglese cioè attaccando e ritirandosi,
attaccando e ritirandosi e questo è devastante
per le famiglie italiane, che non sapevano
niente delle guerre ultrà allo stadio".
Tu ti sei confrontato con qualche
superstite o qualche famigliare di superstite,
qual è la cosa che ti ha toccato di più e che ti
porti dentro ancora ?
"Io mi porto dietro tante cose. La frase di
Carla (Ndr: Rosalina) Gonnelli che ha detto:
"Quando si dice che il tempo è galantuomo vuol
dire che non si è mai passato cose del genere".
Perché lei ha perso il marito, l’ha visto
partire e poi l’ha rivisto dentro una bara. Dopo
tanti anni ha detto che ha un vuoto ancora più
profondo. Quindi la tristezza che si aggiunge a
tristezza. Questa mancanza di memoria da parte
di tutti ha contribuito ad acuire la tristezza.
Io conoscevo bene Roberto Lorentini, frequentava
casa mia quando avevo 15 anni. Pensa io dovevo
andare con loro all’Heysel".
E poi ?
"Avevo fatto una scommessa con mio padre in
seconda liceo: avevo latino un po’ barcollante e
l’ultimo compito prendo 5 quindi perdo la
scommessa e non vado. Ho dei ricordi molto forti
di Roberto ed è una storia molto personale.
Oppure Giuseppina Conti che proprio da questo
punto di vista è il mio contraltare. Anche lei
di Arezzo, liceale, pagella bellissima e il
padre come premio la porta all’Heysel e lui è
tornato con la figlia nella bara. Aveva 17
anni".
Per un 5 in pagella non sei andato lì ma
come hai vissuto quella partita sapendo che
potevi essere lì e che avevi un amico di
famiglia in quello stadio ?
"Io l’ho vista male perché la partita non
iniziava e tutti ci chiedevamo perché.
Ovviamente a quel tempo non c’erano i cellulari,
i social e i mezzi di cui disponiamo ora, c’era
una tecnologia abbastanza immobile. Eravamo a
casa di un amico e arriva la telefonata di mia
madre che mi dice: "Roberto è ferito".
Ovviamente non era vero ma non lo sapeva neanche
lei in quel momento perché Otello, prima di dire
alla moglie che l’unico figlio era morto, ci ha
messo un po’ di tempo ma quando mia madre mi
chiamò Roberto era già morto. Io sono andato a
casa di un altro amico a dormire, ovviamente con
il morale a pezzi, mentre ad Arezzo come in
altre città si scatenava la festa e i caroselli
e questo mi ha ferito molto. Poi la mattina mi
sono alzato con la notizia che Roberto era morto
e andare a scuola è stato parecchio pesante per
me: c’erano i ragazzini che prendevano in giro
la Juve e la coppa insanguinata. La cosa brutta
è che da ragazzini si è sciocchi e ignoranti per
definizione però purtroppo quelle battute sono
durate anche in età adulta e lì diciamo che non
sto neanche più zitto".
Parlami di questa associazione che hai
citato prima…
"L’associazione che ha fondato Andrea Lorentini
(nipote di Otello) sta crescendo. Otello muore
nel 2014 e Andrea diventa giornalista come me e
dirige un settimanale qui in città. Come si fa a
difendere i morti e i cari che vengono
continuamente offesi ? Ha rifondato
l’associazione con tutti i famigliari. È stata
un’operazione molto importante per la memoria,
con un concetto fondamentale: seminare non fare
che questa diventi un feticcio. Cioè non onore
ai morti in senso paramilitare. Meglio andare
nelle scuole, fare dei convegni, seminare in un
Paese dove tutti ti dicono: "ma tanto non
cambierà mai niente", noi facciamo guerriglia da
questo punto di vista contro un esercito
numerosissimo cercando di seminare un po’ di
cultura sportiva e insegnare che agli stadi ci
si deve andare in altro modo".
Che effetto fa quando vedi degli
striscioni canaglia da parte dei tifosi
avversari ?
"Soffro tanto. Sofferenza fisica e mi dà molto
fastidio, una sofferenza fisica visto che
conoscevo Roberto e soffro ancora di più quando
vedo offendere Superga piuttosto che Facchetti
ecc. In questo voglio fare una riflessione:
quelli che offendono i morti dell’Heysel o di
Superga o tutti gli altri morti sono gli stessi
che oggi chiedono di non giocare per rispetto
dei morti e c’è il rischio che quando torneranno
negli stadi torneranno a offendersi ognuno i
morti dell’altro. Ci vorrebbe un pochino in più
di coerenza, onestà intellettuale e memoria.
Senza memoria condivisa dell’Heysel, guarda
caso, si fa più fatica spiegare queste cose".
29 maggio 2020
Fonte: Calcionews24.com
© Fotografie: Francesco Caremani (Si
ringrazia per la cortese concessione)
NDR:
Intervista concessa da Francesco Caremani al
dominio Calcionews24.com. Si prega chiunque voglia
utilizzarne i contenuti di citarne cortesemente
la fonte.
29 anni fa, l'Heysel
"Rispetto per la memoria e una nuova
cultura sportiva"
di Federico Casotti
Goal
Italia ha intervistato Francesco Caremani,
giornalista e scrittore tra i più attivi nel
ricordo delle 39 persone morte 29 anni fa
all'Heysel prima di Juventus-Liverpool.
Da 29 anni, il 29 maggio è una data che fa male,
una data che deve essere ricordata. Il 29 maggio
1985 39 persone morirono allo stadio Heysel di
Bruxelles poco prima dell’inizio della finale di
Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Da
allora molto si è detto e scritto, a volte a
sproposito e spesso perdendo di vista l’unica
cosa che conta: il mantenimento della memoria e
della verità, nel rispetto delle vittime e dei
loro famigliari. Una delle persone che più si è
spesa in questo senso è Francesco Caremani,
giornalista aretino, per sua stessa definizione
"Juventino ma non tifoso", riconoscendo alla
parola "tifoso" un’accezione negativa purtroppo
rinsaldata dagli avvenimenti degli ultimi mesi.
Il suo libro "Heysel: una strage annunciata" è
uno dei più efficaci memoriali su ciò che
accadde quella sera.
Per questo, in occasione del 29 maggio,
noi di Goal Italia lo abbiamo intervistato.
La storia di Caremani è legata a doppio
filo a quella notte, che non lo vide spettatore
diretto solo per un fortuito caso della vita:
"Dovevo andare anch’io a Bruxelles insieme a
Roberto Lorentini, amico di famiglia, ma presi
un brutto voto in latino, e per punizione per il
sicuro esame a settembre i miei genitori non mi
lasciarono partire".
Nel libro di Caremani, uscito nel 2003,
la Juventus - intesa come dirigenza - non ne
esce bene.
"La cosa che imputo maggiormente alla società è
di aver ostentato troppo quella Coppa. Boniperti
ne era ossessionato, soprattutto dopo Atene, e
la dirigenza anche negli anni successivi si è
dimostrata assente al fianco dei familiari delle
vittime, soprattutto durante gli anni del
processo".
Fortunatamente, negli ultimi anni si sta
assistendo a un’inversione di tendenza.
"Andrea Agnelli ha fatto in pochi anni più di
tutti i suoi predecessori messi assieme. La
Santa Messa in memoria delle vittime del 2010 fu
un primo, significativo passo, così come lo
spazio dedicato al Museo all’interno dello
Juventus Stadium, o la presenza della società
all’inaugurazione del monumento in memoria a
Reggio Emilia, fino alla delegazione inviata
recentemente al funerale di Otello Lorentini,
una delle persone che più si è spesa per la
conservazione della memoria".
Già, la memoria. Caremani si scaglia con
convinzione contro la logica amico-nemico che
l’ha macchiata in tutti questi anni,
sottolineando tanti aspetti nascosti o peggio
ancora ignorati:
"Otello Lorentini era un tifoso della
Fiorentina, e ha speso il resto della sua vita a
non disperdere la memoria di suo figlio Roberto
e delle altre vittime. In pochi lo sanno, ma tra
i 39 c’erano anche tre tifosi interisti, che
erano all’Heysel semplicemente perché amavano il
calcio e volevano vedersi dal vivo la finale di
Coppa dei Campioni".
Va detto che le iniziative anche in
tempi recenti non sono mancate, in
contrapposizione all’inciviltà vista troppo
spesso sulle tribune:
"Abbiamo organizzato una mostra congiunta
Superga-Heysel presso il museo del Grande
Torino, volendo gettare un seme di cultura
sportiva: un invito recepito da tante persone,
comunque più di quelle invece (e
inspiegabilmente) contrarie. Un segnale di
vicinanza è arrivato anche dalla Banda Bagaj,
gruppo "atipico" di tifosi interisti, che ha
esposto uno striscione in segno di rispetto per
le vittime di entrambe le tragedie".
Ma allora, a distanza di quasi 30 anni,
come inquadrare storicamente quella serata ?
"Lasciando perdere le critiche pelose degli
anti-juventini, ritengo che ognuno debba
pensarla come vuole. Io credo che quella Coppa
sia in qualche modo fittizia, ma ad esempio i
familiari di Giuseppina Conti, che quando morì
all’Heysel aveva 17 anni, la pensano all’opposto
e io non me la sento di criticarli. A
posteriori, va detto che far giocare la partita
fu necessario per ragioni di sicurezza, e che
una volta in campo, le due squadre giocarono per
davvero, con il Liverpool che, se avesse vinto,
avrebbe tranquillamente festeggiato. D’altra
parte è ormai assodato, dalle parole di Tacconi
e Rossi, che i giocatori della Juventus fossero
perfettamente al corrente delle dimensioni della
tragedia prima di scendere in campo".
Tra un anno ricorrerà il 30°
dell’Heysel. Per Caremani…
"E’ necessario creare un luogo che sia insieme
catartico e di incontro e memoria per tutti i
tifosi, non solo bianconeri. Serve un luogo
fisico dove riunirsi e pregare, ma servono anche
provvedimenti seri per la difesa della memoria:
trovo scandaloso che non sia mai stato preso un
singolo provvedimento contro chi inneggia
all’Heysel. I comitati dei famigliari delle
vittime dell'Heysel faranno sentire la loro voce
contro chi infangherà questa e le altre tragedie
del calcio italiano. Con l’auspicio che nel
frattempo possa finalmente attecchire anche da
noi una nuova cultura sportiva".
29 maggio 2014
Fonte: Goal.com
NDR:
Intervista concessa da Francesco Caremani al
dominio goal.com. Si prega chiunque voglia
utilizzarne i contenuti di citarne cortesemente
la fonte.
ESCLUSIVA ILBLOGDIALESSANDROMAGNO.IT
Intervista a Francesco Caremani
di Benedetto Croce
Fra le persone meravigliose che posso
annoverare fra le mie amicizie un posto speciale
spetta sicuramente a Giulia Iuliana Bodnari, per
me semplicemente Giulia. Ci siamo conosciuti
grazie alla nostra passione per la Juventus e ne
è nata un’intesa e una stima reciproca veramente
notevole. E' cosi che un giorno in previsione
della commemorazione annuale delle vittime
dell'Heysel, che quest'anno si terra il 1
Giugno, Giulia mi ha chiesto testuale: "Ale tu
che scrivi così bene scrivi qualcosa per me per
la commemorazione". Ho preso subito alla lettera
"l'ordine" di Giulia. Potevo scrivere
sicuramente dei ricordi di bambino di quel
brutto giorno. Avevo 12 anni ed ero davanti alla
tv con mio fratello e mio papà. Ricordo tutto.
Un giorno forse racconterò anche questa storia.
Questa volta, per Giulia ho deciso invece di
realizzare questa intervista. Di lasciare la
parola a chi sicuramente sull'Heysel è più
informato di me e ha cose più interessanti da
far conoscere al pubblico. Questa intervista è
per Giulia e suo marito Rossano, per Carla e
Giancarlo, per Mimmo che se vorrà metterla nel
suo museo ne sarò onorato.
(Alessandro
Magno)
Francesco Caremani giornalista,
scrittore, noto tifoso juventino, conosciuto al
pubblico soprattutto per il suo impegno: la
ricerca della verità sulla triste vicenda
dell’Heysel. Ciao Francesco cercherò di farti
delle domande diverse dalle consuete, intanto ti
ho presentato bene ?
"Noto
tifoso juventino ? Non direi, per vari motivi (e
non per colpa mia). Il primo e più semplice è
che da ragazzo tifavo Juventus, nel senso più
appassionato del termine, ma oggi non mi
riconosco affatto nella parola "tifoso" dietro
la quale si nascondono in troppi dopo aver detto
e fatto le peggio cose. Il secondo, banale, è
che sono un giornalista, ho fatto tanta fatica
per diventarlo e secondo me un giornalista
tifoso non è un buon giornalista; un giornalista
deve essere credibile piuttosto che tifoso e le
due cose spesso (nel calcio italiano) sono l’una
contraria dell’altra. Il terzo risale a qualche
tempo fa, dopo una bellissima presentazione del
libro sull’Heysel a Mantova con Bruno Pizzul su
Facebook arriva un commento che augura la morte
all’ex telecronista Rai accusato di essere
antijuventino, cosa per me inaccettabile, così
controbatto in maniera forte e decisa, la
risposta ? Guai a me se mi consideravo juventino
(e non era la prima volta). Oggi c’è tanta
voglia di rilasciare patenti, di mettere le
persone in un contenitore (forse perché chi ha
un pensiero indipendente, non catalogabile, crea
diffidenza, paura, panico, crisi d’ansia, come
una figurina fuori posto, ma per fortuna siamo
uomini), con me o contro di me. Ho 43 anni e
"vengo" da un altro calcio, un calcio in cui gli
avversari si ammiravano, dove s’imparavano ad
amare quando vestivano tutti insieme la maglia
della Nazionale, l’odio verso la quale per me è
pura blasfemia, quindi puoi ben capire quanto le
ragioni (se di ragione si tratta) del tifo siano
lontane dal mio modo di pensare, intendere e
raccontare il calcio, lo sport più in generale.
Se penso a me come tifoso penso a me come tifoso
della Nazionale. Però, c’è un però, c’è stato un
momento in cui molti giornalisti che fino al
momento prima avevano beatificato la Juventus le
si sono rivoltati contro per mera sopravvivenza
(gli stessi che adesso le si stanno
riavvicinando), per contingenza e puro calcolo
personale. Ecco, quando non conveniva non ho
nascosto la mia passione giovanile e la squadra
per cui facevo il tifo (che poi ti resta
attaccata addosso per sempre), sono fatto così,
sono un giornalista nel bene e nel male, quello
che conviene lo lascio agli altri, tifosi
compresi, come dimostra il libro sull’Heysel: se
una cosa è accaduta, quindi vera, lo è a
prescindere dai colori sociali. A pensarci bene
sono anch’io un ultrà: del giornalismo e delle
cose in cui credo, come il fair play, per
esempio. Poi siamo in democrazia e ognuno può
affibbiarmi le patenti che vuole, questo non
cambierà quello che sono, tanto meno le mie
idee. Ovviamente grazie per il "noto", troppo
buono".
Sinceramente, ti spiace essere
conosciuto più che altro per i tuoi scritti
sull’Heysel, dato che è una vicenda triste e in
fondo hai scritto tanti altri libri, o è un
qualcosa che non ti pesa affatto ?
"Il mio nome è legato indissolubilmente
all’Heysel (grazie a Otello Lorentini, già
presidente dell’Associazione fra le famiglie
delle vittime di Bruxelles, voce narrante del
libro) e in un Paese dove si cerca di
dimenticare, soprattutto le tragedie con precise
responsabilità, capisci quanto abbia pesato e
pesi dal punto di vista professionale. A me non
interessano le mode (complimenti a chi sa
cavalcarle; oggi, per esempio, va a ruba il
giornalista schierato) a me interessa fare le
cose giuste e l’Heysel lo è stata. Questa
domanda mi ha fatto molto piacere perché quando
uno fa il giornalista sportivo si occupa di
tanti argomenti diversi, è un cammino con tante
tappe, alcune più corte altre più lunghe, alcune
sono delle semplici gare in linea, altre parte
di un tour, alcuni di questi hanno una
conclusione, altri no, ci accompagnano nel
nostro cammino professionale. Se c’è una cosa
che amo del mio lavoro sono le persone, quelle
che racconti, quelle che incontri per caso,
ognuna ti resta attaccata addosso in maniera
diversa, come nella vita di tutti i giorni.
Otello Lorentini è una di queste, una di quelle
persone che porterò sempre con me, perché mi ha
insegnato tante cose, come la dignità, la voglia
di giustizia e verità, l’amore incondizionato
per i figli (lui al suo, morto all’Heysel, ha
dedicato tutta una vita), l’umiltà e l’orgoglio
di chi ha tutto da perdere e scende ugualmente
sul campo di battaglia con le poche certezze che
possiede: se lo dovrebbero ricordare soprattutto
quelli (troppi) che parlano (troppo spesso) a
vanvera di ciò che è accaduto il 29 maggio 1985
e dopo. Io ho scritto altri libri, alcuni più
belli dal punto di vista squisitamente
narrativo, ma per tutti i motivi che ho elencato
quello sull’Heysel resta il più importante".
A
distanza di molti anni per chi vuole cercare e
informarsi c’è direi abbastanza materiale,
ritieni sia stato scritto tutto sull’argomento,
c’è ancora qualche zona d’ombra ?
"Io ritengo che sull’Heysel sia stato scritto
tutto, per chi vuole sapere e per chi vuole
informarsi decentemente, ma non solo grazie a
me, anzi credo sia opportuno citare altri
autori, quattro in particolare: Nereo Ferlat,
Jean-Philippe Leclaire, Domenico Laudadio e
Riccardo Gambelli. In verità, una zona d’ombra è
rimasta, difficile da illuminare dopo tanti
anni. Il settore Z era destinato a un pubblico
neutrale o a chi accaparrava per primo i
biglietti ? Vista la divisione dello stadio è
facile pensare alla prima ipotesi e allora cos’è
accaduto ? Da qui il secondo quesito: chi ha
spacciato in Italia i tagliandi della curva Z ?
Quanto ci ha guadagnato ? Poi basta leggere i
racconti di chi per avere un biglietto
all’ultimo minuto si è ritrovato nella
famigerata curva, chi invece è riuscito a
cambiarlo perché non voleva portare il figlio in
quel posto così vicino agli inglesi e così via.
Dopo quasi 28 anni capisco che può sembrare come
discutere del sesso degli angeli, ma alla fine è
iniziato tutto da lì, nonostante nello stadio ci
fossero altri posti disponibili, come dimostrato
da chi è riuscito a scappare dopo la tragedia".
Un fatto che mi ha sempre incuriosito e
credo nessuno ti abbia mai chiesto se non io
privatamente. Chi è quell’uomo sulla copertina
di: "Heysel, le verità di una strage
annunciata". Cosa sta facendo e se ti è mai
venuto in mente di cercarlo o se lui si è mai
riconosciuto in quella foto ?
"La foto è di Salvatore Giglio, come tutte le
altre nel libro, ed è storica: chi non ricorda
la copertina del Guerin Sportivo diretto da
Italo Cucci col titolo "Olocausto", a me ne
hanno regalata una copia e quando con
Bradipolibri abbiamo ripubblicato il libro nel
2010 l’abbiamo scelta per la copertina, anche se
meno cruda dell’originale. L’uomo disperato
esprime tutta la follia dell’Heysel: morire per
assistere a una partita di calcio,
inaccettabile, ieri come oggi. Una foto che
racconta tutto prim’ancora di leggere il testo.
L’uomo con lo sguardo rivolto al cielo e che,
presumibilmente, si chiede perché, com’è potuto
accadere, tiene la testa di un altro tifoso
sulle ginocchia, in mezzo alla calca e ai
soccorsi. Non so se si sia mai fatto vivo con
Giglio o il Guerin Sportivo e senza le fonti è
stato impossibile sapere chi fosse".
Il tuo libro che sopra abbiamo citato è
stato definito "La Bibbia sull’Heysel", vorrei
sapere se sai chi ha coniato questa definizione,
se ti lusinga come credo di sì e perché è
considerato tale ?
"È stata Emanuela Casùla, che a Bruxelles ha
perso il padre, Giovanni, e il fratello, Andrea,
la vittima più piccola. Nel 2005 Sky produsse un
documentario sui vent’anni dell’Heysel e in
quell’occasione, dopo essere stati ad Arezzo
dalla famiglia Lorentini e da me, riuscirono a
contattare Emanuela che viveva vicino Roma.
Parlando col giornalista di Sky lei pronunciò
quelle parole riferite al mio libro, il collega
fu poi così corretto da riportarmele. Per me
valgono più di qualsiasi recensione o classifica
di vendite, sono la consapevolezza che ho fatto
la cosa giusta e che l’ho fatta nel migliore dei
modi, da giornalista, appassionato, arrabbiato,
di parte (come spiega bene Roberto Beccantini
nell’introduzione), e da uomo. Con Emanuela ci
siamo sentiti più avanti, sono rimasto molto
colpito dalla sua lucidità e dall’elaborazione
di quella tragedia, da come era rimasta sorpresa
dalle scuse di Marco Tardelli che da Giovanni
Minoli vedeva per la prima volta certe immagini.
Senza dimenticare che Otello Lorentini, il quale
in curva Z ha perso l’unico figlio Roberto
(medaglia d’argento al valore civile per essere
morto tentando di salvare un connazionale, forse
lo stesso Andrea), già presidente
dell’Associazione fra le famiglie delle vittime
di Bruxelles, quando abbiamo dato il ‘visto si
stampi’ mi ha detto: "Ecco, questa è la verità".
Troppo spesso ci si dimentica, infatti, che i
familiari delle vittime sono stati "silenziati"
per diciotto lunghi anni e che il mio libro,
volenti o nolenti, è stato il primo ad aprire
uno squarcio sul velo di omertà che ha sempre
coperto la tragedia dell’Heysel, mi sono chiesto
spesso cos’abbia fermato penne ben più
importanti e famose della mia, chissà. Il loro
riconoscimento per me è la cosa più importante,
anche se per onestà intellettuale devo dire che
c’è chi, tra i familiari, mi ha rimproverato per
essere stato troppo crudo e diretto nel
racconto".
Hai letto altre cose sull’Heysel se puoi
dirmi un altro libro che mi consiglieresti e
consiglieresti ai nostri lettori ?
"L’ultima curva" di Nereo Ferlat, "Heysel. La
tragedia che la Juventus ha cercato di
dimenticare" di Jean-Philippe Leclaire e
"Coriandoli bianconeri" di Riccardo Gambelli;
poi consiglio la lettura del sito di Domenico
Laudadio saladellamemoriaheysel.it".
Ogni
tanto noto che hai degli scontri verbali, specie
su Facebook, con degli ultras, soprattutto
juventini. Il tuo rapporto con loro mi pare sia
stato sempre molto severo nei loro confronti,
nonostante molti ultras bianconeri oggi hanno
mitizzato questa cosa dell’Heysel, non hai fatto
mai loro nessuno sconto. Mi spieghi perché ?
"Be’ quando si parla di Heysel io non faccio
sconti a nessuno, nemmeno a me, e poi dipende
sempre dall’approccio e dall’educazione. In
troppi, in generale, pensano che sui social o
per mail si possa aggredire senza pagare dazio,
per giunta con tanta, troppa, disinformazione
alle spalle. Ma la cosa che più mi da fastidio
sono coloro che parlano della tragedia di
Bruxelles bypassando i familiari delle vittime,
come se non contassero, come se non dovessero
dire la loro, come se non fossero il fulcro di
tutto: dove ci sono i morti, c’è un dolore
enorme che il tempo ha acuito, lì ci sono
famiglie e familiari che meritano memoria e
rispetto, se non altro per l’enorme dignità
dimostrata in tutti questi anni, soprattutto
verso chi ha cercato di dimenticarli. Hai detto
bene "hanno mitizzato", innalzato, messo su un
piedistallo senza però farci i conti veramente,
perché è dura, perché è difficile, perché
significherebbe fare i conti fino in fondo anche
con la storia della Juventus e con una coppa che
per me non ha alcun valore sportivo. Dopo di
che, per correttezza, devo sottolineare come ci
siano familiari che la pensano nello stesso modo
e altri che invece considerano quella coppa un
trofeo da tenere nello scranno più alto della
bacheca, questa libertà di pensiero loro se la
sono conquistata col sangue quindi merita il
massimo rispetto, gli altri no. Comunque, è
vero, i problemi più grandi li ho incontrati con
i tifosi juventini, da una parte dimostrando
quanto non sia per niente banale o capziosa la
mia prima risposta, dall’altra, però, andrebbe
chiesto a loro il perché. Un morto non è un
vessillo, una sciarpa, un trofeo, non si può
sbandierare, si può solo rispettare, se ne siamo
capaci, come Claudio "Il Rosso" che porta allo
stadio il solito striscione in onore dei 39
morti. Anche lui è un ultrà, anche lui è un
tifoso della Juventus, ne difende i colori, la
memoria, così come quella della curva che ha
vissuto in pieno, eppure ci siamo sempre
confrontati con grande civiltà, stima e
rispetto. Allora la domanda la faccio io agli
altri, perché ?".
In passato mi sono occupato anche io di
questo argomento, sono amico di Carla Gonnelli
che ha perso suo papà e che ha rischiato lei
stessa di perdere la vita all'Heysel, e sono
amico di Giulia Bodnari che con suo marito
Rossano si occupano del monumento ai caduti
dell’Heysel di Reggio Emilia. Occupandomi di
questo argomento ho trovato spesso che le stesse
famiglie delle vittime forse con un grande senso
di pudore e di dignità hanno rinunciato forse un
poco troppo a raccontare le loro storie. Non so
se tu hai questa sensazione ? È forse accaduto
che il dolore le ha fatte chiudere
esageratamente a riccio. Perché è avvenuto
questo ?
"Giulia in questi ultimi anni sta facendo un
lavoro enorme che non potrò mai smettere di
ammirare e ringraziare. In merito ai familiari
delle vittime credo di aver già risposto
approfonditamente sui tanti perché. Alla fine mi
rendo conto della fortuna che ho avuto con
Otello Lorentini, lui che aveva assistito a
tutte le udienze del processo in vece delle
altre famiglie, lui che aveva conservato tutto
il materiale di quegli anni, ha permesso di
addentrarmi in quella tragedia dalla porta
principale senza dover disturbare (troppo) il
dolore degli altri familiari, non sarebbe stato
facile, non sarebbe stata la stessa cosa, al
contempo ho rischiato molto, sia da uomo che da
giornalista, ma Otello è una persona speciale.
Ci sono mogli che non hanno più rivisto il
marito e mi hanno detto che dopo 28 anni il
vuoto è ancora più profondo, un gorgo
impossibile da colmare, ecco basterebbe questo,
basterebbero le vite stravolte di tante persone
per capire che l’Heysel è innanzi tutto la loro
storia e solo in un secondo momento lo è anche
della Juventus. Poteva essere diverso, invece...
Ergo, senza rispetto di modi e parole meglio
tacere, tanto nessuno potrà mai cambiare la
storia di quella tragedia e le sue verità".
Con enorme mia sorpresa il tuo libro
anche a distanza di tantissimi anni
dall’accaduto è uno dei libri ancora più
venduti, perché questa necessità della gente di
leggere di questo argomento ?
"Non ho una spiegazione precisa, voglio solo
sperare che il mio libro piaccia e che ci sia la
volontà di saperne di più su una tragedia troppo
spesso e troppo in fretta dimenticata. Più
venduto, però, non vuol dire automaticamente più
successo, per tutto ciò che ci siamo detti fino
ad ora affermerei che così aumentano i miei
estimatori ma anche i miei detrattori
(permettimi la battuta)".
I responsabili dell’accaduto hanno
pagato tutti o c’è chi l’ha fatta franca ?
"In
primo grado furono tutti assolti, ma alla fine
possiamo dire che c’è stata una giustizia. Era,
però, impossibile pensare che il Belgio
riuscisse a condannare le proprie istituzioni,
che l’hanno fatta letteralmente franca, così ha
pagato il capitano della polizia, Mahieu, per
tutti. In compenso la condanna dell’Uefa è stata
storica e ha fatto giurisprudenza, cosa anche
questa mal raccontata e buttata troppo presto
nella soffitta dei ricordi; grazie al coraggio
di Otello Lorentini e dell’avvocato italo-belga
Daniel Vedovatto che l’hanno citata in giudizio.
Anche gli hooligans l’hanno fatta franca, in
relazione a quello che era accaduto, ma la
condanna dell’Uefa andrebbe studiata ancora oggi
(soprattutto da Platini e soci), in questo senso
l’appendice dell’avvocato Vedovatto è
illuminante".
Hai avuto problemi che so di querele,
minacce, o quant’altro, da qualcuno che magari
non ha gradito come hai riportato i fatti ? Se
puoi dirmi anche chi se è possibile, mi
piacerebbe.
"C’è stata una querela ma solo per colpa del
vecchio editore e dei suoi collaboratori, subito
ritirata nei miei confronti quando è stato
chiaro l’errore. Per il resto non avevo nulla da
temere con due certificazioni di qualità come
quelle di Otello Lorentini e Daniel Vedovatto.
Questo non toglie che il libro abbia dato
fastidio a molti, ma una cosa mi ha
letteralmente scioccato. Ero insieme ad altri
colleghi a una trasmissione televisiva dedicata
all’Heysel e in un momento di pausa uno si
avvicina e mi fa: "Ma tu sei matto ?". "Perché
?", rispondo io. "Dare contro alla Juventus"
chiosa. Non so come devo averlo guardato. Una
cosa è chiara, il libro non fa sconti a nessuno e ognuno sa come si è comportato, chi ha fatto e
detto cosa, ci sono immagini e foto che
raccontano più di ogni libro, ci sono famiglie
che aspettano ancora le scuse, dopo 28 anni. Mi
dispiace ma io non faccio sconti a nessuno,
troppo dolore e poca memoria. Poi ci sarebbe una
mail… Che ho promesso di non rivelare a chi me
l’ha girata, sono un uomo di parola e non
tradisco".
La Juventus del Presidente Andrea
Agnelli che rapporto ha con questa tragedia è
cambiato qualcosa rispetto al passato ? Trovi
che la Juventus come giocatori e come squadra
dovrebbe ricordare ogni anno questa ricorrenza
magari anche con dei fiori allo stadio o
qualcos’altro ?
"Andrea Agnelli ha il merito, enorme, di aver
riaperto il libro dell’Heysel dopo 25 anni in
casa Juventus, un atto di coraggio con la messa
e con una parte del museo dedicata alla tragedia
di Bruxelles (spero che abbiano corretto un
cognome di una delle vittime, inizialmente
sbagliato). Mi piacerebbe che continuasse, non
so se hai visto come a Liverpool (già, proprio
loro) ricordano Hillsborough ogni anno, l’Heysel
è la Superga della Juventus, dovrebbero
ricordarla con identico onore e rispetto".
I giocatori della Juventus attuale non
mi sembrano granché coinvolti nella cosa è
giusto cosi o andrebbero maggiormente informati
? In fondo anche i più anziani come Buffon e
Pirlo all’epoca dei fatti erano piccolissimi,
figuriamoci gli altri.
"Loro non c’erano, ma Pioli c’era e pare
essersene completamente dimenticato, come
Prandelli d’altronde, peccato li stimo molto
come tecnici. A questi giocatori, a questa nuova
Juventus possiamo chiedere solo il rispetto
della memoria, quello che una grande società
deve a una tragedia del genere, basta imparare
da chi ha saputo fare meglio in tutti questi
anni. Il post più emozionante lo ha scritto Del
Piero quando era ancora a Torino, un ricordo di
quella notte da bambino, uno dei suoi "gol" più
belli in maglia bianconera".
Ti vedremo a Reggio Emilia quest’anno ?
"Sono un freelance in balia della professione,
quindi non posso fare promesse: se il lavoro me
lo permette ci sarò".
Grazie a Francesco Caremani.
Benedetto Croce e Francesco Caremani
22 maggio 2013
Fonte: Ilblogdialessandromagno.it
NDR:
Intervista amichevolmente concessa da Francesco
Caremani a ilblogdialessandromagno.it in
esclusiva. Si prega chiunque voglia utilizzarne
i contenuti di citarne cortesemente la fonte.
ESCLUSIVA SALADELLAMEMORIAHEYSEL.IT
"Le verità sull'Heysel"
Intervista esclusiva di Domenico
Laudadio a Francesco Caremani
Carissimo Francesco, innanzi tutto,
grazie per avermi concesso in esclusiva per il
museo virtuale multimediale "39 Angeli
all’Heysel" questo prezioso estratto dei tuoi
sentimenti. La casa degli Angeli è anche casa
tua. Hai intitolato il tuo libro "Le verità
sull’Heysel": allora io, un po’ maliziosamente,
proprio come Pilato fece con Gesù, ti domando:
"Che cos’è la verità ?".
"Un titolo è un titolo, necessità di sintesi e
di forza contemporaneamente e questo n’è stato
il risultato. Personalmente rifuggo le categorie
assolute, giusto-sbagliato, vero-falso, ma ho
enorme rispetto per il dolore altrui, rispetto
come uomo, che può tradursi anche nel silenzio,
rispetto come giornalista, che può tradursi, si
è tradotto, in un libro scritto in punta di dita
e con la supervisione di Otello Lorentini, il
presidente dell’Associazione tra le famiglie
delle vittime di Bruxelles (che da ogni parte si
è cercato di mettere a tacere per quasi
vent’anni), colui che, da solo, ha sconfitto
l’UEFA in tribunale, facendo giurisprudenza e
rendendola responsabile degli eventi che
organizza, colui, l’unico, che ha seguito ogni
udienza del processo e che quel 29 maggio 1985
era nella curva Z e ha perso Roberto, l’unico
figlio, medaglia d’argento al valor civile per
essere morto mentre tentava di salvare un
connazionale, d’argento e non d’oro per
evitargli la diaria, tristezze tutte italiche…".
Se c’è una verità chi invece ci ha
raccontato tante bugie sull’Heysel ?
"Su tutti le istituzioni belghe e gli inglesi,
le prime per rifuggire le evidenti
responsabilità organizzative prima e legali poi,
i secondi per evitare, così com’è successo, di
andare in galera. L’UEFA sull’agibilità di uno
stadio che oggi non sarebbe omologato nemmeno
per una gara di Terza categoria. In parte i
giocatori della Juventus, con una premessa che
rende il loro ostracismo, per me che nasco
tifoso bianconero, per me che li vedevo come
degli eroi moderni, ancora più grave. L’ovvia
premessa è che i giocatori e la società non
hanno mai avuto alcuna responsabilità per ciò
che è accaduto, allora perché raccontare solo in
parte quello che era successo nei momenti
precedenti la partita ? Perché raccontare che
non sapevano dei morti, quando i feriti si erano
fatti curare dal medico sociale ? Perché
continuare a stare in silenzio per tutti questi
anni ? Per non parlare poi del premio partita,
ancora non è dato sapere, dei 100 milioni che la
Juventus consegnò alla Fondazione Umberto
Agnelli, chi li ha dati e in quale percentuale,
alla luce anche della promessa di Boniek di
donarlo in toto…".
Francesco, tu hai sempre paragonato al
diavolo in persona l’Heysel, in che senso ?
"Non mi riconosco in questa definizione, ma dopo
averne parlato per anni non nego che possa anche
averlo detto. Di certo, se Juventus-Liverpool,
sportivamente parlando, era la partita del
secolo, per i valori in campo allora, quello che
è accaduto è stata la tragedia del secolo, non
solo per il numero dei morti (altri stadi,
purtroppo, ne hanno contati molti di più) ma
soprattutto per le modalità…".
Si poteva non giocare quella partita ?
"Non credo, così come ho scritto nel libro e
come, a freddo, ha anche pienamente affermato
Otello Lorentini. Ogni uomo che possa chiamarsi
tale può solo immaginare cosa può aver provato
chi aveva un figlio, un genitore, un amico o un
parente morto, accatastato in un angolo dello
stadio, veder iniziare la partita. Con il senno
di poi, ma solo con il senno di poi, possiamo
dire che fu l’unica scelta decente di quella
maledetta notte di follia per evitare ulteriori
scontri e, forse, morti. Ma dopo aver saputo
tutto quello che era successo, mi chiedo come si
potesse esultare e partecipare ai caroselli per
strada. Ognuno è libero di pensarla come vuole,
ma è da queste cose, per me, che s’inizia a
discriminare l’uomo dalla bestia. Esultare sui
corpi ancora caldi di 39 tifosi della Juventus,
è bene ricordarlo per gli smemorati, falsi e
ipocriti, rappresenta, secondo il mio umile
parere, un punto di non ritorno".
Secondo te, comunque, la partita fu una
partita vera o l’arbitro, per volontà della
UEFA, ne pilotò l’esito dell’incontro, così da
risarcire con la vittoria sportiva la Juventus
che non avrebbe voluto giocarla ?
"Troppa dietrologia alla fine stanca. Il
distinguo è sempre la premessa: è possibile
considerare una partita di calcio quello che
accadde dopo la strage ? Secondo me no. Se,
invece, si afferma che quella era, comunque, una
partita di calcio allora dobbiamo ammettere che
fu vera, con grandi parate di Tacconi e,
purtroppo per la Juventus, con una vittoria
arrivata con un rigore che non c’era, il che ha
reso il racconto "sportivo", per chi aveva/ha
ancora orecchie e voglia di ascoltarlo, ancora
più triste, volgare e pieno di inutili
dietrologie. D’altra parte, in anni più recenti,
l’UEFA ha fatto giocare un turno di Champions lo
stesso giorno dell’attacco alle Twin Towers, di
cosa meravigliarsi quindi, il punto di non
ritorno, anche in questo caso, ha sempre la
stessa data: 29 maggio 1985".
Hai mai parlato con qualcuno dei
calciatori della Juventus di quella finale ?
Cosa ti hanno detto ?
"Con Paolo Rossi allo "Sciagurato Egidio" su Sky
Sport, con Marco Tardelli ad Arezzo quando ha
allenato la squadra locale e io stavo preparando
un dvd commemorativo. Paolo Rossi, incalzato da
Porrà (ho ancora la registrazione) ammise che i
giocatori sapevano dei morti prima di scendere
in campo, anche se poi in successive uscite
pubbliche ha detto il contrario. Marco Tardelli
è stato ermetico e ha detto che certe cose nel
calcio non dovrebbero accadere… Ogni commento è
ovviamente superfluo e non sto parlando di due
giocatori della Primavera o di due panchinari,
ma di due campioni del mondo, di due colonne
portanti di quella squadra, quindi ognuno può
tirare le proprie somme".
Secondo te cosa sarà mai scattato nella
mente di Platini quando, ricevuta informalmente
in una scatola di legno la Coppa negli
spogliatoi, dopo che già si era consumato l’iter
concordato dei festeggiamenti della squadra, è
ritornato in campo con due o tre compagni a
mostrarla ai tifosi ?
"Be’, penso che oggi Platini è presidente
dell’Uefa e che per diventarlo ha certamente
messo l’Heysel nel dimenticatoio. Per il resto
non sono così presuntuoso, come quasi sempre chi
mi attacca lo è con me, di sapere chi è Michel
Platini come uomo e di sapere cosa poteva
scattare nella sua testa in quel momento. Ma la
tesi dei due-tre compagni è una falso storico e
a dimostrare il contrario ci sono le foto, mi
dispiace, ma nel mio libro ce n’è una con Marco
Tardelli, Antonio Cabrini, Paolo Rossi e un
quarto accanto, credo Sergio Brio, ma non ne
sono sicuro, che esultano circondati dai tifosi.
E siamo già a quattro, ma ci sono altre immagini
video dove i giocatori della Juventus sono molti
di più, questi sono documenti, poi siamo in
Italia e ognuno la storia se la racconta come
vuole".
Cosa pensi quando vedi due coppe dei
campioni nella sala dei trofei della Juventus ?
"Che la finale di Roma con l’Ajax è stata
stupenda e quella squadra meritava di vincere
3-1, dopo una magistrale lezione di calcio agli
olandesi, peccato per tutti gli errori di
Gianluca Vialli sotto rete. La mia memoria
sportiva si ferma qui…".
Esiste ancora uno stile Juventus, o mai
è esistito prima e dopo l’Heysel ?
"Credo di no, così come non esiste uno stile
Milan, Inter, Fiorentina, Roma, Lazio, ecc.
Basterebbe citare i cori sui 39 morti juventini
per capire la bassezza di certi frequentatori di
stadi. Ogni società farebbe e fa di tutto pur di
riempire la propria bacheca, evidentemente
questo è il tipo di dirigente e di calcio che
piace, visto che in molti hanno continuato e
continuano a seguirlo nel peggiore dei modi".
Tu eri un grandissimo tifoso della
Juventus da bambino. Cosa pensi quando vedi una
maglia della Juventus oggi ?
"Penso che è bella, ma io sono uno sportivo
vero, non partecipo all’italico sport del tifare
contro o dei club anti qualcosa o qualcuno, se
vedo un errore dell’arbitro a favore dei
bianconeri e quando mi rendo conto che non
meritiamo la vittoria non ci provo gusto. Se poi
c’è un disegno naturale per alimentare le
trasmissioni degli urlatori post moderni e dei
movioloni non m’importa, quello non è
giornalismo, così come parlare di arbitri non è
parlare di calcio".
Ian Rush era in borghese, durante la
ricognizione del campo, insieme a altri due o
tre giocatori del Liverpool ad aizzare la folla
ruggente mentre già inveiva violentemente con
lanci di oggetti e cori aggressivi contro gli
inermi tifosi juventini del settore Z. Lo
sapevano, secondo te, i dirigenti della Juventus
quando lo acquistarono tre anni dopo dal
Liverpool ?
"Spero di no, inoltre le stagioni alla Juventus
dell’attaccante gallese sono state assolutamente
indecorose. La cosa peggiore, però, è che
quell’acquisto l’abbiano digerito i tifosi e gli
ultrà, ma tant’è…".
Sempre Ian Rush, ventitré anni dopo ad
Anfield Road, nel giro di campo insieme a
Platini, invocava "l’amicizia". Si può perdonare
? Chi ? Come ?
"Perdonare ? Questo lo possono fare solo i
parenti delle vittime, i feriti gravi e chi
ancora ha gli incubi per quanto accadde quel 29
maggio del 1985. Non spetta a noi perdonare.
D’altra parte quello che è accaduto nel 2005 è
il risultato di tutti gli equivoci e i silenzi
durati vent’anni e nati subito dopo la tragedia,
per mettere a tacere i parenti delle vittime ed
evitare, addirittura, che potessero chiedere
giustizia".
Nel libro parli del tuo rimorso, di un
ragazzino che giocava a pallone, nonostante
sapesse della morte del collega amico di tuo
padre, Roberto Lorentini. Pensi che proprio il
calcio possa rimarginare certe ferite ed
eventualmente in che modo ?
"Una volta ci credevo, o forse ci volevo
credere, oggi sono sicuro di no".
Quando sei stato a Bruxelles la prima
volta sul luogo della tragedia ? Puoi cercare di
trovare qualche parola che rievochi le tue
emozioni e i tuoi ricordi ?
"E' stata un’emozione fortissima, mi sono seduto
nel punto in cui una volta finiva la curva Z e
c’era la rete che separava i tifosi della
Juventus da quelli del Liverpool, mi guardavo
intorno, cercavo d’immaginare, cercavo di
capire, sentivo il dolore dentro di me e mi sono
perso negli occhi di Otello e Andrea Lorentini,
primogenito di Roberto".
Con tutto il suo fardello di dolore,
misto a rabbia e impotenza, per una giustizia
invocata, ma lenta, frammentaria e non
imparziale, a tratti beffarda, secondo te da uno
a dieci quanta giustizia è stata fatta agli
angeli dell’Heysel ?
"Da un punto di vista processuale direi 6, per
tutta la fatica fatta in un paese straniero
ostile, in quanto messo sotto processo, e con un
diritto diverso dal nostro. Da un punto di vista
umano 0, per tutte le umiliazioni che i parenti
delle vittime hanno dovuto subire e per la
mancata memoria che dura ancora oggi, al di là
del libro di Nereo Ferlat, "L’ultima curva", del
mio e di quello di Jean-Philippe Leclaire".
Si può ancora fare qualcosa legalmente
per onorarne la memoria ?
"Non so cosa tu intenda per legalmente,
basterebbe farlo umanamente. Comunque una
giornata bianconera della memoria non
guasterebbe, ogni 29 maggio, una giornata al
Lingotto di Torino in cui parlare di violenza
negli stadi, fair play e cultura dello sport,
parlando soprattutto di calcio come
difficilmente accade in questo paese con
istruttori e personaggi qualificati, pagata
dalla Juventus e organizzata dal tuo sito in
collaborazione con tutte quelle intelligenze e
sensibilità che vogliono partecipare".
C’è ancora tempo, e in che modo, di
riparare moralmente all’oblio di questi
ventiquattro anni di silenzio da parte della
società F.C. Juventus per quei 39 caduti,
ricoperti dalle sue stesse bandiere ?
"Forse in molti non si rendono conto che quando
una persona perde un proprio caro in modo così
cruento e ingiusto, quando alla fine nessuno, o
quasi, paga con la galera per 39 morti, quando
le autorità cercano di dimenticare è come se
quei morti, nei cuori di chi li ha amati
veramente, morissero una seconda volta.
Riparare, oramai, è impossibile, troppi silenzi,
troppi errori, troppe offese. Più che riparare
direi che bisognerebbe ripartire da zero, anche
se dopo ventiquattro anni molti gesti non
avrebbero più il senso che potevano avere
allora, si sono perse e sprecate tante
occasioni".
Il Liverpool ha una pagina commemorativa
con i 39 nomi e cognomi delle vittime nel suo
sito ufficiale, la Juventus no. Inserendo la
parola Heysel nel motore di ricerca non si trova
nulla. Ti sembra mai possibile ?
"E' uno dei motivi per cui ho scritto il libro,
trovo e trovavo assurdo che una tragedia così
grande potesse essere dimenticata, cancellata
dalla memoria sportiva italiana. Anche se non
dobbiamo dimenticare che in Inghilterra
continuano a raccontarsi le bugie sui perché di
quella tragedia".
Due grandi lampade accese nel simbolo
del Liverpool, dopo la tragedia di Hillsborough.
Quale sarebbe, invece, il segno più efficace e
tangibile per le vecchie e le nuove generazioni
nel logo della Juventus per legarlo alla memoria
perenne dell’Heysel ?
"Non saprei, non ci ho mai pensato e nemmeno
sperato…".
Sei favorevole a un museo della memoria
nel nuovo stadio in costruzione ?
"Sì, ma credo che nessuno avrà mai la forza e il
coraggio per farlo".
Potrebbe avere senso spostare quella
Coppa dei Campioni dalla bacheca in una sala
alla memoria con una sciarpa appesa a una delle
grandi orecchie accerchiata dalle foto dei 39
caduti ?
"Non credo, di fronte a 39 morti, dimenticati e
mai commemorati come meritavano e meritano
servono gesti, per chi ci crede, più netti".
Ho conosciuto in un forum di tifosi
juventini un ferito scampato alla morte nel
settore Z, pur apprezzando la mia iniziativa,
avrebbe preferito rispettassi il dolore di quel
giorno con il silenzio... Cosa rispondergli ?
"Rispetto il suo dolore, come ho rispettato la
voglia di Otello Lorentini, che all’Heysel ha
perso l’unico figlio, di ricordare, raccontare,
non far dimenticare, accompagnandolo in questo
cammino".
Secondo te c’è qualcosa che ancora non è
stato scritto e detto che riguardi la mattanza
dell’Heysel ?
"E' stato detto e scritto molto, forse tutto, ma
sui biglietti della Curva Z arrivati in Italia
credo ci sarebbe ancora da dire e scrivere,
perché le responsabilità non furono mai del
tutto accertate".
C’è qualcosa ancora che vorresti dire o
scrivere tu ed a chi ? Prenditi tutto lo spazio
che vuoi.
"Credo di avere detto e scritto molto anch’io
sull’Heysel. La sorella di Andrea e figlia di
Giovanni Casùla, due delle trentanove vittime,
ha definito il mio libro la sua personale
Bibbia, molti tifosi juventini invece non hanno
apprezzato il mio lavoro e la mia battaglia a
fianco di Otello Lorentini. Be’ con chi pensa
che quella coppa sia vera, che sia stato
comunque giusto festeggiarla e fregiarsene non
ho assolutamente niente da spartire, né ora né
mai".
Stilando un bilancio conclusivo, dal
punto di vista umano e professionale, quanto t'
ha arricchito e quanto invece ti è costato
l’Heysel ?
"Dal punto di vista umano tantissimo, l’amicizia
di Otello e Andrea Lorentini su tutto insieme
con la stima e il rispetto di tante persone che
non mi conoscevano come uomo e come giornalista.
Dal punto di vista professionale, invece, mi è
costato molto e preferisco non dilungarmi,
diciamo che ho pagato e sto pagando con gli
interessi un atto di civiltà".
Ad Arezzo è sorta da anni
un’associazione di volontariato contro la
violenza nello sport, intitolata a Roberto
Lorentini e Giuseppina Conti. Ce ne parli un po’
più dettagliatamente ?
"Il "Comitato Lorentini-Conti contro la violenza
nello sport" si batte per veicolare attraverso
manifestazioni sportive e culturali i valori più
sani delle e nelle discipline sportive. Tra le
altre cose si è battuto perché, dopo vent’anni,
ad Arezzo fossero intitolati il piazzale davanti
allo stadio a Roberto Lorentini e quello davanti
al palasport a Giuseppina Conti".
Un tempo nelle arene perivano innocenti
sbranati dalle fiere per il sollazzo di paganti.
A Bruxelles sono morti paganti innocenti fra gli
spalti a causa del sollazzo delle fiere. Dai
martiri cristiani sappiamo bene cosa è nato,
quale fiore spunterà dal seme di sangue dei
nostri angeli all’Heysel ? O sono morti invano ?
"A ben guardare quello che è accaduto negli
stadi italiani negli ultimi ventiquattro anni
direi che sono morti invano. Io, però, continuo
a nutrire un barlume di speranza e a pensare che
se degnamente ricordati e commemorati ogni anno,
quei 39 angeli possono ancora insegnarci molto,
soprattutto ai tifosi della Juventus, che
sembrano i primi ad averli dimenticati".
Francesco tu sei credente come me. Pensi
mai al momento in cui riabbraccerai Roberto
Lorentini magari nell’altra dimensione oltre la
vita ?
"Purtroppo non possiedo una visione così ampia
della mia vita terrena ed extra, però mi
piacerebbe sapere che ne pensa del lavoro che ho
fatto insieme con suo padre e suo figlio per
recuperare una memoria che in troppi hanno
cercato di cancellare".
Ammesso tu ne voglia fare menzione
pubblica, hai mai ricevuto segnali medianici
occupandoti dell’Heysel ?
"No, mai".
Carissimo Francesco, ti ringrazio ancora
di cuore e ti abbraccio per il privilegio di
questa intervista. Ti prego di portare un mio
affettuoso saluto alla famiglia Lorentini. Hai
tutto lo spazio che vuoi per le tue conclusioni
finali.
"Il privilegio è stato mio e grazie a te per
quello che stai facendo, con la speranza che
nessuno possa ancora infangare il tuo lavoro e
la memoria dell’Heysel".
Grazie di cuore, Francesco, da parte di
tutti quelli che non hanno dimenticato i caduti
dell'Heysel.
16 Maggio 2009
Domenico Laudadio e Francesco Caremani
Fonte: Saladellamemoriaheysel.it
NDR:
Intervista amichevolmente concessa da
Francesco Caremani a
saladellamemoriaheysel.it in esclusiva. Si
prega chiunque voglia utilizzarne i
contenuti di citarne cortesemente la fonte.
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