
Trentasette anni dal rogo del
Ballarin
Gigi Cagni: "Ho
ancora quella tragedia davanti agli occhi"
di Nazzareno
Perotti
Abbiamo
intervistato il capitano della Samb di quel 7
giugno 1981. "Ricordo ancora quando portammo a
spalla le bare delle due povere ragazze". Il
vecchio stadio adesso è abbandonato: "Me lo
hanno detto ma non ci tornerei mai a vederlo, mi
farebbe troppo male".
SAN BENEDETTO DEL
TRONTO - Trentasette anni. Tanto è passato da
quel 7 giugno 1981, da quel Samb-Matera che
valse la Serie B ai rossoblu di Nedo Sonetti ma
che viene ricordato per una delle più grandi
tragedie mai avvenute in uno stadio italiano.
Oggi corre il trentasettesimo anniversario di
quel maledetto rogo che costò la vita a Carla
Bisirri e a Maria Teresa Napoleoni e serie
ustioni a decine di persone, molte delle quali
giovani. In vista della triste ricorrenza, e per
tenerne vivi i ricordi, nel pomeriggio del 6
giugno abbiamo intervistato il capitano di
quella Samb. Gigi Cagni, che fra pochi giorni
compirà 68 anni, era in campo quel giorno e dice
di ricordare tutto come se fosse oggi, ricorda
anche quando, insieme ai compagni, portò in
spalla le bare delle due ragazze e dice che oggi
a rivedere lo stadio non ci andrebbe: "Mi
verrebbe il magone". Con lui abbiamo parlato
anche del Riviera, che qualche anno dopo
diventerà la nuova casa dei rossoblu, e delle
ultime vicissitudini della Samb. Ecco la nostra
chiacchierata.
Buonasera
mister. Domani, 7 giugno, cade il
trentasettesimo anniversario della tragedia del
Ballarin. Che ricordi hai ?
"Basta che mi dicano la
data e rivedo tutto davanti agli occhi, come se
lo stessi vivendo in questo momento perché è
stata una cosa troppo forte. Noi non ci siamo
accorti di quello che stava succedendo dal
campo, abbiamo rivisto tutto in televisione la
sera ed è stata una cosa terribile. È stato
terribile vedere le persone che si buttavano
dalla curva e poi sapere delle due ragazze
morte".
Secondo te fu
un errore far giocare quella partita,
Samb-Matera ?
"Non so che dire. Per
certe cose sarebbe meglio sentire le forze
dell’ordine. Se non sei dentro a certe dinamiche
e non hai esperienza di certe cose e di certe
emergenze è meglio non dire niente. Posso dire
che se avessimo saputo tutto noi non avremmo
giocato, ma non ci siamo resi conto perché
l’arbitro fischiò subito l’inizio della partita,
neanche lui se ne era accorto come nessuno in
campo".
Ricordo che
neppure noi giornalisti, dalla tribuna, ci siamo
accorti della gravità di quello che stava
succedendo. I giorni dopo sono stati i più
tragici.
"Lo ricordo bene. Io,
come capitano, e insieme ai miei compagni, non
festeggiammo la promozione di quell’anno e ci
ritrovammo a portare a spalla le bare ai
funerali delle due povere ragazze. Poi andammo
anche a trovare gli ustionati all’ospedale e fu
qualcosa di forte, soprattutto vedere tanti
giovani in quelle condizioni". (Omissis…)
6 giugno 2018
Fonte:
Rivieraoggi.it

A 35 anni dalla
tragedia del Ballarin, il ricordo di chi c’era
di Simone
Meloni
Maria Teresa Napoleoni
e Carla Bisirri. Sono le giovani vittime di una
delle giornate più tristi e avvilenti del calcio
italiano. Sono le vittime del "rogo dello stadio
Ballarin", il triste epitaffio della morte
prematura, consumatosi a San Benedetto del
Tronto il 7 giugno 1981, in occasione di
Sambenedettese-Matera, gara che consentì ai
marchigiani di conquistare l’accesso in Serie B.
Esattamente 35 anni fa. Una festa tramutata in
tragedia, un popolo allegro che in una frazione
di tempo si è trovato con le mani tra i capelli
e i volti sconvolti dalle lacrime e dalla paura.
Fiamme. Alimentate dal vento. Giovani vite
infrante, e le bandiere rossoblu che si
ammainano. Titti è uno storico tifoso presente
in quella triste giornata: "Venivamo da un
periodo molto pesante a livello politico, per la
città, che negli anni settanta era stata
fortemente segnata dalle lotte di classe, come
dal terrorismo - esordisce - tutti noi ragazzi
eravamo figli di quella rabbia. La festa per la
Samb era un modo di identificarci come piccoli
guerrieri, che avevano superato con successo
tutte queste vicissitudini. Già un mese prima
della partita col Matera - spiega - avevamo
cominciato a preparare i festeggiamenti. Ricordo
che quel giorno c’erano un centinaio di sacchi
dell’immondizia, contenenti le striscioline di
carta per la coreografia, messi in ogni angolo
della curva. La giornata era caldissima, c’era
un forte vento di scirocco (lu arrbì, come lo
chiamiamo noi). L’afa avvolgeva la città già
alle 11 di mattina, quando entrammo allo stadio
per preparare il tutto. Volevamo fare una grande
cosa, basti pensare che la mole di carta portata
all’interno dello stadio arrivava sino alle
ginocchia. Circa 7 quintali". L’ingresso delle
squadre e la tragedia. "Ci apprestavamo a
festeggiare la squadra con la carta e i
fumogeni, nessuno pensava alle scintille.
Vedevamo delle piccole fiammette qua e là (forse
procurate da una sigaretta, forse da un
fumogeno), ma prendemmo la cosa sottogamba -
racconta - cercando semplicemente di spegnerle
con i piedi. Invece, anche a causa di alcune
folate di scirocco, in quindici secondi
l’allegria si è tramutata in caos. Sì è creata
una sorta di piccola tromba d’aria, con le carte
infiammate che spingevano verso l’alto. La
gente
ha cominciato ad ammassarsi, al centro e nella
parte inferiore. È là che le due ragazze sono
rimaste intrappolate, senza via di fuga.
Travolte da una seconda folata di fuoco. Come se
gettassimo dell’alcol in un camino. Le fiamme
superavano anche i dieci metri. Sembrava che Dio
avesse preso a schiaffi il vento per
indirizzarlo là. La gente spingeva ovunque -
continua - non si trovavano le chiavi del
cancello per entrare in campo e, inoltre, i
manicotti per i pompieri, posti a pochi metri
dalla curva, erano privi di acqua. Ci sono stati
dei veri e propri eroi, che mettendo a
repentaglio la propria vita hanno salvato vite
umane, scaraventando ragazzini inermi da una
parte all’altra della rete, come fossero sacchi
di patate. È stato come un attentato, nessuno si
aspettava una simile tragedia in quel contesto.
Eppure oggi c’è ancora chi ne porta i segni.
Ricordo che il resto del pubblico, ma anche i
carabinieri, erano a dir poco attoniti". Un
evento che creò, per qualche tempo, una frattura
tra il tifo organizzato rossoblu e il resto dei
sostenitori. "I primi tempi fummo messi sotto
torchio dalle autorità e dall’opinione pubblica
- afferma - ci sentivamo disprezzati, la gente
ci incolpava dell’accaduto e non è stato facile
ricucire questa ferita. È stato il senso di
appartenenza a far crescere l’Onda d’Urto
(storico gruppo guida del tifo rossoblu) e
riportarla vicino alla gente. Inoltre, in quegli
anni, c’era un grave problema di droga in città,
così noi giovani cercavamo di rallegrarci con la
Samb, anche se nel primo periodo che seguì il
rogo tutto ciò che riguardava il calcio a San
Benedetto era visto quasi in modo lugubre,
esattamente l’opposto di quello che noi
provavamo per la squadra. Io voglio credere -
sottolinea - che tragedie come questa o come
quelle successe in mare con l’affondamento del
Rodi e del Pinguino, abbiamo unito ancor più il
popolo sambenedettese". E il Ballarin di oggi ?
"Sono sorte diverse associazioni e il nostro
corteo nella partita della promozione in Lega
Pro contro la Jesina parla chiaro: la storia non
si demolisce. Ci sono persone - dice - pronte a
difendere quello stadio con le unghie e con i
denti, soprattutto chi è nato con quella
tragedia. Vorremmo venisse riqualificato,
soprattutto perché i ragazzi capiscano cosa sono
le radici del popolo rossoblu. Lì c’erano i
nostro padri e i nostri nonni". Eppure la
partita si giocò ugualmente. A quel tempo Remo
Croci, oggi giornalista Mediaset ma anche
vicepresidente della Fondazione Fratelli
Ballarin, era cronista ufficiale della Samb per
Radio Ponte Marconi: "Non si ebbe subito la
percezione di quanto stava accadendo - racconta
- anzi ricordo che all’intervallo lo speaker
disse che non c’erano stati feriti e addirittura
a fine partita ci furono dei festeggiamenti.
Durante la partita sentivamo il viavai delle
ambulanze, ma non era chiaro il quadro della
situazione. Poi la sera arrivarono le tragiche
notizie. Ricordo, alla discesa della squadra in
campo, Walter Zenga che costantemente guardava
verso la Curva Sud. Subito dopo anche Cavazzini
fece la stessa cosa e, a quel punto, l’intera
tribuna che allora si chiamava "Prato". In curva
c’erano due spazi liberi e la gente che si
ammassava dove non divampavano focolai. Il
giocatore Sansone prese un estintore per domare
le fiamme, ma il getto d’acqua era troppo
debole. Di recente - svela - ho parlato con Tubertini, l’arbitro di quella partita, e mi ha
confermato che nessuno pensava la situazione
fosse così drammatica. Una piccola curiosità:
quel giorno, aggrappato alle grate, ricordo
Patrizio Peci, ex esponente delle Brigate Rosse,
il cui fratello, Roberto, verrà rapito
esattamente tre giorni dopo (e ucciso il 2
luglio successivo n.d.r.)". Paolo, invece, altro
tifoso presente quel giorno, ricorda: "Io ebbi
la fortuna di spostarmi verso destra - afferma -
fu fortuna, perché chi scese verso il basso
rimase ustionato. Le persone si toglievano la
carta di dosso, gettandola in basso e
alimentando involontariamente l’incendio. Molti
saltarono direttamente in campo. Per quanto
erano divenute roventi le gradinate, mi si
fusero le scarpe da tennis e sentivo i miei
piedi bruciare. Ho un flash di quel giorno: una
ragazza con i capelli lunghi legati che, nel
tentativo di scappare, finì in mezzo al fuoco. I
capelli le si sciolsero letteralmente. Non ho
mai saputo se si trattasse di una delle due
vittime. Si svolse tutto velocemente, 10-15
minuti di inferno". Sulla panchina della Samb
sedeva Nedo Sonetti, ultimo allenatore a
condurre i marchigiani in Serie B: "Quando
succedono questo genere di cose, il ricordo
resta incancellabile - sostiene - ogni attimo di
una tragedia che si consuma in un campo di
calcio è indelebile. Abbiamo visto le fiamme ma
non sapevamo l’entità del fatto. Un dispiacere
che però non macchia il bellissimo ricordo che
ho di San Benedetto". Chi oggi allena, ma allora
calpestava il manto verde nel ruolo di
calciatore, è Luigi Cagni, che racconta: "Se ci
fossimo accorti di quello che stava accadendo,
non avremmo giocato. La sera - continua -
abbiamo visto le immagini da brividi. Quando
siamo entrati c’era la classica nebbiolina dei
fumogeni, c’era musica, dei bambini con noi e
l’arbitro ha fatto giocare regolarmente". Una
targa al nuovo Riviera delle Palme ricorda Maria
Teresa e Carla. La vede chiunque vada allo
stadio. Ogni 7 giugno le rovine del Ballarin
riprendono forma, per far sì che nessuno
dimentichi la tragedia. Il mare è là, a pochi
metri. Ed è custode di una popolazione e di una
storia fatta di novelle che si perdono in mare e
tradizioni tramandate anche attraverso il
calcio. Perché le fiamme non hanno bruciato il
senso d’appartenenza dei sambenedettesi. Né
cancelleranno il ricordo di quella tragica
domenica di 35 anni fa.
8 giugno 2016
Fonte: Tuttosamb.it
 La tragedia del
Ballarin, tra ricordi e nuove proposte
di Michele
Palmiero
I ricordi dei tifosi e il progetto
della Fondazione Ballarin
SAN BENEDETTO DEL
TRONTO - Il 7 giugno sarà sempre un giorno
maledetto per i sambenedettesi. Il ricordo e il
dolore per la più grave tragedia sportiva del
nostro Paese riguarda tutti: dai tifosi ai
cittadini, dai presenti a chi quel giorno non
era allo stadio, o non era ancora nato. Questi
ricordi sono dolorosi, ma allo stesso tempo
indispensabili perché rappresentano il cemento
della nostra storia, della nostra comunità. Come
ogni anno, dunque, ricordiamo Carla, Maria
Teresa e tutti coloro hanno vissuto la tragedia
del 7 giugno 1981. GIANNI SCHIUMA
- "Il ricordo
più nitido che ho di quella giornata è che non
mi ero assolutamente accorto di quanto stava
accadendo. Scendendo i gradoni non mi resi conto
del pericolo, fino a quando non vidi il fuoco.
In un centesimo di secondo capii che stavo
rischiando la vita. Mi tornano in mente tante
sensazioni del momento in cui il fuoco mi colpì:
paura, sgomento, senso di smarrimento. Mi sono
ritrovato all’ospedale, vicino alla stanza delle
due ragazze. Per riprendermi da questo trauma
c’è voluto molto tempo. Non nego che fu
difficilissimo, per me, tornare allo stadio:
quel fuoco lasciò cicatrici sul corpo e sulla
mente". LUIGI TOMMOLINI - "Quel giorno mi ero
sistemato sul lato ovest della Curva Sud,
attaccato alla recinzione. Non vidi le fiamme,
perché in quei momenti concitati la gente
scappava per evitare il fuoco, schiacciandoci
verso la recinzione. Rischiammo davvero di
essere soffocati dalla ressa di persone. Furono
momenti tragici, per circa un anno andare allo
stadio non fu la stessa cosa. Con il passare
degli anni, però, la gente sembrava quasi
essersi dimenticata di quell’avvenimento, della
morte di due ragazze. Nel 2010, a 29 anni dal
rogo, decisi di realizzare un video che
pubblicai il 13 maggio: Carla e Maria Teresa non
dovevano essere dimenticate. L’anno successivo
conobbi la madre di Maria Teresa, con la quale
sono rimasto in contatto. Il giorno in cui avrei
dovuto incontrarla, nel vederla camminare verso
di me, dissi le uniche due parole che avevo in
mente: "Maria Teresa". La madre si commosse, e
mi abbracciò. In quell’abbraccio vidi come un
tentativo di stringersi ancora alla sua amata
figlia. A pensarci oggi, ho ancora la pelle
d’oca. Di Carla Bisirri, invece, ho un ricordo
ancora più lontano. Da bambino accompagnavo
spesso mia madre in una parruccheria, dove Carla
lavorava come apprendista.
Ogni volta, per farmi sentire a mio agio,
si avvicinava a me e mi accarezzava i capelli.
Già a 15 anni mostrava una maturità insolita per
una ragazza. Porterò sempre nel cuore le sue
carezze". EMIDIO MANGIOLA - "Dopo tutti questi
anni i miei ricordi di quel giorno si soffermano
sempre su un particolare: la velocità con cui
tutto è accaduto. Era una giornata di festa,
allo stadio c’era euforia per il grande
risultato raggiunto. Tutto accadde da un momento
all’altro: all’inizio sembrava una sciocchezza,
poi una maledetta folata di vento ha provocato
la tragedia. Ancora oggi quei pochi secondi con
cui passammo dalla festa alla paura mi fanno
venire i brividi". A conclusione di questo
doloroso viaggio, la parola va a Remo Croci,
fautore della Fondazione Ballarin: "Vogliamo che
le persone che hanno fatto la storia del
Ballarin possano essere ricordate in maniera
istituzionale. In questo senso, abbiamo in mente
un progetto di ampio respiro: ricordare "per
tappe" tutte le persone che hanno fatto la
storia, in positivo e purtroppo in negativo,
dello stadio Ballarin. La targa commemorativa
non basta, occorre un segno tangibile. Quando ci
sarà la nuova giunta comunale noi formuleremo le
nostre proposte: il nostro desiderio è ricordare
tutti, da Gigi Traini, primo giocatore
sambenedettese a giocare in Serie A, a Rinaldo
Olivieri passando, ovviamente, per Carla e Maria
Teresa".
7 giugno 2016
Fonte: Noisamb.it

Sambenedettese,
la curva della morte: la tragedia dei tifosi tra
le fiamme
di Francesco
Ceniti
La più grande
disgrazia in uno stadio italiano: 2 ragazze
uccise, 64 ustionati. Il ricordo di Zenga:
"Dimenticare è impossibile".
"Come faccio a
dimenticare... Non c’è giorno che passi senza un
pensiero rivolto a quel giorno, a quelle povere
ragazze. Una aveva la mia età. Ho quella foto,
la tengo nel cassetto. La guardo spesso, come
spesso guardo il video su internet. E non riesco
a darmi pace. E’ accaduto tutto così in fretta,
noi in campo pronti ad affrontare il Matera: ci
bastava un punto per la promozione. Poi qualcosa
gira male: vedo fiamme e fumo. Poco alla volta
tutti andiamo verso la curva: la gente urla e si
lancia sul prato, ferendosi sul filo spinato.
Come faccio a dimenticare... Semmai mi chiedo
perché nessuno parli di quella tragedia, come se
fosse di serie C. Una vergogna". Walter Zenga fa
Walter Zenga: va dritto al problema senza giri
di parole. E’ stato testimone di una tragedia e
soffre per la memoria perduta in un Paese pronto
a indignarsi per qualunque cosa. "Basta fare un
post su Facebook, un tweet. Scrivere "Je suis
Paris"... Tutto bello per carità. A me, però, sa
d’ipocrita. Mentre parlo con lei il mio
preparatore chiede sottovoce "Ma cosa è accaduto
a San Benedetto ?". Questo è il problema, non si
può sbianchettare una giornata così. Fa male a
chi c’era e fa male a chi cresce senza avere
coscienza di quello che è stato. E allora,
parliamo del Ballarin...". IL ROGO - Parliamone.
La Samb sta per ritornare in B dopo una
stagione. In città si discute solo di questo.
Anche Carla Bisirri, parrucchiera di 21 anni, e
Maria Teresa Napoleoni, segretaria di 23, si
fanno coinvolgere. C’è chi sussurra che quella
del 7 giugno è stata la loro prima volta allo
stadio. Forse è così, forse no. Non cambia
nulla. Di sicuro comprano il biglietto e con gli
amici varcano i cancelli 2 ore prima della gara.
Fa caldo, ma alle 15 i 3500 posti della curva
sud sono già occupati. E la gente continua a
entrare. "Faranno una coreografia speciale", è
il passaparola. Anche per questa ragione le
forze dell’ordine decidono di sbarrare i
cancelli: ingressi e uscite chiuse a chiave.
Scelta fatale. Ore 16 e 57: squadre in campo. Si
alzano migliaia di cartoncini colorati. Poi i
fumogeni rossi e blu nascondono la Sud.

Tutto è
pronto per la partita. E la festa.
All’improvviso un fumo nero attira l’attenzione.
Non è previsto. La curva si divide come il mar
Rosso. Ma non c’è acqua, c’è il fuoco. I
cartoncini iniziano a bruciare, le fiamme
avanzano in un baleno trovando nuova linfa
gradino dopo gradino. Le persone cercano riparo,
ma le uscite sono lucchettate. Allora risalgono
verso l’alto, si ammassano. E qui il Ballarin
compie un mezzo miracolo: a differenza
dell’Heysel, le mura non cedono e resistono alla
forza d’urto. Sarebbe stata una mattanza, con
voli nel vuoto di oltre 15 metri. Chi sta in
basso è circondato come un topo, l’unica fuga è
il campo: c’è da scavalcare la rete, affrontare
il filo spinato. Non tutti ci riescono. Nella
calca, chi perde l’equilibrio finisce dritto nel
rogo. Accade a 3 donne e un bambino. Nel video
disponibile sul web si vedono gli istanti più
tragici: Carla e Maria Teresa come torce umane,
mentre un’anziana cerca riparo nei bagni. E c’è
il bimbo di 10 anni, circondato dal fuoco. La
sua vita sembra segnata, poi arriva un angelo. Non dal cielo, ma dalla curva. Un finanziere in
borghese si lancia nelle fiamme, solleva
il
ragazzino e lo riporta tra i vivi. L’inferno
dura meno di 10’, il bilancio è drammatico: 3
persone in condizioni gravissime, poi ci sono 64
ustionati e una quarantina di altri feriti. La
curva si svuota: metà della gente torna a casa
da sopravvissuta, l’altra resta a vedere il
match. Tra loro c’è pure Roberto Peci, ex
calciatore e fratello del pentito Patrizio. Tre
giorni dopo sarà rapito dalle brigate rosse, in
una città ancora sotto choc, e il 3 agosto
ucciso per vendetta. Ma questa è un’altra
storia. PROPOSTE - "Abbiamo giocato. Non
pensavano fosse accaduto qualcosa di
irreparabile. Alla fine lo 0-0 ci bastò per
andare in B, ma nessuno festeggiò. Poi morirono
le ragazze...". Zenga abbassa la voce, non va
avanti. Carla e Maria Teresa arrivano in
ospedale coscienti, ma con ustioni devastanti
per i vestiti sintetici squagliati sulla pelle. La prima a cedere è Maria Teresa: smette di
respirare il 13 giugno. Quattro giorni dopo
stesso destino per Carla. Resiste e si salva la
terza donna. Sono passati 35 anni, il Ballarin è
stato abbandonato nel 1985: ora il Comune lo
vuole abbattere e riqualificare l’area. Zenga
ritrova la voce. "Non entro in questioni
politiche. Certo, mi aspetterei un minimo
d’attenzione. Demolire il vecchio stadio ? Fate
pure, ma vogliamo lasciare un’area per ricordare
le ragazze morte ? Che so, una stele o una
targa. Sarebbe il minimo, dovrebbe essere un
impegno morale. Altro che post su Facebook".
Anche Gigi Cagni la pensa così. A San Benedetto
lo chiamano ancora "capitano". Quel 7 giugno
indossava la fascia, come ha fatto per diverse
stagioni. "Non si può spiegare con le parole
quello che abbiamo vissuto. Ognuno ha i suoi
ricordi e un sentimento amaro che non va più
via. Mi disturba parecchio la cosa del Ballarin,
pensare che si possa fare della speculazione con
nuovi edifici non riesco a capirlo. Perché non
si costruiscono dei campi per i ragazzi e si
lascia qualcosa a ricordo della tragedia ?
Altrimenti davvero è tutto senza senso".
SUPERSTITE - Il finale lo affidiamo alle parole
di Luigi Tommolini. Il 7 giugno 1981 aveva 12
anni: con la sua bandiera se ne stava nella
parte alta della curva. Per preservare la
memoria di quella tragedia ha caricato sul web
il video (quello di cui parla Zenga) del rogo.
Quasi 10’ da guardare in apnea. "Quando le
persone hanno iniziato a spingere dalla mia
parte - racconta - ho creduto di morire. Vedevo
il vuoto sotto di me. Per fortuna il muro ha
retto. Il fuoco non lo vedevo, ma neppure chi
era vicino si rendeva conto di quello che
accadeva. Le fiamme avanzavano controsole, quasi
invisibili. Non si trovavano le chiavi delle
porte e gli idranti erano senza acqua... Ero
piccolo, non ho capito subito la gravità dei
fatti, ma rammento un particolare: dopo la gara
scesi in campo, non c’erano festeggiamenti. Ma
scesi lo stesso, forse per esorcizzare la paura.
Quando mi girai verso la curva, vidi al centro
una chiazza nera, Restai muto, col cuore in
gola. Credo sia giusto ricordare sempre le
vittime e i feriti. Si parla di abbattere lo
stadio, ma dico: è così difficile dedicare una
via o una piazza a Carla e a Maria Teresa ?".
Già, è davvero così difficile ?
5 marzo 2016
Fonte: Gazzetta.it
TVP Italy 7.07.2015
Vita
Vera: "Stadio Ballarin, il rogo del 1981"
In studio: Antonella
Roncarolo (Insegnante e giornalista) - Luigi Tommolini (Reduce Ballarin 7.06.1981) |
Rogo Ballarin
30 anni fa: salvo per miracolo
di Marco Olivieri
Guardatemi a 13
anni: pantaloncini corti blu, maglietta blu a
righe orizzontali bianche, nella prima foto a
sinistra in caduta libera dal recinto della
curva sud del "Ballarin" (che botta alla schiena
!)… Sentivo già le fiamme avvicinarsi e di
fronte al muro della folla impazzita l’unica via
di salvezza per un adolescente era scavalcare !
In realtà il poliziotto sembra aprire le braccia
per prendermi: mi butto ma lui rimane a braccia
aperte come un idiota… Subito mi alzo (seconda
foto) e guardo uno spettacolo da brividi… Ancora
oggi… (Omissis)
18 giugno 2011
Fonte: Marcolivieri.it

Stadio
Ballarin: 7 giugno 1981, per non dimenticare
di Benedetto
Marinangeli
SAN BENEDETTO - La spiaggia era già gremita
di turisti. I "pappagalli" erano già in
cerca delle prime prede estive, le prime
tedesche, due gemelle di Bergamo, le
francesine. Ma la Samb è la Samb. "Bella di
babbo, ci vediamo dopo cena. Forse. La Samba
torna in serie B. Non ci sono per nessuno
!". Inizia così la domenica del 7 giugno
1981 per un gruppo di ragazzi
sambenedettesi. E’ il grande happening di
tutti coloro che hanno nel cuore i colori
rossoblu. Già dalla mattina il lungomare e
le vie cittadine si riempiono di auto,
camion, ed anche trattori con a bordo gente
esultante. Il mitico "Frangì di Barabba" ha
tirato fuori la tromba d’ordinanza,
quella
dei tempi migliori. Classico appuntamento al
Chicco d’Oro e poi corteo rossoblu verso il
Ballarin. Passa un camion con alcune
persone. "Suvete, ieme !". Lasciamo il
gruppo e si sale. E’ tutto un coro: "Samba,
Samba". Giro lungo, si passa sotto la curva
sud, ecco i distinti, con le persone sporte
dal parapetto ad applaudirci, la curva nord,
la tribuna. Ed alla fine si torna al "Tempio
del Tifo": la Sud del Ballarin, la Fossa dei
Leoni. Zenga, Tedoldi, Cavazzini, Schiavi,
Bogoni, Cagni, Caccia, Ranieri, Perrotta,
Colasanto, Speggiorin. E’ la Samb di Nedo
Sonetti che torna in serie B dopo solo un
anno di inferno in C1. La terza promozione
della storia. Si entra al Ballarin.
L’avversario di turno è il Matera, già
retrocesso, con "Baffone" Casiraghi
(eloquente la figurina Panini) tra i pali.
Una passeggiata di salute, i giochi sono
fatti. Classico posto, in alto rispetto ai
tamburi già belli e allineati. E’ tutto
pronto per la serie B. Fumogeni, carta,
tanta, troppa, sui gradoni. Che la festa
abbia inizio. Il mitico Sciarretta (lo
speaker del Ballarin) ha già lanciato il
classico spot: "Bulova Acutron, l’orologio
dell’era spaziale, Gioielleria Fenocchi vi
offre le formazioni che tra poco scenderanno
in campo". Cielo sereno, temperatura estiva,
classica brezza di mare. Il massimo per una
festa. Ed invece ecco, all’improvviso un
caldo "strano", troppo. Il fuoco si alza in
piena curva. Che sta accadendo ? E’ un fuggi
fuggi generale. Il caos totale. Perdo la
maglia e resto con solo le bermuda. E’ un
attimo. Il cancelletto della curva sud è
chiuso, non si trovano le chiavi. C’è chi si
arrampica sulla rete di recinzione, chi va
controvento saltando le fiamme. Nessuno si
accorge della tragedia che si sta
consumando. Il tempo scorre inesorabile,
sembra eterno. Ed invece, tutto dura un
attimo. Nessuno si rende conto di ciò che è
realmente accaduto. Anzi, la partita inizia
e si torna a fare tifo: "Samba, Samb.
Torneremo in serie B". Ma Sciarretta inizia
una impressionante litania: "Il signor X è
desiderato all’uscita della tribuna, la
ragazza Y è attesa dai genitori fuori dai
distinti, il bambino Z (che poi tanto bimbo
non è perché al secondo anno di Liceo
Classico, il quarto conteggiando i due di
ginnasio - ndr) è atteso dalla mamma fuori
dagli spogliatoi". E’ un continuo. Da dentro
la curva sud non si percepisce la tragedia.
Finisce 0-0. La Samb torna tra i cadetti.
Esco esultante dal Ballarin e la prima
persona che incontro è mia sorella, la più
grande, con mio fratello, il più piccolo.
"Siamo in serie B" gli urlo esultante. La
vedo bianca in volto. Era ai distinti, aveva
visto tutto. Non mi risponde. Mi guarda con
le lacrime agli occhi. Allora, soltanto
allora, forse, mi rendo conto di ciò che era
accaduto. La tragedia ! Nell’incendio del
Ballarin sono morte due ragazze: Maria
Teresa Napoleoni e Carla Bisirri, decine di
tifosi ustionati, di tutte le età. E sono
passati 29 anni, quasi un’eternità, ma il
ricordo è sempre vivo e non mi abbandonerà.
Mai.
7 giugno 2010
Fonte:
Gigicagni.it

7.06.2011: E nemmeno noi avremmo giocato. Non
riesco a dimenticarmi quel giorno e quelli
seguenti sia per il funerale che per la visita
alle persone ustionate".
Luigi Cagni
(Capitano Sambenedettese 1980-1981)
28.02.2011: "Anche io quel giorno ero lì. Mi
ritengo molto fortunato perché in quel giorno,
ed avevo 16 anni, stavo lavorando in un
ristorante e quindi allo stadio arrivai poco
prima che iniziasse la partita. La curva era
gremitissima e quindi rimasi in basso vicino la
recinzione, non potendo occupare la mia
posizione solita. Ricordo che vidi una folla
oceanica iniziare a correre e saltare verso
l’uscita, altri a cercare di sfondare e saltare
la recinzione, altri ad imprecare contro i
carabinieri presenti per far aprire quella
porticina che dava sul campo. Io per alcuni
momenti rimasi immobile, non riuscivo a capire
cosa stava succedendo anche perché erano accesi
molti fumogeni colorati. Man mano che la folla
usciva mi resi conto che c’era del fuoco ed
anch’ io riuscii ad uscire. Dopo diverso tempo
la partita iniziò ricordo che fu una partita
strana sicuramente condizionata anche da ciò che
era successo. Sinceramente io e molti altri
presenti abbiamo capito solo molto dopo ciò che
era veramente successo altrimenti forse non
sarei rientrato a vedere la partita.
Marco
(Tifoso Sambenedettese)
1 marzo 2011:
"La più brutta esperienza mai vissuta in un
campo da calcio". Cercavamo di prendere al volo
le persone che si lanciavano dalla rete,
giocammo quella partita senza sapere delle
vittime. Fu davvero una tragedia e anche
l’inizio di un calvario per un grande presidente
come Ferruccio Zoboletti".
Antonio
Pigino (Secondo Portiere Sambenedettese
1980-1981)
9 giugno
2010:
"Avevo 10 anni, quel
giorno, ed ero in Curva con mio padre. Per pura
fortuna in quel momento ci trovavamo in basso,
attaccati alla rete, proprio in corrispondenza
dell’ingresso esterno, forse eravamo appena
arrivati. Ricordo il volto preoccupato di mio
padre che guardava verso il lato est della curva
(io non riuscivo a vedere niente). Poi una
ragazza corre verso di noi con le scarpe in
fiamme e un signore che spegne il fuoco con un
giubbetto. Usciamo in fretta fuori, per poi
rientrare poco dopo, ma nella curva opposta.
Grazie per aver ricordato questo triste capitolo
di storia della Samb nel Suo Blog".
Nerone
(Tifoso Sambenedettese)
Fonte: Gigicagni.it
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