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VINCENZO CLAUDIO SPAGNOLO
www.saladellamemoriaheysel.it   Sala della Memoria Heysel   Museo Virtuale Multimediale
Vincenzo Claudio Spagnolo 29.01.1995 La Tragedia
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REPERTORIO ARTICOLI STAMPA e WEB 1995
Vincenzo Spagnolo (La Tragedia)

  ARTICOLI 30 Gennaio 1995 

Tifoso ucciso, guerriglia a Genova

Tifoso ucciso a coltellate, il calcio si ribella

Quando muore il gioco

Choc in diretta, si spegne la tv del calcio

Matarrese: "Sono contrario allo stop"

Scia di sangue sul campionato

"Non ce la sentiamo più di giocare"

  ARTICOLI 31 Gennaio 1995

Vincenzo, Zapata e il Genoa

"L'ho accoltellato per difendermi"

"Ciao Vincenzo"

Identikit di un killer senza storia

Eranio "Vincenzo era un mio amico"

"Ho visto molti tifosi feriti"

  ARTICOLI 1 Febbraio 1995

"Vado a tagliare un genoano"

"Vado a Genova, mi serve il coltello"

Daghe o a farfalla ecco le lame del tifo

"Il calcio sporco che ha ucciso mio figlio..."

"Ho distrutto due famiglie, perdonatemi"

"Ma la rissa la volevano tutti e due"

Domenica a Genova "Ultras riuniti contro la violenza"

Una lettera dal carcere Barbaglia chiede perdono

Genova e Milano insieme per salutare Vincenzo

Mazzi di fiori, addio Spagna

  ARTICOLI 2 Febbraio 1995

Oggi funerali una città per Vincenzo

L’autopsia rivela: non voleva uccidere

"Sono disperato, perdonami"

Rabbia e lacrime di un padre

"Vincenzo, non volevo ucciderti"

"E' un delitto premeditato. Non lo perdoneremo mai"

"Addio Spagna" Ore 11.30, Genova si ferma"

APPELLO DAI TIFOSI  "Un gesto di solidarietà"

Simone ha scritto a Vincenzo

Blitz in tv  Sotto sequestro tutti i filmati

  ARTICOLI 3 Febbraio 1995

"Per Vincenzo un funerale pagano"

Funerali da militante per un amico di quartiere

In una pizzeria la riunione pre-trasferta

Genova saluta Vincenzo, applausi e lacrime

"Ma non è un mostro"  Parla il cappellano del carcere

Gli ultrà tradiscono Vincenzo  Esce la bara, applausi solo ai calciatori

lo, sacerdote e sconfitto. "Oggi ho perso 2 volte"

  ARTICOLI 4-28 Febbraio 1995

"Vincenzo un amico di noi Ultras"

Simone dal carcere: "Dovete cambiare strada"

Gli ultrà firmano un patto di pace

Card. Martini: "Ecco le cause dell'odio"

Che strana domenica senza calcio ma gli ultras ricordano Vincenzo

"No ai coltelli, ma le risse ci saranno sempre"

Il comunicato degli Ultrà "BASTA LAME BASTA INFAMI"

Una Messa nello stadio

"Mamma e papà, assenti per dolore"

"Ricordate mio figlio fermiamo la violenza"

"Per noi sarai sempre un fratello"

Stasera Genoa-Milan la partita di Vincenzo

L'aggressione prima dell'incontro, i fans rossoneri assediati nello stadio fino a notte

Tifoso ucciso, guerriglia a Genova

Sedici feriti, sospesa la partita Genoa-Milan

GENOVA - Poco dopo le 13, Genoa-Milan è cominciata così: Vincenzo Spagnolo, tifoso genoano, accoltellato al ventre, un altro giovane al collo, un altro alla schiena. Un morto, sedici feriti. Ed è finita all'inizio del secondo tempo quando i giocatori sono tornati in campo e i milanisti sono stati accolti al grido di "Assassini, assassini". La partita è stata sospesa per lutto (nella foto un momento degli scontri sugli spalti di Marassi). È la prima volta che un incontro di campionato viene interrotto per l'uccisione di un tifoso. Ma la sospensione, sollecitata dai tifosi, non è servita a placare gli animi. Per tutto il pomeriggio si è protratta nel centro cittadino una guerriglia con decine di auto bruciate, molotov e altri feriti. Trenta, quaranta tifosi del Milan sarebbero arrivati alla stazione Brignole su un treno non segnalato alle forze dell'ordine: erano senza bandiere, senza sciarpe. In via Bobbio hanno iniziato a insultare e aggredire i tifosi del Genoa: "Venite avanti, se avete coraggio".

30 gennaio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 30 GENNAIO 1995 

Tragica domenica a Genova. Il mondo dello sport sotto choc per la nuova esplosione di violenza

Tifoso ucciso a coltellate, il calcio si ribella

Giovane sostenitore del Genoa aggredito prima dell’incontro con il Milan. Partita sospesa a metà gara: non era mai accaduto. Assediato lo stadio, guerriglia nelle strade. Settecento milanisti bloccati sino a notte. C'è chi chiede l'interruzione del campionato.

GENOVA - Un ragazzo di 25 anni, Vincenzo Spagnolo, colpevole soltanto di essere un tifoso genoano, è stato ucciso con una coltellata al cuore poco prima della partita Genoa Milan, in uno scontro fuori dallo stadio. Quando la notizia si è diffusa a Marassi, le due squadre, con un gesto senza precedenti, hanno deciso, in segno di lutto, di non scendere in campo per il secondo tempo. Da quel momento si è innescata una spirale di violenza che ha tenuto la città in stato d’assedio fino a tarda sera: scontri, cariche di polizia e carabinieri, decine di arresti e feriti. Soltanto verso mezzanotte 700 tifosi milanisti, che erano stati trattenuti nello stadio per evitare incidenti con i genoani, sono stati portati a Milano con pullman della polizia. Gli aggressori, raccontano i testimoni, non erano ultras "in divisa". Il fatto che d'un tratto, da sotto i loden e le giacche eleganti siano spuntati fuori pugnali, catene e borchie per colpire fa pensare a una forma di travestimento per sfuggire ai controlli. Diversi indizi, all’esame della squadra mobile, avvalorano l’ipotesi di un omicidio addirittura premeditato. Il gruppo armato, una ventina di giovani in tutto, è giunto non con i pullman usati dai tremila tifosi milanisti, bensì con un treno. Dalla stazione Brignole si è avviato verso lo stadio. Alle 13.45 la banda è arrivata all’altezza di Marassi, ma sul lato opposto del Bisagno; e il sanguinoso scontro è avvenuto al "Gazebo", vicino alla sede del Coordinamento club rossoblù, probabile obiettivo della spedizione. Il mondo del calcio è sconvolto: qualcuno chiede di sospendere il campionato.

30 Gennaio 1995

Fonte: Il Corriere della Sera

ARTICOLI 30 GENNAIO 1995 

Quando muore il gioco

di Roberto Beccantini

Ora che la violenza da stadio ha falciato un'altra vita (un'altra: non la prima), noi pensiamo che proprio in morte di Vincenzo Spagnolo, il giovane tifoso del Genoa accoltellato ieri pomeriggio nei dintorni di Marassi da teppisti infami, a poche ore dall'inizio della partita con il Milan, debbano essere squarciati i veli dell'ipocrisia e scacciati i mercanti dal tempio: la notizia non è la turpe imboscata e l'abominevole lama che scatta e uccide, la notizia è la partita sospesa. Sospesa per lutto. In Italia, a Genova, ieri. Non era mai successo. Nemmeno quando un razzo aveva trapassato da curva a curva Vincenzo Paparelli durante un derby all'Olimpico, nell'ottobre del 1979. E neppure allo stadio Heysel di Bruxelles, dieci anni fa, quando le vittime della follia omicida degli hooligans inglesi erano state, addirittura, trentanove: Juventus e Liverpool giocarono su ordine dei grandi timonieri, terrorizzati - così ci dissero, cosi scrivemmo - che il sabotaggio del Te Deum pagano potesse scatenare istinti ancora più bestiali, e mietere sacrifici ancora più imponenti. Di solito, noi addetti ai lavori ci abbandonavamo a reazioni di farisaica routine: elzeviri grondanti sdegno, tavole rotonde piagnucolose e inconcludenti, condanne generiche, anatemi a telecomando. Atti concreti, zero. La sospensione della partita di Genova, dovuta alle squadre del Genoa e del Milan, non importa se su proposta dei tifosi, è il primo. Lo sottoscriviamo in pieno. Si tratta di un segnale forte: di fronte alla morte non sta scritto da nessuna parte che lo spettacolo debba continuare, costi quel che costi. La tv si è adeguata, e, pare, si adeguerà. Quelli che il calcio si sono ritirati, lasciando spazio e voce alle chirurgiche radiocronache delle partite. Novantesimo minuto, Domenica Sprint, La Domenica sportiva e Pressing hanno ridotto al minimo servizi ed enfasi. Questa sera non andrà in onda il Processo di Biscardi, trincea dalla quale, per anni e anni, si è sempre soffiato sul fuoco, in un crescendo di inaudite volgarità. Non basta. Non può bastare. Non deve bastare. Ci stupisce Matarrese, che esecra l'omicidio salvo farfugliare che il calcio non dovrà fermarsi mai più, pena la sua (di lui ?) scomparsa. Il problema è proprio, e tutto, qui. Nel pensare che il calcio - e con esso lo sport - non debba mai fermarsi. Viceversa, sarebbe l'ora che federazione e leghe riflettessero un momentino, prima di "riflettere" immagini e propositi. Se bisogna guardarsi dalla matrice fascista (incidenti di Brescia-Roma), e, più in generale, da tutti coloro che dall'esterno premono verso il cuore del sistema, è altresì fuor di dubbio, come denunciato a più riprese dall'avvocato Campana, che società e ultras hanno trescato e banchettato dietro le quinte per troppo tempo, le prime foraggiando i secondi, i secondi taglieggiando le prime. Ripetiamo: la guerriglia di Marassi, in puro stile Arancia Meccanica, non è una novità. E meno che mai lo è, purtroppo, il bilancio "ceceno". Il fatto nuovo non può essere che la presa di coscienza di tutti noi. Del governo, del Coni, della Figc. C'è chi propone di abolire le trasferte dei tifosi, un vecchio pallino di Berlusconi, e chi, a sostegno di una tesi così ardita, disegna scenari televisivi, in maniera da scoraggiare viaggi e agguati (Nizzola, presidente della Lega professionisti). Mai come in questo momento c'è bisogno di un'adesione totale. Siamo in guerra, e il nemico è sempre uno di noi. Non da oggi, la violenza genera violenza. Mancano modelli con cui crescere i giovani. L'educazione sportiva degli italiani si riduce a un tifo selvaggio, spesso incivile. L'Heysel non ci ha insegnato nulla. O, al limite, lo ha insegnato agli inglesi. Vincenzo e i suoi cari meritano, com'è vero Iddio, che l'intifada di ieri porti a un nuovo modo di regolare i rapporti fra calcio e società. I club comincino a pagarsi le spese del servizio d'ordine. Homo homini lupus: stiamo attenti, perché ormai ci siamo.

30 gennaio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 30 GENNAIO 1995 

Fazio interrompe la trasmissione, stasera soppressi il "Processo" e "Mai dire gol"

Choc in diretta, si spegne la tv del calcio

Maroni denuncia: le società non isolano i violenti

di Pino Corrias

MILANO - "Era necessario". Così Fabio Fazio, conduttore di "Quelli che il calcio...", ha commentato l'interruzione del programma subito dopo la notizia dell'omicidio davanti allo stadio di Genova. "Non ci sono parole. Ogni parola è retorica. È tutto inutile. E poi questi assassini neppure le leggono le nostre dichiarazioni, il nostro sdegno. Sono delinquenti: bisogna solo disprezzarli e, per certi versi, compatirli". Ieri si è "spenta" la tv del calcio. Mentre il Tg3 mandava in onda un'edizione speciale con i commenti di Everardo Dalla Noce, ancora sconvolto per l'esperienza di Genova, e di Marino Bartoletti, altri conduttori di programmi sportivi hanno deciso di sospendere, per protesta e per solidarietà con la famiglia del ragazzo morto, i loro programmi. Niente risate, quindi, con la Gialappàs di "Mai dire gol" su Italia 1, e oggi non andrà in onda neanche il "Processo di Biscardi" su Tele+ 2. "Questa sarà la prima volta in 15 anni", ha dichiarato il popolare conduttore. Intanto, Roberto Maroni, ex ministro dell'Interno, ha usato parole dure contro le società calcistiche: "Adesso basta, le società devono prendersi le loro responsabilità. Conoscono i violenti. Sanno quali sono i club a rischio, ma fino ad ora non si sono mosse, o si sono mosse pochissimo". L'ex ministro non ha usato mezzi termini: "Penso che la leggerezza con cui vengono trattati i club, penso che la mancanza di una autoregolamentazione delle società che imponga l'allontanamento dei violenti dalle proprie tifoserie sia una forma di connivenza inaccettabile. Le società sono troppo tolleranti con i propri club, li usano e si fanno usare".

30 gennaio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 30 GENNAIO 1995 

Matarrese: "Sono contrario allo stop"

ROMA - Il presidente della Figc, Matarrese, è forse l'unico che accetta malvolentieri lo stop al calcio: "Forse era l'unica decisione, forse l'avrei presa anche io. Ma non è la soluzione, così si uccide il nostro mondo, io a Bruxelles ero tra chi voleva che si giocasse. So che queste parole non piaceranno ai genitori del giovane ucciso. Noi, però, non possiamo consentire che assassinino il nostro mondo. Qui siamo di fronte ad un assassino, che non appartiene a noi. Perché è accaduto ? Perché questa è l'Italia di oggi, un Paese da ricostruire insieme. Questo pomeriggio mi incontrerò con il presidente del Coni, Pescante. Prenderemo le decisioni necessarie". Anche la sospensione del campionato ? "Non anticipo nulla. È il momento di decisioni importanti". (r. cri.)

30 gennaio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 30 GENNAIO 1995 

Genova: l’aggressione nelle vicinanze dello stadio prima dell’incontro

Scia di sangue sul campionato

Pugnalato a morte un tifoso, sospesa la partita

di Pierangelo Sapegno

GENOVA DAL NOSTRO INVIATO - Vincenzo, Vincenzo. Diranno che il calcio è un ciuco, e che non si può morire per un gioco, dicono sempre così. C'era una ragazza che piangeva seduta su un gradino, in via Malta e ripeteva Vincenzo, Vincenzo. Poco dopo le 13, Genoa-Milan è cominciata così, Vincenzo Spagnolo accoltellato al ventre, un altro giovane al collo, un altro alla schiena: un morto, sedici feriti (uno grave). Magari è finita all'inizio del secondo tempo quando i giocatori sono tornati in campo e i milanisti sono stati accolti al grido di "Assassini assassini" e l'arbitro ha rimandato tutti dentro, o più simbolicamente, alle 5 della sera, quando Fabio Capello ha percorso da solo, con le mani in tasca e la testa bassa, il prato verde tutto deserto, sotto gli spalti vuoti, solo quell'angolo riempito nella gradinata Sud dai tifosi del Milan, 800 tifosi. O magari non finirà mai, non finirà più, Genoa-Milan. C'è un morto, ci sono 7 feriti gravi e tanti altri ancora, e c'è una guerriglia che continua, una guerriglia terribile con decine di auto bruciate, scontri, molotov e altri feriti. Ma c'è dell'altro, c'è la violenza come rappresentazione, come ideologia della partita, come organizzazione. C'è tutto, a Genoa-Milan, la prima partita di calcio sospesa per lutto, "E’ stata un'aggressione preparata con cura, da alcuni tifosi del Milan", raccontano in Questura. "Qualcosa di incredibile", dice uno degli inquirenti. Vero, falso ? Tutto strano, questo sì: 30-40 tifosi del Milan che sarebbero arrivati alla stazione Brignole su un treno non segnalato alle forze dell'ordine; e che vanno allo stadio senza bandiere, senza sciarpe, senza niente, vestiti solo come turisti ("sembravano dei giapponesi", dirà un testimone); e che in via Bobbio cominciano a insultare e aggredire i tifosi del Genoa: "venite, venite avanti, se avete coraggio". Qualcuno ci casca, si fa sotto, e spuntano i coltelli nascosti sotto ai loden blu. L'aggressione diventa una caccia all'uomo: i tifosi rossoblù cercano scampo in via Malta, lì dietro, nella sede del Coordinamento dei club. Anche Vincenzo Spagnolo cerca di salvarsi la vita così, ma riesce a fare solo pochi passi dal gazebo, il luogo dello scontro. Vincenzo, Vincenzo: "Io l'ho visto che correva verso di noi, e l'ho preso, gli ho detto stenditi", dice questo ciccione con l'orecchino. "Aveva la bava alla bocca". E Pippo Spagnolo, il capo dei tifosi genoani sembra quasi piangere: "Gli ho tirato su la maglia, e aveva uno squarcio che partiva dal ventre. Cristo, gli ho rimesso la maglia sopra". Ed è morto, Vincenzo, 25 anni, tifoso del Genoa, giovane senza lavoro, fino a pochi giorni fa militare. "Mi ha buttato le braccia al collo ed è caduto", dice il ciccione. Lo portano via con l'ambulanza, e la sua fidanzata piange sugli scalini di via Malta. Vincenzo viveva con papà e mamma, Cosimo e Lina, "ed era un bravo ragazzo", ripetono gli amici. Papà Cosimo piange: "Ma come si fa a morire così a 25 anni ?". Ha ragione lui, Cosimo Spagnolo, come si fa. Ora, ci sono le macchie di sangue sul tappeto, le strisce sulle pareti, lo straccio rosso abbandonato in un angolo, dietro a un tavolino. La morte lascia anche questa fotografia dalle tenebre, nelle sale del Centro Coordinamento dei tifosi genoani. Un tifoso ucciso, altri sette gravi, un agguato e poi la guerriglia, una partita sospesa, gli scontri che continuano nel buio. Genova stupenda sotto al tramonto, colori lancinanti e queste tenebre attorno al vecchio stadio, monumento del calcio. È successo qui, ma poteva succedere in qualunque stadio d'Italia, in qualunque posto e in qualunque domenica dove si affrontano due fazioni, due bandiere. Pippo Spagnolo, il capo dei tifosi, solo omonimo della vittima, cerca di ricordare: "Gli aggressori erano armati di coltello, non avevano né sciarpe né bandiere e poi secondo me non sono nemmeno andati allo stadio, sono fuggiti verso via Montaldo". Per arrivare lì, erano passali da via Canevari dove avevano aggredito altri quattro tifosi del Genoa, spingendoli contro il muro e malmenandoli. "Erano milanesi", dice un altro tifoso, "parlavano tutti con accento lombardo". Adriano Caviglia e Giovanni Villani: "Abbiamo visto borchie, catene e coltelli. Chi ha detto che sembravano turisti ?". Quando poi la notizia si sparge allo stadio, alla gradinata Nord, comincia la seconda parte del dramma. "Hanno ucciso uno dei nostri", cominciano a gridare. I tifosi del Genoa si ribellano, non vogliono più saperne della partita. Urlano: "Assassini, assassini", lanciano bottiglie in campo, volano monetine, anche sassi. "Quando siamo rientrati in campo non ci siamo subito resi conto di quel che era successo", racconterà poi Vincenzo Torrente, capitano rossoblù: "Sono andato alla curva e un tifoso mi ha spiegato perché protestavano. Sono tornato in mezzo al campo, ho riferito all'arbitro e allora anche Baresi ha detto che non si doveva giocare più". Partita sospesa. I tifosi del Genoa escono, ma si fermano proprio vicino al luogo degli scontri, urlano che vogliono aspettare quelli del Milan, tirano su barricate tra via Moresco e via Canevari. Gli ottocento al seguito del Milan vengono tenuti dentro, in attesa che ritorni la calma. Pia illusione. I trecento che stanno fuori rovesciano i cassonetti, bruciano i rifiuti, distruggono tutte le macchine targate Milan. Sono armati di bastoni e spranghe, stanno asserragliati dietro reti vuote, assi di legno, letti rovesciati. Si scatenano contro le vetture e i furgoni della Rai e della Fininvest. Due operatori Rai devono scappare e barricarsi dentro un'auto, protetti dalla polizia. C'è la storia intera del calcio moderno in questo pomeriggio di violenza a Genova. Adriano Galliani, amministratore delegato dei rossoneri: "L'incidente è stato provocato da qualcuno estraneo ai nostri club". E anche Spinelli, presidente del Genoa, butta acqua sul fuoco: "Questa è una violenza che viene da fuori, che non c'entra con il nostro mondo". Gli scontri, però, vanno avanti. Arriva il prefetto, Aldo Marino, e poi il questore, Antonio Pagnozzi. Alle 18 c'è anche il sindaco, Adriano Sansa, che è convinto di riuscire a metter fine alla guerriglia. Lampi e clangori nel buio. Lui, il sindaco, s'avanza, passa il confine della tregua, una linea immaginaria segnata vicino a una grande bottiglia di vino rosso. Appena va oltre quella bottiglia di Magnum, viene assalito dal lancio di bottigliette e monetine. È costretto a tornare indietro, va da Pippo Spagnolo e gli chiede se può convincerli: "Io voglio andar là per spiegare loro che adesso tutti i tifosi del Milan che sono lì dentro verranno schedati e che l'assassino sarà preso. Ma che loro devono smetterla, basta morti, basta feriti, basta violenza". Spagnolo ascolta, dice: "Vado io ad avvertirli che tu arrivi". Va, e torna, sconfitto: "Non è il caso. Non è questo che vogliono, che i tifosi del Milan se ne vadano a casa come se non fosse successo niente. Chiedono giustizia, vogliono vendetta". Così, da una parte e dall'altra, la guerriglia continua. È sorda e orrenda la violenza. Da una rete Fininvest sparano altro allarmismo sconsiderato: "Sembra che i tifosi del Genoa stiano preparando le taniche di benzina per assaltare lo stadio". Non è vero. Però, sono vere e terribili queste immagini di orrore, nelle tenebre di Genova, odore di bruciato, macchine e cassonetti distrutti, altri feriti. Alle dieci della sera, si contano venti tifosi genoani fermati, e tutti i milanisti ancora dentro allo stadio. "Dobbiamo schedarli", dicono gli inquirenti. Fuori dallo stadio, qualche ultra rossoblù si è arreso, altri sono stati dispersi dalle cariche e dai lacrimogeni. Ma la tensione c'è ancora tutta, grappoli di violenza, grida e paura. Genoa-Milan continua nella notte, attorno allo stadio vuoto, un tempio dissacrato, senza luci e senza vita, che raccoglie gli echi del dolore. Eravamo in trentamila, una splendida giornata di sole. Genoa-Milan giocavano per noi.

30 gennaio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 30 GENNAIO 1995 

"Non ce la sentiamo più di giocare"

Dall'altoparlante annuncio choc di Baresi e Torrente

di Bruno Bernardi

GENOVA - Ass-ass-ini, assas-sini". Un urlo breve, intenso, ripetuto dieci, venti volte, a squarciagola. Sono le tre e mezzo del pomeriggio quando Baresi, Torrente e gli altri ritornano in campo per giocarsi il secondo tempo. Né i due capitani né gli altri sanno niente. Ma i quarantamila del "Ferraris", invece, sono già informati. A dirglielo, venti minuti prima, era stato il radiocronista di "Tutto il calcio minuto per minuto". "Vi devo interrompere - aveva detto Emanuele Dotto, prendendo la linea con voce solenne per darvi una brutta notizia. Il tifoso genoano accoltellato prima della partita purtroppo è morto all'ospedale". E poi avanti, con gli spiccioli di cronaca del primo tempo. Fin dall'inizio era corsa voce, in tribuna e nelle gradinate, di uno scontro tra le due fazioni (nemiche da sempre), una di sostenitori milanisti non etichettati, senza sciarpe e bandiere, e una di tifosi genoani. Testimoni raccontavano d'aver visto anche una lama, di aver sentito le urla di un tifoso rossoblù mentre si accasciava a terra con l'addome squarciato, caricato poi su un'autoambulanza che correva verso furia si scatenava quando le squadre sbucavano dal sottopassaggio con in testa arbitro e capitani, e Sebastiano Rossi, il portiere dei campioni d'Italia, tentava di raggiungere la sua posizione, sotto la gradinata Nord. Ma il portiere non poteva neppure avvicinarsi alla linea di porta, bloccato da un lancio di oggetti (bastoni e l'ospedale San Martino. Ma, al fischio d'inizio, nessuno poteva immaginare il peggio. Fino a quel maledetto 38', quando l'arbitro Beschin ammoniva Di Canio per simulazione dopo un contrasto in area, e dalle radioline arrivava la terribile notizia. La reazione è stata violenta e immediata, anche se i giocatori non hanno intuito subito. Sulla gradinata Nord, quella dei supporters rossoblù, si notava un ondeggiamento crescente, con un minaccioso agitarsi di bastoni e aste di bandiere: era l'inizio della violenta contestazione che, all'inizio della ripresa, ha poi bloccato il gioco per il lancio di oggetti in campo. Le aste, bottigliette, frutta, monetine, addirittura dei grossi pezzi di porcellana divelti dai servizi igienici) che riempivano in pochi minuti l'area di gioco. Rossi alzava il ditino, ancora non sapeva e non comprendeva le ragioni della violenta protesta. Poi quel grido, "assassini, assassini", gli faceva intuire che, quella dei tifosi genoani, non era un'azione di disturbo. Lo stesso Beschin, che non poteva sapere nulla, si rendeva conto della gravità della situazione e non insisteva a far riprendere le ostilità. Intanto un tifoso genoano, impossessatosi di un idrante antincendio, tentava, senza troppo successo, di richiamare l'attenzione indirizzandolo verso il campo. Le squadre, attonite, stavano al centro del terreno, attorno all'arbitro. Fino a quando capitan Torrente non si avvicinava alla rete che cinge il campo di gioco, ed un tifoso gli urlava: "Vincenzo, ti vogliono sotto la gradinata Nord perché è successo qualcosa di molto grave e ti devono parlare". Il genoano correva dietro la porta del Milan, e là altri tifosi gli urlavano: "Non dovete giocare la partita perché hanno ammazzato un ragazzo. L'hanno accoltellato". In un attimo, anche chi stava in campo aveva saputo tutto. Nel sottopassaggio il presidente del Genoa, Spinelli, l'amministratore delegato del Milan, Galliani, i due capitani Torrente e Baresi, si sono capiti in un attimo: "No, giocare sarebbe assurdo". E l'arbitro Beschin ne prendeva immediatamente atto, come pure il questore Pagnozzi e il prefetto Marino. Sono stati loro ad assumersi la responsabilità di sospendere l'incontro, non solo e non tanto per questioni di ordine pubblico ma per lo stato d'animo che impediva alle due squadre di continuare. Rimaneva un problema: come comunicare la decisione ai quarantamila del "Ferraris", che intanto avevano ritirato tutti gli striscioni in segno di lutto ? Chi e come parlare in un ambiente diventato irreale, dove la tensione si tagliava a fette e le notizie dall'ospedale (sempre attraverso le radioline) arrivavano sempre più drammatiche ("forse c'è un altro giovane tifoso morto") ? Il compito è toccato a Torrente e Baresi, che alle 15.50 sono tornati in campo, e con ampi gesti delle braccia, mentre parte del pubblico applaudiva, hanno invitato tutti alla calma, anticipando la decisione di non disputare il secondo tempo. Poi, dagli altoparlanti, l'annuncio: "State calmi e lasciate lo stadio con calma. Non ce la sentiamo di continuare, la partita è sospesa, per lutto". Parlava Vincenzo Torrente, anche a nome di Franco Baresi, mentre gli applausi aumentavano. Poi, in silenzio, i tifosi rossoblù uscivano. L'inferno continuava lì fuori.

30 gennaio 1995

Fonte: La Stampa

© Fotografia: Magliarossonera.it

ARTICOLI 30 GENNAIO 1995 

Vincenzo, Zapata e il Genoa

di Eleonora Bertolotto

GENOVA - L’ultima volta che lo hanno visto in discoteca, all’"Albatros" di Rivarolo, quartiere di periferia, è stato due settimane fa, per il concerto dei "Fratelli di Soledad". Vincenzo Spagnolo, che gli amici chiamavano Claudio, era un ragazzo allegro, sempre pronto alla battuta, grande appassionato di musica ska. "Da noi - ricordano all’Albatros - veniva ogni sabato". L’ultima volta che lo hanno visto i vicini di casa è stato domenica, poco prima dell’una. Scendeva le scale, con la sorella Romina. "Lo ha incontrato mio marito che rientrava per il pranzo - dice una signora - e Vincenzo, che lo sapeva sofferente di cuore, gli ha dato una pacca sulla spalla: "Coraggio, non si affatichi". E mio marito: "Dove vai ?". Risposta: "Alla partita: speriamo di non prenderle". Si riferiva alla squadra, naturalmente. Piange la vicina di casa. Dice: "Vorrei scendere, per parlare con la famiglia. Ma non posso, non ho il coraggio. Una disgrazia così, che dolore". Nessuno, in questa casa di via Digione, quartiere di portuali, trova parole diverse per raccontare chi fosse Vincenzo: "Un bel ragazzo, educato. Sempre pronto a dare una mano, se qualcuno aveva bisogno d'aiuto". Lo conoscevano tutti: era nato qui, primogenito di una famiglia del Sud. Tutti ricordano i giochi scatenati nel cortile a pozzo dell’enorme caseggiato, quando i bambini erano moltissimi e il cortile non restava mai, come ora, senza voci. Tutti ricordano le liti di bambini: Vincenzo, genoano, assediato dai compagni che tifavano Samp. La passione per il Genoa è maturata qui ("Il miglior regalo che gli si poteva fare, a quei tempi, era una maglia o un paio di calzoncini rossoblù") e non lo ha mai lasciato. "Allo stadio ci andava regolarmente, una settimana sì e una no, quando giocava la sua squadra. Lo conoscevano tutti sulle gradinate. Prima, qualche volta seguiva il Genoa anche in trasferta. Adesso non più". Adesso, il suo problema più grande era il lavoro. Aveva studiato da odontotecnico, ma non era riuscito ad inserirsi in un laboratorio. Subito dopo la scuola, aveva trovato qualche occupazione saltuaria. Poi era partito per il servizio militare. Tornando, situazione invariata. Dicono gli amici: "Il padre, Cosimo, geometra di Ilva, era andato in pensione. Delle due sorelle, Maria Grazia e Romina, solo la prima era impiegata. E lui aveva finito per accettare di trasferirsi in Sardegna: faceva l’agente immobiliare per conto di un parente. Restava qualche mese laggiù, poi ritornava. Adesso, era rientrato a dicembre". La sua idea fissa, comunque, era tornare a Genova: la famiglia, gli affetti, gli amici, li aveva tutti in questo quartiere popolare, San Teodoro. "Per questo, la prossima settimana avrebbe avuto un colloquio di lavoro. Sperava di potersi sistemare come magazziniere". Vincenzo faceva anche parte del Centro sociale Zapata, di estrema sinistra, che a Genova ha organizzato una serie di occupazioni di locali abbandonati per creare nuovi luoghi d'incontro per i giovani. Un amico in lacrime racconta: "Diceva che solo così sarebbero cresciuti. Lui voleva unire, non dividere".

31 gennaio 1995

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI 31 GENNAIO 1995 

È un ultra milanista di 19 anni: dopo l'omicidio è andato allo stadio, smascherato dai compagni

"L'ho accoltellato per difendermi"

Confessa in lacrime l'assassino del tifoso genoano

di Pierangelo Sapegno

GENOVA DAL NOSTRO INVIATO - Adesso dice: "Io non sono un cattolico, ma se non mi aveste beccato sarei andato a pregare". Dice così, adesso che l'hanno preso. Ha una faccina da bravo ragazzo, assomiglia persino alla sua vittima. Tutt'e due giovani, capelli neri, una fede nel calcio e un lavoro da precari. Così uguali, questi tifosi da curva, così banali. Simone Barbaglia, 19 anni da compiere, ultrà milanista, ha confessato piangendo come un bambino, e a papà e mamma avrebbe voluto raccontare una domenica incredibile: "Dio che casino, non avete idea...". Non bisogna stupirsi troppo. Nella logica del branco, in fondo, Simone non è un assassino, ma soltanto uno di noi, un uomo di parte. Come Vincenzo Spagnolo, che gli amici chiamavano "Spagna" e che avrebbe cominciato fra pochi giorni a fare il magazziniere a due passi da casa, nonostante un diploma da odontotecnico e malgrado speranze più belle. In via Bobbio davanti allo stadio, due mazzi di fiori e una sciarpa rossoblù. È tutto quel che è rimasto di Genoa-Milan. Aveva 24 anni, Vincenzo, caduto a colpi di coltello nella rissa davanti allo stadio un'ora prima della partita che ha fermato lo sport. Il suo assassino subito dopo se n'era andato allo stadio per godersi lo spettacolo come se niente fosse successo: "Ma io non credevo che potesse morire, quando l'ho accoltellato il colpo era basso. Mi sono preoccupato solo dopo, quando l'ho sentito alla radio". L'hanno arrestato a Milano, 5 del mattino, a casa sua, palazzo di periferia, ottavo piano, mentre era ancora davanti al portone e parlava al citofono con la mamma. Una cattura tutta da raccontare, la sua, quasi incredibile, come è così assurdo, così irreale, tutto quello che è successo domenica attorno e dentro al Luigi Ferraris, vecchio monumento del calcio. Simone, in realtà, sarebbe stato tradito proprio dal suo stesso branco, dai suoi compagni di tribù. Nella terribile domenica di Genoa-Milan per una volta è venuta meno questa legge. Perché alcuni tifosi rossoneri avrebbero raccontato di aver visto tre giovani confabulare nervosamente, scambiarsi alcuni oggetti e poi raggiungere i gabinetti. E qui, Simone e i due suoi amici si sarebbero scambiati anche i giacconi. La domenica di ordinaria violenza è appena cominciata. "Ero tranquillo", confessa Simone. Tutto quello che accade da qui in avanti è l'incredibile cronaca di una partita che non finisce più. L'annuncio alla radio della morte di Vincenzo, la rabbia dei tifosi genoani, l'incontro sospeso per lutto e gli scontri fuori dallo stadio. Dentro, sotto alla gradinata Sud dove vengono trattenuti 924 tifosi milanisti, ci sono anche due carabinieri in borghese che stanno già sulla pista di Simone e dei suoi amici, indicati dagli altri tifosi. Li seguiranno passo passo, fino a Milano, facendo con loro il viaggio sul pullman, ascoltando i loro discorsi e cercando i loro complici. Quando nella notte, mezz'ora dopo l'arrivo, i carabinieri vanno a bussare a casa di Barbaglia hanno già raccolto abbastanza prove per costringere Simone a confessare. Lui è sotto casa, sta parlando al citofono. "Un attimo", dice. "È meglio che vieni subito", gli risponde un militare. Operazione perfetta, in 12 ore hanno risolto il caso, mentre alla Questura di Genova cercano addirittura una pista politica, quasi non credono allo scontro fra tifosi. "I gruppi di ultrà erano tutti sotto controllo, 500 arrivati con il treno e gli altri su 5 pullman", ripetono. "Impossibile che l'assassino fosse fra di loro". E invece no. Quando Simone Barbaglia segue i carabinieri in caserma è ancora freddo, sicuro di sé. Ma i militari sanno già tutto. Lui crolla, perde la testa: "Oddio, adesso mia madre viene a sapere che uscivo con il coltello". Papà e mamma, nel giorno della verità, sono quelli più increduli. Arrivano di fronte alla caserma dei carabinieri di Genova e trovano un grande striscione: "Infame assassino". Si spaventano, vanno dall'avvocato Stefano Savi, strabuzzano gli occhi: "È un errore madornale. Tutto impossibile". Niente da fare, dice il legale: "Ha confessato". Una confessione lunga, prima con i carabinieri. Dice persino dove ha abbandonalo il coltello a farfalla, una doppia lama lunga 12 centimetri: "l'ho nascosto in un angolo delle gradinate, dentro a una scatola per bottiglie". Lo ritrovano ancora lì, sporco del sangue di Vincenzo. E poi ripete tutto al magistrato, il sostituto Massimo Terrile. Dice: "L'ho fatto per difesa, perché avevo molta paura". E racconta: "Siamo partiti da Milano con il rapido delle 11.05. Alle 13.20 eravamo a Genova. 15 amici, siamo della banda del Barbour, perché portiamo tutti giubbotti di questa marca. Dalla stazione fino allo stadio siamo stati aggrediti più di una volta dai genoani. Quando ci siamo affacciati sulla strada verso la curva Nord, c'è venuto addosso un altro gruppo. Avevano cinghie e bastoni. I miei amici sono scappati e io mi sono trovato da solo. Il coltello ce l'avevo con me, perché una domenica a Firenze mi sono trovato disarmato contro i tifosi della Fiorentina e sono stato picchiato. Allora, l'ho tirato fuori, ma solo per difendermi. Me lo sono messo davanti al petto. Se io fossi stato dall'altra parte e avessi visto un coltello così sarei scappato e pensavo che anche loro avrebbero fatto altrettanto". E invece, piange, "lui mi è venuto addosso". Spiega che nella ressa è stato spinto da dietro e che è scivolato così, con il coltello appoggiato sul ventre contro Vincenzo: "Mi è caduto sotto, ho pensato di averlo ferito e mi sono spaventato. Ma ero convinto di non avergli fatto troppo male. Quello si è rialzato ed è scappato via. Tutto finito, ho pensato. E sono fuggito". Ci sono testimoni che però contraddicono questo racconto. In via Canevari e in via Bobbio, Simone e i suoi amici avrebbero aggredito tifosi genoani più di una volta. Matteo Gerboni, che era accanto a Vincenzo nel momento della rissa, ricorda che quello stesso gruppo aveva appena malmenato un ragazzino di 16 anni che stava parcheggiando il motorino: "I passanti li avevano ricacciati indietro. Loro si erano messi vicino al gazebo. Erano 5 o 6, e ci sfottevano. Alcuni hanno reagito, gli sono andati addosso. A quel punto, nascosti dietro al Bocciardo, sono spuntati altri milanisti. Ci hanno circondato, sembrava un'azione preparata. Avevano tutti coltelli e catene. Quando Vincenzo è caduto, ha urlato, ha chiesto aiuto". Matteo gli è andato vicino, ha cercato di sorreggerlo. "Non voglio morire così", ha sospirato Spagna.

31 gennaio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 31 GENNAIO 1995 

"Ciao Vincenzo"

Il padre: mai più andrò a Marassi

di Pierangelo Sapegno

DAL NOSTRO INVIATO - Papà Cosimo è piccolino, ha una tuta grigia e gli occhi rossi, quando si affaccia sulla porta. Quartiere di San Teodoro, di fronte al porto. "Certo, domenica spero che non si giochi", dice. Sta sulla soglia, ripete che è tutto così assurdo che non riesce a pensare a niente, a farsene una ragione. "Anch'io sono un tifoso, e quando Vincenzo era bambino qualche volta siamo andati insieme al campo a vedere una partita. Cosa vuole che dica adesso ? Che ho sbagliato, che non dovevo ? Ci andavo come si va a una festa. Non si va a una partita per morire". Dentro, ci sono voci, pianti. Mamma Calogera, 45 anni, da Caltanissetta, spiega che "Vincenzo aveva appena trovato lavoro come magazziniere, e avrebbe cominciato fra pochi giorni. Era da un po' che bussava a tutte le porte. E adesso l'avevano chiamato per un colloquio". Vincenzo Spagnolo è morto prima di tutto questo, e prima di Genoa-Milan. Era un ragazzo di sinistra, segnalato alla Digos, sei anni fa, come un autonomo. Acqua passata, ripetono adesso in questura. Aveva studiato da odontotecnico e un poliziotto che aveva fatto le scuole assieme a lui, lo ricorda come "un bravo ragazzo". Dice: "Era il primo della classe". Domenica a San Martino, nelle corsie dell'ospedale dove l'avevano portato subito dopo gli scontri, Raffaella, la sua ragazza, se ne stava in un angolo: "Dovevo andare con lui allo stadio. Ma era in motorino e mi aveva detto che non poteva portarmi dietro, perché non c'era posto e perché c'era tanta polizia a Marassi. Mi aveva detto: se vuoi venire, ci vediamo lì. E io allora sono andata con un mezzo pubblico. Quando sono arrivata, m'è venuto il cuore in gola, perché nella via c'era del sangue per terra, c'era gente che urlava. Sono andata al centro tifosi di via Bobbio e c'era un mucchio di gente. Ho chiesto cos'era successo. E uno mi ha risposto che un giovane era stato ferito, che era grave. Ho girato gli occhi, e ho visto il motorino per terra. Allora, ho capito che era lui quello ferito. Sono corsa in ospedale e mi hanno detto che era morto". Raffaella è andata via piangendo. Cosimo Spagnolo china la testa. Lo chiama la figlia più grande, Simona: "Ti cerca il parroco di San Teodoro". Papà Cosimo sospira: "Non si può morire per una partita. Non si può più andare allo stadio". (p. sap.)

31 gennaio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 31 GENNAIO 1995 

Identikit di un killer senza storia

Gli amici: era un isolato anche nel calcio

di Pino Corrias

REPORTAGE NEL QUARTIERE DI SIMONE MILANO - Non stupitevi: il ragazzo che con il suo coltello a farfalla, 12 centimetri di lama, ha tagliato via la vita a uno che neanche conosceva, non ha storia. Il morto ammazzato è la sua traccia, il suo segno di vita che fino all'altro ieri era (è stata) un nulla di periferia. Non lo conoscono in questura, nessun precedente, nessuna segnalazione. Non lo conoscono nei Milan Club, perché non era un tifoso sfegatato. Non lo conoscono nella via perché si era trasferito da poco. Non ha mai fatto politica. Non era di destra, né di sinistra. Non è stato uno studente speciale. Non aveva fidanzata. Faceva l'apprendista giardiniere. Nemici di banda ? Non risulta. Amici di quartiere ? I pochi che riesci a scovare (tutti stretti nel giubbotto, impazienti) al massimo ti dicono: "Era uno buono", così, declinando al passato i verbi che vanno via come un'alzata di spalle. A spremere domande sulla vita di Simone Barbaglia, 18 anni compiuti lo scorso agosto, magro, capelli neri, altezza media, sguardo come acqua che guardi e ti dimentichi, trovi non un passato, ma la superficie di un passato, non nodi, ma fili sparsi. Fili che arrivano, qui, al presente che da oggi rimarrà perpetuo, come il coltello, come la confessione. Tutto qui. E invece bisognerà pure trovarla una traccia che basti a riempire il vuoto di una spiegazione. Non per lui. Magari per sua madre, Manuela Mariani, che all'una è scappata via dalla casa, direzione carcere di Genova, con due borse di cellophane. Lei e il nuovo marito Norberto Amalfitano, impiegato di banca. Tutti e due svegliati all'alba da una pattuglia di carabinieri che hanno detto: "il ragazzo deve venire con noi". Il resto è arrivato via telefono. La casa dove Simone ha abitato fino a una trentina di ore fa è grigia, con balconi blu e vite bianche. Via Primaticcio, numero 217, terzo piano. Un palazzo pulito, da classe media, dentro alla periferia di Baggio che anni fa si sarebbe detta proletaria e che invece adesso non ha identità, solo strade lunghissime inghiottite dai lampioni, cancellate dal traffico. La tintoria sotto casa si chiama "I love Eco Dry", il bar "Giades", la panetteria "Boutique del forno". Fa freddo. Ci sono le telecamere. Maria Jugovac, la portinaia, ha uno scialle verde, è grassa, ma si muove con sorprendente velocità. A tutti i microfoni ripete la stessa frase: "Lo vedevo tutte le mattine. Un ragazzo gentile, buongiorno signora, quando usciva alle sette e mezzo e buongiorno signora, quando tornava per pranzo". Dall'altra parte della strada, tra i ferri arrugginiti del deposito tranviario ci sono i vecchi sulla strada, i pensionati, che stanno lì a litigare se sarebbe il caso di fucilarli oppure no, questi teppisti, oppure se mandarli ai lavori forzati, oppure niente, arrendersi. Dentro al deposito tranvai, inscatolata da vetri e alluminio, c'è la bolgia calda della Bocciofila Baggio, videogame ululanti, tavolini pieni di ragazzi che hanno facce come Simone e capelli con la gommina e scarpe da jogging posate sulle sedie. "Mai visto qui, e poi non te lo direi", fa uno. "Lasciami perdere che oggi sono nervoso", dice l'altro. Sul marciapiede, un paio di ore più tardi, si fa avanti uno, cappotto blu, magro, sguardo teso. Si chiama Roberto Brancati, 18 anni: "Sì che lo conoscevo. Era mio compagno di scuola alla De Marchi". Scuola media ? "Solo quella abbiamo fatto. Tutti e due bocciati in prima". E poi ? "Poi lui è andato all'Itis, ma ha lasciato perdere". Tu andavi allo stadio con lui ? "Qualche volta". Dicono stesse con una banda... "Ma, va ! Quale banda ?". Il gruppo del Barbour, perché allo stadio indossavano tutti quella giacca lì. "Mai saputo". Ne arriva un altro. "Simone era mio amico, cioè non amico, sapevo chi era". E chi era ? "Uno normale". Uno normale va allo stadio con un coltello ? "Ci sono tanti ragazzi giovani che trovano finti amici, magari più grandi, che li incitano a fare quello che loro non hanno il coraggio di fare". Simone era così, uno che si fa convincere ? "Può essere. E poi non era così milanista, prima tifava Juve". Arriva Eva, chewingum, giubba nera, pantaloni neri, anfibi neri: "So solo che non veniva nella Curva Sud, era uno isolato". Isolato da chi ? "Andava allo stadio sciolto. Uno introverso". Notizie della famiglia ? I tre ragazzi ti spiegano: "La madre è separata, stava in quella via là, con Simone e la nonna. Adesso si era risposata, aveva un figlio piccolo". Il figlio si chiama Diego, ha 11 mesi. E il padre ? "Il padre è risposato anche lui, abita in piazza". La piazza si chiama Bottini, ma il padre, Giampiero Olivini, non si trova. Neanche la nonna si trova, quinto piano di una palazzina a duecento metri da qui. I vicini però Simone lo hanno visto crescere. Ed è sempre la stessa scena: "Oh mamma, non ci credo, era un ragazzo così bravo". Bravo fino all'altro ieri, signora: "Eh, già". Tra sospiri e sgommate, via Primaticcio non restituisce nulla di questo Simone. Al telefono la nonna dice solo: "Mi lasci stare". Al bar tabacchi di via Forze Armate ti dicono, schifandoti: "Mai visto". Resta la gente che alle sei di sera torna a casa e riempie la Boutique del Forno, riempie il Bar Giades e poi va su per la cena e i telegiornali. Che questa volta racconteranno la storia di uno che non era niente e ha (pensate un po') fermato il Campionato di Calcio con un colpo di coltello a farfalla. Un vicino di casa a cui nessuno faceva caso. Tifoso, ma appena appena, quello che basta per uccidere.

31 gennaio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 31 GENNAIO 1995 

Eranio "Vincenzo era un mio amico"

MILANO - Otto stagioni al Genoa, prima di approdare - nell'estate del 1992 - chez Berlusconi. Centrocampista del Milan e della nazionale, genovese, Stefano Eranio lo conosceva bene, Vincenzo Spagnolo. Lo ricorda con una simpatia che sfiora l'affetto: "Era tifosissimo del Genoa, non si perdeva una partita e ce lo ritrovavamo anche agli allenamenti. Era un ragazzone curioso, competente, estroverso. Spesso si fermava a chiacchierare con noi. Quando seppe del mio trasferimento, non mi parlò per una settimana. Povero Vincenzo. Ha fatto una fine orrenda. Siamo arrivati al punto di non ritorno. O ci diamo una regolata o il calcio scoppia". Domenica, Eranio era in panchina. "Non si poteva continuare. La mia speranza è che, al di là della demagogia, la morte di Vincenzo possa aiutare chi resta a vivere meglio. Anche, e soprattutto, negli stadi". (ro. be.)

31 gennaio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 31 GENNAIO 1995 

"Ho visto molti tifosi feriti"

Da Imperia ad Arma di Taggia. "La verità solo in gradinata".

IMPERIA - Grida disperate, bottiglie d'acqua infrante, feriti e tanta paura. È quanto ricordano i numerosi imperiesi presenti domenica a Marassi per assistere a Genoa-Milan, partita di calcio trasformatasi in tragedia. Egidio Renna, 36 anni, nel momento in cui veniva accoltellato Vincenzo Spagnolo si trovava nei pressi del gazebo, a poche decine di metri dal luogo dell'agguato: "Sono tifoso del Napoli, ma seguo anche le partite del Genoa. Ho sentito gridare e ho visto molta gente correre verso il luogo dove si trovava il ferito. Penso ci sia stato qualche ritardo nell'intervento del servizio d'ordine. La prima pattuglia della polizia è giunta infatti dopo dieci minuti. Più tardi ho incontrato alcuni tifosi genoani lievemente feriti che dicevano di esser stati colti alle spalle dagli aggressori". Sugli spalti del "Ferraris" era presente anche i clubs genoani del ponente. Nicola Gorlero, vice presidente del Genoa Club Imperia: "Eravamo una sessantina e, al momento dell'omicidio, ci trovavamo già in gradinata. Abbiamo saputo della morte di Vincenzo Spagnolo solo al 40' del primo tempo, quando sono stati tolti gli striscioni e le frange più calde del tifo hanno cominciato una dura contestazione. Quando la gara è stata sospesa siamo riusciti a lasciare lo stadio senza problemi, perché non erano ancora scoppiati incidenti all'esterno". Aggiunge Vincenzo Ghu, presidente del Genoa Club Arma di Taggia: "Arrivando allo stadio abbiamo notato un gruppo di milanisti che infastidiva alcuni tifosi genoani. È stata una trappola studiata, perché quando i rossoblù hanno reagito alle provocazioni sono stati sorpresi dall'improvviso arrivo di altri teppisti. Non ci siamo tuttavia accorti della gravità del fatto e solo in gradinata abbiamo saputo della tragedia". (l. a.)

31 gennaio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 31 GENNAIO 1995 

Il giovane è stato fermato per concorso in omicidio. Denunciato un altro tifoso per rissa.

"Vado a tagliate un genoano"

Un amico: ho dato io il coltello a Simone

di Pierangelo Sapegno

GENOVA DAL NOSTRO INVIATO - Gli amici della curva, quelli che hanno fermato il calcio. C'è Simone Barbaglia che ha confessato tutto, e qualcosa di più, recitando al magistrato, Massimo Terrile, milanista anche lui, la formazione del Milan: "Non hai messo Savicevic", gli ha detto il sostituto. E lui: "E' infortunato". No, squalificato, l'ha corretto Terrile. Per la morte di Vincenzo Spagnolo, ragazzo di curva ucciso prima di Genoa-Milan, il giudice lo accuserà di omicidio volontario. C'è Matteo, neanche 18 anni, compagno di classe, che gli ha passato il coltello: "Me l'aveva chiesto prima di partire per Genova. Vado a tagliare un genoano, mi aveva detto". L'hanno fermato ieri per concorso in omicidio. C'è Christian, 19 anni, che ha scambiato il suo barbour blu scuro con quello verde di Simone, subito dopo il delitto, per depistare gli inquirenti, e che per questo è stato fermato all'uscita dello stadio, mentre i tifosi sfilavano davanti ai testimoni e ai carabinieri. Per ora, l'hanno denunciato per concorso in rissa. E poi ce ne sono altri, che erano con Barbaglia a Pontecurone, grande rissa fra tifosi, milanisti e sampdoriani, che viaggiavano su due treni. La prima verità sembra questa, che i ragazzi della curva non vengono dal niente, non finiscono accanto alla morte per caso, o per sbaglio. I carabinieri di Genova ne hanno denunciati sei (tutti di Milano, uno è minorenne, gli altri hanno 21, 22, 19 e 18 anni), e stanno indagando su di loro e su altri ancora, sugli amici del branco, per cercare complicità, connivenze, coperture. La Digos di Milano, invece, ne ha fermato uno, Matteo, che non ha ancora 18 anni e vive solo con sua madre in una casa di periferia. In camera sua hanno trovato sei coltelli: un machete con la lama lunga circa 40 centimetri, due daghe di stile orientale con le lame ricurve lunghe 30 cm, e altri tre pugnali. Agli inquirenti ha raccontato che venerdì Simone era andato in un'armeria ma che ne era uscito a mani vuote, e per questo era venuto a cercarlo: "Mi puoi prestare un coltello ?". Sì, "scegli tu", gli aveva risposto. La frase sul "genoano da tagliare", avrebbe spiegato Matteo agli investigatori, "Simone l'avrebbe buttata lì senza pesare troppo le parole". Però, quando la partita era appena cominciata, e Simone era arrivato sulle gradinate bianco come un cencio, Matteo gli si era avvicinato: "Che è successo ?" E Barbaglia: "Ho tagliato un genoano", aveva risposto. E poi gli aveva chiesto di dargli la sua sciarpa: "Io ti do la mia". Matteo e Simone a Genova dovevano venirci assieme. Avevano appuntamento alla Centrale, domenica mattina alle 9.30, per il treno dei tifosi. "Non l'ho visto arrivare e allora sono partito con gli altri". Barbaglia ha preso poi il rapido delle 11, con gli altri amici del barbour e ha rivisto Matteo solo più tardi, poco prima che cominciasse la partita nel gabbiotto della Gradinata Sud riservato ai tifosi ospiti. "Mi disse che aveva preferito prendere un altro treno per evitare i controlli delle forze dell'ordine". Il ragazzino della curva non ha capito bene quel che è successo. Hanno arrestato il suo amico, domenica sembrava di tornare indietro da un fronte di guerra, e ieri sera sono arrivati in casa quelli della Digos. Adesso l'inchiesta, dopo la perfetta operazione dei carabinieri, sembra quasi seguire due piste parallele, come se qualcuno volesse cercare una strada nuova. Certo è che domenica i carabinieri hanno davvero realizzato un colpo eccezionale. Prima che arrivassero le segnalazioni degli altri tifosi milanisti, avevano già trovato da soli la traccia buona, visto che qualcuno di loro, infiltrato tra gli ultrà, si era accorto di movimenti strani nel gruppo degli amici del barbour. Così, mentre i milanisti erano tutti trattenuti dentro lo stadio, avevano fermato quattro tifosi che potevano aver assistito alla rissa. Uno di loro, poi, li ha aiutati a identificare altri che erano a conoscenza dei fatti. E da loro, infine, sono risaliti a Simone e ai suoi amici: li tenevano d'occhio dall'inizio della partita e li hanno seguiti fino a Milano, nel lungo viaggio sul bus. La giustizia è arrivata in fretta. Adesso, qui, in via Bobbio, dove è morto Vincenzo, ci sono i fiori, le sciarpe, le dediche. Una scritta sul muro: "Vivere nel cuore di chi resta non è morire. Ciao, Spagna". La Fossa dei grifoni. Gente di curva.

1 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 1 FEBBRAIO 1995 

"Vado a Genova, mi serve il coltello"

di Caterina Pasolini

Fiori e preghiere per il ragazzo ucciso. La sorella: "Inutile fermare il campionato, tutto resterà come prima".

GENOVA - "Mio fratello era nato per lo sport, con la passione del calcio e del Genoa. Adesso possono fare quello che vogliono, possono venire al funerale in duecentomila, raccogliere soldi, fare un minuto di raccoglimento allo stadio, fermare il campionato, ma non vuol dire nulla. Sappiamo benissimo che dopo sarà tutto uguale, tutto tornerà come prima. Quella persona è entrata tranquillamente allo stadio, volevano fare qualcosa". Romina, la sorella più giovane di Vincenzo Spagnolo, non andrà più ad una partita. "Con quel mondo io, la mia famiglia, i miei amici, abbiamo chiuso. Mio fratello ci credeva, all'amicizia tra le squadre". Nessun sentimento di odio e di vendetta, invece, nei confronti di Simone Barbaglia: "Alla violenza non si risponde con la violenza, in questo mio fratello ci credeva" dice Romina, che ieri pomeriggio è andata a portare fiori sul luogo dove è stato accoltellato Vincenzo, meta di un pellegrinaggio ininterrotto di amici e tifosi non soltanto rossoblù. Gli stessi che si sono uniti ieri sera alla famiglia nella chiesa di San Teodoro, dove il vice parroco don Franco ha letto alcuni brani del Vangelo. "Però da parte dei milanisti - dice alla fine Romina Spagnolo - c'era intenzione di fare del male, ne sono sicura. Per questo non riuscirò mai a vedere quel ragazzo come uno che ha soltanto sbagliato".

1 febbraio 1995

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI 1 FEBBRAIO 1995 

Scoperte in casa di Matteo G.

Daghe o a farfalla ecco le lame del tifo

Il coltello assassino è uscito da una piccola collezione non molto pregiata: oltre a quello che ha ucciso Vincenzo Spagnolo, un coltello farfalla di origine filippina detto anche "balisong", del valore di circa 20-30 mila lire, nella casa di M. G. si trovavano sei tra machete, coltelli kukri, daghe. Il machete (la lama di quello sequestrato è lunga circa 40 centimetri) è utilizzato per disboscare nelle zone dalla fitta vegetazione come l'Amazzonia o nelle piantagioni di canna da zucchero. Nella collezione di M. G. spiccavano due coltelli kukri con lame ricurve lunghe circa 40 centimetri: queste armi sono in dotazione alle truppe scelte nepalesi gurka, che hanno combattuto al servizio dell'esercito britannico. Presente anche una daga o gladio, il pezzo più pregiato, caratterizzata da una fessura al centro della lama. Il tutto corredato dalla rivista "Coltelli che passione", una pubblicazione italo-francese che tratta con serietà e competenza questa materia. I coltelli sono divisi in quattro categorie: da punta, da taglio (utilizzati da Paracadutisti, Folgore, Nocs), da scuoio (per caccia e pesca) e da lancio (con la lama più pesante del manico).

1 febbraio 1995

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI 1 FEBBRAIO 1995 

"Il calcio sporco che ha ucciso mio figlio

Dopo un giorno di lutto la violenza ricomincerà"

GENOVA - "Possono bloccare le partite, possono venire in 200 milioni al funerale, possono fare quello che vogliono, possono chiedere anche di pensare loro alle spese, ma tanto loro mio fratello non lo conoscevano". Si sfoga Romina Spagnolo, la sorella di Vincenzo, 25 anni, vittima di una morte assurda di una domenica d'orrore. "Noi li ringraziamo, anche oggi manderemo dei fax per ringraziare il sindaco, il presidente del Genoa Spinelli, ma purtroppo è tutto inutile". È inutile ? "Sappiamo benissimo che, se anche questa domenica non si giocheranno le partite, dalla prossima, purtroppo, sarà tutto uguale. Si rispetterà magari un minuto di silenzio, quello che vuole, però sappiamo che poi ricomincerà tutto tranquillamente". Parole disperate, quelle di Romina, raccolte ieri sera dal Tg3, in cui si intrecciano il dolore e l'accusa. "Nessuno si è assicurato di niente, non hanno perquisito nessuno. Esistono i metal-detector. Avrebbero dovuto fare qualcosa". Dice la ragazza, angosciata: "Questa persona è entrata tranquillamente allo stadio, s'è vista il suo primo tempo tranquillamente". E aggiunge: "Loro avevano l'intenzione di far qualcosa, sicuramente. È inutile ruminarci sopra, sicuramente loro volevano far qualcosa, volevano far vedere di essere importanti, che l'avrebbero fatta pagare. Quello che vuole, però sono sicura che avevano l'intenzione di farlo". Ma allo stadio Romina ci è mai andata ? "Ci sono andata. Ho avuto l'abbonamento per un anno, ma penso che non metterò mai più piede in un posto del genere. Mai, anche se dovesse esserci qualcuno di particolarmente caro che gioca. Per me è come se non esistesse più né il calcio né lo stadio né le tifoserie né niente. Basta". Ai microfoni ricorda il fratello e racconta un amore che lo ha perduto: "Lui è nato con la passione per il Genoa, con la passione per il mondo sportivo e soprattutto per il calcio. Era una delle sue passioni più grandi. Noi qui abbiamo anche un cortile e lui giocava sempre lì, aveva sempre il pallone fra i piedi". E domani, a ricordarlo, si riunirà una grande folla: i funerali si svolgeranno nella chiesa di San Teodoro, alle 11.30. Lo ha fatto sapere Bruno Venturelli, ex parroco della chiesa che si affaccia sul porto e figura carismatica del popoloso quartiere genovese, confermando che il rito sarà celebrato dal cardinale Giovanni Canestri. Per l'occasione, è stato sospeso il mercatino rionale che si svolge ogni giovedì nella piazza davanti alla chiesa. I familiari del giovane tifoso hanno rifiutato i funerali in forma ufficiale, preferendo una cerimonia il più possibile privata. Hanno motivato la loro scelta con un biglietto, che hanno inviato al sindaco di Genova, Adriano Sansa, e al presidente del Genoa, Aldo Spinelli. "La famiglia di Vincenzo la ringrazia della calorosa solidarietà - hanno scritto - ma, insieme a tutti gli amici, desidera vivere questo impossibile dolore compostamente e in silenzio". In serata, comunque, Sansa ha fatto sapere che parteciperà al rito con il gonfalone della città, mentre da Milano giungerà il vicesindaco. A Genova, intanto, si stanno susseguendo le iniziative, di raccolta di fondi in favore della famiglia di Vincenzo, in particolare tra gli amici del quartiere e del centro sociale "Zapata", che era uno dei luoghi frequentati dal ragazzo. Anche la parrocchia ha deciso di dare vita a una colletta per aiutare il padre di Vincenzo, Cosimo, che è capocantiere all'Ilva, e la madre Lina, casalinga. E sul luogo dov'è avvenuto l'accoltellamento, ieri mattina, si sono ammucchiati tantissimi mazzi di fiori e qualcuno ha tracciato per terra una scritta: "Vivere nel cuore di chi resta non è morire. Ciao. "Spagna". Firmato: "F.G.". Una sigla che sta per "Fossa dei grifoni", il disciolto gruppo di supporter genoani. Contemporaneamente, nell'istituto tecnico di via Digione - la via dove abita la famiglia Spagnolo - studenti e professori hanno interrotto le lezioni per discutere l'assurdo omicidio che ha gelato l'Italia, e non solo quella del calcio. (r. cri.)

1 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 1 FEBBRAIO 1995 

"Vorrei scrivere una lettera ai genitori del ragazzo che ho ucciso e che ora piangono come me"

"Ho distrutto due famiglie, perdonatemi"

Genova, Simone ricostruisce il pomeriggio da assassino

di Pierangelo Sapegno

GENOVA DAL NOSTRO INVIATO "Chiedo perdono", dice. A papà e mamma, "ai genitori di quel ragazzo, anche. Ho rovinato la vita di due famiglie". Adesso che è fuori dal branco, Simone Barbaglia è come se fosse un altro ragazzo, uno che riconosce la vita e la morte. Non è l'arresto che lo cambia, ma il vuoto che ne deriva. Non c'è più la piazza, non c'è più la curva. È nuovo, il mondo. Dice: "Vorrei scrivere una lettera ai genitori di quel ragazzo che piangono come me". Domenica pomeriggio, quando aveva colpito con il coltello Vincenzo Spagnolo, era ancora uno di loro, uno del branco: "Non so spiegare bene cos'è successo, io ho pensato solo a scappare, dove c'erano i miei amici, dove c'erano gli altri come me. Non è vero che volevo vedere la partita, ormai non me ne fregava più molto. Ma io avevo di fronte una città che non conoscevo e uno stadio che mi aspettava. Ho scelto quello, senza neanche rendermene conto, questa è la verità. Non avrei saputo dove andare, che cosa fare. Ho visto il sangue e sono scappato. L'unica sicurezza me la dava il gruppo. Mi sono infilato il coltello nelle mutande per nasconderlo, e poi ho passato i controlli. Dentro ho ritrovato gli amici. Qualcuno mi ha chiesto cos'era successo, gli ho detto: ne ho ferito uno".

IL TIFO ORGANIZZATO. Lo stadio è il grande ventre, una mamma che protegge. I cori, le grida, la gioia e la rabbia, il mondo della domenica. Simone Barbaglia ha 19 anni fatti di niente, amici che parlano di calcio, anche a cena, alla Pizzeria Sorriso, in via Maratta, dove ci si dava appuntamento, alla Bovisa, la Milano operaia per eccellenza. La Bovisa di Osvaldo Bagnoli, ex del Genoa e dell'Inter, uno che parla di pallone sorridendo, ma si può mai ? Gli scherzi del destino. "Io quando ho visto i carabinieri che mi aspettavano mi sono quasi sentito meglio", confessa a tutti, all'avvocato, al giudice. Gli stavano dietro da dieci ore, i carabinieri. E poi il magistrato è un tifoso milanista, domenica era pure lui allo stadio. Durante una pausa dell'interrogatorio, gli ha chiesto la formazione del Milan e l'ha rimproverato per un errore. Aveva detto che Savicevic era infortunato. Un giudice milanista, un coltello che lo perseguita: perché quando si disfa del suo, se ne trova un altro sotto i piedi. "M'è venuto un colpo, l'ho gettato via con un calcio". Gli hanno chiesto se faceva parte del tifo organizzato. E lui: "Sì, sono stato iscritto alle brigate rossonere. È un'organizzazione che ha una funzione di coordinamento, agevola l'acquisto del biglietto. Insomma, come dire che grazie a loro hai la precedenza. Siccome quest'anno mi conoscevano già, non ho rinnovato la tessera perché non ne avevo più bisogno. Ci sono tre gruppi delle brigate, quello che frequentavo io si radunava alla pizzeria Sorriso". Riceveva biglietti omaggio ? "Io no, però so che c'era chi li aveva. In genere quelli che si danno più da fare per l'organizzazione". Gli hanno chiesto se aveva idee politiche. "No". Se in passato era stato iscritto in qualche movimento: "No, assolutamente. Anzi, non sono nemmeno andato mai a votare". Se aveva partecipato ad altre risse fra tifosi: "Sì, a Pontecurone ero sul treno dei tifosi milanisti che si era scontrato con i sampdoriani. Ma lì fu una zuffa generale, ci trovammo tutti coinvolti".

AMICIZIA. E le amicizie ? "Gli unici amici che ho li ho conosciuti allo stadio". E quelli del barbour ? "Anche loro, li ho conosciuti a San Siro. Indossavamo tutti lo stesso giubbotto, ed è diventato una specie di distintivo. Niente di organizzato". In fondo, quello che racconta Simone è lo specchio di un mondo persino irreale, ragazzi dello zoo, anche questi, disperati, emarginati. Fra di loro c'è una solidarietà sotterranea. Così, si accolla tutte le colpe, Simone: "Ero l'unico armato, non è vero che gli altri avevano coltelli e catene. Solo io ce l'avevo". E quando vede i carabinieri che fermano Cristian, all'uscita dello stadio, gli viene il cuore in gola e dice di star male pure per lui: "Ci eravamo scambiati il giubbotto e lui mi aveva dato il suo, che è questo verde. Eravamo insieme, uno accanto all'altro quando siamo usciti, e ho visto i carabinieri che l'hanno chiamato. M'è venuto male, e ho avuto paura non solo per me. Temevo che potesse aver delle grane per colpa mia e mi dispiaceva. Cristian e io siamo amici veri, abbiamo insieme questa passione per il calcio". E Matteo ? Quello che gli aveva dato il coltello ? "Non era uno dei miei amici più assidui. Era un mio ex compagno di scuola. Tutti nel giro sapevano che lui era un appassionato di armi e che faceva collezioni di coltello".

GENOVA, CITTA' A RISCHIO. Perché aveva deciso di andare armato a Genova ? "Perché è una città a rischio per noi del Milan", dice. Lui era diventato un tifoso rossonero da due anni: "Prima giocavo a pallone e la domenica ero impegnato e non riuscivo ad avere questa frequenza". E adesso ? "Non so".

LA CONFESSIONE. Confessa e parla per ore, prima con i carabinieri e poi davanti al magistrato. L'omicidio ? "Siamo arrivati a Genova, poco dopo l'una. Eravamo in una cinquantina, noi del barbour assieme ad altri tifosi. Siamo andati tutti a piedi verso lo stadio. Non è vero che ci sono stati altri scontri, solo nei dintorni di Marassi siamo stati aggrediti da un gruppo di genoani. Sono scappati tutti. Io sono rimasto solo. Loro avanzavano ed io indietreggiavo. A un certo punto mi sono fermato e ho estratto il coltello sperando di metterli in fuga. Invece lui mi è venuto incontro con il pugno alzato come per colpirmi. Io ho teso il braccio per proteggermi e la lama si è infilata nel ventre". E dopo ? "Ero completamente fuori di testa. Ero nel panico. Sconvolto. Sono fuggito, sono entrato allo stadio. Ho passato il mio coltello a uno che non è del mio gruppo chiedendogli di nasconderlo. Lui lo ha fatto. Lo ha messo in un cartone per il vino. Ho preso posto e ai miei piedi ho visto un altro coltello. Istintivamente gli ho dato un calcio, era come una persecuzione quell'immagine".

L'ARRESTO. Hai seguito la partita ?, gli hanno chiesto. "E come potevo ? Del primo tempo non mi ricordo niente. Non saprei dire nemmeno se il giubbotto l'ho scambiato mentre ancora giocavano o dopo durante le lunghe ore di attesa. A un certo punto mi ricordo solo che ho visto i genoani che ritiravano gli striscioni e gridavano assassini assassini. La radio stava dando la notizia che c'era un morto, e io mi sono sentito subito in colpa. Ho vissuto questa situazione d'incubo fino sotto casa. Ho fatto il viaggio fino a Milano, nel pullman. Ci hanno scaricato alla Centrale e ho ritrovato gli amici. Ero senza soldi. Mi hanno dato un passaggio con un taxi e poi ho fatto un pezzo in motorino con un compagno. Sono sceso a qualche metro da casa. Mi sono incamminato e sotto casa mi hanno bloccato i carabinieri". All'avvocato Stefano Savi lascia l'ultima frase, quella che più di tutte raffigura questa storia incredibile. Dice: "Mi sono svegliato nella realtà, improvvisamente". Genoa-Milan non c'era più.

1 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 1 FEBBRAIO 1995 

"Ma la rissa la volevano tutti e due"

"L'amico del Killer: attore e vittima dello stesso dramma"

di Pino Corrias

MILANO - Tutti qui a chiedersi cosa hanno in testa i ragazzi che da una domenica all'altra possono uccidere o morire davanti a uno stadio, che razza di vita fanno, che razza di pensieri e sogni e impressioni. Norman è l'amico di Simone. Ha 19 anni. È stato suo compagno di scuola, lo era anche di stadio. Come Simone, ha smesso di studiare, lavora in Fiera ("Faccio e disfo stand, se è per questo"). I pomeriggi li passa qui, dentro al viola del "Milanochegioca", sala di videogame sulla via Forze Armate. Visto da fuori Norman ha i capelli biondi, lisci, tagliati a caschetto, una catena finto oro al collo, una camicia a righe aperta sino a metà, una giubba di finta pelle nera, jeans, anfibi, un anello finto oro al mignolo. Visto da dentro è quanto segue. Dimmi cosa pensi di Simone. "Simone non è un assassino. Avete scritto cazzate". Simone ha confessato. "E questo cosa vuole dire ?" Che ha ucciso un uomo. "Chi ammazza non necessariamente è un assassino, anzi un killer, come lo avete chiamato voi giornalisti". E secondo te chi è un killer ? "Un killer è un'altra cosa. Un killer è un pazzo che ammazza la gente per lavoro o per altro". Invece Simone ? "Simone era in mezzo a una rissa, si è trovato lì, avrà avuto paura ed è successo. Ha sbagliato". Di Vincenzo Spagnolo cosa pensi ? "Mi dà fastidio che lo abbiate descritto come un angioletto...". E invece ? "Invece era lì perché la rissa la voleva anche lui. Guarda: se nella rissa fosse morto Simone, anche di Simone avreste scritto che era un angioletto. Tutte cazzate". Cazzate perché ? "Bugie, come le vuoi chiamare ? Io le chiamo cazzate: Simone e Vincenzo facevano le stesse cose, uno è morto, l'altro è in galera". Non ti fa impressione quello che è accaduto ? "Impressione in che senso ?". Senti, Simone non è un killer. Però aveva in tasca il coltello da venerdì. "Lo so. Glielo aveva dato quel ragazzino, Emmegi". M.G. lo hanno arrestato. Anche lui ha confessato, in casa gli hanno trovato sette coltelli che sembrano scimitarre. "Era appassionato di coltelli. E anche di tatuaggi". Si faceva fare dei tatuaggi ? "Non dire cazzate, non ne aveva neanche uno di tatuaggio, non aveva i soldi. Li guardava sulle riviste". Simone aveva detto a M.G.: "Domenica vado a tagliare un genoano". "Avrà detto per scherzare, succede che parlando...". Invece l'ha fatto. "Capita". Capita ? "In quelle situazioni lì, voglio dire". Quali situazioni ? "Durante le risse. A me è successo una volta di entrare allo stadio dalla parte sbagliata e ho preso una cifra di mazzate". E avevi un coltello ? "Se avessi avuto un coltello non ne avrei prese tante, ti pare ?". Sei mai andato allo stadio con un coltello ? "Mai. E se è per questo neanche Simone... Le altre volte...". Però dici che in certe occasioni un coltello servirebbe ? "Oh cazzo, non lo so...". Prendiamo Simone. "Sono sicuro che ce l'aveva per difendersi e pensava che gli sarebbe servito per fare in tempo a scappare". Scappare difendendosi con il coltello ? "Sì, e magari tagliare uno alle gambe, oppure colpirlo da dietro, sul culo, dove fa male, ma non ammazza". Tu sei milanista ? "Ovvio. L'Inter mi sta proprio sul cazzo". Stai dentro a qualche club ? "No. Tanti anni fa qui c'era un club di gente che abita in piazza Bande Nere. Si chiamavano "Bande Nere Rangers", poi si è sciolto. Io vado allo stadio con un po' di amici, come faceva Simone". Vai allo stadio per la partita o per le risse ? "Allo stadio ci sono tutte e due le cose, la partita e le risse". Non c'è differenza ? "Sì, ci sarà anche differenza, però è così. Qualcosa succede sempre, è normale". E durante la settimana parlate di calcio o di risse ? "Di tutt'e due". Chi sono i vostri nemici ? "Ce ne sono un sacco, i Fedayn del Napoli, per esempio, oppure gli ultras giallorossi". Secondo te è giusto che il Campionato chiuda per una domenica ? "Secondo me è inutile, alla prima occasione si ricomincia". Tu hai fatto tante risse ? "Risse non tante, ma la tensione c'è ogni domenica". E Simone ? "Uguale. Lui è uno come noi che se c'è da litigare non è che scappi, ti metti in mezzo, ma questo non è un reato". Hai paura ? "Di che ?" Di andare allo stadio ? "No. Bisognerà guardarsi le spalle, come prima". Li conosci quelli del "gruppo del Barbour" ? "No, non so neanche se esistono. Comunque ce l'ho anch'io, il Barbour, ma mica lo metto per andare allo stadio". Perché no ? "Cazzo, costa mezzo milione".

1 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 1 FEBBRAIO 1995 

Domenica a Genova

"Ultras riuniti contro la violenza"

GENOVA - "Noi siamo contro la violenza". Lo slogan suona così e dovrebbe coinvolgere in un meeting storico domenica a Genova rappresentanze di tutte le tifoserie calcistiche d'Italia organizzate dietro l'appellativo di ultras. Promotrice dell'iniziativa è la ex fossa dei grifoni, e in particolare René Moroni, uno dei capi storici della gradinata Nord. Tutti i gruppi ultras italiani sono stati contattati e la maggior parte ha già dato l'adesione. Sicuramente interverranno quelli di Inter, Parma, Roma, Udinese e Napoli, mentre in queste ore dovrebbero assicurare la loro presenza Bari, Brescia, Cagliari, Cremonese, Fiorentina, Padova, Reggiana, Torino, Foggia, Atalanta, Ancona e Pescara. Qualche problema ancora per mettersi in contatto con la tifoseria della Juventus, mentre dubbi permangono sulla presenza dei milanisti per il timore che qualche esagitato dia vita ad assurde vendette. Tutti gli ultras poi andranno in via Bobbio, dove è stato assassinato Vincenzo Spagnolo, e lì sosteranno un minuto in raccoglimento. (d. b.)

1 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 1 FEBBRAIO 1995 

Una lettera dal carcere Barbaglia chiede perdono

di Massimo Calandri

GENOVA - "Cari mamma e papà di Vincenzo, vi scrivo queste righe per chiedere perdono per quello che ho fatto: non volevo uccidere vostro figlio, lo giuro, e solo adesso capisco la gravità di quanto è successo". Comincia così la lettera di Simone Barbaglia, il diciottenne tifoso milanista che domenica davanti allo stadio di Marassi ha pugnalato a morte Vincenzo Spagnolo, genovese di 25 anni: "Devo trovare il coraggio di spedirla - ha raccontato il ragazzo, da lunedì sera rinchiuso in cella di isolamento in un carcere piemontese - e mandarne una anche ai miei genitori: poverini, chissà che penseranno di me, chissà che faccia avranno fatto quando gli hanno detto che andavo in giro con un coltello in tasca". Manuela Mariani, la madre dell'assassino, e Norberto Amalfitano, il patrigno, hanno paura: temono vendette da parte degli ultras genovesi - c'era chi sussurrava d'una prossima "spedizione" a Milano, protagonisti alcuni tifosi di Genoa e Sampdoria - nella tarda notte di ieri sarebbero state notate alcune auto targate Genova che procedevano lentamente nei pressi della loro casa di via Primaticcio, quartiere del Lorenteggio a Milano. Ai suoi genitori non aveva mai raccontato d'essere uno della "banda del Barbour", e non gli aveva neppure detto d'aver partecipato - nel giugno del '93 - al drammatico scontro tra gli ultras del Milan e quelli della Sampdoria, duemila persone coinvolte in una spaventosa rissa nei pressi della stazione ferroviaria di Pontecurone. Simone Barbaglia quest'anno era già rimasto coinvolto in alcuni incidenti scoppiati durante le trasferte rossonere di Padova, Cremona, Torino e Roma: "Ma solo da spettatore, non ho mai fatto del male a nessuno", ha spiegato al magistrato, che ha confermato come il giovane - ora accusato di omicidio volontario - non fosse stato mai segnalato all'autorità giudiziaria. Fedele al "branco", ha fatto il nome dei suoi amici ma ha giurato che nessuno di loro ha usato violenza: li ha difesi fino all'ultimo, negando che fossero in possesso di altri coltelli. E non ha capito che a tradirlo sono proprio stati loro, che già nella "gabbia" dello stadio "Luigi Ferraris" lo avevano indicato come il responsabile dell’accoltellamento del giovane genoano. Gli si illuminava lo sguardo, parlando del "branco" e della solidarietà dei compagni. Dice che per lui il Milan rappresenta una "fede", ma è inciampato davanti alle domande del sostituto procuratore Massimo Terrile, rossonero tutto d'un pezzo. "Perché Savicevic il Genio non giocava a Marassi ?", gli ha chiesto il magistrato, alludendo al fuoriclasse della squadra di Berlusconi. "Infortunato", ha tirato ad indovinare l’assassino. "Sbagliato, è squalificato". Forse non è un ultrà assetato di sangue, forse dice la verità quando sostiene d'essere stato aggredito, d'aver accoltellato quel giovane sconosciuto solo per difendersi. Ma tra gli investigatori c'è chi ha raccolto elementi che farebbero pensare invece ad un vero e proprio agguato, allestito dai tifosi rossoneri allo scopo di provocare nuovi incidenti: erano trenta-quaranta teppisti, una mezza dozzina dei quali componenti della "banda del Barbour" (dal giaccone che indossavano) che avrebbe fatto da esca, attirando i genoani in un agguato. Il resto degli ultras lombardi, nascosto nei pressi di un vicino istituto scolastico, sarebbe saltato fuori all'improvviso. Intanto nel pomeriggio di ieri i carabinieri genovesi hanno interrogato nella caserma del Forte di San Giuliano altri protagonisti della rissa: entro questa mattina dovrebbero essere denunciati a piede libero 8 milanisti (4 per rissa, 3 per favoreggiamento, uno - il minorenne fermato a Milano - per porto abusivo di coltello), altre segnalazioni all'autorità giudiziaria scatteranno nei confronti dei tifosi rossoblù. L'altra sera, sempre a Milano, è stato recuperato anche il "Barbour" di colore verde scuro che indossava l'assassino e che all'interno del "Luigi Ferraris" aveva scambiato con un giaccone impermeabile dello stesso tipo, ma di colore blu. L'autopsia di Vincenzo Spagnolo, effettuata ieri sera nell'istituto di medicina legale dell'università, ha stabilito che il ragazzo è stato ucciso da una sola coltellata, vibrata dall'addome verso l'alto: di più il perito non dice, ma questo particolare confermerebbe indirettamente che Simone Barbaglia non voleva uccidere il suo "avversario". I funerali della vittima si svolgeranno alle 11.30 di domani, nella chiesa di San Teodoro: il rito funebre sarà celebrato dal cardinale Giovanni Canestri, alla cerimonia assisteranno il sindaco di Genova, Adriano Sansa, il vice sindaco di Milano, Giorgio Malagoli, e una delegazione di consiglieri comunali del capoluogo lombardo; funzionari dei due Comuni reggeranno i gonfaloni delle città in lutto. Ci saranno il capitano del Milan, Franco Baresi, ed altri giocatori rossoneri, il presidente del Genoa Aldo Spinelli e tutta la squadra rossoblù. Presente anche il presidente della Sampdoria, Enrico Mantovani, che ha invitato i suoi giocatori a partecipare all’ultimo saluto a Vincenzo Spagnolo.

1 febbraio 1995

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI 1 FEBBRAIO 1995 

Genova e Milano insieme per salutare Vincenzo

di Paolo Lingua

La famiglia ha rivelato una grande dignità e compostezza. La sorella della vittima: "Non andrò mai più allo stadio". Ieri sera il rosario nella chiesa di S. Teodoro, domani i funerali.

GENOVA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE - La città che è al di fuori delle indagini, il mondo che non vive tra Palazzo di Giustizia, la Questura, i comandi dei Carabinieri, s'è aperta ieri con una commemorazione civile e s'è chiusa con un rito religioso di pietà collettiva. Ha parlato ieri mattina, poco prima delle dieci dinanzi a un Consiglio regionale pensieroso e silenzioso, il presidente dell'assemblea, Gianni Persico: "Ancora una volta - ha detto con tono fermo - una manifestazione sportiva diventa occasione per espressioni di intolleranza e di odio, invece che momenti di unione e di sana emulazione". Il prof. Persico ha ricordato come emblematica la frase pronunciata dal padre di Vincenzo Spagnolo: "Non si può morire a 24 anni per una partita", e ha aggiunto che il problema è troppo grave e troppo serio per limitarsi a una sola prevenzione effettuata dalle forze dell'ordine. "" È necessario che si ripensi in modo serio a dare ai nostri giovani un senso più profondo della vita e della sua sacralità". Il presidente ha chiuso con un pensiero alla vittima, ai suoi familiari e anche a quelli del giovanissimo omicida. Dopo la riflessione civile, la giornata, che è stata per molti aspetti angosciosa e convulsa, s'è chiusa, quasi catarticamente, con il rosario celebrato in un clima di grande dignità e compostezza, nella chiesa, di San Teodoro. C'erano i genitori di Vincenzo Spagnolo, il padre Cosimo, capocantiere all'Ilva, la madre Lina, casalinga, la sorella Simona. È quest'ultima che commenta amara: "Possono raccogliere soldi, venire a migliaia al funerale, effettuare un minuto di silenzio allo stadio. Ma un giorno dopo sarà tutto come prima. Anch'io qualche volta sono andata allo stadio con mio fratello, ma credo che non ci andrò mai più per tutta la vita". E c'era la gente del popolare quartiere, un tempo residenza tradizionale dei marittimi, alla presenza del parroco don Franco che ha detto prima della preghiera collettiva poche frasi: "Penso che Vincenzo ci dica basta. Dobbiamo costruire un mondo di pace, altrimenti la mia morte non sarà servita nulla". Tra i banchi sedeva, in assorta preghiera, don Bruno, che con i suoi 80 anni, di cui cinquanta trascorsi alla guida della parrocchia, ha visto scorrere dinanzi ai suoi occhi gli orrori della guerra e dei bombardamenti, il crollo drammatico di via Digione e le infinite feste in piazza Sopranis per celebrare i liguri illustri e popolari, premiati dallo stesso don Bruno. La chiesa era gremita non solo di parenti e amici, ma anche di tifosi, genoani e sampdoriani, accomunati in un unico dolore, da semplici cittadini e persino dai ragazzi del centro sociale "Zapata" che Vincenzo Spagnolo, entusiasta e generoso, sempre pronto alla solidarietà e alla comunicazione, frequentava abitualmente. Per questo la cerimonia s'è conclusa con un canto di speranza e di resurrezione. La giornata ufficiale è stata contrassegnata ancora da comunicati, da dichiarazioni più o meno istituzionali, ma con i politici - i "nuovi" sono più riservati e meno presenzialisti rispetto agli amministratori della Prima Repubblica - un passo indietro. S'è saputo che domani mattina, sempre nella chiesa di San Teodoro, ci saranno i funerali. La famiglia, che s'è comportata con grandissima dignità e riservatezza, ha insistito che siano semplici, privati e non solenni. Ma la funzione sarà officiata dal cardinale Giovanni Canestri, il vescovo che sa toccare il cuore della gente e che s'era offerto di andare a parlamentare direttamente con i gruppi più facinorosi, domenica scorsa, per convincerli a desistere dalla assurda guerriglia nel segno della vendetta. Una ulteriore ufficialità sarà data alla presenza dei gonfaloni di Genova e di Milano, dopo un colloquio telefonico tra i sindaci Sansa e Formentini, la cui figlia Chiara è presidente del Consiglio comunale. Ci saranno tutte le autorità civili e militari e le bandiere di tutti i club rossoblù e persino blucerchiati: si sta realizzando una singolare coesione tra tutti le isole del mondo sportivo. Ai funerali sarà presente Adriano Sansa accanto al gonfalone, mentre il rappresentante ufficiale di Milano sarà il vicesindaco Giorgio Malagoli, insieme a un folto gruppo di consiglieri comunali.

1 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 1 FEBBRAIO 1995 

Mazzi di fiori, addio Spagna

I tifosi di Genoa e Sampdoria "Bisogna vigilare su tutto e tutti

di Paolo Lingua

GENOVA - Ci sono grandi mazzi di fiori, sempre freschi, che mani ignote depongono sul luogo dove Vincenzo Spagnolo è stato trafitto dall'assurda coltellata. C'è anche una scritta "Vivere nel cuore di chi resta non è morire. Ciao Spagna". Il graffito è siglato "F.G." ovvero "Fossa dei Grifoni", il nome d'una celebre formazione di "ultras" genoani, ora disciolta e riassorbita tra i club. Tutta Genova è scossa e avverte il lutto, nonostante la giornata primaverile e il sole caldo. Ma se la città avverte un evento luttuoso e assurdo, le tifoserie, il mondo degli appassionati e soprattutto i protagonisti del tifo organizzato e dei club vivono un lutto che ha del tribale, così come lo sono i riti collettivi della domenica, quelli ingenui, entusiastici, vagamente salvifici, non certo quelli della violenza, dell'intolleranza e della ferocia assurda. Ieri, forse per la prima volta (con la sola eccezione, dolorosa, ma non drammatica, dei funerali di Paolo Mantovani) i Club genoani e blucerchiati hanno redatto un documento comune. I capi delle tifoserie hanno deciso "di costituire un comitato permanente che si proponga di vigilare sull'operato di tutti gli organi preposti, ciascuno per le sue competenze, affinché tutti si assumano le proprie responsabilità". I tifosi dei club hanno aggiunto che la pausa del campionato di domenica prossima non sia solo un gesto simbolico e una "pausa di riflessione", ma debba essere "l'inizio di una serie di misure e decisioni atte a riportare il gioco del calcio entro i canoni di una civile competizione sportiva". Proseguono, nella parrocchia di San Teodoro e tra i tifosi, raccolte di denaro da offrire alla famiglia; si pensa di dar vita a iniziative sportive che ricordino il povero ragazzo, vittima del tifo. In via Digione, a pochi passi dall'abitazione della famiglia Spagnolo, all'istituto industriale Galileo Galilei, studenti e professori hanno discusso a fondo le cause e le motivazioni del tragico gesto di violenza. Il presidente del Genoa Aldo Spinelli è riuscito solo in tarda serata a visitare la famiglia della vittima. Quando è uscito era commosso, con le lacrime agli occhi. "E' un giorno tristissimo per me. Il giorno più nero della mia vita - ha detto. Ho persino pensato di dare le dimissioni dal Genoa e di lasciare tutto". Spinelli sarà ovviamente ai funerali con i giocatori e l'allenatore accanto ai giocatori del Milan. (p. l.)

1 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 1 FEBBRAIO 1995 

Oggi funerali una città per Vincenzo

di Marco Preve

GENOVA - Sarà un messaggio di speranza quello che arriverà dal pulpito della chiesa di San Teodoro dove questa mattina alle 11.30 si terranno i funerali di Vincenzo Spagnolo. Un appello alla pacificazione pronunciato dal cardinale di Genova Giovanni Canestri che ieri, proprio per trovare le parole giuste si era consultato anche con il cardinale di Milano Carlo Maria Martini. In una città sconvolta dal delitto e dal clima di guerra che non sembra ancora svanito, oltre alle parole di conforto per i famigliari della vittima, si sente il bisogno, come dice don Franco De Marchi parroco di San Teodoro, "di aiutare questi ragazzi a ritrovare la ragionevolezza ed abbandonare l'odio". Un primo segnale in questo senso è stato dato dagli stessi famigliari di Vincenzo. Avevano espresso il desiderio che i funerali si svolgessero in forma privata ma poi hanno accettato la presenza del sindaco Adriano Sansa, delle squadre di Genoa e Sampdoria con i loro presidenti, e delle altre autorità. Le loro riserve erano dettate soprattutto dal timore che le esequie si trasformassero per qualcuno in una passerella nella quale sfoggiare finti sentimenti di solidarietà. Il "no" al Milan e a Matarrese è stato interpretato anche come il gesto di chi vuole evitare che possano sorgere motivi di polemica. La tensione fra il "popolo genoano" che considera Vincenzo una sorta di martire da vendicare è ancora alta. Anche se le dichiarazioni dei club di tifosi organizzati sono tranquillizzanti, si teme che qualche frangia isolata possa provocare dei disordini. È tra l'altro atteso l'arrivo di una delegazione di Leoncavallini che si uniranno ai giovani dello Zapata, il centro sociale frequentato da Vincenzo. Per queste ragioni, e perché si prevede l'afflusso di migliaia di cittadini, sarà massiccia la presenza di poliziotti e carabinieri. I club del tifo hanno chiesto ai cittadini di Genova di esporre lenzuola bianche e bandiere a lutto.

2 febbraio 1995

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI 2 FEBBRAIO 1995 

L’autopsia rivela: non voleva uccidere

GENOVA - "Penso spesso al suicidio" confessa Simone Barbaglia: ha gli occhi gonfi di pianto, ha scritto una lettera al ragazzo che ha ammazzato per chiedere perdono. Al carcere di Chiavari, dov'è rinchiuso in una cella d’isolamento, hanno raddoppiato la sorveglianza. Simone ha chiesto una radiolina per non restare isolato dal mondo, dal "suo" mondo: "Datemela magari per ascoltare la partita del Milan contro l'Arsenal". Ieri mattina è stato interrogato per una decina di minuti dal giudice delle indagini preliminari Giorgio Ricci, che ha convalidato l'arresto e l'accusa di omicidio volontario e rissa aggravata: la premeditazione è tuttavia esclusa e, alla luce dei risultati dell'autopsia, si ipotizza il delitto preterintenzionale ma addirittura l'eccesso colposo in legittima difesa, imputazione per la quale rischierebbe dai 2 ai 5 anni di galera. Dell'intenzione d'uccidersi aveva già detto allo stadio confidandosi con l'amico Matteo, il minorenne che gli aveva fornito il coltello: "Se quel ragazzo è morto per davvero, la faccio finita: come potrò guardare in faccia i miei genitori ?". Al giudice ed al sostituto procuratore Massimo Terrile, che lo ha nuovamente interrogato, ha negato le frasi riportate da Matteo: "Non ho mai detto che avrei tagliato la pancia a un genovese, ma solo che i tifosi del Genoa erano dei "duri" e che dovevamo stare attenti". Ha poi ripetuto d'aver colpito Vincenzo Spagnolo per difendersi: "Me lo sono visto arrivare addosso, lui era disarmato: ho alzato il coltello per spaventarlo e lui ci si è gettato contro. Ma quando sono scappato era ancora in piedi, credevo d'averlo ferito appena". Ieri ha potuto incontrare madre e padre, li rivedrà oggi: Manuela Mariani e Norberto Amalfitano hanno ricevuto delle minacce di morte, e con loro l'avvocato di Simone, Stefano Savi. ECCO LA LETTERA - A Vincenzo. Insieme abbiamo forse condiviso una malintesa passione per il calcio. Tu per questo potrai capirmi. Non volevo ! Non volevo ! Ora sono qui, solo, con la mia disperazione e il dolore per quanto ti ho fatto, cerco coraggio per sopportare la giusta punizione. Perdonami, fallo tu che mi puoi capire. (m. c.)

2 febbraio 1995

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI 2 FEBBRAIO 1995 

Una lettera di Simone all'ucciso Vincenzo Spagnolo, confermata l'accusa di omicidio volontario

"Sono disperato, perdonami"

Poi smentisce l’amico: non ho mai detto che volevo tagliare un genoano

 di Camillo Arcuri

GENOVA - Il foglio bianco non ha una piega, è fin troppo in ordine, come pure le poche righe scritte a mano, con una grafia priva di incertezze, senza la minima cancellatura. Non c’è traccia, almeno in apparenza, del tormento leggibile invece nel testo, nelle parole di pentimento che Simone Barbaglia, il tifoso killer di Marassi, ha voluto indirizzare direttamente all’altro ragazzo, Vincenzo Spagnolo, quello ucciso, quasi soltanto lui potesse comprenderlo. "A Vincenzo. Insieme abbiamo forse condiviso una malintesa passione per il calcio. Tu per questo potrai capirmi. Non volevo ! Non volevo ! Ora sono qui solo con la mia disperazione e il dolore per quanto ti ho fatto. Cerco il coraggio per sopportare la giusta punizione. Perdonami. Fallo tu che mi puoi capire. Simone". La lettera aperta è uscita ieri dal carcere di Chiavari, dove per ragioni di sicurezza si è svolta l’udienza per la convalida dell’arresto. È stato il magistrato, Giorgio Ricci, a recarsi nella sala colloqui del piccolo carcere chiavarese. Una decina di minuti; non è occorso oltre, data la confessione, per confermare stato di detenzione e accuse: di omicidio volontario e rissa aggravata. Subito dopo è cominciato un secondo e ben diverso interrogatorio, protrattosi per quattro ore, durante le quali Barbaglia, apparso non poco scosso e pur lucido, ha dovuto rispondere a una serie di nuove contestazioni del pm Massimo Terrile. A cominciare dall’ormai famosa frase, "Dammi quel coltello che domenica taglio un genoano", riferita dall’amico minorenne che gli prestò l’arma. "Non è vero, lui si confonde, non ho mai detto una cosa del genere", ha negato con forza il giovane omicida. Ma è vero che voleva già comprarsi un coltello "a farfalla" per andare armato alla partita ? "Quando ho accompagnato in armeria il mio amico che colleziona armi bianche, risponde, non avevo né i soldi né l’intenzione di comprare niente". La ricostruzione si sposta sugli attimi fatali dello scontro. E lui mima la scena: fuggiva - "Mi ero trovato isolato e temevo di essere sopraffatto" - quindi si gira di colpo estraendo il coltello. Fa l’atto di protendere la lama: "Per spaventarlo, fermarlo, ma Vincenzo - lo chiama per nome - correva, mi era ormai addosso e c’è finito sopra...". Gli fanno ripetere più volte il gesto, per confrontarlo con gli esiti, non ancora ufficialmente noti, dell’autopsia che pare attribuisca la morte a un colpo vibrato dal basso verso l’alto con estrema violenza. "No, lui era a mani nude, non aveva né bastone né altro; solo che erano in parecchi e ho avuto paura", conferma il tifoso milanista, smentendo uno del clan che diceva di aver visto gli avversari armati. Poi parla del dopo, del panico che lo ha sopraffatto alla vista del sangue, per cui è fuggito cercando rifugio nella gradinata Sud. Qui, quando si sparse la notizia della morte del genoano ferito, e l’opposta gradinata tuonava "assassini, assassini", c’è chi lo ha visto disperarsi. È vero che parlava di farla finita ? "Sì, ora lo ricordo, non potevo sopportare il peso di tutto questo...". Altre domande: ha chiesto aiuto al Barone (capo del tifo rossonero) ? "Non so neanche chi sia. Col tifo ho chiuso e non solo perché sto in prigione: è un mondo che non mi appartiene più". Era di destra, urlava slogan razzisti ? "Non so niente di politica; non ho ancora votato...". Stamane, al funerale nella chiesa di San Teodoro, davanti alla Lanterna, la famiglia ha chiesto solo che partecipino i giocatori delle due squadre cittadine. Celebrerà il rito il cardinale Giovanni Canestri che farà eco all’appello lanciato ieri dal Papa per fermare "la violenza che con episodi anche tragici, si registra sempre più di frequente in occasione di incontri sportivi. La gioia, ha concluso il Papa, deve ristorare, non distruggere".

2 febbraio 1995

Fonte: Il Corriere della Sera

ARTICOLI 2 FEBBRAIO 1995 

Rabbia e lacrime di un padre

di Eleonora Bertolotto

GENOVA - Una carezza interminabile sulla fronte del figlio, come si fa con un bambino nella culla. La giornata di Cosimo Spagnolo, il papà di "Spagna", ieri è passata così, tra le lacrime, nella piccola camera ardente allestita nell’obitorio dell’ospedale "San Martino". Senza una parola, con lo sguardo ora sul volto gelido di Claudio, ora sulla gente che continuava ad arrivare, composta, con gli occhi lucidi, portando fiori. Uno sguardo che parlava: "E' qui, morto. Vi sembra possibile ?" Il dolore di questa famiglia è stato, nei giorni scorsi, impenetrabile. Cosimo Spagnolo l’ha rotto una sola volta, ieri, davanti alle telecamere di una televisione spagnola. Ha preferito quella strada, spiega un parente, per evitare strumentalizzazioni, e perché la preoccupazione di tutti è di non inasprire gli animi. Dice Cosimo Spagnolo: "Abbiamo scelto il silenzio, perché non c'è nulla da dire su una tragedia così grande. Posso fare solo una domanda: si deve morire a vent'anni per una partita ? Io credo di no, è una fine inaccettabile". Una giornata di lutto dello sport, domenica prossima. È d'accordo ? "Non io sono d'accordo, sono d'accordo cinquanta milioni di italiani. Un solo italiano non lo è". Chi non è d'accordo, signor Spagnolo ? "Lo sanno tutti: è Matarrese". E lei cosa pensa ? "Dio mio, non ho parole". L’altra notte, mentre i compagni del Centro sociale "Zapata" si riunivano nella loro sede nei vicoli, la sorella minore di Vincenzo Claudio Spagnolo ha portato alle agenzie di stampa un comunicato: "La famiglia e gli amici ringraziano sentitamente per la solidarietà dimostrata da tutta Italia, ma, al fine di evitare inutili tensioni, chiedono che ai funerali partecipino solo le squadre genovesi. Ringraziano tutte le autorità, ma chiedono anche a loro di astenersi dal presenziare". Ieri, i toni sembravano essersi ammorbiditi. Monsignor Bruno Venturelli, che per anni è stato il parroco dell’abbazia di San Teodoro, dove oggi si svolgono le esequie, è venuto a portare al padre il messaggio del sindaco di Genova, Adriano Sansa, e del vicesindaco di Milano, Malagoli: "Mi hanno detto che vorrebbero partecipare come semplici cittadini", riferisce il prelato. Cosimo Spagnolo ha allargato le braccia: "Dica che possono venire tutti". Per l’intera giornata, accanto alla salma, hanno vegliato i familiari: con il padre Cosimo, la madre Calogera e la figlia Simona. C'erano anche la nonna materna, Maria, e i nonni paterni, Vincenzo e Maria Grazia. Centinaia e centinaia di persone: San Teodoro, che è un quartiere popolare e molto solidale, si è mobilitato in massa. Tutte le strade erano tappezzate di manifesti con una grande foto di Claudio e una lettera aperta, scritta dai suoi amici: "Hasta siempre, Spagna !". Nessuna autorità. E del mondo sportivo, a parte i genoani e i sampdoriani delle gradinate, solo il segretario del Genoa, Benti, e il segretario generale, Scapini. Hanno portato undici maglie genoane, che sono state stese sulla bara, come una grande, calda, coperta rossoblù.

2 febbraio 1995

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI 2 FEBBRAIO 1995 

Genova, nuovo interrogatorio per il tifoso: al giudice ha chiesto una radio per ascoltare Arsenal-Milan

"Vincenzo, non volevo ucciderti"

Dalla cella Simone scrive alla sua vittima

di Pierangelo Sapegno

CHIAVARI DAL NOSTRO INVIATO - "A Vincenzo". Il ragazzo di curva ha preso carta e penna e ha scritto a uno come lui. Da Simone a Vincenzo. Dall'assassino alla sua vittima. "Insieme abbiamo forse condiviso una malintesa passione per il calcio. Non volevo ! Non volevo ! Ora sono qui, solo, con la mia disperazione e il dolore per quanto ti ho fatto. Cerco coraggio per sopportare la giusta punizione. Perdonami. Fallo tu che mi puoi capire". Una scrittura infantile, rotonda, larga, con righe distanziate. Stefano Savi legge le poche frasi stretto dal grappolo di giornalisti, davanti alle mura del carcere di Chiavari. Il gip Giorgio Ricci l'ha sentito dieci minuti e ha convalidato l'arresto e le accuse: omicidio volontario e rissa aggravata. Ma quando lo avvicinano i cronisti, lascia parole dolenti: "Sono sconvolto, è uno normale, non certo teppista. Sembra un ragazzo che si è svegliato nella realtà, così, all'improvviso, solo adesso, e che si trova di fronte non il calcio, la tv e le sue finzioni, ma il mondo vero". Il fatto è che questa storia, dopo aver gettato fuori tutta la sua violenza, s'è riempita di un'atmosfera ambivalente, di un'aura strana, come se mischiasse insieme tutti i nostri sensi di colpa e i dolori delle vittime, e la freddezza della giustizia. Simone Barbaglia piange e si dispera, poi chiede: "Ma quanto rischio ?" Sui giornali, c'è scritto trent'anni, dice. Ne ha voluti un po', alcuni di Milano e uno sportivo, quello che leggeva sempre quando il calcio era solo una passione. E ha chiesto la radio per stasera, perché sperava di sentirsi Arsenal-Milan. Il tifo è duro a morire. E anche i sentimenti della curva, gli amori accecanti, gli odii e la divisione manichea del mondo che rappresentano, sono duri a morire. Così, nella sua cella d'isolamento del carcere di Chiavari, Simone Barbaglia avverte tutta la condanna e l'ostilità di una città e della sua gente. Di una parte. Sa, ovviamente, che non lo perdonano i tifosi; sa che non lo perdonano i genitori di Vincenzo. Così vero che la famiglia Spagnolo non ne vuole nemmeno sentir parlare: "Né oggi, né mai. È troppo assurdo quello che ha fatto", dice mamma Rina in lacrime. L'unico che può capirlo è il ragazzo di curva che non c'è più, quello che è caduto sotto il suo coltello. È come se la morte avesse unito la vittima e il suo carnefice. E poi, si lamenta il suo avvocato, attorno non è rimasto che l'odio: "Sono preoccupato per lui e per la sua famiglia. Sono minacciati di continuo, e persino il mio studio è bersagliato da telefonate". Così, quando al sostituto Massimo Terrile, che lo riascolta dopo le ultime novità dell'inchiesta, ripete la sua versione dei fatti, Simone quasi dispera: "Nel momento in cui mi sono voltato, io gliel'ho mostrato bene, il coltello, gliel'ho fatto vedere bene come per dirgli stai attento, finiamola qui che ti conviene. E lo tenevo all'altezza della vita, davanti al suo petto. Ma perché m'è venuto incontro ?" Come a voler dire che se Vincenzo non l'avesse fatto, si sarebbero salvati, lui e la sua vittima, per una domenica ancora. Gli amici sentiti dagli inquirenti hanno raccontato che subito dopo il delitto Simone era salito in curva bianco come un cencio e così disperato da continuare a ripetere come un ossesso: "Mi ammazzo, mi ammazzo, mio Dio che cosa ho fatto ?". Nasce anche da questo un sospetto dei carabinieri: che in realtà la curva non l'abbia solo nascosto, ma che abbia addirittura organizzato la sua protezione. Simone forse era stravolto, perso. Hanno davvero pensato loro a tutto ? Certo è che fino adesso Barbaglia tende a negare responsabilità altrui. E che, dall'altra parte, sale il numero degli indagati: sono nove, ora. Due denunciati per favoreggiamento d'omicidio e rissa aggravata, gli altri sette solo per rissa. Ma il lavoro dei carabinieri di Genova guidati dal colonnello Maiorano continua: e ieri, alcuni di loro in borghese hanno seguito i tifosi del Milan a Londra per la partita con l'Arsenal. Nella mattina, durante l'interrogatorio, Massimo Terrile, il magistrato che coordina l'inchiesta, gli ha elencato i nomi dei capipopolo di San Siro per capire se ne conosceva qualcuno. "Non so chi siano, non conosco nessuno", ha ripetuto Simone. "Nemmeno Barone". E poi ripete per l'ennesima volta le fasi del delitto e della fuga, le lunghe ore della paura. Il giubbotto ? "Sono stato io a chiedere a Christian di scambiarlo. È stato un gesto spontaneo". È più preciso, questa volta ricorda meglio. "Lo scambio è avvenuto prima della partita, appena dentro lo stadio", dice. E quello al quale hai consegnato il coltello ?, gli chiedono. "Non era uno del gruppo, lo conoscevo di vista, perché ci vedevamo qualche volta alle partite". Allora, gli hanno fatto rivedere tutte le 924 foto dei tifosi che erano con lui domenica nella Gradinata Sud di Marassi. Lo trova: "E' questo", dice. Nega di aver pronunciato la frase ricordata da Matteo, l'amico minorenne fermato dagli inquirenti perché gli aveva prestato l'arma del delitto: "No, non ho mai detto che volevo un coltello per tagliare un genoano". E poi, Matteo, ripete, non è un suo amico. "Solo un ex compagno di scuola". E quelli del barbour ? "Siamo una ventina. Ma quelli con cui sono più affiatato sono solo sei o sette". Dura più di tre ore l'interrogatorio, e durante una pausa, Terrile parla con lui di calcio. Gli chiede: "Ma ci vorresti tornare a San Siro ?". E lui: "No, allo stadio non voglio proprio più andarci. Per me, questo è un discorso chiuso". L'ultima partita resta quella che ha fermato il calcio, Genoa-Milan. Oggi, invece, si fermerà Genova, in coda dietro la salma di Vincenzo Spagnolo. Da ieri mattina, hanno allestito la camera ardente al San Martino, in una stanza piccolina, la numero sette. Lungo le pareti, fiori e corone. Un nastro: "Ciao Spagna, da tutti i tuoi amici".

2 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 2 FEBBRAIO 1995 

"E' un delitto premeditato. Non lo perdoneremo mai"

di Pierangelo Sapegno

GENOVA - Casa Spagnolo. Il giorno prima del funerale. Al telefono, una voce rotta e toni dolenti. Risponde la zia di Vincenzo, Laura, che parla a nome dei genitori. Signora, l'assassino di Vincenzo ha scritto una lettera, lo sa ? "A noi ?". No, a Vincenzo. Posso leggergliela ? "Guardi, per noi, è altro dolore. Solo quello. Vincenzo non c'è più. A cosa serve scrivergli adesso ?". Simone Barbaglia gli chiede perdono... "Non c'è niente da perdonare". Dice così, il ragazzo, nella sua lettera: non volevo, cerco coraggio per sopportare la giusta punizione. Perdonami. Fallo tu che mi puoi capire. Ecco, questo scrive. Davvero non si può perdonare ? "Forse è ancora presto per risponderle: il fatto è che la nostra ferita è aperta e fa male. Se lei me lo chiede adesso, però, io penso che non sia perdonabile. Perché per me è stato un atto premeditato, un delitto cercato. È venuto a guardare una partita di calcio con un coltello in tasca. È mai possibile ? Prima la giustizia faccia il suo corso, e poi...". E poi ? "Senta, Vincenzo era un ragazzo pieno di vita, generoso. Chieda in giro, senta cosa dicono di lui. Non era solo un bravo ragazzo. Per noi, per chi lo conosceva era qualcosa di più. Un ragazzo onesto e buono come il pane. Cominciava a vivere. Era in attesa di lavoro, forse lo stava trovando. Aveva una ragazza, una bravissima ragazza, Raffaella. Povero Vincenzo. Lui non avrebbe mai ucciso nessuno. E domenica era a mani nude, disarmato". Signora, domani ci sono i funerali. È vero che non volete nessuno ? "Ma no, nella maniera più assoluta". Non li volete in forma privata ? "Come si fa, è logico che vogliamo tutti gli amici di Vincenzo, tutti quelli che gli hanno voluto bene". Ci sarà una folla, allora ? "Certo. Devono venire tutti a salutare Vincenzo. Penso che Vincenzo sarà contento di vedere quanta gente si è stretta attorno a noi e a lui per salutarlo. Tutto questo calore ci è di grande conforto per superare questa tragedia. E se ci saranno le autorità, servirà a dare maggiore importanza a questo avvenimento nella speranza che un simile atto non debba più ripetersi". E sperate che vengano anche i giocatori ? "Sicuramente. Sarebbe il più grande regalo per lui. In fondo era la sua passione, il calcio. Anche le autorità, anche i calciatori, non è vero che non vogliamo che vengano...". Pure quelli del Milan ? "Ah... il Milan...". Quelli no ? "Ma sì. Sì, invece. Anche quelli del Milan. Loro non c'entrano". Signora, voi siete d'accordo che domenica non si giochi ? "Ormai Vincenzo non c'è più. E non c'è niente di tutto questo che può farcelo ritornare. Non lo so. Credo sia una forma di rispetto doverosa". I genitori di Simone si sono fatti vivi con voi ? "No, per carità. Capiamo il loro dolore, perché siamo genitori anche noi. Ma è già dura così, non riusciremmo proprio a parlarci". Allora, niente perdono ? "Dobbiamo farci forza. Ma perdonare no, non si può. È troppo assurdo. Lei sarebbe capace di perdonare uno che uccide suo figlio per un odio senza senso ?". È solo il suo pensiero ? "Oh no, non credo proprio. È quello che pensiamo tutti noi". Oggi non ce la fa. E domani ? "Domani. Prima, deve morire il dolore dentro. Però, per questo dolore non penso che ci sia domani. La vita è tutto. Non lo perdoneremo mai".

2 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 2 FEBBRAIO 1995 

La famiglia chiede di non strumentalizzare la cerimonia: "Deve essere solo un momento per stringersi attorno a noi".

"Addio Spagna". Ore 11.30, Genova si ferma

II cardinale Canestri celebra le esequie del tifoso ucciso

di Paolo Lingua

GENOVA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE - Oggi alle 11.30 si ferma tutta Genova, con il cuore e con la mente. Alle 11.30 il cardinale Giovanni Canestri, affiancato dai Canonici Lateranensi, l'ordine religioso che regge la chiesa di San Teodoro da più di cinque secoli, salirà all'altare per celebrare le esequie di Vincenzo Spagnolo, il giovane di 24 anni accoltellato domenica scorsa nei pressi dello stadio Luigi Ferraris, poco prima dell'incontro Genoa-Milan. Non saranno funerali "strettamente privati". Anche i familiari, affranti, hanno capito che ormai la vicenda del loro congiunto barbaramente assassinato fa parte del patrimonio collettivo e della cronaca della città. Anzi è un episodio che ha scosso le coscienze di tutti gli italiani, tifosi e no. I familiari hanno fatto sapere ieri, in serata, che "il funerale deve essere solo un momento per stringersi attorno a noi. Per questo, per evitare tensioni che potrebbero stravolgere il vero significato della funzione, ribadiamo l'invito a non strumentalizzare la cerimonia per qualsiasi scopo di parte". Nella chiesa ci saranno quindi il sindaco di Genova con il gonfalone, il vicesindaco di Milano, le squadre del Genoa e della Sampdoria, molti dirigenti, tutti i club di tifosi delle squadre liguri e non solo liguri. Il coordinamento dei club genoani hanno lanciato un appello: "Si invitano i cittadini di tutta Italia a dare un forte e deciso segnale contro la violenza e, soprattutto, in segno di solidarietà con la famiglia del giovane così tragicamente scomparso a esporre ai balconi o alle finestre sciarpe, striscioni, drappi o un lenzuolo bianco". La giornata dolente è cominciata ieri mattina all'alba, quando è cominciato il conto alla rovescia delle ore amare che separano dall'estremo addio a Vincenzo Spagnolo. È stata aperta all'alba, dopo il permesso definitivo dell'Istituto di medicina Legale dell'Università di Genova, la camera ardente presso l'obitorio, dove è stato esposto il feretro. Le spoglie dello sventurato giovane sono state composte in una cameretta, la numero 7: ai piedi della bara sono stati deposti numerosi mazzi di fiori e alle pareti sono state appese due corone, una della quale con la scritta: "Ciao Spagna da tutti i tuoi amici". I familiari - il padre, la madre, la sorella, una zia che con coraggio ha svolto il ruolo di portavoce della famiglia - si sono fermati a lungo. C'è stata per tutta la giornata una presenza discreta e commossa di amici, tifosi, semplici cittadini. Non si sono creati assembramenti, le visite sono state composte, brevi, in un silenzio religioso. La camera ardente resterà aperta ancora domani mattina sino a poco prima dei funerali. II clima di solidarietà si avverte in città in tutti gli ambienti: persino la istituzione sportiva più blasonata della città, la più distante, non solo materialmente, ma anche psicologicamente, dal mondo popolaresco del calcio, lo Yacht Club ha annullato in segno di lutto le regate già previste per sabato 4 e per domenica 5: saranno posticipate all'1 e al 12 febbraio. Analoghe adesioni sono venute un po' da tutti gli ambienti: dal rugby, dal basket, dalla pallavolo, dall'atletica, dal nuoto. Ci saranno anche gli amici delle attività "alternative", quelli del centro sociale "Zapata" e persino gli studenti di Lettere, quelli dell'Aula M, che la scorsa notte hanno chiuso l'occupazione degli uffici adiacenti alla presidenza. Per questo si teme non tanto per l'ordine pubblico, quanto piuttosto per i rischi di ingorgo del traffico. La chiesa di San Teodoro è ubicata proprio sulla strada - unica - che collega il centro cittadino con i quartieri di Ponente e della Val Polcevera. Per evitare il rischio d'una città divisa in due, i vigili urbani e l'amministrazione comunale ieri sera hanno lanciato un appello: per venire ai funerali usate il bus, oppure un mezzo a due ruote, lasciata la macchina a casa. Un ingente schieramento di vigili e di polizia stradale è stato già dislocato sin dalle 8 di questa mattina in via Milano e in tutta la zona di Di Negro. Ma ieri in Comune e negli uffici pubblici si è anche pensato ai provvedimenti urgenti per contenere i possibili inconvenienti futuri allo stadio. Il sindaco Sansa e il prefetto Marino, dopo una riunione, hanno avanzato l'ipotesi di ridurre i posti allo stadio e di smantellare immediatamente il "gazebo" che si trova dinanzi al campo dai tempi dei Mondiali. Si dovrebbe così realizzare subito la recinzione esterna che dovrebbe consentire un deflusso controllato degli spettatori.

2 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 2 FEBBRAIO 1995 

APPELLO DAI TIFOSI

"Un gesto di solidarietà"

Un invito a tutti i tifosi italiani ad esporre a finestre e balconi bandiere, striscioni, sciarpe o semplicemente un lenzuolo bianco, in occasione dei funerali di questa mattina di Vincenzo Spagnolo, il giovane tifoso ucciso domenica scorsa con una coltellata poco prima dell’incontro di calcio Genoa-Milan, è stato avanzato dal comitato di coordinamento dei club genoani. Nel comunicato i rappresentanti della tifoseria invitano, inoltre, "i cittadini di tutta Italia a dare un forte e deciso segnale contro la violenza e soprattutto un segno di solidarietà con la famiglia di Vincenzo Spagnolo". Sempre la tifoseria genoana, intanto, ha allo studio l'organizzazione di un grande raduno, a Genova, per domenica prossima, di tutti i rappresentanti delle tifoserie organizzate. "Dall’invito - precisano - abbiamo escluso quella milanista per ovvi motivi di opportunità". Questo raduno sostengono gli organizzatori, che dovrebbe svolgersi allo stadio Luigi Ferraris", se verrà concesso e se ci saranno tutte le autorizzazioni, dovrà stabilire un punto fermo, dire basta alla violenza e far sì che dalla tragica morte di Vincenzo Spagnolo nasca un nuovo modo di andare allo stadio. (a. l.)

2 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 2 FEBBRAIO 1995 

Simone ha scritto a Vincenzo

Chiavari: oggi in carcere incontra i genitori

CHIAVARI - Lunedì scorso, tardo pomeriggio. Tre "gazzelle" dei carabinieri, provenienti da Genova, attraversano il centro di Chiavari a tutta velocità. Sembrano rincorrersi. Per poco, una di queste auto non investe una passante. Su una delle tre "gazzelle" c'è Simone Barbaglia, il tifoso milanista che il giorno precedente ha ucciso con una coltellata all'esterno del "Ferraris" il genoano Vincenzo Spagnolo. Il trasferimento dalle carceri di Marassi è stato dettato da ragioni di sicurezza. "Speravamo non lo veniste a sapere", ha detto ieri mattina ai giornalisti l'avvocato difensore dell'omicida, Stefano Savi. La notizia del trasferimento è stata sulle prime smentita: si è parlato di un carcere del Basso Piemonte, per depistare. Ma Chiavari, che è in fondo come un piccolo paese, già sapeva. Così i chiavaresi, ieri mattina quando decine di giornalisti hanno sostato per ore davanti al carcere di via al Gasometro, non sono stati colti di sorpresa. Mentre dietro le mura della casa circondariale si teneva l'interrogatorio dell'omicida da parte dei magistrati che conducono l'inchiesta, la città già ne parlava. Al Gran Caffè Defilla, principale crocicchio di Chiavari, sembrava di stare in una sala stampa. I contenuti dell'interrogatorio i chiavaresi li leggeranno oggi sulle cronache nazionali dei giornali. Verranno così a sapere della ideale lettera che Simone ha scritto, in carcere, alla sua vittima: poche righe, vergate con una penna stilo e con una calligrafia perfetta. Forse troppo perfetta. Sapranno che si è pentito e che si era pentito già allo stadio, subito dopo il delitto, quando avrebbe manifestato l'intenzione di suicidarsi. Dal carcere Simone, che è in isolamento, che può leggere i giornali ma non guardare la tivù, ha fatto sapere che gli farebbe piacere avere una radio, per avere un po' di compagnia. E che quella frase, "Andrò a tagliare un genoano", lui non l'ha mai detta. È accusato di omicidio volontario e di rissa aggravata, è addolorato e depresso secondo il suo avvocato. Lui, quel coltello, l'aveva portato con sé per difendersi: così ha fatto, con Spagnolo. Stamane Simone incontrerà in carcere i suoi genitori, che l'avevano già abbracciato, con la pena nel cuore, l'altro ieri. (f. p.)

2 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 2 FEBBRAIO 1995 

Blitz in tv

Sotto sequestro tutti i filmati

GENOVA - Non sono ancora finite le indagini di carabinieri e polizia per individuare eventuali altri complici nell'assassinio di Vincenzo Spagnolo. Oltre ai tifosi milanisti fermati nel capoluogo lombardo dopo l'arresto di Simone Barbaglia, 19 anni, omicida reo confesso, potrebbero scattare altri provvedimenti di custodia cautelare nei confronti dei giovani che sono stati protagonisti della domenica di sangue a Marassi. I carabinieri hanno infatti realizzato un "blitz" nelle sedi di tutte le televisioni private genovesi allo scopo di raccogliere altre informazioni. In particolare sono state chieste tutte le registrazioni di domenica pomeriggio. Si tratta di centinaia di minuti di riprese realizzate dagli operatori delle televisioni private dalla tribuna stampa e dai corridoi all'interno dello stadio. I carabinieri ieri pomeriggio hanno già cominciato a passare al setaccio le immagini. Probabilmente per individuare gli altri componenti del gruppo dei tifosi milanisti che hanno aggredito i genoani. Non è escluso che le forze dell'ordine vogliano fare chiarezza anche sugli incidenti del dopopartita. Quando, cioè, centinaia di tifosi genoani hanno reagito con violenze alla notizia della morte del compagno di gradinata. Domenica erano state danneggiate decine di auto intorno allo stadio Ferraris e alcune erano state date alle fiamme. Anche i cassonetti della spazzatura erano stati bruciati dai tifosi genoani. Da registrare un intervento dell'on. Raffaele Costa, ex ministro della Sanità, esponente dell'Unione di centro. Costa ha parlato di "eccessiva rumorosità" in quanto "l'episodio, pur gravissimo, può giustificare forte emozione ma non le urla, improvvise ed improvvisate, le grida scomposte degli inerti di ieri su un fenomeno conosciuto da anni e che non aveva scosso più di tanto le autorità politiche, amministrative, sportive". (f. gr.)

2 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 2 FEBBRAIO 1995 

A Genova folla di ultras e calciatori. I genitori del tifoso ucciso non perdonano il killer

"Per Vincenzo un funerale pagano"

Il parroco si ribella: in chiesa come allo stadio

GENOVA - Sotto il cielo grigio di Genova, Vincenzo sparisce nella curva, tra la sua gente, tra sciarpe e colori. Ma questo è uno spettacolo del dolore: la curva affolla il sagrato di una Chiesa, le campane suonano a morto. Ed è uno strano funerale. Don Bruno, il parroco, si ribella: "Oggi il mondo pagano ha trionfato sul sacro: viviamo in un mondo sbagliato che ha smarrito tutti gli ideali e i valori. Si vive di sensazioni, di tv, di ribalta. Non è giusto". Quando la salma esce dalla Chiesa e si ferma prima di scendere nella piazza, l'applauso è triste, non forte. La salma di Vincenzo Spagnolo si allontana quasi di nascosto, inseguita solo da un grappolo di compagni del circolo Zapata. Va via così, il ragazzo di curva assassinato con una coltellata, domenica: quasi dimenticato, nell'applauso che accompagna i suoi idoli. La messa finisce, Gullit va a baciare i genitori, che non perdonano il killer.

3 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 3 FEBBRAIO 1995 

Funerali da militante per un amico di quartiere

di Gianni Mura

GENOVA - Ciao Claudio. Hasta siempre Spagna. Forse è vero che proprio quelli più colpiti dal dolore trovano le parole giuste, chiare, che vengono fuori automaticamente, come le lacrime. Vincenzo Spagnolo per l’anagrafe e la cronaca, per la famiglia e gli amici Claudio, Spagna per i compagni del centro Zapata. Tre modi per chiamare un ragazzo ammazzato fuori da uno stadio. Non è solo la Genova del tifo a salutarlo, Fossa dei grifoni e Ultrà doriani uniti nel servizio d'ordine insieme agli zapatisti. È la Genova degli studenti con gli zainetti, delle donne con i sacchetti del supermercato, è il quartiere di San Teodoro, zona di portuali, i moli davanti, oltre la strada, la chiesa tra un mercato rionale e la ferrovia. Cielo basso e grigio di nuvole fiamminghe, già due ore prima del funerale davanti alla chiesa è tutto pieno di gente. Prima che la bara lasciasse la camera ardente, la numero 7 all’ospedale di San Martino, il presidente regionale del Coni ha consegnato ai genitori di Vincenzo una lettera di Pescante. Cosimo e Calogera Spagnolo, fa sapere un amico, hanno molto apprezzato l’iniziativa di fermare lo sport, domenica, così come continuano a non capire l’atteggiamento di Matarrese. Ma tanto cosa cambia ? Per quei contrasti voluti dal caso, alle porte della chiesa ci sono dei manifesti dove c'è scritto: "Ogni figlio è un dono. Giornata per la vita. Domenica 5 a Campomorone". Ma questa è una mattina di vita perduta, di vite che si guardano e girano intorno a un perché. Vallo a spiegare che ogni figlio è un dono a quelli che l’hanno perso, e salgono i gradini di traverso, tenendosi abbracciati. Cosimo Spagnolo ha la faccia e le mani di chi ha sempre lavorato. Come tutti, nel quartiere. Sul fianco della chiesa ci sono scritte vecchie: meno soldi ai mondiali, più servizi sociali, siglate Aut. Op. Sciarpe rossoblù, sciarpe doriane, sciarpe del Napoli, del Torino, della Reggiana, del Parma, della Roma, del Verona. Quel bastardo adesso si pente, dice un ragazzo con la coda di cavallo, ma se non vuoi ammazzare il ferro lo tieni basso. Una zia di Vincenzo sta male, la portano fuori dalla chiesa in barella. Dentro, insieme, sono andati tutti i giocatori di Genoa e Samp, con allenatori e presidenti. C'è tutta la famiglia Mantovani. Il Milan ha mandato Buriani, Montanari e Zagatti. Vedo Pieri, l’ex arbitro. C'è Leo Grosso per l’associazione calciatori. C'è Fabio Fazio in mezzo a quelli della Fossa che gli dicono grazie, ancora grazie per aver interrotto la trasmissione. Gullit è il primo ad abbracciare Cosimo Spagnolo, poi arrivano Skuhravy, Signorini e Miura. Teste basse. Silenzio. Un applauso per l’arrivo dei giocatori, un applauso per la bara. Quando arriva il sindaco, Sansa, il silenzio più totale. La famiglia di Vincenzo ha rifiutato i funerali a spese del comune, gli amici hanno raccolto una quindicina di milioni nel quartiere. È un quartiere a strati sovrapposti, in salita. Davanti al circolo Anpi di via Bologna c'è il tricolore a mezz'asta e uno striscione con scritto: Claudio grazie di essere stato nostro amico. Alle finestre delle case, dei casermoni sono esposte bandiere del Genoa e della Samp e lenzuoli bianchi. Lenzuoli bianchi per dire siamo con voi, come in via Gramsci, in via Pré, vicino alla stazione Principe. In via Digione, nel condominio degli Spagnolo, c'è un nastro nero sul vetro dell’ingresso. Il cortile mette malinconia. Area derattizzata. Il quartiere è degradato ma vivo, solidale. Pochi metri più in là, al Nippo's bar, c'è chi commenta la sconfitta interna del Gargiullo, della sera prima. Se l’arbitro dava un rigore. I muri dell’istituto Galilei hanno vecchi graffiti: magico Vialli, merde, ebrei, conigli. Boicotta i mondiali: 24 operai morti. Nella stessa piazza Sopranis c'è la carcassa di una fabbrica di ghiaccio, le finestre sfondate. In via Alizeri i panni sono tesi fra casa e casa. Giù per via Venezia c'è un altro striscione. Spagna: amico fratello uomo. Davanti alla chiesa in genere c’è un mercatino, ma un foglio fissato all’asfalto con nastro adesivo dice che oggi l’esercizio resta chiuso per rispetto al dolore della famiglia Spagnolo. Non è un modo di dire. C’è qualcosa di profondamente responsabile in questa folla che sta in piedi e parla a bassa voce, o piange. È un funerale con tanti jeans, tanti giubbotti di pelle, tanti orecchini, tante felpe, tanta commozione. L’arcivescovo di Genova Giovanni Canestri è assistito dal vescovo ausiliare di Milano, Citterio. "Cosa abbiamo saputo offrire noi adulti a questa nuova generazione, così spesso affascinata dal nulla, spaventata dal silenzio, a volte disgustata dal suo stesso disgusto ?". La voce arriva dagli altoparlanti e continuano ad arrivare le corone. Gerbere e iris sono il rossoblù genoano. Sono corone allegre, di colori forti. Quella delle Brigate Mussolini di Ascoli accanto a quella della Curva sud di Reggio Emilia. I negozi hanno abbassato le serrande, il bar sede del Genoa club James Spensley e il baracchino della farinata, la farmacia, il fotografo, la macelleria. I duri della curva hanno le mascelle serrate, fanno cordone, gli occhi rossi. Sanno che poteva toccare a uno di loro, bastava passare di lì, vicino al gazebo, dove poi saranno portate tutte le corone e i fiori, caricati su un camion da Tirotta, capo degli ultrà doriani, vicino al gazebo dove Vincenzo è stato ucciso e che non doveva più essere lì, e infatti adesso lo sposteranno. Ma lì alle quattro del pomeriggio c’è ancora tanta gente silenziosa. Ma adesso torniamo indietro, tra le 10 e le 13 ogni treno che usciva dalla galleria San Lazzaro o ci entrava rallentava e salutava col fischio, e da sotto vedevi che sul treno si facevano il segno di croce. Da anni i bordi del sottopasso sono colorati di blu e di rosso e sopra c’è lo striscione Hasta siempre Spagna, su uno sfondo di stelle rosse che però sono quelle dell’acqua San Pellegrino. È il funerale di un tifoso, di un ragazzo, di un militante. Quando la bara esce dal portale si alzano i pugni chiusi e sul fondo degli applausi parte una volta sola, ma forte, Hasta siempre Spagna. Poi la sorella Romina, pallidissima, i capelli scuri, legge un messaggio a nome della famiglia: "In questo difficile momento di dolore desideriamo esprimere il nostro ringraziamento a tutti quelli che hanno partecipato al nostro lutto. Nello stesso tempo riaffermiamo con decisa volontà di essere contro ogni forma di violenza e di vendetta. Vogliamo ricordare Claudio con affetto e lasciare dietro di lui una strada di speranza e di fiducia. Lasciamo da parte la rabbia, il rancore, la vendetta e la violenza. Vogliamo dire basta a tutto questo e insieme vogliamo tentare di costruire un mondo di giustizia, tolleranza, collaborazione e pace. Ciao Claudio, che il tuo sacrificio non sia vano". Non le trema mai la voce, e attorno c’è un dolore forte e civile, come se a una morte assurda si volesse contrapporre una voglia di cambiare. Hasta siempre, esperanza.

3 febbraio 1995

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI 3 FEBBRAIO 1995 

In una pizzeria la riunione pre-trasferta

GENOVA - "Siamo capitati davanti alla gradinata Nord perché abbiamo sbagliato strada. Poi i genoani ci hanno caricato. Pensavo che si sarebbero fermati, vedendo il mio coltello. Invece quel ragazzo mi si è buttato addosso a corpo morto ed è finito contro la lama". Della versione fornita durante l’interrogatorio da Simone Barbaglia, l’accoltellatore di Vincenzo Spagnolo, è la prima parte a non convincere la Digos, che sta vagliando le testimonianze degli ultrà milanisti coinvolti nella rissa di Marassi. Simone non voleva uccidere, ma gli scontri sono nati quasi certamente da un agguato organizzato dal gruppo Brasato della curva rossonera, già al centro di analoghi episodi e responsabile della morte del tifoso romanista Antonio De Falchi nell’89. La nuova Banda del Barbour, di cui il diciottenne Barbaglia fa parte con cinque coetanei, è appunto una costola del Gruppo Brasato, che avrebbe studiato giovedì scorso in una pizzeria della Bovisa il piano per provocare la rissa sotto la Nord. Già in occasione di Genoa-Milan del giugno '93, alcuni ultrà rossoneri, anche allora diretti a Genova armati di coltello, si erano casualmente scontrati alla stazione di Pontecurone con gli ultrà della Sampdoria, che andavano a Brescia. È stato intanto convalidato il fermo del minorenne che ha fornito all’amico l’arma del delitto. Uno dei ragazzi del Barbour ammette: "Allo stadio Simone era sconvolto e pensava al suicidio. Nella "gabbia" molti sapevano, eppure gridavano ai genoani "Tagli, avete solo dei tagli".

3 febbraio 1995

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI 3 FEBBRAIO 1995 

L'omelia del cardinale Giovanni Canestri davanti a cinquemila persone: una requisitoria contro l'effimero

Genova saluta Vincenzo, applausi e lacrime

Il sindaco: "Non firmerò più la deroga per lo stadio di Marassi"

di Paolo Lingua

GENOVA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE - "Il Paradiso non è lo stadio. Dobbiamo rifugiarci nel silenzio non per chiamarci fuori, ma per udire più alto, più distinto e più graffiante l'insulto che tutti ci meritiamo: morire così per una partita di calcio". Il cardinale Giovanni Canestri parla dall'altare con una voce commossa, ma profonda e grave. Nella chiesa di San Teodoro e fuori sul sagrato e giù sino a via Milano sono in cinquemila che tacciono e ascoltano a capo chino. Tra i fiori e i ceri c'è la semplice bara di legno chiaro con il corpo di Vincenzo Spagnolo, assassinato nel modo più feroce, assurdo e balordo. Le sciarpe e i labari delle tifoserie sono abbrunati: ed è abbrunata Genova, sotto un cielo plumbeo. L'ordine è stato rispettato, un senso di penitenza avvolge i presenti, salvo sparuti gruppi di teppisti che fanno in tempo a ingiuriare le autorità che percorrono le ali di folla che separano dalle auto blu lasciate in strada dalla chiesa di San Teodoro. Non sono sopiti i progetti confusi e brumosi di vendetta: questo è il vero pericolo. Ma ci sono anche quelli che hanno capito. Il cardinale ha sferzato la città, richiamandola alle responsabilità collettive: è stata una requisitoria, la sua; anche contro le illusioni, contro l’effimero, contro i falsi valori, quelli dell'egoismo, dell'edonismo, della prepotenza, della ritorsione che soppiantano la generosità, la giustizia, la solidarietà. Anche don Bruno Venturelli, per mezzo secolo parroco di San Teodoro, ha ricordato in un breve intervento il povero ragazzo che conosceva personalmente. Le sue parole hanno commosso il padre, la madre, le sorelle, i parenti e gli amici. La madre aveva baciato in fronte il figlio un attimo prima di chiudere la bara. La zia Vincenza è stata colta da malore poco prima della messa ed è stata portata all'ospedale in autoambulanza. Appalusi per i calciatori del Genoa e della Sampdoria. Nel pomeriggio, dopo l'esaurimento delle prime pratiche del consiglio comunale, il sindaco Adriano Sansa ha chiesto ai consiglieri della Sala Rossa di palazzo Tursi un minuto di raccoglimento. Poi, visibilmente commosso, ha parlato brevemente. Ha ricordato la drammatica domenica e il suo intervento, insieme al prefetto, sul luogo degli scontri. "Mi sono reso conto - ha detto - che il nostro intervento non è bastato a calmare gli animi. Nello stadio erano entrate armi improprie, oggetti contundenti, strumenti atti a ferire. Sì, è vero, posso comprendere anche se non giustifico la confusa reazione collettiva che portava ad agire insieme per superare lo smarrimento, ma successivamente ho avvertito un preciso istinto criminale che veniva da lontano. È meglio dire la verità con franchezza: tra i tifosi ci sono precisi gruppi, ben identificabili sotto le etichette che si auto-attribuiscono, che agiscono a fini di violenza e di aggressione, Purtroppo questi gruppi sono stati a volte accarezzati e comunque tollerati all'interno dei grandi interessi che governano il mondo del calcio. Sappiamo che questi gruppi ricattano le società: se non hanno un certo numero di biglietti a disposizione, minacciano violenze. C'è stato, in tutti gli strati della società, un eccessivo ossequio agli interessi che ruotano attorno al calcio. Il calcio è un mondo difficile da toccare per la popolarità diffusa e appunto per questi interessi che muove". Sansa ha poi parlato del problema dell'agibilità dello stadio "Luigi Ferraris". L'impianto - ha detto il sindaco - è fuori norma, perché non ci sono gli spazi (è immerso in un quartiere abitato) previsti dalle leggi nazionali e internazionali di sicurezza. Di qui il fatto che Coni e Governo, nelle loro componenti tecniche, non hanno mai espresso un giudizio definitivo di agibilità. I sindaci, dai campionati del mondo a oggi, hanno sempre firmato una agibilità "provvisoria" ogni settimana. "A questo punto - ha detto Sansa - non me la sento più. Abbiamo fatto sapere al Coni e al Governo che intendiamo demolire il Gazebo e realizzare la recinzione esterna, quindi diminuire i posti e aumentare la presenza di polizia e carabinieri, anche sulle gradinate, tra gli spettatori. Se Coni e Governo diranno che è possibile questa soluzione in deroga alle norme che non potrebbero mai essere applicate, firmerò l'agibilità. Altrimenti mi rifiuterò". Per quel che riguarda la realizzazione d'uno stadio fuori dall'abitato, magari con strutture di altri sport, Sansa si è dichiarato favorevole, ma ha ritenuto l’ipotesi molto remota nel tempo.

3 Febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 3 FEBBRAIO 1995 

"Ma non è un mostro"

Parla il cappellano del carcere

di Fabio Pozzo

CHIAVARI - Simone ha voluto parlare col cappellano del carcere di Chiavari. Lo ha cercato, per confidarsi, per ricevere un po' di conforto. Il primo incontro con don Fausto Brioni, che è anche parroco di Leivi e direttore dell'emittente televisiva Telepace, c'è stato l'altra sera. Il secondo ieri mattina. Ha raccontato don Fausto, ieri, uscendo dal carcere: "Gli sono andato a parlare ieri sera, per vedere se aveva bisogno di qualcosa. Abbiamo chiacchierato un po', poi lui mi ha detto: "Fausto, ti voglio ancora vedere". E così lo sono andato a trovare stamane. Abbiamo parlato per un'oretta". Il cappellano del carcere ha schivato le domande dei giornalisti, con un sorriso: "Scusate, ma non posso". Si sarà fatto un'idea di Simone, no ? Don Fausto, a questa domanda, ha risposto. "Non è un mostro, il mostro come qualcuno lo ha dipinto. È un ragazzino di diciott’anni che ha visto crollarsi il mondo addosso. Non è cattivo, anzi. È un buono". Sì, ma ha ucciso. "Il Signore dice che bisogna prendere le distanze dal peccato, non dal peccatore", ha detto don Fausto, quasi commosso. "Bisogna volergli bene, come uomo. Io gli voglio bene. Come fratello, come uomo, come prete". Si è reso conto, Simone, di quello che ha fatto ? "Sì, se n'è reso pienamente conto. È un uomo che ha sbagliato. La vera tragedia, però, e che ci sono tanti ragazzi come lui, vuoti dentro, che avevano soltanto la partita alla domenica. È questo il grande problema che investe tutti noi. Forse, dopo quello che è successo, Simone si è accorto di questo vuoto che c'era in lui. Forse, è proprio adesso che inizia a vivere, a capire che cos'è la vita vera, la vita insomma". E cosa può dirgli un cappellano ? "Abbiamo parlato di alcune cose, che però non ritengo siano da rendere di dominio pubblico. Come cappellano gli ho detto che la vita non è finita, che la vita può incominciare proprio adesso. In carcere ci sono tante persone che hanno iniziato veramente a vivere quando sono entrate in una cella. In carcere ci sono tante persone vive, inteso come vita interiore, mentre sono tante quelle che stanno fuori e che sono invece morte". Simone è credente, cattolico. Non è troppo facile cercare adesso il conforto della fede. "Non sono tipo da credere alle conversioni dell'ultimo momento. Le vie del Signore, però, sono infinite".

3 Febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 3 FEBBRAIO 1995 

In cinquemila a Genova per i funerali del giovane assassinato

Gli ultrà tradiscono Vincenzo

Esce la bara, applausi solo ai calciatori

di Pierangelo Sapegno

GENOVA NOSTRO INVIATO - Sotto al cielo grigio di Genova, Vincenzo sparisce nella curva, fra le facce della sua gente, le sciarpe e i colori. Ma questo è uno spettacolo del dolore, e la curva affolla il sagrato di una Chiesa, e le campane suonano a morto. Non è lieve, l'aria. E non c'è festa, non c'è pace, in mezzo a mille volti sconosciuti, alle mani e ai pugni levati, fra le bandiere ammainate alle finestre. Strano funerale. Quando la salma esce dalla Chiesa e si ferma prima di scendere nella piazza, l'applauso è triste, non forte. E poi tutti, i giovani, i vecchi, le donne, si girano verso il corridoio lasciato libero in mezzo a loro, per guardare i calciatori che passano, che sfilano lentamente, come all'ingresso di uno stadio dietro a un arbitro che non c'è. La salma di Vincenzo Spagnolo si allontana quasi di nascosto, inseguita solo da un grappolo di compagni del circolo Emiliano Zapata che fendono la folla e alzano il pugno gridando "Hasta siempre Spagna". Lo chiamavano Spagna, o Claudio, gli amici. Va via così, il ragazzo di curva assassinato da un colpo di coltello, domenica, a Marassi. Se ne va nell'applauso che accompagna i suoi idoli, Skurhavy, Bortolazzi, Galante, Miura, nel saluto che insegue Mancini o Gullit, Zenga ed Eriksson. Se ne va quasi dimenticato dalla sua curva, come per un dispetto del destino. Ma che funerale è mai questo, che dimentica il suo fratello ? È nel pianto dei genitori, nell'incedere affranto di papà Cosimo, in quella mano protesa di mamma Rina verso la bara che dondola sulle spalle degli amici, è nella voce rotta di don Bruno che ricorda il bambino della prima comunione, è solo in questi gesti rari, in questi sguardi smarriti, che il funerale di Vincenzo riacquista tutta la sua dignità. Scriveranno di lacrime e di dolori, diranno di un popolo che si è stretto attorno al suo figlio. Noi questo non l'abbiamo visto. E forse non devono averlo visto neppure gli uomini della Chiesa, se prima che la gente sfollasse, il cardinale Giovanni Canestri si è sentito in dovere di richiamarli: "Mi piacerebbe tornare qui stasera alle 7 per pregare davvero in silenzio. E sarei contento che fossero rappresentate come stamattina diverse classi sociali". Torneranno alla sera, cento amici, molti tifosi. Nella mattina grigia sono in cinquemila, sotto le bandiere, con il servizio d'ordine che li controlla passo passo. Genova c'era, ai funerali di Vincenzo, una Genova stranita e ferita. E, nella Chiesa di San Teodoro, c'era tutto il mondo della curva e dello stadio. Corone di fiori. "Rude Boys". "Irriducibili Lazio". "Skynheads". "Collettivo vecchia guardia Ancona". "Ultras Brescia". "Bad Boys Pescara". "Ultras Napoli". "Tigrotti sampdoriani". C'era anche quella del Calcio Milan, quella del Tennis tavolo, quella della Lega Calcio. C'era lo sport che piange un suo amico e sé stesso. C'è un silenzio difficile, strano, sotto le navate. E lungo i corridoi laterali, i chierichetti che aspettano: "Sono arrivati i calciatori ? Padre, possiamo andare a chiedere gli autografi ?" Nella casa del Signore, si aspetta la Messa. All'improvviso, il primo applauso è lungo, stordente: ci sono i calciatori del Genoa che entrano, e la folla si alza dalle panche, spinge, qualcuno si aggrappa pure al pulpito. L'applauso si ferma e riprende, subito dopo: ci sono quelli della Samp, e il primo è Mancini, con una sciarpa blucerchiata al collo che chissà se gli ha regalato qualche tifoso. Poi, tutti gli altri. In sacrestia, arrivano gli uomini di Chiesa che dovranno celebrare la Messa: frate Mauro, padre Giorgio Musante, il vescovo Bernardo Citterio, ausiliario del cardinale Martini, Monsignor Carnelli, don Bruno Venturelli e il cardinale di Genova. Sotto l'altare, prendono posto il sindaco Sansa, il presidente genoano Spinelli e quello della Samp, Mantovani. La salma arriva adesso, una bara in legno chiaro con una grande coccarda rossoblù, seguita dalla famiglia, i genitori, le due sorelle, due zie e Raffaella, la fidanzata di Vincenzo. Qualche pugno chiuso sul portone. Dalle lettere di Paolo ai Filippesi: "La nostra Patria è nei cieli". Si comincia così, mentre don Bruno va all'altare: "In questa Chiesa ti ho dato la prima comunione quando avevi 8 anni...". Fuori, qualche bandiera sventola. Gli amici del circolo Zapata alzano i pugni e piangono. E la voce della Chiesa esce nella piazza gremita: "Beati i vinti perché erediteranno la terra, beati i poveri di cuore perché vedranno Dio". Non è qui la nostra Patria, "E' mancato il perdono e il rito è stato un trionfo del pagano" dice il cardinale Canestri. "Qui non c'è il Paradiso. E il Paradiso non è la droga, la discoteca, lo stadio, la moda". Miura è in piedi vicino a Spinelli, Gullit tiene la testa alta. Poi, sale all'altare Romina, la sorella di Vincenzo. Legge poche righe: "In questo difficile momento di dolore desideriamo esprimere il nostro ringraziamento a quanti hanno partecipato al nostro lutto. Nello stesso tempo vogliamo ricordare Claudio con affetto. Lasciamo da parte rancore, rabbia, vendetta. Basta con la violenza, diamo spazio a solidarietà, pace e collaborazione. Cerchiamo di costruire un mondo di giustizia. Ciao Claudio, che il tuo sacrificio non sia vano". La parola perdono non c'è, e forse non poteva esserci, era inutile aspettarla. Avvicinata dai cronisti durante la preghiera della sera, Romina ha scosso il capo: "E' troppo presto per perdonare". Ma adesso, dall'altare, guarda Raffaella, la fidanzata di Vincenzo, un topino con gli occhialini da miope, come a voler chiedere se andava bene. Simona si abbraccia alla nonna, e mamma Rina reclina il capo sulla spalla del marito. Quando la messa finisce, Gullit va a baciare i genitori e Miura lo segue. Papà Cosimo trattiene le lacrime, e la signora Rina guarda la salma che se ne va e allunga il braccio per sfiorarla ancora. "Beati voi, quando vi perseguiteranno e mentendo vi diranno di tutto. Rallegratevi ed esultate perché grande è la nostra ricompensa nei cieli". Ecco, adesso se ne vanno tutti, don Bruno sfugge in sacrestia. E lo stadio ora è fuori, attorno al tempio abbandonato. La mamma quasi s'accascia, Cosimo la sorregge. Qualcuno alza il pugno chiuso. Le campane si fermano. Tira un vento da terra. Spazzerà tutto. Ora, la piazza si spoglia. Vincenzo è già andato.

3 Febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 3 FEBBRAIO 1995 

lo, sacerdote e sconfitto. "Oggi ho perso 2 volte"

di Pierangelo Sapegno

GENOVA dal nostro inviato - Dice: "Sono un uomo sconfitto, è vero, sono un prete che ha perso". Perché don Bruno ? "Perché non c'era il silenzio della fede, in questa chiesa, davanti a un fratello morto, non c'era la preghiera del perdono. Perché non c'era la pace del sacro, ma la tensione dello stadio". Don Bruno Venturelli si leva i paramenti. C'è l'odore di incenso, il silenzio della chiesa. E fuori, gli applausi della folla, i calciatori che vanno. Strano contrasto. "La messa è finita, andate in pace". Don Bruno è un personaggio storico di Genova, quello che parlamentò con i tedeschi 50 anni fa, che mediò per la liberazione del giudice Mario Sossi nel '74; uomo di fede e prete fra la gente, per 46 anni parroco di San Teodoro, dove s'è celebrato il rito funebre in memoria di Vincenzo Spagnolo, ragazzo di curva ucciso da un tifoso del Milan. Prima di chiudere la messa, il cardinale di Genova, Giovanni Canestri, ha richiamato i fedeli per questa sera alle 7: "Mi piacerebbe che voi tornaste qui per pregare in silenzio". Ma perché don Bruno ? "Perché questo dovevamo fare, dopo questa messa". Non c'era il senso del sacro, in chiesa, è vero ? "No, non c'era. Ed è per questo che facciamo la provocazione di questa sera, una sfida, una vera sfida, per richiamare quelli che credono davvero a meditare in silenzio, a riflettere. A pregare il Signore nostro per un fratello che è morto. Non credo che la chiesa di stamattina fosse piena di fedeli". Ma a che cosa si riferisce ? Al perdono che non c'è stato ? "Bisogna accettare la sconfitta di noi uomini di Chiesa. Questa società è piena di valori diversi dai nostri. Ma questo non vuol dire che i nostri valori siano superati. Il perdono è un aspetto, non è tutto". E qual è l'altro aspetto ? "Io credo che oggi il mondo pagano abbia trionfato sul sacro. Mi sembra che viviamo in un mondo sbagliato che ha smarrito tutti gli ideali e i valori. Si vive di sensazioni, di tv, di ribalta. Non è giusto". Allora, l'ha deciso lei di richiamare i fedeli questa sera ? "No, è stato il cardinale. Una sua iniziativa. Ci siamo guardati durante la messa e ci siamo capiti. A me sarebbe piaciuto di più farlo a Santa Marta, che è una chiesa più centrale, può venirci più gente. Lui mi ha detto: no, è successo qui. Dobbiamo tornare qui". E l'ha deciso per questi stessi motivi ? "Esatto". Ma perché è successo questo ? "Perché non c'è più umiltà, c'è un orgoglio smisurato, e questi ragazzi hanno voluto essere protagonisti". Quali ragazzi ? "Quelli che hanno organizzato il funerale, il servizio d'ordine. Ci hanno consigliato pure di chiudere la porta laterale. Noi conosciamo tutti e non vogliamo che entri chi non ci piace, ci hanno detto". Ma la casa del Signore non dev'essere aperta a tutti ? "Io ho pensato che non volevano che entrasse qualche scalmanato". E invece ? "Oh, non mi faccia parlare. Non lo so, non so. Mi sono buscato la febbre a 39, sa ?". Le è venuta la febbre per quel che è successo ? "Si vive di queste tensioni. E purtroppo alla mia età si pagano". Quanti anni ha, padre ? "Ottanta". E in 80 anni non aveva assistito a niente come stamattina ? "In questa forma mai, davvero. Eppure ne ho viste tante, nella mia vita. Ero alla Galleria di San Benigno, ero qui, quand'è scoppiata. Trecento morti. 10 ottobre '45. E il crollo in via Vigione, 21 marzo '68, 19 morti e 40 appartamenti distrutti. Allora dovevo correre qua e là. La gente non aveva neppure il fazzoletto per il naso e la richiesta della mia presenza era automatica. Un altro mondo". Vuole dire che oggi la famiglia Spagnolo non la voleva ? "Ma no, io non dico questo. Loro, anzi, mi hanno accolto bene. Diciamo che oggi i miei valori non sono riusciti a prevalere". La famiglia Spagnolo non vuole perdonare l'assassino. E la parola perdono non è stata pronunciata. Cos'è padre ?, non è riuscito a convincerli ? "L'ho detto: come uomo di fede mi dichiaro sconfitto. I valori sono altri. Ma Romina l'ha detto "lo perdono", no ?". No, padre, ha parlato di convivenza... "Si vede che ha voluto ammorbidire. Ma non è colpa loro, sa ? Per conto mio sono plagiati". E da chi ? "Da questi ragazzi, dagli amici di Vincenzo. In tre giorni hanno raccolto 12 milioni, sono stati quelli che gli sono rimasti più vicini. E li hanno influenzati". Lei ha perso, padre. Chi o che cosa ha vinto oggi ? "La logica del branco. Purtroppo, è così. Ma abbiamo perso tutti, sa ? Perché, per conto mio, questi estremismi, queste manifestazioni, sono il risultato del mondo che abbiamo prodotto tutti noi, insieme. Nessuno può tirarsi fuori".

3 Febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 3 FEBBRAIO 1995 

I tifosi grigi ricordano il ragazzo ucciso e da Firenze propongono di dedicargli il Csc Orti

"Vincenzo un amico di noi Ultras"

Tante ore passate insieme tra stadio e centri sociali

di Brunello Vescovi

ALESSANDRIA - "No, domani a Marassi non ci saremo: si ritroveranno solo le tifoserie di serie A. Sono loro che devono trovare un accordo: quello di isolare i violenti. Se ci riescono, si potrà fare un passo avanti: meglio che con mille tavole rotonde, o raddoppiando i questurini allo stadio. Se no, non cambierà proprio nulla". Parla un giovane ultrà, sulla trentina: da anni è un habitué della curva Nord del Moccagatta. Non gradisce pubblicità: "Se proprio vuoi un nome - scherza - mi chiamo Luigi. Giusto perché fa rima con Ultras grigi". Vincenzo Spagnolo, il tifoso genoano ucciso a Marassi, era un amico degli ultrà alessandrini: con loro aveva condiviso diverse serate al centro sociale Subbuglio, in piazza Santa Maria di Castello: "Era dei Rude Boys, gente che ha in comune con noi, oltre al calcio, anche la passione per il "reggae" e lo "ska" Vita da ultras: chi è del nostro giro, capisce". E l'altro ieri due macchinate di tifosi grigi sono partite per Genova, a rendere l'ultimo saluto all'amico scomparso: a Vincenzo è stato reso omaggio anche in città, con volantini e manifestini che lo ricordano affettuosamente. Il comitato "pro monumento ai caduti di Ugnano", a Firenze, che sta raccogliendo fondi anche tra i supporters viola per la ricostruzione del Csc Orti, ha lanciato una singolare proposta: intitolare l'impianto alluvionato, una volta risistemato, alla memoria del tifoso ucciso. Un'idea che non convince "Luigi": "Trovo che abbia poco senso - commenta - mi sembrerebbe molto più logico dedicarlo alle vittime dell'alluvione". Sugli ultras di tutta Italia si è scatenata in questi giorni una tempesta di polemiche: chi parla di sciogliere i club di tifosi, altri invocano l'istituzione di corpi speciali di polizia. Ad Alessandria il fenomeno è in versione soft: gli ultras sono una cinquantina, non hanno organigramma né tessere. Si entra nel clan senza investiture particolari, basta essere in sintonia col gruppo. L'età varia, mediamente, dai 18 ai 35 anni: "ma c'è anche un veterano, Cristoforo, che ha almeno la sessantina ed è sempre disponibile a dividere con noi un bottiglione di vino". Insomma, sembrerebbe un coordinamento all'amatriciana, non certo inquietante. E allora, come si spiega la denuncia scattata a Massa per uno di loro ? "Pierluigi si è preso una manganellata gratuita alla stazione da due poliziotti - ribatte uno - poco prima di salire sul treno. Abbiamo dovuto accompagnarlo al pronto soccorso: gli hanno dato quattro punti. E poi, per salvarsi la faccia, l'hanno denunciato". Niente da fare, non c'è proprio feeling tra ultras e divise. Roberto, uno di loro che da poco si è sposato e ha detto stop alle trasferte, ha un suggerimento per allentare la tensione allo stadio. Una sorta di disarmo unilaterale. "I cordoni di poliziotti in gradinata, il fatto di entrare e uscire allo stadio scortati come banditi sono elementi che rendono il clima più teso. Scommetto che le cose cambierebbero se ci lasciassero più libertà".

4 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 4-28 FEBBRAIO 1995 

Intanto il presidente della Sampdoria, Enrico Mantovani, ha detto basta agli slogan e agli insulti

Simone dal carcere: "Dovete cambiare strada"

Ieri mattina sono arrivati a Chiavari i genitori del ragazzo

di Fabio Pozzo

CHIAVARI - I genitori di Simone Barbaglia, l'assassino di Vincenzo Spagnolo, hanno incontrato il figlio ieri mattina. Sono scesi intorno a mezzogiorno da una Citroen BX bianca targata Milano, hanno percorso trecento metri a piedi sino al portone d'ingresso del carcere di Chiavari, dove Simone è rinchiuso da cinque giorni. Sono entrati a testa bassa, in silenzio. La mamma, Manuela Mariani, era ingobbita in una giacca a vento nera, col viso celato da un paio d'occhiali da sole scuri e da una sciarpa. L'ex marito di quest'ultima e padre naturale di Simone, Antonio Barbaglia, si stringeva in un piumino verde, col bavero ben alzato. Sono usciti dopo un'ora e mezzo. Cosa avete detto a Simone ? "Che deve stare tranquillo, che è un bravo ragazzo", ha detto l'uomo, avvicinandosi istintivamente alla donna, quasi per proteggerla dalle domande. "Siamo distrutti", hanno detto e ripetuto. Poi sono arrivati i fotografi. I genitori di Simone si sono allora ancor più stretti nelle loro giacche. Hanno abbassato il capo, cercando di nascondere meglio il viso. "Riceviamo continue minacce, cercate di capire", hanno quasi implorato, impauriti. E poi via, senza dire più una parola. "L'avvocato ci ha detto di non parlare", hanno detto con garbo. E si sono messi a camminare, spalla a spalla, in silenzio. Senza mai voltarsi, sempre col capo reclino. Prima, dal carcere, era uscito anche don Fausto Brioni, il cappellano. Anche lui ha parlato con Simone. L'assassino ha lanciato un appello, rivolgendosi a tutti i suoi amici e nemici di "curva". "Cambiate strada fin che potete. Perché tutta questa sofferenza abbia un senso", ha detto. E poi, rivolto al sacerdote, alla società: "E voi aiutateli a farlo". Don Fausto ha anche detto che Simone, ieri mattina, aveva letto sui giornali dei funerali di Vincenzo. "Mi ha detto di essere rimasto colpito da quanto ha gridato un tifoso dopo aver deposto una sciarpa sulla bara: "Chiudiamo tutto". Lo pensa anche lui". In carcere a Chiavari Simone è stato accolto con solidarietà dagli altri carcerati. È in isolamento, non frequenta spazi comuni, ma sono i detenuti "lavoranti", quelli che hanno più facilità di movimento, ad andarlo a cercare. Gli parlano dallo spioncino della cella. Sono stati proprio i "lavoranti" a regalargli la radio che aveva chiesto, per avere un po' di compagnia. Don Fausto invece gli ha portato un libro, "La città della gioia" di Dominique Lapierre. Intanto a Genova il ricordo di Vincenzo è sempre più vivo. Ieri i suoi amici del centro sociale "Zapata", per ricordarlo, hanno tappezzato la città con 4 mila manifesti con una foto che lo ritrae alla guida di uno scooter. "Era un bravo ragazzo. Un barattolino meraviglioso che ci trotterellava attorno. Sentivi il suo vocione, ti immaginavi un omone grande e grosso e invece spuntava un ragazzo alto poco più di un metro e 65", ha detto uno di loro a un cronista televisivo. Anche la sorella di Vincenzo, Romina, era al "Zapata". "Mio fratello era uno che credeva a quello che pensava, voleva come noi cambiare qualcosa. Lottava per costruire una nuova aggregazione giovanile". E perché, i manifesti ? "Per insegnare un po' di civiltà. Quella che spesso non troviamo sulle prime pagine dei giornali", ha detto un altro "zapatista". La morte di Vincenzo servirà a qualcosa ? L'altro ieri la Lega Calcio ha sposato una politica di prevenzione. Nuove norme per le società sportive. Basta col finanziare le trasferte degli ultras. Basta con gli striscioni offensivi. Un appello ripreso in toto ieri sera dal presidente della Sampdoria, il giovane Mantovani. Una conferenza stampa a sorpresa, la sua. "Bisogna ritornare ai veri valori dello sport", è la filosofia in sintesi del suo intervento. Mantovani si è spinto oltre. "Basta con gli slogan offensivi, con gli insulti, con gli oggetti scagliati in campo. I tifosi cattivi devono essere allontanati da quelli buoni. I tifosi devono tornare amici, a partire da quelli della Reggiana, la prossima squadra che incontreremo". Il presidente della Sampdoria ha poi aggiunto: "Forse è un sogno".  Ma perché non sognare ? Intanto il sindaco di Genova, Adriano Sansa, ha fatto sapere che se Coni e ministero degli Interni non concorderanno interventi di prevenzione e tutela, lui la firma per l'agibilità del "Ferraris" non la metterà più.

4 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 4-28 FEBBRAIO 1995 

La sorella del ragazzo ucciso: "Ci sarò anche io a Marassi"

Gli ultrà firmano un patto di pace

Oggi in tremila a Genova da tutta l'Italia

di Pierangelo Sapegno

GENOVA DAL NOSTRO INVIATO - Dove Vincenzo è morto, torneranno per stringersi la mano. Forse sarà così, ci piace crederlo. La retorica del calcio produce tante illusioni, e qualche speranza. Ma oggi sullo spiazzo dì cemento e mattonelle dove cominciò Genoa-Milan domenica scorsa, verranno tifosi da tutt'Italia a parlare di calcio per non morirne, e a ricordare uno di loro che non c'è più. Mancheranno quelli del Milan: "Motivi di opportunità". Del Toro: "Troppo difficile superare certi screzi, vecchi rancori. Non saremmo sinceri con noi stessi se ci mettessimo a discutere con gente che si crea con l'uso del coltello un alibi per nascondere le proprie paure". E della Juve: "Noi per i morti dell'Heysel abbiamo sempre e solo ricevuto insulti e cori oltraggiosi. A che serve allora andare a Genova ?". Ma ci saranno tutti gli altri, quelli di sinistra e di estrema destra, tutti insieme, nella retorica del calcio, sotto la finta bandiera dello sport, per la prima domenica di lutto e di silenzio. E ci sarà Simona, la sorella maggiore di Vincenzo Spagnolo: "Perché è il primo segnale positivo che si può dare a quei giovani, e sono tantissimi, che credono nello sport e sperano che finisca questa situazione. Per chiudere con la violenza, questo forse è ancora poco, ma è il primo passo". Simona parla con voce ferma e forte. "Vincenzo è morto e vive con noi", come cantavano in Spagna e in Cile. In fondo, la morte è sempre uguale. Lei si augura che siano in tanti, "per mio fratello, ma non solo per lui". Saranno tremila, dicono alla Digos, con qualche timore. I capi, più o meno duecento, si raduneranno da soli in un posto tenuto ancora segreto, e poi tutti insieme, a Marassi. Troveranno quasi un sacrario, cresciuto giorno dopo giorno, in faccia allo stadio, davanti alla processione della gente e dei tifosi. Sul posto dove Vincenzo è morto ci sono tre blocchi di cemento. E tutt'attorno, da un capo all'altro della cancellata, fiori, corone, bandiere, sciarpe, pupazzi. E lettere, e striscioni. Un biglietto appoggiato sui fiori, che sono tanti, quasi una casa: "Possa tu costruire la scala che conduce alle stelle". Un altro attaccato al muro: "Aiuta il Grifone a volare e i suoi tifosi a perdonare". Adesso che lo sport si ferma, c'è una tensione nuova, una retorica diversa. Ultrà è un modo di vivere, dicevano. Poi, oggi, uno si ferma e guarda quella sciarpa granata, quella dedica: "Siamo tutti amici". O quella frase lasciata dai tifosi del Genoa: "Il dolore non ha colore". Magari è vero, oggi è vero. "Pace", grida un messaggio, immerso fra i bandieroni delle Onde storte, degli Skinheads contro, e dei Vecchi bastardi. E tutt'intorno sono ancora rimasti i graffiti e il vuoto che hanno accompagnato domenica pomeriggio Vincenzo allo stadio. Sulle colonne di un porticato: "20-11-94 caccia ai granata". Sul muro, uno spray nero: "Romano capo degli infamoni". E una scritta rossa: "Digos boia". A guardare questo tempio sotto al cielo, davvero la linea di separazione fra lo stadio che campeggia oltre il gazebo e il mondo sembra ancora più labile, più incerta. Sarà per questo, anche per questo, che don Franco De Marchi, il parroco di San Teodoro, dice che non basta se si ferma lo sport: "E' la società tutta che deve fermarsi almeno un giorno a riflettere sulle sue colpe e sui suoi errori". Così, oggi ci fermeremo tutti, e questo Mausoleo di Marassi costruito dai tifosi diventerà il simbolo della domenica che non vuole dimenticare Genoa-Milan. Con buona pace di Matarrese, come soffia zia Laura, a nome della famiglia Spagnolo: "Ha dimostrato di essere poca cosa dal punto di vista umano. Per fortuna che nessuno gli ha dato retta". Oggi ci fermeremo, e diremo tutti buone parole. Simona, almeno lei, può farlo, con qualche diritto in più: "Nello sport non c'è città, non c'è provenienza, ma una sola bandiera". Dice: "Lo devono capire tutti". E poi: "Anche i funerali sono stati una festa, una bella festa. Lo capisco che possa sembrare oltraggioso per la Chiesa, e so anche che non è la parola adatta per chi ha vissuto queste cose dal di fuori. Però, quel giorno bisognava pensare a lui e mio fratello sarebbe stato felice così. Non era un rito pagano, ma un rito in sua memoria, semplicemente questo". E oggi ? "Oggi andrò in mezzo agli amici di mio fratello". L'ultima volta che l'ha visto, era domenica a mezzogiorno, la domenica di Genoa-Milan. "Vado alla partita, ha detto. Io mi ero appena alzata, gli ho sorriso. Non l'ho più visto". L'hanno ucciso alle due meno dieci. Una settimana dopo, alla stessa ora, via Bobbio sarà piena di gente. Diceva il Che: "Bisogna essere duri senza perdere la tenerezza". Gliel'hanno ricordato a Vincenzo, gli amici dello Zapata, un biglietto accanto al piccolo altare tirato su tra i fiori e i blocchi di cemento. Beh, adesso, nel bene e nel male, il calcio è fatto così.

5 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 4-28 FEBBRAIO 1995 

Card. Martini: "Ecco le cause dell'odio"

MILANO - Sarà "una domenica di silenzio, di raccoglimento dolorante e pensoso, di preghiera". Lo scrive il cardinale Carlo Maria Martini in un editoriale pubblicato oggi da "Avvenire". Ma dalle colonne del quotidiano cattolico, l'arcivescovo di Milano non si limita a invitare tutti a pregare "per il giovane Vincenzo Spagnolo e per la sua famiglia", "per chi ha fatto violenza e per chi ne è tentato" e perché "il Signore allontani lo spettro della violenza". Elenca infatti quelle che ritiene essere "le cause più radicali del fenomeno, che sono - afferma - il clima di conflittualità, di aggressioni verbali, di gusto dell'offendere, che viene propagato dai mass media e trova terreno di coltura nei vari luoghi casuali di ritrovo giovanile". (Agi)

5 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 4-28 FEBBRAIO 1995 

QUI MARASSI

Che strana domenica senza calcio ma gli ultras ricordano Vincenzo

GENOVA - "Sembra di essere a Natale". David Platt guarda i compagni disputare la partitella contro la formazione Primavera (4-2 per i titolari, con reti di Sala, Mihajlovic, Mancini e Lombardo) e le sue parole rispecchiano il pensiero di tutti. Che strana domenica, una domenica senza calcio. Platt se ne va tre 3 giorni in Inghilterra, "proprio come a Natale", continua lui, Ferri torna a Milano per battezzare il figlio, Torrente ne approfitta per andare a casa, Galante anche. Tutti quanti con un'unica grande certezza: questo gesto, questa domenica di stop, dovrà servire ad evitare un altro caso Vincenzo Spagnolo. Il presidente Enrico Mantovani ha dato un messaggio forte: o qualcosa cambia o sarà lui ad andarsene. "Questa è sempre stata la filosofia della Samp - ha commentato Platt io sono d'accordo, bisogna fare tutto il possibile per cambiare le cose. E se le parole del nostro presidente serviranno per fermare anche un solo tifoso, ebbene, sarà già una vittoria". Anche Fausto Salsano interpreta nello stesso modo il discorso di Mantovani: "Il presidente è sempre stato sensibile a queste cose. È un problema generale, quello della violenza negli stadi, che interessa tutti". Sven Goran Eriksson approva le parole di Mantovani: "Ha ragione, bisogna cambiare e poi lui ha un'educazione di un certo tipo ed è stato abituato a vedere lo sport in tanti altri Paesi del mondo, dove questi episodi non succedono. Da parte nostra qualsiasi iniziativa, anche la più piccola, sarà cosa buona". Qualcosa si muove sul fronte dello stadio. Per mercoledì o giovedì è attesa infatti da Roma l'approvazione del progetto per la costruzione della famosa recinzione esterna. Il sindaco Sansa si è già espresso chiaramente e duramente durante il Consiglio comunale di giovedì scorso: senza quella deroga, lui non firmerà più il documento di agibilità provvisoria dello stadio. Qualche perplessità è stata avanzata da più parti sulla data prescelta dalla Lega calcio per recuperare Genoa-Milan: il 15 febbraio sembra a tutti troppo presto. Per oggi è quindi confermata la riunione di tutti gli ultras d'Italia: alle ore 15.30 porteranno un fiore dove è stato ucciso Vincenzo Spagnolo. (d. b.)

5 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 4-28 FEBBRAIO 1995 

Una tregua armata per gli ultrà

"No ai coltelli, ma le risse ci saranno sempre"

di Pierangelo Sapegno

Nella domenica senza sport, 400 rappresentanti dei club di tifosi si sono incontrati a Genova per ricordare il giovane assassinato una settimana fa.

GENOVA DAL NOSTRO INVIATO - Lì dietro, c'è lo stadio vuoto. Strana domenica di febbraio, nel silenzio di Marassi. Sono tutti qui, tifosi e ultrà, arrivati da quest'Italia divisa e spezzata, come si va a una partita di calcio, con le sciarpe e i colori. Ci sono i ragazzi della curva, i poliziotti che controllano, ci sono Romina e Simona, le sorelle di Vincenzo, c'è questo santuario inventato dalla gente sulla recinzione che corre lungo il gazebo, ci sono i messaggi della retorica e degli ideali, lasciati tra i fiori e le corone, fra le bandiere e gli stemmi. Ma il silenzio è solo quello dello stadio che incombe alle spalle, vuoto e grande, un tempio senza sacerdoti e senza rito. Perché la voce degli ultrà è ancora forte, usa toni guerreschi anche quando parla di pace, rimanda segnali ambigui e divisioni. Diranno che è stata una grande giornata in nome dello sport. Ma la domenica del silenzio, la domenica della retorica, è rimasta come un paradosso che pesa sul calcio e sulla sua esistenza, e lo si capisce bene proprio da qui, da questo spiazzo coperto di fiori e di lettere, dove un ragazzo di curva ha ucciso Vincenzo Spagnolo prima di Genoa-Milan. "No ai coltelli e ai luridi infami che li usano", tuona il comunicato degli ultrà consegnato ai giornalisti. Ma non c'è scritto no alla violenza. E alcuni di loro lo spiegano bene. Uno, sciarpa del Genoa, secco come un'acciuga, occhiali da sole: "Le risse ci sono da cinquant’anni e ci saranno sempre". Un altro dell'Atalanta davanti alla televisione: "Non esiste che uno muore per una partita, non deve succedere. Va bene menarsi, va bene tutto, ma morire no". Giornalista, un po' sorpreso: come va bene menarsi ? "Beh, può succedere, è normale. Vuoi mica impedire a due che la pensano in maniera diversa di menarsi ?". E poi, come filtra più tardi dalla riunione segreta tenuta alla sala Garibaldi fra i capi degli ultrà, non tutti erano d'accordo su questo comunicato. Troppo morbido, protestavano: "Noi ultrà siamo un mondo a parte, con la nostra identità, e non dobbiamo cercare il dialogo con nessuno". Certo, ha ragione Enzo Tirotta, capo degli ultrà sampdoriani, uno degli organizzatori della convention, quando ripete che questo era solo il primo passo: "Se vi aspettavate molto di più, eravate sulla strada sbagliata". E avrà pure ragione a sostenere che "se vent'anni fa mi avessero detto che succedeva una cosa del genere, mi sarei messo a ridere". Tutto vero. "Noi dentro abbiamo fatto autocritica", dice. "Quando cominciano a farla gli altri ? Quando cominciate voi ?". Eppure, nella domenica della riappacificazione e del silenzio, l'illusione era più grande. Davanti al gazebo, sotto le mura del carcere, dietro ai palazzi della Genova vecchia, passavano famiglie e tifosi sparsi a riempire il sacrario inventato in memoria di Vincenzo che gli amici chiamavano Spagna. Retorica e idealismo mischiati insieme: "E tu come il sole risorgerai", dice un cartello. E un altro: "Tanta rabbia, tanto dolore, Spagna per sempre nel nostro cuore". Normale così. Sfila la gente, e si emoziona. Molti ultrà hanno appuntamento lì, posano un fiore o una sciarpa, e poi vanno verso la riunione segreta. Sala Garibaldi, di fianco al Comune. Mancano solo Juve, Milan e Torino, per motivi diversi. Quaranta club rappresentati, dalla serie A alla C, 400 presenti. Qualche cronista aspetta davanti alla porta. Primi spintoni: "Via, non potete star qui". Un genoano del servizio d'ordine, un guercio con i capelli lunghi, rimprovera il ragazzo: "Niente spinte. Educazione. Rispetto reciproco !". Ma passano dieci minuti e viene fuori una delegazione. Enzo Tirotta in testa, sale la viuzza a passi lunghi e si ferma davanti a un grappolo di cronisti: "Lasciateci lavorare in pace. Andate via". Quello del Lavoro accende il registratore. "Che cazzo fai ?", gli urla uno stritolandogli il magnetofono. "Che cazzo vuoi tu ?", replica il giornalista. E succede il finimondo. "Tu cazzo a noi non lo dici !". Spinte, insulti. Un genoano è il più arrabbiato di tutti: "Uomini di merda, avvoltoi, non vedete l'ora che ci sia un altro morto". Un altro mette una mano sulla spalla a un secondo giornalista: "Porta via di qui le tue palle marce, in fretta". Interviene la polizia. Quattro uomini della Digos prima allontanano i cronisti. Poi chiedono loro di andarsene: "Qui non saremmo in grado di proteggervi". Davanti allo stadio, il clima è meno teso. Qualche tifoso del Genoa l’ha con Milano, ma riesce a dialogare con le troupes della Fininvest: "C'è sempre Milano di mezzo, aggrediti a Milano, aggrediti a Genova e son sempre loro". Un altro, con la maglia della Samp: "Noi in sette anni ci siam trovati coinvolti in un fattaccio una sola volta. A Pontecurone, con i tifosi del Milan che avevano fermato il treno. Ma perché sempre loro ?". Più in là, c'è Giuseppe Zullo, papà di Vladimiro, accoltellato a San Siro venti giorni fa: "Nessun giornale ha parlato di quel che era successo. Se l'aveste fatto, forse Vincenzo Spagnolo sarebbe ancora vivo". E racconta: "Dopo Inter-Samp, mentre uscivamo siamo stati assaliti. Uno degli amici di mio figlio ha preso un colpo sulla spalla, una bastonata. Vladimiro è stato accoltellato, colpito fra la coscia e il gluteo. S'è messo a correre e urlare come un forsennato e nessuno ha fatto niente, la gente continuava a sfollare senza neanche degnarlo di uno sguardo, come se fosse un appestato. Gli hanno fatto 18 trasfusioni, ha rischiato di morire dissanguato. E nessuno ha scritto una riga". C'è chi protesta, chi s'arrabbia, e chi spera. Un ragazzino: "La cosa scandalosa è che noi veniamo qui tutte le domeniche, paghiamo le trasferte, diamo soldi alla società e giocatori qui non se ne vede manco uno. Con tutto quel che guadagnano potevano dare 5 milioni da destinare ai comitati contro la violenza". Uno della Fossa dei Grifoni: "Questo dev'essere per tutti l'Anno Zero. Adesso so che in qualche parte d'Italia ci posso andare tranquillo. Ci siamo dati la parola d'ordine: mai più coltello". Poi, alle 15.30 arriva il comunicato degli Ultrà. Si dice che sia stato ispirato da quelli dell'Atalanta. Linea morbida. "Basta con la moda dei venti contro due o tre, o di molotov e coltelli", c'è scritto. Che vuol dire ? Che se si è in venti contro venti si può ? Enzo Tirotta taglia corto: "Io difendo il mondo degli ultrà contro gli infami. Tutto il resto è speculazione". Adesso sono in tremila, davanti allo stadio, lungo la recinzione coperta di fiori. Grappoli sparsi, sul marciapiede, mentre le televisioni straniere si aggirano incerte. Belgi, francesi, svizzeri, giapponesi e olandesi. Gli ultrà preferiscono parlare con loro che con i giornalisti italiani. Qualcuno spiega che "l'unica soluzione è vietare le trasferte. Bisogna mettersi il cuore in pace e scegliere questa strada". Fra i drappelli, poi, c'è chi non è per niente d'accordo: "Ma chi ha fatto questo comunicato ? Altro che assemblee, bisogna andare tutti a Milano. Se ci presentiamo noi, quelli del Verona e della Fiorentina...". La domenica della retorica perde la sua luce, ma quando scende il tramonto sono ancora in tanti sul posto dove morì Vincenzo. Mario Tulio, consigliere comunale pds, cerca di vedere il buono: "Il risultato di oggi è che gente abituata a insultarsi a 200 metri di distanza adesso si guarda in faccia". Proviamo a crederci ?

6 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 4-28 FEBBRAIO 1995 

Il comunicato degli Ultrà

"BASTA LAME BASTA INFAMI"

Domenica Vincenzo Spagnolo, un Ultrà del Genoa è morto. L'ennesimo assurdo agguato ci fa dire basta. Basta con questi, che Ultrà non sono, che cercano proprio a spese del mondo Ultrà di fare notizia, di diventare grandi ignorando il male fatto (come in questo caso irreparabile). Basta con la moda dei 20 contro 2 o 3 o di molotov e coltelli. Ultrà: alla ripresa del campionato ci aspetta un altro periodo durissimo, la polizia ora ha carta bianca, gli unici che davvero ci rimetteranno saremo noi che con questi vili comportamenti non abbiamo nulla a che spartire. Ora, se vivere ultrà è davvero un modo di vivere, tiriamo fuori le palle. Se altre volte ci siamo girati, pensando che in fondo erano problemi altrui, ora gridiamo basta. L’alternativa non c’è ? Ci troveremo poliziotti che aspettano solo di vederci finiti e questi luridi infami fregandosene di tutto e di tutti continueranno con i loro agguati dove non serve nemmeno essere coraggiosi. Uniamoci contro chi vuol far morire tutto il mondo ultrà, un mondo libero e vero pur con tutte le sue contraddizioni. Genova, 5 febbraio 1995.

6 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 4-28 FEBBRAIO 1995 

Una Messa nello stadio

L'iniziativa a Cosenza e Como. "Preghiamo per la tolleranza".

COSENZA - Nella giornata in cui lo sport si è fermato, gli stadi di Cosenza e di Como si sono trasformati in chiesa. Alla messa celebrata ieri pomeriggio nello stadio San Vito di Cosenza in memoria di Vincenzo Spagnolo hanno assistito un migliaio di tifosi. Il rito è stato officiato da Padre Fedele Bisceglie, il sacerdote che è la guida spirituale degli "ultras" del Cosenza. Attorno all'altare, allestito al centro del terreno di gioco, c'erano anche molti bambini con striscioni inneggianti alla pace. Il rito è cominciato alle 14.30, l'ora in cui avrebbe dovuto avere inizio l'incontro tra il Cosenza e il Piacenza. "Siamo qui riuniti in preghiera - ha detto Padre Fedele - perché è dalla preghiera, più che da qualsiasi altra manifestazione, che può giungere l'insegnamento all'amore verso il prossimo e alla tolleranza". I tifosi hanno ribadito il loro sostegno al Cosenza dopo la decisione della Caf di confermare alla squadra calabrese la penalizzazione di nove punti per presunte irregolarità nel pagamento dell'Irpef. Anche Como ha ricordato il tifoso genoano ucciso e tutte le vittime della violenza nello sport con una messa, che è stata celebrata sotto la tribuna dello stadio Sinigaglia per iniziativa del Coni provinciale, presieduto da Alberto Botta, che è anche sindaco della città. Alla cerimonia, che è stata officiata da don Luigi Galli del Sacrario degli sport nautici di Garzola (Como), hanno preso parte alcune centinaia di persone, tra le quali giocatori e dirigenti del Calcio Como, sportivi e rappresentanti dei Como Club. (Ansa)

6 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 4-28 FEBBRAIO 1995 

La Zia di Vincenzo

"Mamma e papà, assenti per dolore"

di Pierangelo Sapegno

GENOVA - Davanti allo stadio di Marassi, sul posto dove morì Vincenzo Spagnolo, sono arrivate le due sorelle, Simona e Romina. Hanno deposto un mazzo di fiori, hanno percorso tutto il marciapiede coperto di corone e messaggi arrivati da tutta Italia. "Papà e mamma non ce l'hanno proprio fatta a venire", spiega zia Laura, che è rimasta, in casa con loro. Quando le leggiamo il comunicato degli ultrà sobbalza di fronte ad alcune parole: "...Questi luridi infami che fregandosene di tutto e di tutti...". Domanda: "A chi si riferiscono ?". Dice: "Mi dispiace per queste parole". Un commento ? "Non sono in grado di valutarlo. E poi devo dire, a titolo personale, che è un messaggio che mi lascia indifferente". Poi, aggiunge: "Sono contenta che ci sia stata questa giornata senza calcio non tanto perché ha ricordato la morte di Claudio, ma perché è un monito contro la violenza. Claudio era una persona non violenta, amava i bambini e i vecchi, e faceva anche del volontariato. Adesso, la speranza è che la morte di Claudio ne impedisca delle altre. Non credo che comunque quel che è successo oggi servirà molto". Ma perché non servirà ? "Perché ne sono morti tanti altri e si sono fatte tante parole. Sì, forse questa volta c'è stato più rumore, ma perché la vittima era una persona molto conosciuta, adorata da tutti. Soltanto per questo". (p. sap.)

6 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 4-28 FEBBRAIO 1995 

"Ricordate mio figlio fermiamo la violenza"

di Cosimo Spagnolo

Sono due settimane che Claudio non c'è più e mi accorgo con angoscia di non aver mai aspettato in questo modo una domenica. L'altra l'abbiamo passata come si può immaginare, vuota: quella giornata di lutto, quella giornata senza sport, quel lungo silenzio per nostro figlio ucciso, è stato come un altro funerale. Oggi si riprende a giocare a calcio e anche se per noi non sarà mai più la stessa cosa io continuerò a coltivare comunque due speranze. La prima è che lo sport non muoia. Il calcio non si deve fermare, anche se è costato la vita a mio figlio, perché è una delle cose più belle che abbiamo. È la violenza che deve essere allontanata dagli stadi, le persone che non vogliono vedere lo sport ma partecipare ad una guerra. Si deve riuscire a scacciarle per consentire alle famiglie di sentirsi tranquille quando vanno allo stadio o quando vedono andarci i loro figli, ed anche perché non ci siano altri che debbano patire quello che soffriamo noi e la famiglia dell'assassino. Io non provo che indifferenza per questo ragazzo ma anche un'immensa pietà per i suoi genitori che sono diventati delle vittime, proprio come noi. Dicevo delle mie due speranze. La seconda è che, se il 15 febbraio si giocherà di nuovo Genoa-Milan, i tifosi dimostrino di aver capito quello che è successo, altrimenti la morte di Claudio sarà stata due volte inutile. Perché, se oggi, noi della famiglia parliamo e raccontiamo quello che è un dolore privato, lo facciamo proprio per combattere la paura che non sia servita a nulla una domenica di lutto, e che la morte di nostro figlio sia caduta sugli stadi senza però arrivare al cuore dei tifosi. Niente sarebbe peggio che pensare: "Claudio è stato ucciso per difendere la sua squadra". È un'idea che finirebbe per portare altri morti. Io voglio dire: Claudio è stato ucciso da un'idea sbagliata dello sport, che ha trasformato il divertimento e la passione in una guerra. Anche se una morte del genere, una morte violenta non può mai essere sensata, credo però che ci siano momenti in cui può valere la pena, o essere inevitabile, mettere in pericolo la propria vita. Vediamo tutti i giorni i morti di Sarajevo. Ma per Claudio il discorso è diverso: non era inevitabile, la sua morte, e la causa non valeva la pena. Ecco perché ho paura di questa domenica, e di quelle che verranno, probabilmente: quando tutti gli altri avranno dimenticato. Qualcuno mi ha chiesto con insistenza in questi giorni se potrò mai perdonare. È una domanda che non mi sono posto. Parlavo prima della mia indifferenza per quel ragazzo. Non so neppure se mi importa che chieda perdono o no, che si sia pentito: niente rimedia la morte. Però mi è capitato di pensare alla sua famiglia, e capisco la loro sofferenza. Se ci incontreremo in Tribunale, forse saremo nemici. Ma io ho rispetto del loro dolore, anche se qualcuno dice: "I figli sono come li cresci". A volte, penso, mandi un figlio per strada, e non sai davvero come tornerà. La differenza è che il loro ragazzo è tornato, e possono sperare in qualcosa. Noi siamo rimasti soli, e possiamo solo ricordare.

12 febbraio 1995

Fonte: La Repubblica

ARTICOLI 4-28 FEBBRAIO 1995 

A Marassi i tifosi della Samp hanno ricordato Vincenzo Spagnolo con un grande striscione

"Per noi sarai sempre un fratello"

Genoa, divisione all'interno dei club, alcuni ultrà sono andati a Firenze.

di Maurizio Caravella

GENOVA - Il cielo è plumbeo, l'atmosfera è ovattata, quasi irreale. Sembra che i tifosi tornino a Marassi in punta di piedi, come se non volessero disturbare. Grida, cori ? Macché: chi ha voglia di gridare, chi ne ha il coraggio ? Riecco il rito della partita, ma ci sono soltanto brusii, intorno allo stadio. Non è, non può essere un giorno di vera gioia, neppure per chi vince. Il cuore di tutti è ancora gonfio: di sdegno, di rabbia. Due settimane sono poche per dimenticare, tutta la città si sente ferita, stordita. Il pallone rotola sempre, ma si è sgonfiato un po'. Il pallone, qui a Genova, è diventato un divertimento triste. Anche per i sampdoriani. La morte, specie quando è così assurda, fa diventare fratelli dei cugini che per tradizione non si amano. "Domenica 29 gennaio la seconda vittima è stato lo sport", ricordano i manifesti del Coni. La prima, Vincenzo Spagnolo, mentre perdeva il sangue e le forze, riuscì a dire: "Non posso morire così". È pazzesco che qualcuno debba chiudere gli occhi per sempre, per aprirli agli altri, quelli col coltello in tasca. Molti tifosi della Samp si sono fermati sul luogo dove Vincenzo è stato ucciso, hanno lasciato sciarpe e bandiere. Qualcuno ha recitato una preghiera. Qualcun altro ha pianto. Una donna ha mormorato: "Potrebbe essere mio figlio. In fondo, è come se lo fosse". E dentro lo stadio, due soli striscioni: "Non un cugino, sarai sempre un fratello"; e poi "Basta lame, basta infami". All'altezza delle due gradinate, per la prima volta, sono comparse delle recinzioni mobili. Ma non ce n'era bisogno. Come non c'era bisogno di raddoppiare il servizio di sicurezza: cinquecento uomini, tra agenti e carabinieri. Ormai, era già successo tutto: due settimane prima. Ma a Genova (e non solo a Genova) la paura non è passata completamente. L'ora della paura dopo quella delle lacrime. Per i genoani doveva essere una domenica vuota: niente tifo organizzato a Firenze, niente "Tutto il calcio minuto per minuto". Avrebbero ascoltato Radio Babboleo, per avere notizie del Grifone. Ma poi lo sciopero in Rai è saltato. E un gruppo di tifosi non ha resistito al richiamo del cuore, anche se il coordinamento dei club aveva deciso di rinunciare a tre trasferte: per dare un segnale, per lanciare un messaggio. Da Genova sono partiti tre pullman. Li ha organizzati Dario Bianchi, che vent'anni fa assieme ad altri supertifosi fondò la famosa Fossa dei Grifoni: "La violenza - spiega - non si combatte stando a casa: se devi sostenere un esame, ti presenti e lo superi, non ti nascondi. Dieci bastardi con i coltelli in mano non possono rovinare l'immagine di tutta la tifoseria. Sono mele marce: vanno trovate, isolate. Siamo stati noi della gradinata nord, due domeniche fa, a far bloccare la partita. E ne sono fiero. Non si poteva andare avanti a dare calci a un pallone, sapendo che c'era stato un morto". A Firenze, ieri, c'era anche Tullio Torrigiani, da un mese e mezzo presidente del coordinamento dei tifosi rossoblù. "È stato un sacrificio doppio - spiega - ero lì e non potevo, per coerenza, andare a vedere la partita. Ero stato invitato ad una tivù privata per cercare di sdrammatizzare, per invitare alla calma. Avevo accettato, non potevo e non volevo tirarmi indietro. Ma niente stadio". E spiega che una volta, la domenica, i tifosi seguivano la squadra con tutta la famiglia, per fare una gita: se si andava a Torino, tutti a vedere la Mole; oppure il Colosseo a Roma, o la Torre a Pisa. "Ma adesso non è più possibile: per colpa della crisi economica, ma soprattutto della violenza. Arrivi in una città e ti mettono in colonna, ti scortano allo stadio, poi ti piazzano in un recinto. A Brescia si è obbligati a salire su un pullman senza vetri, con le griglie. Questo non è più divertimento. Qualcuno risponde: ma la violenza, ormai, è dappertutto. Questa però non è un'attenuante. Ciascuno deve cominciare a pulire il giardino di casa sua, poi tutti insieme ci occuperemo delle parti comuni. Ho un sospetto: forse qualcuno ha deciso che è meglio far sfogare i ragazzi negli stadi, piuttosto che nelle piazze. E ciò che succede in serie A, anche in campo, è un pessimo esempio per i ragazzini. Ho visto genitori appesi alle griglie, li ho sentiti gridare: "Picchia, stendilo". È agghiacciante". Giovanni Villani, addetto stampa del coordinamento: "La sorella di Spagnolo ha detto: "Vincenzo è morto, ma fra poco non se ne parlerà più, tornerà tutto come prima". Ecco, quella frase mi ha colpito. Se abbiamo deciso di dare un segnale, è proprio perché non deve tornare tutto come prima. Altrimenti la morte di quel povero ragazzo non avrà insegnato nulla". Marta Paci, responsabile dei club: "Non siamo bestie da stadio: eppure spesso veniamo dipinti così, come se la colpa di qualcuno fosse la colpa di tutti. Abbiamo fatto raccolte di fondi per la Bosnia, per gli alluvionati; a Natale e a Pasqua portiamo doni ai ragazzi ricoverati al Gaslini. Gli ultras di Genoa e Samp hanno fatto una colletta insieme per acquistare un'ambulanza. Ma chi parla mai di queste cose ? Fa notizia solo la violenza". Mercoledì sera Genoa-Milan: tv per tutti, e i diritti (250 milioni) andranno alla famiglia di Vincenzo. Si riparte da quella maledetta domenica. Ma forse si riparte bene.

13 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 4-28 FEBBRAIO 1995 

A Marassi un grande spiegamento di forze

Stasera Genoa-Milan la partita di Vincenzo

di Damiano Basso

GENOVA - No, non sarà e non potrebbe essere una gara come le altre. E forse, Genoa-Milan, dopo quel tragico 29 gennaio, non sarà mai più nell'animo di tutti una semplice partita di calcio, ma sarà sempre la partita di Vincenzo Spagnolo. Tra polemiche, dubbie riflessioni, alla fine ecco arrivato il 15 febbraio, il giorno del recupero. Rai Uno trasmetterà in diretta le immagini del confronto, mentre le forze dell'ordine vivranno una serata di massima allerta. Più di 500, fra poliziotti e carabinieri, garantiranno fuori e dentro lo stadio, l’ordine pubblico anche se, questa volta, da Milano dovrebbero arrivare pochi tifosi, gli irriducibili, e con mezzi propri. Verranno perciò effettuati controlli preventivi alle stazioni ferroviarie di Brignole e Principe e ai caselli autostradali di Genova Ovest e Staglieno, quelli cioè solitamente utilizzati dai sostenitori ospiti. La preoccupazione nasce dal fatto che qualche tifoso genoano in cerca di vendette potrebbe magari sfogare la propria rabbia contro persone innocenti, colpevoli semmai di portare al collo una sciarpa rossonera. Per questura e prefettura sarà una specie di prova generale in vista della prossima stagione, quando il "Ferraris" avrà la famosa recinzione esterna. La famiglia di Vincenzo Spagnolo, intanto, ha inviato al Genoa una lettera, che verrà letta questa sera allo stadio: "La famiglia di Vincenzo "Claudio" Spagnolo desidera ringraziare gli amici e gli sportivi che hanno manifestato in ogni modo il proprio cordoglio per la scomparsa del loro congiunto. Il padre Cosimo, la madre Lina, le sorelle Simona e Romina e i parenti invitano tutte le persone di buon senso a recuperare i sentimenti di tolleranza e civiltà, a farsi portavoce delle esigenze non più differibili di debellare qualsiasi forma di violenza e di impedire con ogni mezzo il ripetersi di accadimenti assurdi e delittuosi". Non si prevede comunque un gran pubblico al "Ferraris". A Genova sono già stati rimborsati quasi 1000 tagliandi e la prevendita precede a singhiozzo. Probabilmente a Marassi, oltre agli abbonati, ci saranno poco più della metà dei 9177 spettatori che avevano pagato il biglietto domenica 29 gennaio. Ieri doppia seduta di allenamento per il Genoa. Difficile il recupero di Onorati (contrattura al polpaccio sinistro), dovrebbe essere Delli Carri a sostituirlo, mentre appare ipotesi più remota l'impiego dal primo minuto di Miura, con arretramento a centrocampo di Van't Schip. "Il Milan verrà per vincere - ha detto l'allenatore rossoblù Marchioro - e anche se non costituisce più un valore in assoluto, il gruppo rossonero dispone sempre di mezzi tecnici superiori e soprattutto si diverte a giocare. Mi aspetto il Milan di sempre, non credo che il ricordo degli avvenimenti accaduti due settimane fa possa condizionarlo psicologicamente o sul piano dell'aggressività". Ma quale Genoa vorrebbe Marchioro ? "Quello tosto che ha affrontato il Milan nel primo tempo della partita annullata. Il presidente Spinelli ha esternato ? Lui esterna sempre. Io non ho ancora letto da nessuna parte un'analisi tecnica che condivido su questa squadra". "Contro Roma e Milan non possiamo sbagliare - ha detto il centrocampista rossoblù Antonio Manicone - dobbiamo approfittare di queste due partite interne per tirarci fuori da una situazione difficile. Credo che il Genoa sia inferiore a poche altre squadre del campionato, ma alla fine sono i risultati a contare e in questo momento ci condannano. Ci manca la necessaria tranquillità, perché mancano i risultati. È un circolo vizioso dal quale possiamo uscire solamente vincendo qualche partita al più presto possibile. Il presidente ci ha stimolato, le sue critiche ci fanno piacere perché sono fatte in buona fede, si vede che lui vuole bene al Genoa. Contro il Milan dovremo cercare di pensare solo alla partita, anche se sarà difficile perché non si può dimenticare una persona che ha perso la vita per una partita di calcio".

15 febbraio 1995

Fonte: La Stampa

ARTICOLI 4-28 FEBBRAIO 1995 

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