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Sono un sopravvissuto della curva Z. Io la "signora in
nero" l'ho toccata con mano e mentre avevo ormai
salutato mentalmente i miei cari e la vita, trovandomi
schiacciato tra migliaia di persone che cercavano di
sfuggire alla morte, un'ennesima spinta mi ha proiettato
verso l'alto, non so neanch’io come (le immagini
televisive lo testimoniano), passando sopra inermi
tifosi caduti, calpestati e urlanti dolore o già morti,
mi sono ritrovato in campo sano e salvo ! Questo,
perciò, è un debito di coscienza: io mi auguro, con
questo memoriale-verità, di poter nel mio piccolo,
contribuire affinché queste vittime, con il loro
sacrificio, non siano morte invano, ma siano state le
ultime di questa pseudo-società che rifiuta di vedere e
di capire anche davanti all'evidenza.
Nereo
Ferlat
A
trent’anni di distanza da quel fatidico evento, la
perseveranza da parte di migliaia di tifosi juventini
che hanno passato il timone del ricordo alle generazioni
a venire, fa sì che i 39 Angeli dell'Heysel siano al
nostro fianco. Nessuna persona è veramente morta se non
muore nel cuore di chi resta, e se è un cuore grande
come quello di Nereo e dei tanti che ne tramandano
perseveranti Ia memoria, i Martiri dell’ Heysel
rimarranno con noi. Per sempre.
Beppe
Franzo
25 Aprile 2015
Fonte: L'ultima curva (Novantico
Editrice)
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Reggio Emilia, diretta su YouTube del
Comitato Vittime Heysel
Ferlat: io e le parole di
Giglio Panza
di Nereo Ferlat
È proprio così "L'uomo propone e Dio dispone". Ci
eravamo promessi lo scorso anno davanti al Monumento
alle vittime dello Stadio Heysel a Reggio Emilia: "Nel
2020 ricorrerà il 35° anniversario e dovremmo fare le
cose in grande per ricordare i nostri 39 angeli". Invece
questo virus piombatoci addosso ci ha fatto recedere dai
nostri buoni proponimenti e nelle ristrettezze in cui ci
si è trovati: si farà una no-stop via web sul sito del
Comitato e sul canale YouTube dello stesso, con
centinaia di interventi e testimonianze. La memoria di
queste 39 persone immolatesi in quel fatiscente stadio
belga, in una serata dove il rosso del tramonto si è
mescolato con il loro sangue innocente, non deve essere
dimenticata. Deve sempre essere presente nei nostri
cuori e davanti ai nostri occhi. A Reggio Emilia sono
presenti bandiere e gagliardetti di tante squadre uniti
in un solo respiro e la commozione si staglia nell'aria
davanti alle 39 steli. Partecipano anche parenti di
quelle innocenti vittime che purtroppo vengono
dileggiate da chi cova un tifo becero. Ogni anno si
spera che le cose cambino, ma la rabbia che cova in
corpo di certi tifosi sembra non finire mai ! Gente che
non era magari neanche nata ma che viene coinvolta in
queste tristi sequele canore. L'Heysel non è stato un
olocausto soltanto juventino ma nazionale. Cerano anche
tifosi di altre squadre in quei 39 morti, non solo
italiani ma anche quattro belgi, due francesi ed un
irlandese. Se siamo ancora qui a sputare odio non
abbiamo capito cosa sia successo quella sera ! È
importante educare le nuove generazioni ad un tifo sano,
un tifo per e non un tifo contro, se no si rischia (come
sta puntualmente avvenendo) di far morire questi 39
angeli un'altra volta. L'Heysel è tragedia italiana e
non juventina e che i giovani vanno educati perché
vivano lo sport nel modo giusto e senza violenza. E a
tal proposito riprendo le parole di un grande
giornalista che è stato anche direttore di Tuttosport,
Giglio Panza: "Questa tragedia dello Stadio Heysel ci
impegna tutti nella ricerca dell'onesto, ricerca
difficile ma con un po' di buona volontà, non
impossibile. Ricerca giusta. ricerca doverosa, perché il
29 maggio sia considerato un punto di partenza verso uno
sport più serio più pulito.
29 maggio 2020
Fonte: Tuttosport
Il sopravvissuto
"Il ricordo di 39
angeli resta vivo"
Significativo nel giorno
dell'anniversario anche il pensiero dl Nereo Ferlat, uno
dei sopravvissuti della Curva Z e oggi autore di libri,
uno dei più bravi e attenti manutentori della memoria,
che spiega: "Aggiungiamo un altro anno alla memoria di
quella triste sera del 29 maggio 1985 dove allo Stadio
Heysel di Bruxelles morirono 39 inermi tifosi. Noi
testimoni di quella mattanza dobbiamo sempre tenere
accesa la fiamma della memoria in modo che sia sempre
vivo il ricordo dei nostri 39 angeli. Quest’ anno sono
rimasto piacevolmente sorpreso dall'iniziativa di
Domenico Beccaria che ha esposto uno striscione con su
scritto +39 rispetto allo Stadio Grande Torino. Esempio
di tifo etico e non becero dove la morte non ha colore
ma unisce tutti in un unico abbraccio. Domani poi, a
Cherasco, a Grugliasco, al Comune dl Torino, ed in altri
luoghi cl saranno diverse cerimonie per ricordare le
vittime dell’Heysel. Il 2 giugno ci sarà la
commemorazione al Monumento delle vittime a Reggio
Emilia. Breve, toccante e coinvolgente. Con interventi
di testimoni e con la partecipazione di parenti. Verrà
di nuovo lanciato il proclama: il seme è stato lanciato
e pian piano tenendo sempre viva la memoria ed educando
le nuove generazioni la piantina potrà crescere sana".
29 maggio 2019
Fonte: Tuttosport
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Tifosi,
il rispetto è nel ricordo
di
Nereo Ferlat
Caro Direttore, visto ciò che è
successo in questi giorni dove
da più pulpiti si chiede scusa per
offese ricevute e rinviate al
mittente: dove si rischia di far
esplodere il prossimo derby in
concomitanza delle festività
natalizie, dove sui social sta
montando una rabbia ingiustificata,
dove si sta spalmando di violenza
verbale quello che dovrebbe essere
solo un evento sportivo e basta,
dove stanno spuntando da entrambe le
parti striscioni e cori (tutti
colpevoli), vorrei segnalare che ci
sono anche granata e juventini che
da anni stanno cercando di tendersi
una mano e di combattere ogni forma
di violenza nel nome dello sport.
Insieme si è fatta una mostra
itinerante "70 Angeli in un unico
cielo", dove erano accomunati in un
unico abbraccio i 31 caduti di
Superga ed i 39 di Bruxelles
insieme; ogni 29 maggio ci si
ritrova a Reggio Emilia al monumento
eretto a ricordo delle vittime di
quella tragedia in terra belga;
insieme si va nelle scuole a parlare
ai giovani di queste tragedie
affinché non accadano mai più e
perché si tifi solo per e non
contro. Il calcio va vissuto senza
farsi forza con un coro o uno
striscione per infangare chi è morto
per rincorrere un sogno dietro ad un
pallone.
28
ottobre 2018
Fonte: Tuttosport
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Ferlat sopravvissuto a
Bruxelles: "dopo 33 anni quella lezione deve insegnarci
a rifiutare l'odio"
"Studiate l’Heysel"
di Guido Vaciago
"Il 29 maggio 1985 morirono anche
tre interisti. Assurdo che il tifo sia sempre più spesso
contro e non a favore".
Le urla gli resteranno per sempre
nella testa. "Non si cancellano. Così come le immagini
di quei secondi che mi capitano di rivedere come in
moviola, rivivendo ogni volta la stessa angoscia".
Trentatré anni fa, il 29 maggio del 1985, Nereo Ferlat
era a Bruxelles, con un biglietto della Curva Z dello
stadio Heysel da una parte e un destino benigno
dall’altra. Dell’immane tragedia di quella notte Ferlat
è un sopravvissuto. E non sa bene neppure lui come. Ha
il ricordo della folla che lo solleva per aria "come un
tappo di champagne" e la visione della rete di
recinzione del campo che finalmente cede e permette a
molti di trovare la salvezza, "purtroppo anche
calpestando corpi di coloro che non ce l’avevano fatta".
La tragica crudezza della notte dell’Heysel va rivissuta
ogni anno, perché il tempo non la trasformi in un’icona
asettica o in un santino, da celebrare o peggio ancora
da insultare. L’Heysel è paura, sangue e morte, tutte
tremendamente vere. Lo deve aver presente chi ricorda e
lo deve sapere chi infama. Perché l’Heysel è una lezione
da studiare anche a 33 anni di distanza, anzi forse
soprattutto a 33 anni di distanza. "Siamo ancora qui a
odiare. Significa che il senso di quella notte non
l’abbiamo capito ancora molto bene. Negli stadi e sui
social ci sono ancora troppa rivalità e astio. Il tifo è
quasi tutto contro e sempre meno a favore della propria
squadra. Sono logiche perverse e malate. Bisogna
ripassare la lezione dell’Heysel. Sono felice che si
ricordino le vittime di Bruxelles ad ogni partita della
Juventus, meno entusiasta dell’idea che lo si faccia
gridando "odio Liverpool". Perché l’odio è proprio
quello che dobbiamo sconfiggere per evitare altri
Heysel", spiega Ferlat. Naturalmente ancora più atroce è
chi insulta la memoria di quei morti. "I tifosi
avversari non capiscono, anche loro probabilmente non
sanno di quello che parlano o cantano". Perché quella
notte non sono morti 39 juventini, ma 39 appassionati di
calcio, 39 persone che potevano amare qualsiasi squadra
e la cui vita è stata spezzata in uno stadio dal destino
e dalla colpevole incompetenza delle autorità belga. "Ci
sono anche tre interisti fra le 39 vittime. Persone che
avevano accompagnato amici juventini", spiega Ferlat,
rendendo ancora più assurdo il gesto di chi insulta
pensando di insultare la Juventus in senso lato.
"Bisogna educare. Sì, l’unica via d’uscita è
l’educazione. Spesso vado nelle scuole a raccontare ai
ragazzi l’esperienza dell’Heysel, un fatto accaduto
molti anni prima della loro nascita, ma che può
insegnare loro qualcosa. È incoraggiante la loro
reazione, mi fanno domande e sono sempre molto
interessati. Io cerco di spiegare loro quanto la
passione per il calcio sia una cosa positiva, ma vada
vissuta in un modo consapevole e civile. Sono ottimista,
quei semi gettati un giorno germoglieranno. Certo, poi
se vado a vedere una partita di calcio giovanile, il
comportamento dei genitori mi imbarazza". Dalla cultura
dell’insulto, infatti, nasce la violenza verbale che può
facilmente trasformarsi in violenza autentica. Ripetere
un Heysel, oggi, è più difficile perché "passi in avanti
per quanto piccoli ne sono stati fatti", concorda
Ferlat, ma - attenzione! –
non è impossibile rivivere una notte così nera se
non si inverte una preoccupante tendenza che, anche
attraverso i social, trasmette e propaga l’odio.
"Domenica ero a Reggio Emilia per la commemorazione
davanti al monumento che ricorda le vittime. C’era tanta
gente, molte bandiere e vessilli mandate dai club, anche
una del Liverpool. Oggi verrà inaugurata una piazza a
Torino e nel museo della Juventus c’è una stele davanti
alla quale ci si può raccogliere in preghiera. È
importante ricordare, ma lo è ancora di più imparare da
questi ricordi". Altrimenti c’è il rischio che quei 39
amici muoiano un’altra volta.
29 maggio 2018
Fonte: Tuttosport
NDR: Nel video sopra,
Nereo Ferlat, ospite della
Sede RAI del Piemonte, nello studio del TG Regionale.
"Una tragedia nazionale non può
cadere nell’ oblio": intervista a Nereo Ferlat
di Daniela Russo
In occasione del triste
anniversario della tragedia di Bruxelles ascoltiamo la
testimonianza di Nereo Ferlat, sopravvissuto al massacro
della Curva Z dell’Heysel e portatore di un
significativo messaggio.
La memoria è un muscolo che va
esercitato, ci dicevano sempre a scuola. Ma la memoria è
anche una risorsa, un bene da tramandare affinché non si
dimentichi; e la tragedia dell’Heysel, quel 29 maggio
1985, è uno di quegli eventi che nessuno dovrebbe
permettersi di ignorare. Ben lo sa Nereo Ferlat, che da
quello stadio in quella stessa notte è uscito - soltanto
per miracolo - indenne. Da trentatré anni ormai si è
assunto il compito, la responsabilità di preservare la
memoria di una tragedia calcistica che ha segnato per
sempre la storia della Juventus ma che riguarda tutto
l’universo del calcio. L’idea di scrivere subito un
libro ("L’ ultima curva"), la partecipazione attiva alle
commemorazioni e a tutti gli eventi legati alla vicenda
belga che portò via 39 persone, di cui 32 italiani; il
forte legame con il "Comitato per non dimenticare
l’Heysel", di cui abbiamo tempo fa
in questa redazione illustrato il compito: sono
soltanto alcuni dei modi in cui Nereo ogni anno si
impegna per fare in modo che tutti, specie i più
giovani, possano capire che quel
"-39", che sovente campeggia negli stadi senza
criterio alcuno, nasconde un enorme significato: non è
uno sfottò, e non possiamo permettere che diventi tale.
Nereo, ci aiuta a ricostruire cosa
successe quel giorno ?
"Io ero a Bruxelles già a
mezzogiorno, quel 29 maggio. Per le strade della città
incontravamo già gruppi di tifosi dei Reds che
dall’aspetto e dal comportamento sembravano già carichi
e facinorosi. Al momento dell’ingresso allo stadio, sono
riusciti a introdurre di tutto all’interno: proprio lì
accanto c’era un cantiere al quale si poteva accedere
senza alcun problema. Allora i controlli certo non erano
come oggi… Ad un certo punto hanno incominciato a
arretrare e avanzare, proprio come una carica. Una
moltitudine, una folla che si muove quasi a voler
sollevare una guerriglia. Eppure la curva Z era piena di
famiglie, nessuno che avesse intenti bellicosi. Ho visto
tantissima gente arrivare, eravamo tutti impauriti. Ho
gridato: "Scappiamo", poi il delirio: sentivo
chiaramente che nel fuggire c’erano già persone a terra.
Non avevo più aria né saliva, ho cominciato a pregare
convinto che sarei morto: paradossalmente, il crollo del
muretto è stato provvidenziale.
Sono stato sbalzato in aria, mi sono ritrovato
accanto a una crocerossina che mi ha dato dell’acqua e
mi ha aiutato a riprendermi. Poi mi sono diretto verso
la tribuna stampa, là dove Pizzul si prodigava per dare
notizie ai tanti telespettatori in ansia. A lui ho
portato testimonianza di quanto stava accadendo".
Una vicenda terribile che oggi
viene accomunata a un banale sfottò da stadio…
"Sì, è pazzesco questo risvolto che
ha assunto l’Heysel. Questo accade perché molti ignorano
i fatti, i più giovani soprattutto. Altri conoscono la
vicenda solo in modo marginale, ignorandone la portata.
Chi ha visto, chi ha assistito dovrebbe incaricarsi
della responsabilità di divulgare la verità in modo che
non venga banalizzata. L’Heysel è stata una tragedia
nazionale. Non è solo un dolore che riguarda la
Juventus".
La struttura dell’impianto era
davvero così terribile come si dice ?
"Assolutamente. Dava
l’impressione di potersi sbriciolare da un momento all’
altro. Fatiscente, inadeguato a un evento di tale
portata. I pezzi di porfido si staccavano con una
facilità impressionante, si vedeva crescere l’erba tra
gli spalti: tutto gridava al degrado. Non era nemmeno la
prima volta che quello stadio veniva imputato: nel 1980,
in occasione di Arsenal-Benfica valida per la Coppa
delle Coppe, l’allenatore della squadra inglese aveva
sottolineato la pericolosità della struttura. La Uefa
tuttavia ritenne opportuno ignorare la cosa…".
La Uefa tra l’altro ha glissato a
lungo sulla sua responsabilità.
"Ci sono voluti anni per avere
l’ufficialità della sentenza e più di 200 viaggi a
Bruxelles da parte di Otello Lorentini (padre di
Roberto, una delle vittime di quella notte, n.d.r.),
intenzionato insieme ad altri familiari a rendere
giustizia ai poveri defunti e a far emergere la verità
sulla Uefa, che ha lasciato per troppo tempo che fosse
la Juventus ad assumersi la maggior parte delle colpe. Alla Juve è stato detto di tutto
per aver accettato di disputare la partita: ma non
c’erano alternative, svuotare lo stadio avrebbe
trasformato il tutto in un’ecatombe. L’ordine pubblico
andava salvaguardato, e non poteva certo farlo la
polizia locale, tra l’altro giunta in ritardo a cercare
di contenere l’impatto degli Hooligans. Sia la Juventus
sia il Liverpool hanno giocato, non hanno recitato una
farsa: hanno fatto ciò che era stato chiesto anche per
quelle povere persone, non c’è alcuna colpa in questo.
Sicuramente, per quanto io ne sappia, i bianconeri non
avrebbero voluto giocare".
Quando è nata l’idea di raccontare
tutto nel suo libro ?
Praticamente da subito. Quando sono
rientrato a casa, ho rivisto la partita e compreso la
portata di quello che era accaduto, nello stesso tempo
mi rendevo conto che tutto cadeva nel dimenticatoio
troppo velocemente. E mi sono detto che non andava bene,
che non dovevo permettere che si dimenticasse una cosa
così: una tragedia, non soltanto per la Juve. Non
dimentichiamo che tra gli italiani c’erano anche tre
tifosi dell’Inter, che si erano recati allo stadio per
accompagnare i loro cari. È una tragedia nazionale e
calcistica, senza colori".
Anche la Juventus è uscita dal suo
lungo silenzio…
"Al Museum ora c’è una sala tutta
dedicata all’Heysel, in cui si racconta tutto
dettagliatamente (NDR: Una stele con i nomi delle
vittime, senza spiegazioni); inizialmente in piazza
Crimea a Torino fu subito eretto un monumento. Le
commemorazioni si svolgono anche in altre città, ove si
radunano i parenti delle vittime. Da questo punto di
vista il "Comitato" di Reggio Emilia svolge un lavoro
encomiabile, grazie a Iuliana e Roberto Garlassi".
Proprio domenica Nereo Ferlat ha
partecipato alla cerimonia di Reggio Emilia, patria
custode del celebre monumento ai caduti dell’Heysel. Un
luogo di ritrovo tenuto vivo dall’amore: dall’amore per
la memoria, per il rispetto, per il dolore. Perché il 29
maggio non è una data solo bianconera: è, come ha detto
il nostro amico, una tragedia di tutti quelli che amano
e vivono il calcio. E anche di chi non lo ama. Tutti, in
qualche modo, siamo chiamati a tramandarne il ricordo.
Noi oggi sentiamo di doverlo fare così: con le parole di
chi, neanche volendo, potrà mai dimenticare.
29 maggio 2018
Fonte: Golditacco.it
NDR: Nel Video sopra,
Nereo Ferlat, tornato dopo 33 anni a Bruxelles, è
intervistato sul luogo della strage.
Heysel, una #memoria
dello sport degenerato
di Roberto Lauri
Nereo Ferlat era allo
stadio di Bruxelles per la partita Liverpool-Juventus
deI 29 maggio 1985. Era in curva nel settore "Z",
vicinissimo ai settori degli hooligan deI Liverpool e
deI Chelsea. Le reti divisorie non bastarono a
proteggere i tifosi: morirono trentanove persone (32
italiani, 4 belgi, 2 francesi e 1 irlandese) e ci furono
centinaia di feriti. A distanza di trentun anni esce un
memoriale che vorrebbe arginare le persistenti
degenerazioni della foga sportiva.
Ventinove maggio 1985, Stadio
Heysel di Bruxelles, sono passati poco più di trenta
anni, ma molte persone hanno ancora impresse negli
occhi, le immagini di quella tragedia. Nella capitale
belga c'era in programma la finale di Coppa Campioni,
tra il Liverpool e la Juventus; quando alle 18,30 lo
stadio si trasformò prima in un campo di battaglia, poi
in un cimitero. Morirono 39 persone, delle quali 32
erano italiane, e ne rimasero ferite oltre 600. Una
tragedia, che a parte qualche rara commemorazione fatta
nel suo trentennale, se ne è voluta perdere memoria.
Tramite amicizie comuni, ho avuto modo di conoscere,
Nereo Ferlat, un sopravvissuto a quella tragedia o come
lui stesso si definisce, un vero miracolato di quella
funesta giornata, per intercessione di un santo al quale
è molto devoto. Nereo ha ancora vivo il ricordo dei quei
drammatici momenti e ha voluto per noi fissare alcuni
ricordi. Prima però ripercorriamo la storia e gli
avvenimenti di quel 29 Maggio di 31 anni fa. A quella
attesissima finale erano presenti moltissimi tifosi
italiani, quelli organizzati dai vari club di supporter,
furono assegnate le tribune delle curve MNO, che si
trovava nella parte opposta a quella riservata ai tifosi
inglesi. Molti altri tifosi juventini, che erano giunti
a Bruxelles in maniera
autonoma, furono sistemati nella
tribuna Z. Questa era separata da due basse reti
metalliche dalla curva dei tifosi del Liverpool, ai
quali si unirono anche tifosi del Chelsea, famosi per la
loro violenza. Circa un'ora prima della partita i tifosi
inglesi più esagitati, gli hooligan, cominciarono a
spingersi ad ondate, verso il settore Z, cercando di
sfondare le fragili reti divisorie. I tifosi inglesi caricarono
più volte gli spettatori juventini, che impauriti,
cominciarono ad arretrare, ammassandosi contro il muro
opposto al settore della curva, occupato dai sostenitori
del Liverpool. Non ci fu nessun intervento da parte
delle forze di polizia, per ristabilire l'ordine anzi,
cercarono di ostacolare la fuga degli italiani verso il
campo di gioco, caricandoli e colpendoli con i
manganelli. Ci fu una grande confusione e nella ressa
alcuni spettatori si lanciarono nel vuoto per evitare di
rimanere schiacciati; altri cercarono di scavalcare gli
ostacoli per entrare nel settore adiacente, altri si
ferirono contro le recinzioni. Il muro, per le spinte e
per il peso esercitato su di esso dai tifosi, ad un
certo punto crollò, molte persone rimasero schiacciate,
oppure calpestate dalla folla e rimasero uccise. Lo
speaker e i capitani delle due squadre invitarono i
tifosi alla calma, la maggior parte dei quali lontani
dai settori coinvolti negli scontri, non riuscivano a
capire quello che stava realmente accadendo. Gli
scampati alla tragedia si rivolsero ai giornalisti in
tribuna stampa perché telefonassero in Italia, per
rassicurare i familiari. Alla fine i morti furono 39,
dei quali: 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e 1
irlandese, oltre a 600 feriti. La diretta televisiva
della Rai si aprì con il video volontariamente oscurato,
mentre il commentatore Bruno Pizzul cercava
maldestramente di attribuire l'imprevisto a cause
tecniche. Sull'altro canale Rai invece il telegiornale
mostrava le immagini degli incidenti e di spettatori
distesi a terra senza vita. Dopo quasi un'ora e mezzo di
rinvio, alle 21.40 le due squadre entrarono in campo. Si
decise di giocare ugualmente la partita, nonostante
quello che era successo. La decisione fu presa dalle
forze dell'ordine belghe e dai dirigenti UEFA, per
evitare ulteriori tensioni. La televisione tedesca si
rifiutò di trasmettere la partita, mentre quella
austriaca, pur non interrompendo la diretta, sospese la
radiocronaca, mettendo in sovrimpressione una scritta
che recitava: "Questa che andiamo a trasmettere non è
una manifestazione sportiva". La partita fu vinta dalla
Juventus e Michel Platini, autore della rete decisiva,
fu molto criticato per essersi lasciato andare a
esultanze eccessive vista la gravità degli eventi. Lo
stesso Platini il giorno dopo, quando venne a conoscenza
della morte di 39 persone, dichiarò che di fronte a una
tragedia di quel genere, i festeggiamenti sportivi
dovevano passare in secondo piano. Il sindaco di Torino,
Giorgio Cardetti, censurò l'esultanza nelle strade di
alcune frange di tifosi. Dieci anni dopo, Zbigniew
Boniek dichiarò che non avrebbe voluto giocare quella
finale, non ritirando per questo il premio partita per
quella vittoria. Alcuni dirigenti juventini con Michel
Platini si recarono a fare visita ai feriti negli
ospedali della città. Nella camera mortuaria allestita
all'interno di una caserma, i parenti delle vittime
furono accolti dai reali Belgi: Re Baldovino e dalla
consorte Fabiola.
Nereo c'è una lettera
che segna la tua vita, prima e dopo, la lettera Z. Il 29
maggio del 1985, eri nella curva Z dello stadio Heysel
di Bruxelles, la curva maledetta, dove morirono 39
persone, che ricordi hai di quella giornata ?
"Sono passati più di 30 anni,
ora sono in pensione e le partite della mia Juve
preferisco vederle in televisione. Ma il ricordo di quel
giorno resta indelebile nella mia mente. L'Heysel non è
mai passato. Penso spesso a quel giorno, a ciò che ho
vissuto. Avevo percepito una situazione di pericolo già
entrando nello stadio. Capii che i tifosi inglesi
avrebbero potuto accedere facilmente nel nostro settore
e creare molta confusione e disordini".
Tutto era iniziato in
un clima di festa, la partenza per il Belgio con gli
amici, la speranza di vincere l'ambita coppa.
"All'inizio non volevo andare a
Bruxelles, però dopo molto insistere da parte di un mio
amico, decisi di seguirlo nella trasferta belga, dove la
mia amata Juventus cercava per la terza volta di portare
a casa la coppa. Ricordo la carovana dei pullman che
partì alla volta del Brabante, nello scirocco di una
sera di fine maggio. A bordo c'erano tante speranze, di
poter far festa la sera successiva. Ricordo che la notte
la trascorsi senza quasi chiudere occhio, durante tutto
il viaggio e poi Parigi apparve ai miei occhi, in una
mattinata con tanto sole. Poi giungemmo in Belgio, la
consideravamo la nostra terra di conquista, "vade retro
Liverpool" urlavamo in coro. E poi Bruxelles, entrammo
dal quartiere di Anderlecht, alla sua periferia. Notai
subito che non c'era nessun cartello, nessuna
segnalazione, nulla. Ma non si giocava la finale di
Coppa ? Ai belgi non solleticava affatto
quell'avvenimento sportivo".
Mi hai raccontato che
quando hai visto la tifoseria inglese, che si agitava,
che urlava, hai cominciato a avere un po’ di paura, vero
?
Sì,
vedemmo i tifosi inglesi, quanti erano ? Tanti,
Tantissimi. Eh già ! Era facile per loro arrivare in
Belgio. Erano sbarcati, fin dalla notte, ad Ostenda e
inondavano di bandiere rosse la Grand Place ! C'era
molta tensione. I capi comitiva continuavano a dirci,
non nascondendo la loro preoccupazione: "Non provocate,
non rispondete alle provocazioni, loro sono la
maggioranza e sono tra loro molto uniti". In città, in
centro, c'erano in terra, cocci di centinaia di
bottiglie di birra e whisky. Quando entrammo nello
stadio la tensione era molto alta, cominciammo ad avere
paura. Nell'avvicinarci alla nostra curva, la Z, vedemmo
che i tifosi inglesi portavano dentro lo stadio di
tutto, lo avevano prelevato da un cantiere edile
abbandonato. A noi italiani, la polizia belga,
all'ingresso dello stadio, ci toglieva anche le aste
delle bandiere !".
Si è sempre affermato,
che la polizia, sottovalutò il pericolo presente e non
fu capace di intervenire in tempo e in maniera adeguata,
per placare gli animi, soprattutto quelli dei supporter
inglesi.
"Ma no, che paura c'era,
dicevano. Il porfido che divelto dalla pavimentazione,
diventava arma, che pericolo poteva rappresentare ? Un
razzo sparato nella nostra direzione, che pericolo era ?
La rete divisoria, che era proprio una rete per polli
che s'affloscia e cade, non richiede nessun intervento
della polizia, perché ? Sono ricordi amari, molto amari,
ho perso degli amici quel giorno. Ancora ricordo come
fosse ieri, di quando i tifosi inglesi ci attaccarono e
di noi che impauriti, indietreggiando cercavamo la
salvezza. Poi quando ci trovammo a migliaia in pochi
metri quadrati, schiacciati contro un muro. Schiacciati
l'uno contro l'altro, ci mancava il respiro, mi mancava
il respiro. Ricordo solo che in quel momento ho pensato
di morire e dicevo: "Ciao affetti che siete a casa, ciao
mamma, ciao figlia, ciao moglie. Ricordatemi così,
figlio, marito e padre". Poi mi sono rivolto a Padre
Pio, al quale ero e sono molto devoto: "Padre Pio,
aiutami! Salvami ! Ti prego, salvami !". Poi
all'improvviso, come uno scrollone che ti fa schizzare
in alto, come un tappo di champagne. Non so come sia
successo, schizzato via da quel groviglio di corpi, come
un tappo di champagne. Quando rivedo il filmato che
ritrae quei secondi, mi viene ancora la pelle d'oca !
Poi arrivai in campo salvo. Una suora dopo alcuni minuti
mi ha chiesto come stavo e lì ho realizzato di essere
ancora vivo".
Un vero miracolo, sei
uscito illeso da quella calca, sbalzato via "Come un
tappo di Champagne", dopo aver invocato l'aiuto di Padre
Pio ! So che per molto tempo hai tenuto questa cosa come
un segreto tra te e Padre Pio. Solo da poco tempo hai
deciso di parlarne. Dopo che sei arrivato sul campo di
gioco, cosa è successo ?
"La triste conta dei superstiti
e dei feriti. Di chi era a fianco a te ed ora non c'è
più. Il ritorno a casa e quegli incubi che non
passavano. Non riuscivo più a dormire, il pensiero delle
vittime pesava come un macigno. Il volto sorridente del
signor Gianfranco Sarto di Contarina, che avevo
conosciuto sul pullman e ora non c'era più, continuava a
tornarmi in mente.
Hai voluto mettere i
tuoi ricordi e quelli di chi era presente quel giorno
tutti in un libro, vero ?
"E' vero, così è nato il libro:
"L'ultima curva". Sì, proprio l'ultima, quella che
tifosi, come me hanno potuto calpestare per l'ultima
volta, per colpa di una partita di pallone. Un libro che
vuole essere una sfida a chi vuole dimenticare. Non si
possono dimenticare 39 persone che sono morte, per una
violenza cieca, inutile. Per dare una testimonianza a
coloro che quella sera non erano ancora nati".
25 febbraio 2016
Fonte: La Croce
Quotidiano
Il dono del ricordo
di Smemorato
Fuori da ogni ricorrenza o
anniversario, l’idea di ricordare quel lontano 29 maggio
1985 mi è tornata in mente, dopo aver visto la puntata,
del 2 gennaio 2016, della nota trasmissione televisiva
di Rai Uno "Il dono", condotta per l’occasione da Paola
Perego. Un dono, fra gli altri della puntata, è stato il
racconto di Vittorio che, allora sedicenne tifoso
juventino, fu coinvolto insieme al padre Leopoldo nella
tragedia che, riguardò tifosi inglesi ed italiani,
durante la finale di Coppa dei Campioni disputatasi,
allo Stadio Heysel di Bruxelles, il 29 maggio del 1985
fra Juventus e Liverpool. Degli incidenti sappiamo
oramai tutto. Leopoldo, ferito nel terribile parapiglia
che anticipò la Finale, venne soccorso da un tifoso del
Liverpool, Jeff Conrad, che gli prestò i primi semplici
soccorsi, lo mise disteso per facilitarne la
respirazione spontanea, gli diede da bere acqua per
lenire lo spavento. Quando capì che poteva andarsene
riprese la sua strada. Vittorio poteva cavarsela da solo
per i successivi soccorsi a Leopoldo. Gli anni sono
passati, ma il desiderio di rivedere il salvatore ha
coinvolto padre e figlio fino ad avvalersi dei mezzi
della trasmissione televisiva per ritrovare e
abbracciare Jeff, la cosa naturalmente è avvenuta ed è
stata registrata dalle telecamere. I due hanno donato a
Jeff la maglietta con il numero di Platini (il 10) che
Vittorio indossava quella sera. Jeff a sua volta ha
regalato a Vittorio la sciarpa del Liverpool con scritto
"non camminerete mai soli".
Molti sono i libri pubblicati
sulla tragedia, cito fra gli altri, per averli letti:
"Quella notte all’Heysel" di Emilio Targia ed. Sperling
&Kupfer e "Il ragazzo con lo zaino arancione" di
Francesco Ceniti e Alberto Tufano ed. Gazzetta dello
Sport, entrambi pubblicati nel 2015 a ricordo del
trentennale della tragedia. Quello che più mi ha
coinvolto personalmente è "L’ultima curva" di Nereo
Ferlat. Nei primi giorni di giugno del 1985 il mio amico
e collega Nereo Ferlat, scosso dagli eventi straordinari
che gli erano accaduti a cominciare dal pomeriggio del
29 maggio 1985 a Bruxelles, mi chiese di scrivere
qualche riga su quell’avvenimento tragico e terrificante
che porta il nome di strage dello stadio Heysel.
Accettai di buon grado perché ero rimasto estremamente
colpito ed addolorato da quell’avvenimento che aveva
tolto la vita a 38 persone (aumentate successivamente a
39) e spento i miei sogni di tifoso. Dovevo attendere il
1996 per vedere vincere alla Juventus la sua prima
Coppa
dei Campioni. Oggi la chiamano Champions, ma per me
resta sempre Coppa dei Campioni d’Europa. Scrissi allora
le mie impressioni, un paio di pagine dattiloscritte,
niente di più, ma non le lasciai pubblicare, forse
pensavo di dover rinunciare definitivamente a qualcosa
di mio. Conservai quei fogli e li usai come segnalibro
quando Nereo mi consegnò una copia de "L’ultima curva".
Credo che siano ancora li, ma non trovo più il libro che
sicuramente giace nei cartoni di un trasloco di
vent’anni fa. Non ci ho messo tanto a procurarmi una
copia della riedizione del libro, appena l’ho saputo,
edizione rinnovata ed accresciuta di testi e molte
immagini significative per i tipi della NovAntico
Editrice.
Un’altra occasione di memoria.
In effetti a oltre trent’anni di distanza da quel
fatidico evento, la perseveranza di migliaia di tifosi
juventini che hanno passato e passano il testimone del
ricordo alle generazioni successive, fa sì che i 39
Angeli dell’Heysel siano sempre al nostro fianco.
Nessuna persona è veramente morta se non muore nel cuore
di chi resta, per sempre, e se è un cuore grande come
quello di Nereo e dei tanti, come me, che ne tramandano
la memoria senza stancarsene i Martiri dell’Heysel sono
destinati a rimanere con noi finché ci saremo.
Naturalmente la nuova edizione del libro di Nereo Ferlat
"29-5-1985 "Z" - L’ultima curva" farà la sua parte per
conservare questa memoria. Il libro ha una prefazione
scritta da Beppe Franzo, il quale ha voluto riprendere e
sottolineare la frase "Nessuna persona è veramente morta
se non muore nel cuore di chi resta, per sempre"
riportata anche dai tifosi dello Stadium sullo
striscione che hanno dedicato ai 39 morti all’Heysel
durante la partita dello scorso campionato, giocata in
casa dalla Juventus contro il Napoli e vinta per 3 a 1.
Fra l’altro, nella nuova edizione, si può leggere la
poesia "39 angeli all’Heysel" di Domenico Laudadio, il
gestore del sito della memoria dell’Heysel. Inoltre è
presente una scelta di riproduzioni fotografiche di
giornali dell’epoca e le fotografie di quella triste
giornata scattate da Paolo Gugliotta, fotografo della
polizia scientifica di Roma. Molte buone ragioni per
leggerlo e conservarlo.
4 gennaio 2016
Fonte:
Losmemoratodicollegno.wordpress.com
Heysel quella ferita che non si
rimargina
di Nereo Ferlat
A trent'anni di una delle più
tragiche stragi legati allo sport a Bruxelles gioca la
nazionale di calcio. Un torinese sopravvissuto al
settore Z ricorda.
Trent'anni sono passati quasi
invano da quella tragedia consumatasi sugli spalti di
quel vetusto stadio di Bruxelles. La violenza non è
stata debellata, l'odio e l'ignoranza sono cresciuti a
dismisura nelle menti di chi crede che un coro o una
scritta possano colpire una certa tifoseria senza
nemmeno immaginare che se la Juventus ed i suoi tifosi
hanno fatto da cavie, quella sera chiunque si trovasse
lì, avrebbe subito la stessa sorte.
Ce l'avevano giurata già dall'anno
prima quando all'Olimpico e nella città di Roma ci sono
stati scontri tra le tifoserie italiche ed inglesi.
Quella sera c'eravamo noi ma potevano esserci i
fiorentini, i milanesi, i napoletani, chiunque !
Fatalità volle che chi poteva rendere pan per focaccia a
quelle orde di inglesi accumunati dal tifo e dalla
violenza (c'erano oltre i tifosi del Liverpool anche le
teste calde del Chelsea ed altri uniti contro di noi),
era relegata nell'altra curva mentre, divisi da quella
rete posticcia per polli c'erano tifosi pacifici, intere
famiglie, gente non abituata alla guerriglia da
stadio... Già lo stadio... Fatiscente ma allora l'Uefa
non era responsabile degli eventuali incidenti.
Lo recitava la scritta stampata sul
biglietto e solo grazie alla cocciutaggine del compianto
Otello Lorentini si è giunti alla sua
responsabilizzazione non indolore ! Quello stadio dove
potevi battere con la scarpa e staccare i pezzi di
porfido, dove l'erba cresceva nelle gradinate, dove le
tribune erano di legno, dove le autorità gigioneggiavano
! Ora è stato rifatto non c'è più pericolo, è un
modello, c'è anche un piccolo carcere per chi si macchia
di qualche violenza durante gli incontri... Ma quella
sera, quella triste sera è stato testimone dell'incuria
di molti cervelli e cervelloni !
Sono passati trent'anni non bisogna
dimenticare ma battere sempre il tasto della memoria,
alimentare le future generazioni con l'esempio, educarle
nel rispetto, far sì che anche una sconfitta possa
essere propedeutica, che si possa gioire ed anche
piangere per la propria squadra ma... Mai morire ! Io
quando ormai pensavo di essere arrivato al capolinea
quella sera mi batterò sempre perché si possa rendere
questo gioco una festa e non un incubo ! "Si era partiti
pieni di speranza, si era tornati a brandelli ma ancora
vivi!".
13 novembre 2015
Fonte: Lavocedeltempo.it
Nereo Ferlat:
l’Ultima curva
di Smemorato
Nei primi giorni di
giugno del 1985 il mio amico ed allora collega Nereo
Ferlat, scosso dagli eventi straordinari che gli erano
accaduti a cominciare dal pomeriggio del 29 maggio 1985
a Bruxelles, capitale d’Europa, mi chiese di scrivere
qualche riga su quell’avvenimento tragico e terrificante
che porta il nome di strage dello stadio Heysel.
Accettai
di buon grado perché ero rimasto estremamente colpito ed
addolorato da quell’avvenimento che aveva tolto la vita
a 38 persone (aumentate successivamente a 39) e spento i
miei sogni di tifoso. Dovevo attendere il 1996 per
vedere vincere alla Juventus la sua prima Coppa dei
Campioni. Oggi la chiamano Champions, ma per me resta
sempre Coppa dei Campioni d’Europa. Scrissi allora le
mie impressioni, un paio di pagine dattiloscritte,
niente di più. Le consegnai a Nereo, ma inspiegabilmente
non volli firmare la manleva che serviva all’editore per
la cessione dei diritti d’autore. Sinceramente non so
ancora spiegarmi il perché. Conservai quei fogli e li
usai come segnalibro quando Nereo mi consegnò una copia
de "L’ultima curva". Credo che siano ancora lì, ma non
trovo più il libro che sicuramente giace nei cartoni di
un trasloco di vent’anni fa. Prometto che se lo ritrovo
lo pubblicherò su queste pagine. Non ci ho messo tanto a
procurarmi una copia della riedizione del libro, appena
ho saputo tramite i miei contatti Facebook che Nereo
l’aveva data alle stampe rinnovata ed accresciuta di
testi e molte immagini significative. Un’altra occasione
di memoria. In effetti a trent’anni di distanza da quel
fatidico evento, la perseveranza di migliaia di tifosi
juventini che hanno passato e passano il testimone del
ricordo alle generazioni successive, fa sì che i 39
Angeli dell’Heysel siano sempre al nostro fianco.
Nessuna persona è veramente morta se non muore nel cuore
di chi resta, per sempre, e se è un cuore grande come
quello di Nereo e dei tanti, come me, che ne tramandano
la memoria senza stancarsene i Martiri dell’Heysel sono
destinati a rimanere con noi finché ci saremo.
Naturalmente la nuova edizione del libro di Nereo Ferlat
"29-5-1985 "Z" - L’ultima curva" farà la sua parte per
conservare questa memoria. Il libro ha una prefazione
scritta da Beppe Franzo, il quale ha voluto riprendere e
sottolineare la frase "Nessuna persona è veramente morta
se non muore nel cuore di chi resta, sempre" riportata
anche dai tifosi dello Stadium sullo striscione che
hanno dedicato ai 39 morti all’Heysel durante l’ultima
partita di campionato giocata in casa dalla Juventus
contro il Napoli e vinta per 3 a 1.
Fra l’altro, nella nuova edizione, si può leggere la
poesia "39 angeli all’Heysel" di Domenico Laudadio, il
gestore del sito della memoria. Inoltre è presente una
scelta di riproduzioni fotografiche di giornali
dell’epoca e le fotografie di quella triste giornata
scattate da Paolo Gugliotta, fotografo della polizia
scientifica di Roma. Molte buone ragioni per leggerlo e
conservarlo.
9 giugno 2015
Fonte:
Losmemoratodicollegno.wordpress.com
Heysel, "io
sopravvissuto a quella maledetta curva Z"
di Fabrizia Argano
La testimonianza a
Tuttosport.com di Nereo Ferlat, che il 29 maggio di 30
anni fa era all’Heysel e ha un messaggio per chi allo
stadio intona cori contro le sue vittime.
TORINO - Nella vita di Nereo
Ferlat c'è una lettera che segna il prima e il dopo. La
Z. Il 29 maggio del 1985, era nella curva Z dello stadio
Heysel di Bruxelles, quella curva maledetta dove
morirono 39 persone, poco prima della finale di Coppa
dei Campioni tra Juventus e Liverpool.
INDELEBILE - Sono passati 30
anni, ora è in pensione e le partite della sua Juve
preferisce vederle in tv. Ma il ricordo di quel giorno
resta indelebile: "L'Heysel non è mai passato. Penso
quasi ogni giorno a quello che ho vissuto in quegli
attimi", racconta a Tuttosport.com. Aveva 30 anni quel
giorno e tutto l’entusiasmo di chi segue la sua squadra
del cuore in una trasferta all’estero per la prima
volta: "Avevo percepito una situazione di pericolo
entrando allo stadio, si vedeva che i tifosi inglesi
avrebbero potuto accedere facilmente nel nostro
settore".
L’INFERNO - Ma mai avrebbe
immaginato di vivere quello che poi è successo: "Dopo i
primi attacchi, un razzo sparato ad altezza uomo ha
generato il panico e ci siamo ritrovati in migliaia di
persone in pochi metri quadrati. Ero schiacciato, non
riuscivo a respirare e pensavo che sarei morto. Quando
il muretto è crollato, sono stato sbalzato verso l’alto
e mi sono ritrovato in campo. Una suora dopo alcuni
minuti mi ha chiesto come stavo e lì ho realizzato di
essere ancora vivo".
LA PARTITA - Dopo l’inferno, la
partita in un clima irreale, che Ferlat ha visto in uno
stato di incoscienza: "E’ stato giusto giocare per
motivi di ordine pubblico, ma francamente i
festeggiamenti, i cortei, i clacson che sono venuti dopo
non hanno avuto senso".
IL RITORNO - Poi il ritorno a
casa e quegli incubi che non passavano: "Non riuscivo
più a dormire, il pensiero delle vittime pesava come un
macigno, il volto sorridente del signor Gianfranco Sarto
da San Donà di Piave che avevo conosciuto sul pullman e
ora non c’era più continuava a tornarmi in mente".
Ricordi che Ferlat ha deciso di mettere per iscritto,
quasi per esorcizzarli. Ne è nato un libro intitolato
"L’ultima curva", "quella che tifosi come me hanno
potuto calpestare per l’ultima volta per colpa di una
partita di pallone", spiega Ferlat.
LA LEZIONE - Da quel giorno è
cambiato qualcosa nel calcio ? "E’ stata una lezione per
gli inglesi, con tutte le misure prese per la sicurezza
e contro la violenza - dice - in Italia sembra di no,
basta sentire i cori sulle vittime dell’Heysel e su
quelle di Superga che ciclicamente vengono intonati
negli stadi. Quando li sento, mi vengono i brividi.
Restiamo il Paese dei comuni e delle signorie, invece di
tifare per la propria squadra si tifa contro. Cosa
vorrei dire a chi intona quei cori beceri ?
Semplicemente di crescere dentro".
LA RICORRENZA - Ferlat
parteciperà alla cerimonia di commemorazione del 2
giugno a Reggio Emilia: "Il ricordo è doveroso nei
confronti delle vittime e come monito per le future
generazioni, affinché le famiglie possano tornare allo
stadio senza paura e si debelli la violenza. Un tifo
sano non può essere un’utopia, così come l’Heysel non è
stato un incubo ma una realtà a cui cercare di dare un
senso".
27 maggio 2015
Fonte: Tuttosport.com
L’Ultima Curva di Nereo
Ferlat
di Marco Sanfelici
Per i vecchi chierichetti come
me, il mese di maggio ha sempre rappresentato un momento
di preghiere mariane. Il parroco andava di cortile in
cortile radunando i fedeli nei luoghi di vita
quotidiana. Rituali di secoli fa e memoria perduta nei
meandri della lotta giornaliera per l’affermazione
personale. Per Torino maggio è diventato anche e
purtroppo il mese di ricorrenze tragiche, che hanno
segnato intere generazioni di sportivi e di appassionati
delle squadre cittadine. Se la tragedia di Superga ha
indelebilmente sfregiato la collina attorno alla città e
squarciato il cuore di tanti tifosi granata, l’orrenda
serata dell’Heysel ha gettato intere famiglie nella
disperazione ed un popolo, quello bianconero, nel
ricordo e nella strenua difesa di 39 vittime della
violenza bestiale. Il nostro magazine ha l’onore di
ospitare in redazione un testimone non solo oculare, ma
protagonista in prima persona di ciò che avvenne nella
maledetta curva Z. Si tratta di Nereo Ferlat ed a lui
cedo la parola per dare inizio a questa intervista.
Caro Nereo, ti vuoi presentare
per sommi capi ?
"Sono nato a Gorizia nel 1952 e
a sei anni sono approdato in Piemonte a seguito dei miei
che avevano in quel di Lucento una Alleanza Cooperativa
Torinese. Promettevo anche come calciatore ma un giorno
di maggio dopo un doppio dribbling mi sono ritrovato al
Maria Vittoria con la gamba in trazione e con la
carriera andata a farsi benedire. A 17 anni sono rimasto
orfano di papà e quindi il sogno di fare il giornalista
l’ho dovuto abbandonare per aiutare mia mamma dopo la
scuola nel negozio. Ho cominciato a seguire la Juve già
nel 1958 con Sivori, Charles e Boniperti. Ho visto
trionfare i bianconeri campioni d’Italia per 24 volte !
Sono sempre stato un betteghiano doc e quando quel
giorno di febbraio appresi della malattia rimasi molto
ma molto male. Tralasciando Belgrado ed Atene, per la
prima volta andai a seguito della Juve, quella fatidica
sera a Bruxelles… Ah, dimenticavo ! Sono sposato con
Maurizia da 40 anni, ho una figlia di 37 ed un nipotino
di 7 ed un cane di 14, bianconero pure lui !"
Seppure immagino che dovrai
rinvangare in ricordi drammatici, vuoi darci ragione di
alcuni particolari del come si sono svolte le cose in
quella curva ?
"Entrati in quel fatiscente
impianto da un’ unica porticina, tolte le aste delle
bandiere e indirizzati da cerberi con poco cervello, e
vedendo le gradinate, dove tra i ciottoli cresceva
l’erba, ho raggiunto delle persone che avevano viaggiato
con me da Torino ed il mio primo pensiero, buttando
l’occhio verso il settore inglese, diviso solo da una
rete posticcia e da qualche gendarme, è stato quello di
auspicare che tutto si svolgesse nel migliore dei modi
senza nessuna provocazione. Mentre si stava svolgendo un
incontro tra due squadre giovanili belghe, sono entrati
i giocatori del Liverpool e la loro folla li ha accolti
con urla di giubilo. Poi, improvvisamente, un bengala
lanciato ad altezza d’uomo dagli inglesi ha spaventato e
non poco i tifosi presenti, numerose famiglie, gente non
abituata alla guerriglia ed alla lotta, che ha
cominciato a cercare di scappare. Molti non hanno capito
subito il pericolo, nonostante il lancio di petardi e
"sampietrini". Così le orde di inglesi hanno iniziato la
conquista di quel settore e la gente si è accalcata a
migliaia in pochi metri di spazio e tanti sono stati
sopraffatti. Altri si sono tirati giù la rete e sono
morti soffocati. Al crollo del muretto chi non era
caduto è riuscito, schivando le manganellate di chi non
aveva capito che una via di salvezza era quella, ad
arrivare in campo. Cosa che ho fatto anch’io e per
fortuna una crocerossina mi ha dato da bere ed ho potuto
riprendere pian piano le forze".
A che cosa ti ha spinto questa
agghiacciante esperienza ?
"Arrivato a casa, la notte non
riuscivo a prendere sonno. Rivivevo lo schiacciamento, i
minuti interminabili, le grida d’aiuto, di rabbia, sul
mio corpo e nella mia mente. Era un martellamento ed
un’angoscia pazzesca. Avevo anche visto molti "struzzi"
nascondere o ridimensionare la portata di quella tragica
sera. Così una notte mi sono messo a buttare giù ciò che
avevo vissuto in modo che non venisse dimenticato questo
olocausto. Ho raccolto testimonianze di chi era in
Belgio e di chi aveva vissuto alla televisione la
tragedia. E dopo venti giorni è uscito il libro che ora
viene riproposto per il trentennale grazie
all’interessamento di un amico".
Ci faresti la cortesia di
citare titolo ed editore, oltre al nome dell’autore
della prefazione ?
"L’Ultima Curva, (La tragedia
dello Stadio Heysel), Novantico Editore, prefazione di
Beppe Franzo".
Perfetto ! Illustraci per sommi
capi come si articola la narrazione, senza togliere ben
inteso la curiosità di comprarlo e di leggerlo.
"Prefazione, poesia 39 angeli
all’Heysel di Domenico Laudadio, il gestore del sito
della memoria, presentazione (dalla prima edizione) del
sindaco di allora, Giorgio Cardetti, un pezzo del grande
Giglio Panza e poi, dopo i nomi delle 39 vittime e le
mie considerazioni rapportate ad oggi, il via con i
capitoli "Il massacro", "I soccorsi", "Lo stadio
Heysel", "Il nostro arrivo a Bruxelles, "Il ritorno a
casa", e le testimonianze, con alla fine una carrellata
di giornali di allora e nel mezzo le fotografie di
quella triste sera scattate dal fotografo della polizia
scientifica di Roma, Paolo Gugliotta".
Dove è reperibile "L’ultima
curva" ?
"Io ho una trentina di copie,
l’editore l’ha distribuita con i suoi canali: glielo
chiedo e poi sarò meglio in grado di rispondere a questo
quesito".
Quali sono gli insegnamenti che
hai tratto dall’Heysel e quali senti di dover
trasmettere ai più giovani di quella tragica serata ?
"Nel vedere cosa succede negli
stati e zone limitrofe, sembra che nessuno abbia capito
niente. Chi espone striscioni e chi grida offese si
qualifica da solo. Ai giovani mi sento di dire che
bisogna tifare per la propria squadra e non contro !
Quando mi invitano a parlare dico che non bisogna farci
rubare lo sport più bello del mondo e che bisogna essere
degli educatori nei confronti degli altri".
In tutti questi anni ti sei
fatto un’idea del come possa essere capitata una
tragedia simile ?
"A parte la cervellotica
decisione di far disputare la partita in quello stadio a
pezzi, ho letto, mi sono informato, ho interrogato, sono
ritornato di nuovo là con il comune amico Hervè (Bricca,
N.D.R.), abbiamo visitato e filmato (di nascosto) quella
curva, mi sento di dire che molto va ascritto all’anno
precedente, a Roma-Liverpool, quando gli hooligans sono
stati "impacchettati", scortati e portati allo stadio
senza possibilità di "esibirsi" e chi lo ha fatto, ha
avuto il suo. Così è scattata la ritorsione e chi poteva
render loro pan per focaccia, assisteva al dramma nella
curva opposta !".
Quindi secondo te il dramma
dell’Heysel esce dai connotati juventini per divenire un
fatto nazionale ?
"I morti non sono stati tutti juventini, anche belgi, un interista ed un irlandese.
Sarà sempre e solo un dramma nostro ma forse volevano
vendicarsi (questo lo pensano in molti) e quell’anno,
sfortunatamente c’eravamo noi…".
Restano questi dubbi atroci
sospesi a livello delle coscienze del questore di Roma
nell’84, dei tifosi romanisti che hanno riservato
un’accoglienza "speciale" agli inglesi, della U.E.F.A.
che organizzò in uno stadio fatiscente una finale così
importante, della gendarmeria belga assolutamente
inadeguata e di orde più simili ai britanni di cesarea
memoria che di gente civile.
"A proposito della Questura di
Roma, c’è una testimonianza dove è soppesato l’operato a
Roma ed a Bruxelles. Non penso che rimorda la coscienza
a chi ha operato per l’ordine pubblico… Anzi chapeau !
Grazie per la disponibilità accordatami e che non
accadano mai più tragedie come questa…!"
E’ con questa speranza,
radicata nei cuori di milioni di tifosi "sani" che caro
Nereo ci salutiamo dandoci appuntamento alla fine del
mese per la commemorazione ufficiale. Grazie per avere
privilegiato JUWELCOME come magazine di riferimento per
il tuo libro. A presto.
13 maggio 2015
Fonte: Juwelcome.com
Era
da poco passata l'infausta notte della tragedia quando
Nereo, sopravvissuto per puro miracolo (come ebbe più
volte a dichiarare), scrisse quello che è da ritenersi
il primo libro-romanzo sull'Heysel.
Un testo che viene ora riprodotto dalla Novantico
editrice nella collana "Tracce di vita urbana" (di mia
conduzione). A compendio del testo, corretto nelle forse
troppe "omissioni" grammaticali di allora, le principali
copertine dei giornali italiani ed europei di allora,
alcune poesie di gentile concessione del Museo virtuale
dell'Heysel. La copertina è creazione dell'estrosa mano
di Gianni Valle. Sembrava doveroso riproporlo come
testimonianza storica a trent'anni esatti dalla
tragedia.
Beppe
Franzo
Fonte: Associazione
Quelli di... Via Filadelfia
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