| 
				La vecchia Juve non molla 
				 
				 
				 "Caro Trap ci teniamo la coppa" di Domenico Latagliata   Torino - Il Trap ha gettato il sasso 
				nello stagno. Ma nessuno ha apprezzato davvero. Venticinque anni 
				dopo, parlare della tragedia dello stadio Heysel nella cornice 
				del Chiambretti Night e affermare che "sotto l'aspetto etico e 
				umano, l'ipotesi di restituire la Coppa può anche essere presa 
				in considerazione" non piace a chi ha vissuto davvero quel 
				giorno lì. Un giorno maledetto, lo sanno tutti: 29 maggio 1985, 
				39 morti per una partita di calcio. Assurdo, ma vero. Juventus e 
				Liverpool giocarono lo stesso: i bianconeri vinsero 1-0 con un 
				rigore di Platini, oggi presidente Uefa, per un fallo commesso 
				su Boniek ai limiti dell'area. La squadra quasi al completo 
				festeggiò sul campo, quando forse non tutto era ancora chiaro ma 
				molto già si sapeva: le polemiche si sprecarono e sono andate 
				avanti per anni. Oggi il dibattito potrebbe riaccendersi proprio 
				sulla scia delle parole di Trapattoni, all'epoca allenatore 
				della Juventus. "Dissi ai commissari di campo che erano matti a 
				farci scendere in campo - ha spiegato a Chiambretti l'attuale CT 
				dell'Irlanda. E' una macchia che rimane, anche se la partita fu 
				comunque vera. Forse però oggi si potrebbe prendere in 
				considerazione la possibilità di restituire il trofeo". "Quella 
				Coppa rappresenta un momento particolarmente drammatico per 
				tutto il calcio - è invece il parere di Roberto Bettega, oggi 
				vicedirettore generale della Juventus che, da calciatore, ha 
				inseguito per tutta la carriera la vittoria della coppa Campioni 
				senza mai riuscire a centrarla. Conservarla non significa 
				soltanto celebrare il valore sportivo della squadra che la 
				vinse, ma soprattutto ricordare le vittime di quella tragedia e 
				alimentare un'idea di calcio diversa". Analogo il parere di 
				Platini: "La partita fu giocata. Gli inglesi la volevano 
				vincere, noi pure: ci furono anche momenti aspri di gioco e la 
				coppa è finita a chi ha meritato la vittoria. Il resto, 
				purtroppo, è una tragedia che non si può e non si deve 
				dimenticare". Per la serie: caro Trap, pensiamo ad altro. "Dopo 
				tutti questi anni, anche il mister comincia a invecchiare - dice 
				Stefano Tacconi, portiere titolare di quella Juventus. Ci sono 
				tante altre cose di cui parlare per provare a migliorare il 
				calcio". "È tutto ormai molto lontano nei tempi, la strage c'è 
				stata e non la si potrà mai dimenticare - spiega Paolo Rossi. Si 
				può fare di tutto, ma la storia e gli episodi restano: morti 
				compresi. Se uno ricorda l'Heysel, lo fa per la tragedia che c'è 
				stata e per nessun altro motivo. Nessuno di noi si è mai vantato 
				di avere vinto quella Coppa: è stato tutto troppo devastante per 
				essere ricordato come un trionfo. Dopo di che, riconsegnare oggi 
				quel trofeo sarebbe un gesto simbolico e nulla più". Senza peli 
				sulla lingua, come di consueto, Zibì Boniek: "Non mi sono mai 
				vantato di quella vittoria e non ho mai incassato una lira del 
				premio che la società ci aveva garantito, devolvendo tutto alle 
				famiglie che sono uscite distrutte da quella serata. Per me si 
				tratta di una coppa non vinta ed è un peccato che sia andata 
				così perché, dopo avere già battuto il Liverpool nella 
				Supercoppa europea, avremmo avuto la meglio sul campo anche 
				quella sera. La proposta di Trapattoni, dopo tanto tempo, è 
				fuori luogo: restituire la coppa oggi non sta né in cielo né in 
				terra. Piuttosto, non si sarebbe dovuto festeggiare nulla a fine 
				partita e infatti io me ne tornai negli spogliatoi senza nemmeno 
				toccare il trofeo. Se oggi si volesse dare un segnale concreto, 
				chi ha incassato i soldi del premio li potrebbe devolvere con 
				gli interessi alle associazioni che ricordano la tragedia". "Non 
				capisco le parole di Trapattoni - commenta Sergio Brio. Il 
				rispetto per la sofferenza delle famiglie è assoluto e non va 
				mai dimenticato che trentanove persone hanno perso la vita: però 
				fu proprio il Trap a dirci che la partita sarebbe stata valida e 
				che i disordini avevano provocato un solo morto. A distanza di 
				tanti anni non vedo perché lanciarsi in affermazioni del genere. 
				Io e i miei compagni siamo stati vicini come abbiamo potuto a 
				chi ha sofferto, ma sportivamente abbiamo giocato e vinto come 
				ci era stato chiesto da più parti. Si è trattato indubbiamente 
				del giorno più triste ma anche più bello della mia carriera, 
				visto che uno sogna fin da bambino di vincere la coppa 
				Campioni". La proposta del Trap, insomma, non piace. La Coppa 
				rimarrà dov'è e la Juventus si prepara a ricordare le 39 vittime 
				non solo il prossimo 29 maggio: nello stadio che sta sorgendo al 
				posto del Delle Alpi, ci sarà infatti un luogo per ricordare la 
				giornata più assurda di tutta la storia del calcio. 1 aprile 2010 Fonte: Ilgiornale.it 
				 
				
				
				
				
				
				
						
						ARTICOLI STAMPA e WEB APRILE 
						
				
						2010   
					 29 maggio 1985. Nello stadio Heysel di 
				Bruxelles si scrive una delle pagine più nere dello sport. Poco 
				prima della finale di Coppa dei campioni tra Juventus e 
				Liverpool si scatena l'inferno. Circa un'ora prima della 
				partita, alcuni facinorosi del Liverpool cominciano a spingersi 
				verso il settore Z, dove si trovavano gli italiani che si erano 
				organizzati autonomamente- mentre quelli arrivati con i club 
				erano stati collocati nella curva N opposta a quella riservata 
				ai tifosi inglesi. Dal blocco dei "reds" si staccano prima 
				alcuni hooligans che cominciano ad attaccare gli juventini, poi 
				tutti in massa cercando il take an end ("prendi la curva") e 
				sfondando le inadeguate reti divisorie. La spinta diventa più 
				forte, gli inglesi invadono il settore occupato dagli italiani, 
				che spaventati tentano di abbandonare di corsa le gradinate. 
				Nella grande calca alcuni subiscono lo scontro con gli inglesi, 
				alcuni si lanciano nel vuoto per evitare di rimanere 
				intrappolati, altri tentano di scavalcare ed entrare nel settore 
				adiacente, altri rimangono schiacciati contro le recinzioni. I 
				rari poliziotti che arrivano non riescono a sedare i tumulti, ma 
				raccolgono solo i primi feriti. Intanto gli attacchi dei 
				guerriglieri inglesi continuano e la folla italiana si accalca 
				in uno spazio angusto e all'improvviso per il troppo peso il 
				parapetto cede: molte persone sono travolte, schiacciate e 
				calpestate nella corsa verso una via d'uscita. Il conto finale 
				sarà di 39 morti e 600 feriti. Fra questi anche un reggiano: il 
				giovane fotografo Claudio Zavaroni, l'ultima vittima italiana 
				che fu identificata. LE TESTIMONIANZE. Fra le 
				prime testimonianze reggiane che compaiono sulla Gazzetta di 
				Reggio del 31 maggio, c'è quella di Ianni Giaroli, già titolare 
				del Condor, di rientro in aereo dalla partita all'Heysel, dove 
				aveva trovato un posto a sinistra della "gradinata della morte" 
				che racconta: "Uno schifo, una vergogna, un vero e proprio 
				assassinio di massa, cui purtroppo, io e altri abbiamo assistito 
				impotenti... Che sarebbe finita in tragedia l'ho capito quando i 
				tifosi hanno sparato i primi bengala in mezzo ai bianconeri, che 
				erano stati sistemati proprio a fianco loro ma che se ne erano 
				stati buoni il più lontano possibile. 
				Gli inglesi - continua 
				Giaroli - poi hanno cominciato ad attaccare prima una trentina, 
				poi tutti assieme e saranno stati un migliaio. I tifosi italiani 
				sono stati spinti verso il basso, poi quel tonfo sordo. 
				Il muro che è crollato, e la 
				gente che veniva spinta verso il vuoto e precipitava. 
				Ma la cosa più vergognosa è 
				accaduta subito dopo il disastro, quando sulla gradinata non 
				sono rimasti che i cadaveri degli italiani, con i tifosi inglesi 
				che saltavano di gioia in mezzo ai corpi per festeggiare la loro 
				orribile vittoria". Dall'altra parte dello stadio i tifosi 
				juventini del settore N e tutti gli altri sportivi accorsi allo 
				stadio sentirono le voci dello speaker e dei capitani delle due 
				squadre che invitavano alla calma e in pochi si resero conto di 
				quello che stava realmente accadendo. 
				"Solo poco prima delle 22 ci 
				siamo resi conto di quanto era realmente accaduto, abbiamo 
				capito che la carica dei "reds" aveva causato decine di feriti - 
				racconta Alberto Camuncoli, allora diciottenne, in un'intervista 
				al ritorno da Bruxelles. "Noi per fortuna eravamo giusto dalla 
				parte opposta - continua la diciannovenne Cristina Serrao - non 
				abbiamo visto tutto anche perché avevamo il sole negli occhi". 
				Sempre nelle stesse pagine 
				del quotidiano locale si legge l'accusa di un altro tifoso 
				reggiano in trasferta a Bruxelles, Romano Zampinetti: "Non è 
				possibile organizzare una finale di una Coppa dei campioni in 
				uno stadio vecchio, piccolo, e con solo una decina di poliziotti 
				a controllare quei maledetti teppisti inglesi". Altre 
				testimonianze sottolineano come gli inglesi fin dal primo 
				pomeriggio girassero ubriachi per la città e agli ingressi dello 
				stadio non avessero subito alcun controllo riuscendo a portare 
				all'interno casse di birra.   20 maggio 
				2010  
				 Fonte: Reporter.itARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 
				
				
				
						2010   
				Anche Platini sabato a Torino TORINO - 
				Sabato, per la commemorazione dei 39 angeli caduti 
				all’anniversario di quella tragedia, è atteso anche Michel 
				Platini. 
				Il presidente dell’Uefa ha 
				detto a Madrid alla vigilia della finale di Champions che non 
				mancherà. 
				E con lui ci saranno i 
				compagni bianconeri di quella Juve che sollevò la Coppa Campioni 
				al cielo con la morte nel cuore. 
				La Juve per sabato ha 
				predisposto una commemorazione, in mattinata (ore 10), nel 
				cortile della sede dove c’è il cippo che ricorda i caduti: vi 
				parteciperanno i parenti delle vittime, i dirigenti e i 
				giocatori di allora. 
				La messa successiva verrà 
				celebrata invece alla Gran Madre. 
				Parteciperanno anche i 
				giocatori di oggi e le giovanili. 
				CON I FAN - I tifosi, 
				inoltre, hanno allestito questo programma. Sabato: ore 11, a 
				Torino, celebrazione della messa in suffragio delle vittime 
				dell’Heysel, nella cappella della chiesa di Santa Rita, 
				nell'omonima piazza; dalle ore 12,30 alle 14: ritrovo e raduno 
				dei partecipanti in piazzale Caio Mario, davanti allo 
				stabilimento della Fiat Mirafiori; ore 14: inizio della 
				manifestazione con il ricordo dell’Heysel e alcuni interventi 
				sulla Juventus e su calciopoli; ore 16: inizio della marcia 
				pacifica verso la sede della Juventus in, corso Galileo 
				Ferraris. 
				A LIVERPOOL - In ricordo 
				delle vittime dell’Heysel, anche Liverpool ha in programma una 
				celebrazione ufficiale alla quale parteciperanno Sergio Brio, 
				Gianluca Pessotto e Phil Neal. Domani - il giorno prescelto - 
				verrà posta una targa davanti all’Anfield’s Centenary Stand. Una 
				delegazione verrà anche a Torino sabato: tra questi l’ad 
				Christian Purslow e il responsabile delle finanze Philip Nash.
				  25 maggio 
				2010 
				 Fonte: Tuttosport.comARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 
				
				
				
						2010   Sfilata juventina 
				 
				  Si ricordano i 25 anni dell'Heysel 
				 
				 A Venticinque anni dalla tragedia 
				dell'Heysel, dove morirono schiacciati dalla folla 39 tifosi 
				juventini, i supporters bianconeri organizzano sabato una 
				giornata della memoria: il programma ancora in via di 
				definizione prevede la celebrazione eucaristica nella chiesa di 
				Santa Rita (ore 11, poi dalle 14 ritrovo davanti piazzale Caio 
				Mario e alle 16 sfilata verso la sede della Juve in corso 
				Galileo Ferraris. Si raccoglieranno firme per chiedere al Comune 
				di mantenere fede ad una delibera già approvata nel 2009 per 
				intitolare una via ai morti dell'Heysel. 26 maggio 
				2010 
				 Fonte: La 
				StampaARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 2010   
				Il Liverpool ricorda le vittime di 
				Bruxelles Come farà la Juventus nella giornata di 
				sabato, anche il Liverpool ha ricordato le vittime dell’Heysel. 
				Ieri ad Anfield Road è stata organizzata una cerimonia di 
				commemorazione durante la quale è stata scoperta una targa che 
				resterà all’interno dello stadio per ricordare per sempre i 39 
				morti della tragedia che si consumò in occasione della finale di 
				Coppa dei Campioni del 1985. Presenti i dirigenti del Liverpool 
				e alcuni giocatori della squadra di allora, Kenny Dalglish, 
				Sammy Lee e il capitano Phil Neal. Per la Juventus hanno partecipato 
				Gianluca Pessotto, in rappresentanza della società, e Sergio 
				Brio, che il 29 maggio 1985 era in campo. E' stato proprio 
				quest’ultimo a raccontare le emozioni provate nel corso della 
				cerimonia: "E' stata bellissima e toccante. I dirigenti del 
				Liverpool hanno dimostrato di tenerci in modo particolare. E' 
				sempre difficile parlare di quanto accadde quella sera, anche a 
				distanza di anni, ed è importante che anche il Liverpool, come 
				la Juventus, voglia continuare a commemorare le vittime, che 
				resteranno sempre nel ricordo di tutti noi". 27 maggio 2010 Fonte: Juventus.comARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 
				
				
				
						2010   Siamo ancora prigionieri dell'Heysel 
				 
				 di Roberto Beccantini TORINO - Sabato saranno venticinque 
				anni. La tragedia dell’Heysel è come l’ombra: ci fugge e ci 
				insegue da un quarto di secolo. Trentanove tifosi morti 
				calpestati per Juventus-Liverpool, una partita di calcio: ecco 
				l’enormità della "notizia", in assoluto e, soprattutto, in 
				relazione al fato e al fatto, ai lutti e al movente che li 
				seminò. Gli inglesi, loro, capirono subito la lezione e 
				adeguarono i provvedimenti legislativi all’esigenza di cambiare 
				il modo di vivere "lo" stadio e "nello" stadio. Noi no, noi 
				siamo rimasti prigionieri dell’ipocrisia e del labirinto. Domani 
				a Ginevra si assegnano gli Europei del 2016 e l’Italia rischia 
				di perdere contro Francia e Turchia, non solo o non tanto perché 
				il presidente dell’Uefa è il francese Michel Platini, in campo a 
				Bruxelles quel mercoledì maledetto, ma perché i nostri colossei 
				sono diventati potenziali Heysel nelle strutture, sempre più 
				giurassiche, e nella civiltà sportiva degli abitanti, sempre più 
				selvaggi. Sprecata l’occasione di Italia ‘90, quando ci 
				abbuffammo di cemento ed edificammo stadi esagerati, la furia 
				onnivora della televisione ha contribuito a svuotarne l’anima (e 
				poi le tribune: non viceversa). L’Heysel rappresenta un’eredità 
				che troppo spesso abbiamo abbandonato ai familiari delle 
				vittime, se non, addirittura, ai guizzi degli archivisti. Ci 
				siamo rimpinzati di slogan - modello inglese, tolleranza zero - 
				e, ammesso che sia un segno del progresso, si muore meno sulle 
				gradinate e di più negli autogrill; "il calcio in mano agli 
				ultrà", pronunciato da Fabio Capello in tempi non sospetti, 
				rimane la summa del "disordine nuovo", fra caccia al razzismo e 
				razzisti a caccia. Con qualche agente, sullo sfondo, di 
				grilletto facile e manganello sbrigativo. Non che all’estero 
				siano tutti chierichetti, ma da noi si vive in uno stato di 
				estrema e perenne emergenza: nel penultimo turno del campionato 
				scorso, Genoa - Milan è stata disputata a porte chiuse per la 
				paura che un fatto di sangue risalente a quindici anni prima 
				potesse servire, ancora, da miccia per implacabili e odiose 
				vendette. La morte dell’ispettore Raciti (2 febbraio 2007) portò 
				a una mobilitazione generale, con impegni solenni dei politici. 
				La montagna della "rivoluzione culturale" ha partorito tre 
				topolini: i tornelli, i biglietti nominativi e la tessera del 
				tifoso alla quale Daniele De Rossi ha replicato con la tessera 
				del poliziotto. La via italiana alle pari schedature: non 
				proprio il massimo, nei giorni della memoria.   27 maggio 
				2010 
				 Fonte: La StampaARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 
				
				
				
						2010   
				La memoria prigioniera dell’Heysel 
				 
				 
				 di Francesco Caremani   Un monumento, tre targhe, un cippo, 
				piazzali intitolati non possono riempire il vuoto di 25 anni, 
				tra silenzi e meschinità d’ogni genere, di 39 tifosi morti (32 
				italiani) prima di una finale di Coppa dei Campioni. Era il 29 
				maggio dell’85, era Juventus-Liverpool. Una strage che ha 
				insegnato poco o niente al calcio europeo, italiano in 
				particolare, senza dimenticare che ogni volta che si ripete 
				quell’assurda violenza da stadio i familiari delle vittime di 
				Bruxelles sentono acuirsi il dolore che non è mai passato e mai 
				passerà, nutrito dal vuoto di chi non c’è più. E' mancato il 
				magistero, è mancata la memoria, quella della Juventus, quella 
				delle istituzioni politiche e sportive, in entrambi i casi sia 
				italiane che europee. Altrimenti oggi tutti saprebbero del 
				faticoso processo dell’Associazione dei familiari, avrebbero 
				conosciuto la forza di Otello Lorentini, fondatore e presidente, 
				che all’Heysel ha perso il figlio Roberto, così come Daniel 
				Vedovatto, il giovane avvocato italo belga che da solo si è 
				battuto contro i migliori principi del Foro inglesi ed europei, 
				che difendevano gli hooligans e l’Uefa. "Il clima era 
				chiaramente ostile", dice Paolo Ammirati, avvocato aretino 
				dell’Associazione. Lo stesso Daniel Vedovatto non ha avuto vita 
				facile nelle prime fasi del dibattimento. "Quando abbiamo 
				ottenuto, grazie all’opera di Lorentini, la condanna dell’Uefa - 
				ricorda Vedovatto - nessuno ne ha parlato e questa è stata 
				un’ingiustizia. Ce ne sono state tante in questa vicenda, ma 
				questa Otello non se la meritava". Alla fine pochi hooligans 
				sono stati individuati e condannati, a pagare restano Roosens, 
				presidente della Federcalcio belga, Mahieu, capitano della 
				gendarmeria e Bangerter, segretario generale dell’Uefa: "Non era 
				facile convincere la Corte a condannare l’Uefa, organismo 
				potente che gestiva da padrone il calcio europeo", replica 
				Vedovatto. Una sentenza, quasi sconosciuta, che ha fatto 
				giurisprudenza e che ha condannato il massimo organismo 
				calcistico europeo alla corresponsabilità degli eventi che 
				organizza, da qui maggiore sicurezza per tutti e stadi per le 
				finali scelti secondo determinate caratteristiche, perché 
				l’Associazione dei familiari delle vittime non ha combattuto 
				solo per avere giustizia, ma perché un altro Heysel non 
				accadesse più. Dopo tanti altri lutti e dopo tanto silenzio, 25 
				anni dopo, anche la Juventus ha deciso di ricordare le vittime 
				di Bruxelles. Ha invitato, per domani, tutti i familiari a 
				Torino per una messa alla quale, pare, saranno presenti anche 
				Zibì Boniek, che di quella sera non ha mai voluto parlare, e 
				Michel Platini, il "clown che entrò in campo dopo l’acrobata" e 
				che oggi, scherzi del destino, è Presidente Uefa. Non tutti 
				andranno, alcuni per riguardo a chi la memoria l’ha rispettata 
				ogni 29 di maggio, altri perché impossibilitati, quasi tutti 
				però intimamente soddisfatti dell’iniziativa. In questi ultimi 
				giorni sono arrivate le scuse televisive di Marco Tardelli e 
				Andrea Agnelli, neo presidente bianconero, ha scritto una 
				lettera a Otello Lorentini. E' un primo piccolo passo verso la 
				memoria. Ma, oggi come ieri, non c’è poesia nel ripercorrere lo 
				Spoon River dell’Heysel.   28 maggio 2010   Fonte: Avvenire.itARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 
				
				
				
						2010   
				
				Heysel, un orrendo monumento 
				all'inciviltà da tenere in vita di Stefano Benzi   Sono già passati venticinque anni: lo 
				ricordo bene perché cominciai a lavorare proprio quell'anno lì, 
				nel 1985. Anche se quello di cui mi occupavo non erano certo la 
				Coppa dei Campioni e nemmeno la Serie A. Ricordo la voce di 
				Bruno Pizzul rotta dall'emozione e forse dal pianto, nel 
				disperato tentativo di fare chiarezza su quanto ancora non solo 
				non si sapeva, ma nemmeno si capiva: "Scusate... Non vorrei 
				farlo ma devo... Devo dirlo. Ci sono delle vittime". Mi 
				risuonano così, più o meno, nella memoria le parole di Pizzul. 
				Fino a quel momento la regia internazionale aveva inquadrato 
				poco o nulla di quello che stava accadendo: immagini lontane, 
				non molto nitide. Si percepiva solo un gran clima di confusione, 
				e di paura. Da quel momento, da quando Pizzul pronunciò quelle 
				parole, cambiò tutto. Non era più una partita di calcio, non era 
				più la finale di Coppa dei Campioni: la tv si era trasformata in 
				un catalizzatore di emozioni, di rabbia e di angoscia. Stavo 
				rivivendo la stessa sensazione di quando, qualche anno prima, un 
				bimbo era caduto in un pozzo al Vermicino, a Roma: si chiamava 
				Alfredino Rampi. E tutta l'Italia aveva disperatamente seguito 
				in televisione la cronaca dei soccorsi, sperando nel lieto fine, 
				che non ci fu. Non sempre la televisione può portare il lieto 
				fine: non è fiction, non è reality-show, è realtà. E quella sera 
				la realtà dimostrò quanto l'uomo può diventare brutale, 
				scellerato, bestiale: anche se si tratta solo di una partita di 
				calcio. C'era un odio viscerale tra inglesi e italiani per tanti 
				motivi stupidi. I tifosi del Liverpool, che in Inghilterra erano 
				considerati i più violenti e aggressivi, volevano vendicarsi 
				degli incidenti e degli accoltellamenti subiti a Roma l'anno 
				prima, quando vinsero la finale di Coppa dei Campioni contro la 
				Roma ai rigori. Ma soprattutto c'era una disorganizzazione 
				assoluta: vergognosa. Lo stadio prescelto era un cesso, glorioso 
				ma fatiscente, privo di qualsiasi controllo e per nulla sicuro. 
				I tifosi inglesi, che entrarono per primi, accolsero i tifosi 
				della Juve con lancio di calcinacci, pezzi di ferro e lattine di 
				birra. Ma tutto l'accesso alle tribune fu confuso, disordinato e 
				per nulla adeguato all'importanza e ai rischi di una partita del 
				genere. Si sono scritti libri, tesi di laurea, intere 
				documentazioni su quello che è accaduto quella notte, nel 
				tentativo di trovare un colpevole: di espiare una colpa. La 
				verità è che ancora oggi sarebbe più opportuno trovare un 
				sentimento di pentimento o di perdono, da una parte e 
				dall'altra. Ed è difficile: così come è difficile ancora oggi 
				capire che cosa sia successo. C'è chi parla di provocazioni, chi 
				di aggressioni, chi di una disorganizzazione assoluta. L'alcool, 
				tanti i tifosi inglesi ubriachi fin dal pomeriggio, 
				l'inadeguatezza della struttura, la totale incapacità della 
				polizia belga nel governare una folla impazzita, la carenza nei 
				soccorsi... L'Heysel è un monumento funebre all'inciviltà: un 
				monumento che purtroppo verrà demolito. Ma come ci ricordiamo 
				degli orrori che il genere umano ha saputo provocare, forse 
				sarebbe utile ricordarsi anche di quello che è accaduto a 
				Bruxelles. E tenerne in vita l'orrore. Morirono 39 persone, 32 
				italiani; alcuni schiacciati, altri travolti, altri soffocati. 
				Uno di quei ragazzi, un medico di 31 anni che si chiamava 
				Roberto Lorentini, morì travolto mentre stava cercando di 
				rianimare un ragazzo che era rimasto schiacciato nella calca. 
				Credo sia difficile per chiunque esprimersi su un argomento così 
				difficile: è una ferita ancora aperta, e che forse non si 
				rimarginerà mai. Le squadre inglesi vennero escluse da qualsiasi 
				competizione per cinque anni; gli hooligans arrestati furono 
				solo venticinque, undici gli assolti, quattordici i condannati 
				con una pena massima di cinque anni di reclusione. La Uefa, le 
				cui colpe nella scelta della sede e nell'organizzazione della 
				partita erano evidentissime, corse ai ripari quando fu troppo 
				tardi. Tante cose si sono sapute solo più tardi, anche molto 
				tempo dopo: si seppe che i giocatori erano stati tenuti 
				all'oscuro di quanto era realmente accaduto e che erano stati 
				quasi costretti a giocare, sotto la minaccia di pesanti 
				sanzioni, per evitare disordini ancora più gravi. I tifosi 
				inglesi che rientrarono in patria il giorno dopo, appresero 
				delle 39 vittime, imbarcandosi al porto di Ostenda: alcuni di 
				loro tornarono indietro. Altri tornano nei pressi dell'Heysel 
				ogni anno... "per chiedere scusa, perché se oggi sono un uomo 
				migliore lo devo al sacrificio di persone che mi hanno 
				dimostrato che cosa potevo diventare se continuavo a essere 
				quello che ero" scrive Ian Gilmour, uno dei tifosi dei reds che 
				si trovò coinvolto negli scontri e che oggi si occupa di 
				recuperare dalla dipendenza giovani già condannati 
				all'alcolismo. Persone come Tony Evans, allora tifoso in 
				trasferta, ora responsabile delle pagine sportive del Times che 
				in questi giorni in una lunga intervista, lascia spazio a un 
				ricordo amaro e colmo di sensi di colpa: "I tifosi dell'Everton 
				ci dedicano uno sfottò che dice che trentanove italiani non 
				possono avere torto. E' un modo per dire che l'Heysel è colpa di 
				noi del Liverpool. E hanno ragione. Il torto era nostro, anche 
				mio". Oggi ci si fa la solita domanda: si doveva giocare ? Non 
				si doveva giocare ? Forse davvero la Juve avrebbe dovuto 
				lasciare quella coppa negli spogliatoi, sotterrarla insieme alle 
				sue vittime. Venticinque anni sono tanti, ma più ancora del 
				dolore è grande lo sconcerto, l'incoscienza di fronte a quello 
				che una folla impazzita è in grado di provocare. La Juve sta 
				costruendo il suo nuovo stadio: capisco che quelle 39 anime 
				stridono con il ricordo della prima Coppa dei Campioni, 
				conquistata in quel modo. E che sia più lenitivo dimenticare 
				piuttosto che ricordare. Perché il ricordo fa male: ma credo che 
				il ricordo di quanto accaduto debba essere forte, e vivo. Perché 
				ancora oggi, troppo spesso, andiamo drammaticamente vicino a 
				quegli eccessi, e ci avviciniamo agli eventi sportivi esaltando 
				il nostro lato più bestiale. D'altronde che il calcio dovesse 
				cambiare lo si capì in quel preciso istante: anche se di vittime 
				isolate e di stragi assurde ce ne sono state tante altre, come 
				quella di Hillsborough che colpì proprio la tifoseria del 
				Liverpool: 96 morti e 200 feriti. Avevano venduto troppi 
				biglietti e la polizia fece aprire un cancello non presidiato. 
				Il calcio doveva cambiare, e in effetti è cambiato: in qualche 
				caso troppo lentamente, in altri in modo troppo macchinoso. Ma è 
				sicuramente cambiato lasciandoci meno gioia, meno divertimento e 
				soprattutto meno spensieratezza. Dal 29 maggio di venticinque 
				anni fa il calcio non è più lo stesso, e non solo per le tante 
				vittime di allora ma anche per quella sensazione che ci pervade, 
				ogni volta che entriamo in uno stadio. Il senso di insicurezza 
				che ci fa pensare... "E se succede qualcosa...? 28 maggio 2010 Fonte: Eurosport.yahoo.comARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 
				
				
				
						2010   
				
				Torino ricorda la tragedia dell’Heysel, 
				una via in memoria di Timothy Ormezzano   Per non dimenticare. Domani ricorre il 
				venticinquennale della tragedia dell’Heysel. In quella maledetta 
				sera del 1985 a Bruxelles morirono trentanove tifosi, 
				"colpevoli" di trovarsi nel momento sbagliato nel punto 
				sbagliato di uno stadio sbagliato, fatiscente, tanto da 
				sbriciolarsi sotto le cariche degli hooligans inglesi. Le parole 
				di Antonio Cabrini, uno dei protagonisti di quella tragica 
				finale di Coppa dei Campioni tra la Juve ed il Liverpool: 
				"Commemoriamo una tragedia come quella dell’Heysel perché non si 
				ripetano più certi errori. E’ stato fatto molto in tema di 
				sicurezza degli stadi e di gestione dei grandi eventi, ma non 
				ancora abbastanza". Cabrini sarà presente alla messa in 
				suffragio di domani alla chiesa della Gran Madre, al fianco dei 
				parenti delle vittime e di tanti ex compagni di squadra, a 
				cominciare dall’attuale presidente dell’Uefa, Michel Platini. 
				"Sento spesso ripetere - aggiunge Cabrini - che quella finale 
				non andava giocata, ma se non fossimo scesi in campo sarebbe 
				scoppiata la guerra. Noi giocatori, comunque, sapevamo poco o 
				nulla della gravità di quel che era accaduto. C’erano tante voci 
				incontrollate". Adesso, però, si guarda avanti. I sostenitori 
				juventini domani marceranno in ricordo dei caduti dell’Heysel. 
				Sarà l’occasione per chiedere ufficialmente alle autorità 
				comunali l’intestazione di una strada per i 39 caduti a 
				Bruxelles e al club l’istallazione di una targa commemorativa 
				nel nuovo stadio che sorge sulle ceneri del Delle Alpi. Un atto 
				dovuto, secondo il popolo bianconero. Da sottolineare che gli 
				innamorati del Torino hanno in Superga il luogo della memoria, 
				una lapide sulla quale piangere e ricordare. "E’ giusto che ci 
				sia una via o un monumento dedicato a quel tragico evento, come 
				hanno recentemente fatto ad Anfield, lo stadio di Liverpool. 
				Servirà soprattutto a rammentare a tutti quello che non dovrà 
				mai più succedere per una partita di calcio".   28 maggio 
				2010 
				 Fonte: LeggoARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 
				
				
				
						2010   
				Commemorazione a Bruxelles Nel giorno del 25esimo anniversario 
				della tragedia dell’Heysel, anche la città di Bruxelles 
				commemora le 39 vittime. Il sindaco di Bruxelles Freddy 
				Thielemans, informa una nota del comune, ricorderà la tragedia 
				con un discorso, prima di osservare un minuto di silenzio in 
				memoria delle 39 vittime. Per l'occasione, le porte dello stadio 
				resteranno aperte per tutti coloro che vorranno raccogliersi 
				davanti allo spazio 1985, luogo della memoria realizzato nel 
				2005. Il pubblico, dalle 11 del mattino, potrà visitare anche il 
				monumento commemorativo della tragedia allo stadio ribattezzato 
				"Re Baldovino", mentre sarà diffuso il reportage Requiem for a 
				Cup Final. 28 maggio 2010 Fonte: Juventus.comARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 
				
				
				
						2010   
				In memoria delle vittime dell'Heysel Sabato 29 maggio è il venticinquesimo 
				anniversario della tragedia dell’Heysel. Nel 1985, nella serata 
				in cui i bianconeri vinsero la loro prima Coppa dei Campioni, 
				persero tragicamente la vita 39 persone allo stadio Heysel di 
				Bruxelles. Un dolore incancellabile, un ricordo sempre vivo nel 
				cuore degli juventini. Proprio sabato 29 maggio la Juventus ha 
				organizzato una commemorazione alla quale parteciperanno, oltre 
				agli attuali vertici societari e la squadra di oggi, le autorità 
				calcistiche italiane e internazionali, una rappresentanza del 
				Liverpool, alcuni giocatori della squadra che scese in campo 
				quella sera e i famigliari delle vittime. La prima parte della 
				commemorazione sarà nella sede della Juventus, poi la funzione 
				alla chiesa Gran Madre di Dio di Torino. E in questi giorni sono 
				molte le cerimonie in memoria della tragedia dell’Heysel: sempre 
				sabato, ad Arezzo, si giocherà la finale del 14° trofeo 
				giovanile intitolato a Roberto Lorentini, scomparso a Bruxelles, 
				a Reggio Emilia, il comitato "Per non dimenticare Heysel" ha 
				organizzato una commemorazione, mentre a Rutigliano, in 
				provincia di Bari, sarà intitolata una via alle vittime di 
				quella drammatica sera. A Liverpool invece sono state ricordate 
				mercoledì 26 maggio. Ad Anfield è stata posta una targa ricordo 
				nel corso di una cerimonia alla quale hanno preso parte i 
				dirigenti del Liverpool, alcuni ex giocatori di allora come 
				Kenny Dalglish, Sammy Lee e il capitano Phil Neal e, per la 
				Juventus, Gianluca Pessotto e Sergio Brio. Inoltre il 3 giugno, 
				in occasione dell’amichevole pre-mondiale Italia-Messico, in 
				programma a Bruxelles, verranno ricordate le vittime della 
				tragedia.   28 maggio 2010 Fonte: Juventus.comARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 
				
				
				
						2010   
				29 maggio 1985, la tragedia Bruxelles, 29 maggio 1985. Doveva 
				essere una partita fantastica, di quelle destinate a rimanere 
				nella storia del calcio. Pochi mesi prima, la Juventus aveva 
				ospitato il Liverpool a Torino, in occasione della finale di 
				Supercoppa Europea. In una gelida serata, i bianconeri avevano 
				vinto 2-0 ed era stato uno straordinario momento di sport e di 
				lealtà, con i giocatori della Juve che ricevettero il trofeo 
				indossando la maglia degli avversari. In Belgio, la sfida è la 
				finale di Coppa dei Campioni. Si annuncia un match spettacolare, 
				invece sarà un lungo tunnel dell’orrore che cancellerà 
				totalmente la gioia per la conquista del titolo di campione 
				d’Europa per club. Prima del fischio d’inizio, in uno stadio che 
				presenta problemi notevoli dal punto di vista strutturale, gli 
				hooligans inglesi assaltano i pacifici sostenitori della 
				Juventus situati nel settore Z. È una strage, con 39 vittime e 
				oltre 600 feriti. Si vedono scene di follia senza precedenti, 
				nessuno si capacita che uno stadio di calcio possa diventare il 
				teatro di una guerra dichiarata contro gente pacifica, venuta 
				solo per partecipare a una festa in compagnia di amici e 
				familiari. 
				L’UEFA decide che si deve disputare la 
				partita, onde evitare che la situazione degeneri ulteriormente. 
				Le notizie sono confuse, si parla di feriti e di un morto, le 
				due squadre sono costrette a scendere in campo e onorano 
				l’impegno con serietà. La Juventus vince 1-0, ma conta poco: chi 
				vede in Italia la partita in tv è al corrente di quanto è 
				successo, conosce le proporzioni della strage. 
				Ecco il ricordo di Michel Platini, 
				fissato nella sua autobiografia "La mia vita come una partita di 
				calcio": "All’Heysel le curve X, Y e Z hanno un soprannome: sono 
				chiamate i parchi bestiame. Perché sono i posti meno cari e gli 
				spettatori, ammassati, rimangono in piedi. Parchi bestiame. Alle 
				19.30, quarantacinque minuti prima del previsto fischio 
				d’inizio, comincia la carneficina. Nella tribuna cuscinetto, 
				l’esplosione di violenza è pari alla leggerezza degli 
				organizzatori. I tifosi del Liverpool si gettano sul tramezzo 
				che separa le tribune Y e Z. Lo rovesciano e i primi scontri 
				avvengono nella parte alta della tribuna dei nostri tifosi. I 
				reds attaccano i bianconeri. Il panico è tale che il pigia pigia 
				verso il basso si trasforma in catastrofe. Il seguito non è che 
				dramma, tragedia. Con il suo corteo di vittime innocenti, con la 
				faccia livida di quei martiri, bambini e adulti, donne e uomini, 
				l’Heysel rimarrà impresso in tutte le memorie come un simbolo. 
				Quello del calcio, uno sport pieno di nobiltà e di dignità che 
				un pugno di teppisti ubriachi di birra e di violenza, attratti 
				più da una guerra fra tifosi che dallo scontro leale fra due 
				squadre, non ha esitato a profanare con gli oltraggi e il sangue 
				versato". 28 maggio 2010 Fonte: Juventus.comARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 
				
				
				
						2010   L’Heysel 
				rappresenta un vero e proprio spartiacque nelle politiche della 
				sicurezza degli stadi. Non che i problemi siano stati tutti 
				risolti, come hanno dimostrato tanti episodi successivi, ma quel 
				che è certo è che la strage belga obbligò l’UEFA e il governo 
				inglese a una correzione di rotta, dopo avere assistito in 
				maniera impassibile per troppe stagioni all’emergere e al 
				consolidarsi del fenomeno degli hooligans. Le squadre della 
				federazione inglese vennero squalificate e per cinque anni 
				s’impedì loro la partecipazione alle coppe europee. Il Liverpool 
				ebbe una pena supplementare di tre anni, ridotta poi a uno, dopo 
				un altro evento luttuoso terribile: il 15 aprile del 1989, 
				allo stadio di Hillsborough, 
				morirono 96 persone schiacciate dai propri compagni. Ancora una 
				volta, le inefficienze di un impianto furono la causa di un 
				affollamento esagerato che non consentì vie di fuga a tanti 
				tifosi. In occasione dei Mondiali del 1990, 
				Italia e Inghilterra giocarono la finale di consolazione a Bari. 
				Gli atleti e i tifosi sugli spalti celebrarono la partita con 
				molto fair-play, unendosi in un abbraccio collettivo per cercare 
				di cancellare le tensioni precedenti che, a Torino, sede di 
				alcune gare della Nazionale inglese, avevano visto riemergere il 
				pericolo di incidenti. Dal 2000, all'interno dello stadio 
				Heysel, una targa commemorativa ricorda la tragedia e in 
				occasione del Campionato Europeo di calcio svoltosi in Belgio, 
				prima dell'incontro tra l’Italia e i padroni di casa, il 
				giocatore della Juventus e dell'Italia Antonio Conte ha deposto 
				una mazzo di fiori nei pressi del settore Z, a ricordo della 
				tragedia. Con lui, anche gli altri giocatori della Nazionale 
				italiana sono entrati in campo con un fiore nella mano sinistra. 
				Negli stessi giorni, le squadre giovanili di Juventus e 
				Liverpool hanno giocato una partita allo stadio Comunale di 
				Arezzo (città di due delle vittime). 
				Il 29 maggio 2005, è stata presentata 
				nel nuovo stadio Heysel, rinominato Re Baldovino, una meridiana 
				comprendente una pietra con i colori della bandiera italiana e 
				di quella belga. 
				Nella Champions League 2004-2005, a 
				vent’anni di distanza, Juventus e Liverpool si sono ritrovate 
				per la prima volta di fronte nei quarti di finale. Le due 
				società si sono impegnate a ricostruire un rapporto di amicizia, 
				con una serie d’iniziative che hanno visto i giocatori 
				dell’epoca partecipare in prima fila. 28 maggio 2010 Fonte: Juventus.com 
				
				
						ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 
				
						2010 
						
						   VARESE Heysel, la notte prima del 
					massacro di Luigi D. C. Il ricordo di un varesino 
					che il 29 maggio 1985 si trovava a Bruxelles per assistere 
					alla partita tra Juve e Liverpool. I segnali di ciò che 
					sarebbe accaduto allo stadio non erano mancati. Ecco il suo 
					racconto. "Il 29 maggio 1985 ero a Bruxelles, all’Heysel. 
					Sono uno dei tanti che è tornato a casa sano e salvo, anche 
					se ancora non riesco ad accettare che si possa non tornare a 
					casa dopo essere andati a vedere una partita di calcio. Quel 
					giorno ha fatto come da spartiacque, c’è un pre e un post 
					Heysel. Ricordo le discussioni da bar accese e sanguigne, le 
					"liti" con amici che avevano altri colori nel cuore. Dopo 
					quel mercoledì non sono più riuscito ad arrabbiarmi per un 
					evidente rigore negato, per un gol in netto fuorigioco. 
					Certo, di sicuro non servivano 39 vittime per capire, ma 
					finché discuti e vedi le cose in televisione, tutto sembra 
					irreale, finto. Poi ti trovi in mezzo al dramma, e la 
					prospettiva cambia. Sono arrivato a Bruxelles martedì 
					mattina. La città era quieta e paciosa, come noi ci 
					immaginiamo siano le città belghe, chissà perché. Mi 
					sembrava strano che quelle persone non sentissero la 
					tensione, non si rendessero conto che il giorno dopo la Juve 
					avrebbe alzato la sua prima coppa dei Campioni. Perché era 
					ovvio che sarebbe andata così, come lo era stato anche tutte 
					le altre volte che poi avevano vinto gli altri. Ma questa 
					era la volta buona, i campioni del mondo più Platini e 
					Boniek ci avrebbero fatto finalmente gioire. E poi io ero 
					lì, finalmente. Dopo tante finali di coppa di basket, per la 
					prima volta vedevo la mia Juve giocarsi la coppa che ci 
					mancava tanto. Tutti noi Italiani avevamo lo stesso sguardo 
					febbrile, tutti volevano la stessa cosa, tutti avevano lo 
					stesso sogno. Nel primo pomeriggio, in centro è cominciato 
					un po’ di movimento: gruppi di Juventini, al solito 
					caciaroni e invadenti, giravano per le strade sotto l’occhio 
					perplesso e un po’ scocciato dei Belgi, ai quali continuava 
					a non interessare nulla della partita. I primi tifosi 
					inglesi facevano sorridere. Gruppi di persone che cantavano 
					a squarciagola. I sacchetti del supermercato traboccanti di 
					lattine di birra facevano folklore. Erano questi i terribili 
					hooligans ? La battuta più ricorrente era "Se li ha messi in 
					riga la polizia italiana l’anno scorso a Roma, figurati qui 
					!". A conforto e supporto di questa idea gli articoli dei 
					giornali che, quasi disinteressandosi dell’evento sportivo, 
					mettevano in risalto l’accurato servizio di sicurezza 
					predisposto dai Belgi. Che le cose non stessero così ce ne 
					siamo accorti già la sera. Mi trovavo nella Grand Place, il 
					centro storico della città, ero seduto a un tavolino in  
					mezzo ad altri Italiani. Dall’altra parte della piazza un 
					gruppo di Inglesi, seduti e sdraiati per terra continuava a 
					fare quello che stava facendo dal mattino: beveva e cantava. 
					Voci e birre sembravano inesauribili e a noi tutto questo 
					continuava a far sorridere. Il gruppo degli Inglesi si 
					infoltiva, il rumore cresceva ma tra noi e loro c’era tutto 
					un mondo di distanza. Come ad un segnale, però, ai canti si 
					sostituirono cori contro di noi, i "fucking italians". 
					Qualcuno cominciò ad uscire dal gruppo per gridarci qualcosa 
					di suo, di personale. I primi di noi cominciarono ad 
					allarmarsi e a cercare di allontanarsi ma, come nutriti 
					dalla nostra paura, gli Inglesi si lanciarono in un vero e 
					proprio assalto, con lancio di lattine piene ad altezza 
					d’uomo. Mi sono riparato dietro una colonna e ho visto 
					l’inseguimento da lì dietro. Qualcuno degli Inglesi mi ha 
					visto, ma evidentemente era più divertente correre in gruppo 
					rincorrendo gli altri Italiani terrorizzati. La voglia di 
					Juve, della finale, della coppa, vinse facilmente su 
					quell’avvertimento serale per cui il giorno dopo mi sono 
					avviato allo stadio. L’Heysel era ed è in periferia e per 
					arrivarci si prendeva un treno. Nel mio vagone c’erano molti 
					Inglesi. La cosa stranissima è che molti di loro erano 
					travestiti, uno da frate, un altro da gobbo. C’erano un 
					pagliaccio e anche un guerriero vikingo. La cosa che 
					accumunava tutti era l’odore. Non solo alcool o sudore, era 
					una cosa molto più pesante, più profonda, un odore che 
					veniva da lontano. Il gobbo, ironia della sorte visto che 
					anche noi Juventini lo siamo, pretendeva che bevessi dalla 
					sua lattina in segno di amicizia. Non so come sia riuscito a 
					non farlo, anche se per il resto del tragitto le battute 
					sull’Italiano che non beveva hanno accompagnato il rumore 
					del treno. E finalmente lo stadio ! Sono arrivato molto 
					presto, ho avuto tempo di vedere il cordone di polizia a 
					cavallo ordinato circondare le tribune, ma ben presto con le 
					urla dei tifosi, i cavalli si sono innervositi e hanno 
					iniziato ad impennarsi scalciando. Questo ha creato panico 
					tra le persone e io, approfittando di un varco mi sono 
					buttato verso l’entrata senza che il mio biglietto venisse 
					toccato da qualcuno. Il minuscolo settore dei tifosi del 
					Liverpool si è ben presto riempito a dismisura. Gli Inglesi 
					erano separati dagli Juventini da una rete custodita da 5 
					agenti, uno ogni 5/6 file di gradoni. Una partita di ragazzi 
					ha acceso ancor più gli animi, visto che una squadra aveva 
					la maglietta rossa. Ad un certo punto, come un vaso troppo 
					pieno che trabocca, la rete divisoria è sparita, i 
					poliziotti anche e una marea rossa ha invaso il resto della 
					curva. Dalla nostra parte, a 120 metri di distanza (ero in 
					uno dei tre settori riservati al tifo organizzato bianconero 
					- nelle immagini il mio biglietto), non ci siamo accorti di 
					quanto grave fosse la situazione, si pensava che gli 
					Italiani stessero uscendo da qualche porta laterale. Noi 
					volevamo la partita, speravamo che tutto finisse in fretta, 
					che gli hooligans tornassero al loro posto e le squadre 
					potessero scendere in campo. Vicino a me un signore aveva 
					una radiolina che ad un certo punto ha iniziato a dare 
					notizie sullo stadio. Davvero sulle prime si faticava a 
					credere che ci fosse veramente un morto tra i nostri tifosi. 
					Quando qualcuno delle prime file è riuscito ad entrare in 
					campo, in barba alla sbandierata sicurezza, tornando con 
					notizie tragiche, tutti noi abbiamo pensato a come uscire 
					vivi da quella situazione ma la sicurezza aveva avuto ordine 
					di tenere la gente dentro lo stadio per poter predisporre 
					vie d’uscita sicure. Penso, anzi spero, che la partita sia 
					stata giocata solo per quello. Quel che è successo da lì in 
					poi lo ricordano tutti, anche solo per averlo visto alla 
					televisione. Quello che nessuno ha visto è stata la conta 
					dei presenti all’uscita dallo stadio. Due ragazzi di Como su 
					una Renault 4 mi hanno riportato in centro ma, passando nel 
					parcheggio pullman, sentivamo nomi chiamati che non 
					rispondevano e disperazione, terrore nei volti di quanti, 
					col foglio in mano non riuscivano a trovare le persone che 
					cercavano. A 25 anni di distanza il ricordo è ancora ben 
					vivo e con esso il rammarico che tutte quelle vite sprecate 
					non siano servite a nulla". 28 maggio 2010 Fonte: Varesenews.itARTICOLI STAMPA e WEB  
						MAGGIO 
						2010  |