Privacy Policy Cookie Policy
ARTICOLI 29-31 MAGGIO 2015
www.saladellamemoriaheysel.it   Sala della Memoria Heysel   Museo Virtuale Multimediale
ARTICOLI STAMPA e WEB 29-31 MAGGIO 2015
   Articoli 2015    Stampa e Web    Testimonianze    Interviste     Bibliografia     Epistolario  
29-31 MAGGIO 2015
ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015

Heysel, la tragedia e i "mai più sprecati"

L'arbitro Daina ? Era svizzero. Ma con genitori di Berbenno

Platini: "Continuo a giocare quella partita"

"Ho chiesto un biglietto per finale di Berlino, Juve mi ha detto no".

Dalglish: "Ma gli juventini tirarono sassi per primi"

Heysel, 30 anni dopo: a Liverpool la strage è tabù, la città sceglie il silenzio

Per non dimenticare

29 maggio 1985 la fine dell’innocenza del calcio

30 Anni di Heysel: Bambagia, Veleni e Melassa

30 anni fa la tragedia dell'Heysel

La Juventus: ''Il giorno più triste della nostra storia''

Trent’anni fa l’Heysel: anche la Brianza ricorda i 39 tifosi morti allo stadio

L'Heysel 30 anni dopo, nero su bianco

Heysel, trent’anni di rimorsi

Bruxelles commemora il "giorno più triste"

Dalglish shock: "All'Heysel iniziarono i tifosi della Juventus, reagire è umano"

Heysel, per non dimenticare…

Heysel 30 anni dopo, la memoria vale più delle vittorie

La missione del ricordo

Heysel, oggi sono 30 anni: il ricordo più brutto e doloroso

Heysel, trent’anni dalla strage

Heysel, trent'anni dopo: una ferita ancora aperta

Heysel, trent’anni dopo ospite a Bruxelles della RTBF

Heysel, 30 anni di dolore

In memoria dei caduti dell’Heysel

L’Heysel all’inizio della storia

L’Heysel, trent’anni dopo. Quando uccisero l’anima

Heysel, la tragedia immane che da 30 anni nutre gli idioti

La partita infinita delle famiglie

"La memoria si allena"

"La Juve ha ancora paura della strage"

Sotto la lente - Heysel, una ferita sempre aperta

Heysel, un minuto di silenzio a 30 anni dalla tragedia

Trent’anni fa la tragedia dell’Heysel

Heysel, la strage rimossa

L’Heysel: una ferita per sempre

Heysel, il ricordo della strage a Bruxelles, Torino e Liverpool

Un testimone: "Vidi sciarpe insanguinate e..."

30 anni dalla strage dell’Heysel: un’amara lezione che non va dimenticata !

ARTICOLI STAMPA e WEB 30 MAGGIO 2015

-

ARTICOLI STAMPA e WEB 31 MAGGIO 2015

Tavecchio... "Proporrò il ritiro della maglia n° 39 della Nazionale"

Che pena l’Italia senza etica dello sport

Heysel, i livelli di responsabilità e l’ipocrisia del tifo

Heysel, la tragedia e i "mai più sprecati"

di Roberto Belingheri

Ti basta guardarlo, per capire. Ti basta guardare negli occhi il superstite dell’Heysel, per capire una volta di più cos’è stato l’Heysel. Ha gli stessi occhi di un superstite del Vajont visto su a Erto, o di qualche vecchio della Val di Scalve quando parla del Gleno.

Ha gli stessi occhi, scommettiamo, di uno che era a New York e sentì con le sue orecchie l’ultimo rombo di quel 767 che andava basso e veloce verso le Torri gemelle. Ha gli stessi occhi di chi sa che oggi potrebbe essere sottoterra e invece è ancora qui. Vivo, condannato a vita al racconto, e dunque a rivivere il dramma e a risentire vicino l’odore della morte. Heysel non è una tragedia, non è "solo" una strage. Heysel è un tornante della storia, una ferita ancora aperta. Heysel è una password che riapre il passato. Ricordi dov’eri quella sera, il giorno dopo, con chi ne parlavi. Ricordi la maestra delle elementari, la signora Maria, che si presentò in classe con la radiolina, per sentire le notizie di Bruxelles. Heysel è una lezione, un monito: mai più, si disse migliaia di volte. Mai più gli hooligans e le loro nostrane imitazioni, mai più soldatini inermi a cavallo dentro gli stadi, che servono a niente. Quanti "mai più" sono stati sprecati, dopo l’Heysel. Perché un dato è certo, inconfutabile: il calcio non ha mai dichiarato guerra all’Heysel. Si è tenuto dentro il ricordo, lo ha cicatrizzato, ma poi scusate, the show must go on. Lo dimostrò quella sera, con la partita che si giocò per forza, per non contare altri morti. Vince il male minore, e pazienza. Il male minore è la filosofia di fondo del calcio europeo, italiano, bergamasco. Il violento c’è ma sì, che vuoi che sia. Sono ragazzotti vivaci, meglio farli sfogare in uno stadio che altrove. Sbagliato. Perché questo è il cancello che una volta spalancato ti fa correre veloce verso ragionamenti perversi come quelli sentiti lunedì sera dalle parti di Roma, dove cantavano vittoria perché in fondo il derby era finito con due soli accoltellati. Gravi, ma vivi. Quel che il calcio non ha capito, o se l’ha capito nulla fa per difendersi, è che è diventato il pretesto per gli sfoghi peggiori. Violenti beceri da noi; nazionalisti criminali in taluni Paesi esteri; le mafie al Sud. Quel che il calcio perversamente insiste a non fare è domandarsi perché proprio il calcio sia la calamita di tutto questo. Per i soldi che vi girano, certo. Ma forse anche per la voluta assenza di anticorpi, se non la sottile complicità che per convenienza o quieto vivere spesso viene mantenuta con chi tira le redini dei greggi delle curve. L’Heysel è una ferita aperta. Lo vedi da quanto questo trentesimo anniversario ha scoperchiato le emozioni della gente. Eppure il calcio non ha capito quella lezione, non ha onorato quei morti rendendosi diverso da se stesso. È stata bella, nei giorni scorsi, la commemorazione delle vittime fatta dalla curva della Juventus. Migliaia di cartelli bianchi sventolati in curva con i nomi dei 32 che non tornarono da Bruxelles. Eppure, è proprio quella della Juventus una delle curve più violente del calcio italiano. È la curva che tira bombe carta - a Bergamo, che certo non può dare lezioni di nonviolenza, lo ricordiamo bene - tra i tifosi avversari. È una curva tra le più aggressive, intransigenti, talebane del calcio italiano. Ricorda i morti dell’Heysel perché sono i suoi, ma nella stessa sera non disdegna schifosi incitamenti al Vesuvio perché faccia il suo lavoretto su Napoli e dintorni. O non manca di esporre striscioni osceni sulla tragedia di Superga. Un morto è un morto, invece, e la pietà dovrebbe volare ventimila metri sopra il tifo. È dura dirlo, ma è così: trent’anni dopo l’Heysel, il nostro calcio non l’ha ancora capito. E lascia che ogni domenica il male minore faccia gol a porta vuota..

29 maggio 2015

Fonte: Ecodibergamo.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

La curiosità

L'arbitro Daina ? Era svizzero. Ma con genitori di Berbenno

A Berbenno era una notte col fischietto, quella dell'Heysel. Quattrocento bergamaschi a Bruxelles e un pezzetto in incognito, l’arbitro André Daina, 44 anni allora. Svizzero di Eclépens, dicono il certificato di nascita e la scheda dell'Uefa, bergamasco per dna della Valle lmagna, raccontavano a Berbenno. Dove sono nati papà Andrea e mamma Prassede, emigrati un giorno per fare "la stagione" in Svizzera e poi rimasti in  Svizzera per quasi tutte le stagioni, compresa quella della nascita dei figli Andrè e Ruggero. A metà degli anni '80 Daina è uno degli arbitri Uefa più quotati ed è anche un personaggio curioso. E’ ingegnere chimico, ma prima di prenderlo a fischiate, il pallone lo ha preso a calci. Giocatore nelle giovanili dello Young Boys, poi al Servette, al Losanna e in nazionale, 4 presenze dal '63 al '65, ha appeso la carriera al chiodo nel '72 e nel '73 è diventato arbitro. E anche da fischietto è un razzo. Quando si trova in mezzo alla tregenda dell'Heysel, Daina ha già più di una tacca internazionale alla cintura e ha già diretto Platini agli Europei '84. Nell’intervista al nostro giornale, domenica 2 giugno 1985, Daina definisce "un'idiozia" l’accusa di aver favorito i bianconeri a titolo compensativo e spiega di aver dato il via libera alla gara per evitare che il finimondo continuasse. "Non si trattava più di una partita ma di un avvenimento così tragico che il calcio sembrava anacronistico", disse. Daina non incrociò più la Juve, gli inglesi invece sì, in Inghilterra-Polonia a Messico '86. Di nuovo un pezzo di Liverpool nella prima e unica partita mondiale dello svizzero di Berbenno. Si. Pe..

29 maggio 2015

Fonte: Il Gazzettino

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel, 30 anni fa la tragedia

Platini: "Continuo a giocare quella partita"

Il 29 maggio 1985 39 tifosi della Juventus morirono prima della finale di Coppa Campioni col Liverpool.

"Trent'anni fa, all'Heysel, giocai una finale di Coppa dei Campioni che ancora oggi continuo a giocare. Non ho mai dimenticato quella partita". Così il presidente dell'Uefa Michel Platini, stella della Juve negli anni '80. "Trent'anni dopo - scrive sul sito dell'Uefa - sono il presidente dell'organismo che organizzò quella finale e, con i miei colleghi ed i miei amici delle federazioni, dei campionati e dei club, lavoriamo quotidianamente per assicurare che l'orrore di quella serata non si ripeta mai più. Questo impegno - prosegue Platini - si è tradotto in un incessante lavoro nel corso di questi anni per garantire la sicurezza degli impianti sportivi di tutta Europa".

LA TRAGEDIA - Sono trascorsi 30 anni dalla tragedia dell'Heysel: la notte più buia del calcio mondiale. I tifosi juventini - 32 erano italiani - andati a Bruxelles con la speranza di festeggiare la prima Coppa dei Campioni bianconera trovarono una morte orribile nel settore Z dello stadio, travolti dalla furia degli hooligans inglesi ubriachi, schiacciati contro le balaustre o precipitati dalle gradinate, poco prima che iniziasse la finale Juve-Liverpool. Morti, però, anche per l'inadeguatezza dell'Heysel e dei servizi di sicurezza ed ordine pubblico. Un ricordo ancora oggi terribile per i parenti delle vittime, per i sopravvissuti, per chi aveva seguito le cariche degli hooligans, il caos e la disperazione dei tifosi che cercavano scampo dagli altri settori dell'Heysel o in tv. Una "Coppa maledetta" che la Juve aveva inseguito per 30 anni, sfuggita già due volte, nel '73 a Belgrado, dieci anni dopo ad Atene. Un trofeo che oggi molti protagonisti dell'epoca non sentono come un trofeo conquistato, ricordando che in pratica furono obbligati a giocare. Ma ci sono anche tifosi juventini che, al contrario, la considerano un premio alla memoria delle 39 vittime, allineate nelle stanze dello stadio mentre sul campo si consumava la partita più surreale nella storia del calcio europeo, vinta dalla Juventus con un calcio di rigore segnato da Platini. Una partita giocata con un intero spicchio dell'Heysel, senza più tifosi, transennato davanti alle macerie ed alle cose perse dai tifosi nella calca. "Non sapevamo cosa era davvero successo, avevamo avuto notizie di un morto, forse due, ma non potevamo immaginare una tragedia così grande", avrebbero detto poi i giocatori bianconeri.  I neo campioni d'Europa avevano festeggiato sotto la curva dell'Heysel subito dopo il 90', ma il giorno dopo, al rientro a Torino, quando le notizie sulle tragedia erano diventate ufficiali e chiare nella loro drammaticità, ogni traccia di gioia era scomparsa dai loro volti. Sergio Brio, scendendo sulla scaletta dell'aereo, stringeva la Coppa, ma senza esultare. All'Heysel il club bianconero aveva consegnato al delegato Uefa Gunther Schneider la nota ufficiale spiegando perché aveva detto sì alla richiesta di giocare comunque: "La Juve accetta disciplinatamente, anche se con l'animo pieno di angoscia, la decisione dell'Uefa, comunicata al nostro presidente, di giocare la partita per motivi di ordine pubblico". Il presidente di allora, Giampiero Boniperti, non ha mai voluto riparlare di quella finale così dolorosa. Neppure per l'attuale massimo dirigente bianconero, Andrea Agnelli, è facile tornare sull'argomento: "Ho sempre fatto fatica a sentire mia quella Coppa - ha detto in occasione del venticinquennale dell'Heysel - anche se i giocatori mi hanno sempre detto che fu partita vera". E Marco Tardelli, in un'intervista alla Rai, qualche anno fa ha spiegato e chiesto scusa: "Era impossibile rifiutarsi di giocare, ma non dovevamo andare a festeggiare, l'abbiamo fatto e sinceramente chiedo scusa". Le vittime dell'Heysel saranno ricordate a Bruxelles con una cerimonia pubblica e a Torino in una messa alla Chiesa della Gran Madre di Dio, alle 19,30. "La giornata del 29 maggio - sottolinea la società bianconera - sarà dedicata al ricordo da parte di tutti i tesserati Juventus. Per troppi anni quelle 39 vittime - rimarca sul sito ufficiale - sono state oggetto di scherno finalizzato unicamente ad attaccare i colori bianconeri: un'azione vile che non dovrebbe trovare cittadinanza in nessuno stadio ed in nessun dibattito sportivo. Questo anniversario dovrà essere utile anche alla riflessione per evitare che simili comportamenti si ripetano"..

29 maggio 2015

Fonte: Ansa.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel 1985-2015. Conte, tifoso rimasto sotto le macerie:

"Ho chiesto un biglietto per finale di Berlino, Juve mi ha detto no"

di Francesco Casula

Divenuto il volto della tragedia in cui persero la vita 39 persone, dopo tanti anni di silenzio ha raccontato il dolore di quei momenti alla Gazzetta del Mezzogiorno.

"Davanti a me c’era un uomo con la telecamera. Ricordo di aver letto ‘Italia’ sulla macchina da presa e iniziai a urlargli di aiutarmi, ma lui continuava a riprendere. Qualche tempo dopo mi dissero che aveva vinto anche un premio. Non metto piede in uno stadio da quel 29 maggio 1985 e avevo deciso di tornarci proprio per vedere di nuovo la Juventus in finale e così ho scritto alla società: ho spiegato chi ero, quello che avevo passato in quella curva Z e ho chiesto due biglietti per Berlino. Mi hanno risposto che i biglietti sono nominativi e numerati, ma se volevo potevo vedere la sfida con il Napoli". Inizia così il racconto di Gaetano Conte a La Gazzetta del Mezzogiorno. Il tarantino divenuto suo malgrado il volto di quella tragedia in cui persero la vita 39 persone, dopo tanti anni di silenzio e persino una diffida vana per evitare di rivedere il suo viso barbuto in tv, al quotidiano pugliese ha descritto i suoi ricordi, i suoi dolori e il suo sogno svanito. Voleva riprendere da dove aveva lasciato, dal sogno di vedere la sua Juve sollevare la Coppa dei Campioni come la chiama ancora nostalgicamente. Ha chiesto alla figlia di spedire una mail, ma non è bastato. Lui che da quel giorno non è più tornato allo stadio: la finale contro il Barcellona, dovrà guardarla in tv. "Però lo so che a rispondermi è stato qualcuno dello staff perché se fossi riuscito a scrivere direttamente al presidente Andrea Agnelli, mi avrebbe accontentato". Forse avrebbe potuto superare quella paura che ancora lo attanaglia. Quando qualcuno lo salvò dalle macerie che gli bloccavano le gambe fu sistemato su una barella di fortuna: "All’improvviso mi voltai a guardare gli altri feriti. Accanto a me c’era il corpo di una bambina. Avrà avuto 14 o 15 anni: aveva la gola tagliata. Ho passato tre giorni e tre notti a piangere". Sotto quelle macerie c’era finito per un altro piccolo tifoso: "Portai con me un ragazzo disabile. Aveva 15 anni e per fargli vedere la partita qualche settimana prima andai al comune e lo feci inserire sul mio stato di famiglia. In quella bolgia è stato il mio unico pensiero: quando riuscii a metterlo in salvo caddi per lo sfinimento. Lì cominciò l’inferno. La folla mi travolse e persi i sensi. Quando pochi minuti dopo mi risvegliai avevo le gambe bloccate dalle macerie e davanti a me c’era un uomo con la telecamera. Ricordo di aver letto ‘Italia’ sulla macchina da presa e iniziai a urlargli di aiutarmi, ma lui continuava a riprendere. Gli dicevo di tirarmi fuori dalle macerie, ma quello continuava a girare. Qualche tempo dopo mi dissero che aveva vinto anche un premio. Ci pensi ? Io stavo morendo e lui aveva vinto un premio". Ricorda ogni momento di quella giornata fino a quando la folla non lo travolse: la sua gamba è così livida che ogni giorno deve prendere pillole antidolorifiche. "Per curare le conseguenze di quella finale: ho girato l’Italia, ma non c’è niente da fare, mi devo tenere il dolore. Pensavo solo di ricominciare da dove avevo lasciato e invece la dovrò guardare in tv. Peccato. Però vinciamo noi, ho giocato un biglietto con il risultato finale. Vinciamo noi".

29 maggio 2015

Fonte: Il Fatto Quotidiano

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Dalglish: "Ma gli juventini tirarono sassi per primi"

"Forse senza la violenza di Roma non sarebbe successo nulla"

di Stefano Boldrini

Un muro di gomma. Trent’anni dopo, parlare dell’Heysel crea ancora un profondo imbarazzo ai giocatori di quel Liverpool. Oggi, alle 9.30, la strage del 29 maggio 1985 sarà ricordata all’Anfield con un cerimonia privata. Ian Rush, ambasciatore dei reds, parteciperà alle 19.30 alla messa di Torino, ma il tentativo di raccogliere la sua testimonianza su quanto avvenne nello stadio di Bruxelles è stato stoppato dal club. L’ex difensore Alan Hansen è categorico: "Non parlo dell’Heysel". Mark Lawrenson, altro illustre ex, oggi commentatore della Bbc, dopo un primo contatto telefonico, è sparito. UNICA VOCE - Solo Bruce Grobbelaar, l’ex portiere del Liverpool, che vive in Canada ed è sempre stato un "cane sciolto", ha raccontato la sua versione dell’Heysel a Repubblica: "Furono estremisti di destra, del National Front, a provocare il caos. I veri tifosi del Liverpool trascorsero la mattinata della partita a bere birra con i tifosi della Juve". Grobbelaar ha avuto il coraggio di dire la verità: "Capimmo che era successo qualcosa. Sapevamo abbastanza per non giocare". Grobbelaar, come ricorda Marco Tardelli, dopo la partita salì sul pullman della Juve e chiese scusa a nome dei tifosi del Liverpool. DALGLISH - Altri compagni di squadra hanno invece sostenuto sempre la tesi di non essere a conoscenza che il crollo del muro e la calca della gente avessero provocato numerose vittime. Nella sua autobiografia, Kenny Dalglish afferma che l'origine della tragedia dell'Heysel va individuata negli scontri di un anno prima, quando il Liverpool giocò la finale di Coppa dei Campioni contro la Roma all'Olimpico: "I nostri tifosi furono aggrediti da quelli avversari. Nei bus che portavano i nostri fans allo stadio si scatenò l'inferno. Non si può certo giustificare il comportamento dei nostri tifosi, ma anche all'Heysel furono i fans italiani della Juventus a lanciare per primi i sassi contro i nostri. Reagire è umano e il ricordo di quanto era accaduto a Roma l'anno precedente era ancora fresco nella mente dei nostri tifosi. Se quelli della Roma avessero lasciato in pace i nostri, i fans del Liverpool non sarebbero stati così aggressivi con quelli della Juventus. E se quelli della Juventus non avessero cominciato a lanciare sassi contro i nostri, non sarebbe accaduto nulla". OFFESI - Dietro i silenzi e gli imbarazzi di oggi ci sarebbe anche un'altra spiegazione. I giocatori del vecchio Liverpool sarebbero rimasti offesi per il comportamento di una parte dei tifosi della Juventus presenti il 5 aprile all'Anfield quando, in occasione di una sfida di Champions tra le due squadre vinsero i Reds 2-1 - i fans bianconeri voltarono le spalle durante la cerimonia di ricordo. E' così, purtroppo: l'Heysel continua a far male e a dividere.

29 Maggio 2015

Fonte: La Gazzetta dello Sport

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel, 30 anni dopo: a Liverpool la strage è tabù, la città sceglie il silenzio

di Paolo Avanti

Pioggia di celebrazioni su Sheffield, per Bruxelles prevale l’imbarazzo. Come spiega Keith, assiduo frequentatore della Kop: "Fui trattato come un criminale anche se non ero responsabile di nulla. Non ne parlo da allora e non ne voglio più parlare".

Sono passati trent’anni ma a Liverpool la ferita dell’Heysel non è ancora cicatrizzata. È un trauma di cui si parla poco, sperando che l’oblio serva a curarlo. Mentre la tragedia dell’Hillsborough del 1989 (96 tifosi Reds morti schiacciati in curva prima della semifinale di FA Cup con il Nottingham Forest) è stato un lutto ampiamente elaborato con cerimonie da pelle d’oca e una (sacrosanta) battaglia legale ("Justice for 96") per ristabilire la verità su quella strage (all'Hillsborough gli hooligan non c’entravano), sull’Heysel è calata una cappa di silenzio. Comprensibile: se a Sheffield i tifosi del Liverpool erano le vittime, quattro anni prima a Bruxelles furono i carnefici, seppure con un’enorme dose di corresponsabilità della gendarmeria belga e della Uefa. TABU’ - Nei pub e nei luoghi di ritrovo della tifoseria Reds, in una città completamente cambiata rispetto a quella del 1985, si preferisce evitare l’argomento. "Non ne parlo da allora e non voglio mai più parlarne - racconta Keith, assiduo frequentatore della Kop, presente all'Heysel. Fu uno shock terribile che mi ha cambiato la vita. Fui trattato come un criminale anche se non ero responsabile di nulla". È il refrain che si sente un po’ dappertutto in una città irriconoscibile rispetto a quella di 30 anni fa: là dove c’erano fabbriche vuote, tensioni sociali e disoccupazione alle stelle (in alcuni quartieri quella giovanile sfiorava il 90%), oggi c’è un vivace centro meta del turismo beatlesiano e di quello calcistico. E mentre trent'anni fa gli hooligan imperversavano dovunque andassero a giocare le squadre inglesi, oggi il calcio d’Oltremanica è un esempio di sicurezza e i problemi con la violenza dei tifosi sono più frequenti alle nostre latitudini. ORGOGLIO E COLPA - Tutto è cambiato, ma la tragedia di Bruxelles resta. Quanto accadde nel 1985 fu una mazzata per una città già in profonda crisi. Sintomatica la reazione di una ragazza intervistata pochi giorni dopo il dramma: "È stato disgustoso. Dovunque andremo porteremo per sempre con noi la vergogna e la colpa per tutto questo". Liverpool pianse quei morti, scrissero Andrew Ward e John Williams in Football Nation, "ma pianse anche per la ferita inflitta all’orgoglio della città, perché il Liverpool Football Club era una delle ultime cose di cui andare fieri in quegli anni". Nel decennio '80 i tifosi inglesi erano sinonimo di violenza. Liverpool, invece, si sentiva un’isola felice: mai i tifosi Reds erano stati coinvolti in gravi incidenti. Bruxelles fu anche per questo uno choc che sconvolse la città, un pugno in faccia difficile da incassare. L'illusione di essere diversi morì nella curva Z, insieme ai 39 tifosi juventini. Aveva probabilmente ragione Nick Hornby quando disse che l’Heysel fu l’approdo inevitabile di una cultura, quella degli hooligan, Reds compresi, fatta di piccole e grandi sopraffazioni, gesti e riti violenti che non poteva che portare, prima o poi, a una tragedia simile.

29 maggio 2015

Fonte: La Gazzetta dello Sport

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

PER NON DIMENTICARE

di Piero Bianco

29 maggio 1985, Juventus-Liverpool era solo la finale di Coppa Campioni: divenne la notte più buia del calcio. Gli hooligans, l’invasione del settore Z, i 39 morti: una ferita ancora aperta.

Chi fa un viaggio all’inferno non può, e non deve, dimenticare. Mai. Soprattutto chi ha avuto in sorte un biglietto di ritorno alla vita, non quello maledetto di sola andata che dirottò 39 tifosi juventini (32 italiani) a morire come bestie nel settore Z dello stadio Heysel di Bruxelles. Dove l’inferno calò improvviso e impietoso mercoledì 29 maggio 1985. Doveva essere una grande festa dello sport quella finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool, fu invece un’apocalisse senza pari. Un film dell’orrore che scorre indelebile, oggi come trent’anni fa, nella mente di chi c’era e vide lievitare, come un malefico tsunami, l’onda barbarica che caricava, calpestava, uccideva. Quegli inglesi che ammazzavano urlando e ridendo, ebbri di alcool e di follia. Minuti, ore interminabili, immersi nel delirio, dopo l’incredulità iniziale: "Sta succedendo davvero ?". Difficile persino raccontare quanto l’uomo possa scendere in fondo agli abissi dell’animo mentre sventola la bandiera di una insana passione sportiva. Ma all’Heysel le responsabilità erano reali e evidenti, sebbene dopo sei anni di processi farseschi agli organizzatori e ai responsabili del servizio d’ordine tutto sia svanito in una bolla di sapone. Non il ricordo: quello si tramanderà nei secoli. Come il flash-back della notte maledetta, un nastro che si riavvolge a ogni anniversario.

L’invasione del settore Z.

Come è successo ? E perché ? Quel film dell’orrore ha un prologo inquietante, l’assalto degli hooligans ai pacifici tifosi bianconeri nella Grand Place, cuore di Bruxelles. Sono le 12 e le eleganti vetrine del centro vanno in frantumi, i seggiolini dei dehors volano in aria. Gli inglesi sono già ubriachi fradici. La polizia li disperde, li sottovaluta, loro si dirigono allo stadio come mandrie imbizzarrite. Alle 18.15, due ore prima del fischio d’inizio l’Heysel, fatiscente e inadeguato per una finale di Coppa, è già stracolmo. La curva Z è un settore neutro, dovrebbero esserci solo belgi a fare da cuscinetto tra inglesi e italiani. Invece i biglietti sono finiti anche a molti juventini, felici di aver incrociato i bagarini. Gli hooligans ringhiano vicini, troppo, separati da pochi e impreparati agenti. Mezz’ora dopo partono lanci di sassi ai bianconeri. Un razzo esplode, l’onda assassina ondeggia minacciosa. Poi, il finimondo. Altri hooligans, senza biglietto, premono dall’esterno della curva per entrare. Sono le 19.22. Due minuti dopo, il secondo assalto: irrompono centinaia di hooligans in un settore già strapieno. Crolla il debole muro di sostegno, la folla è travolta dai calcinacci, schiacciata dalla furia dei teppisti, sempre più eccitati. Chi cerca riparo verso il campo viene respinto a manganellate dalla stupidità dei 120 poliziotti di servizio, che non ci capiscono nulla. Sembra una guerra. Feriti in cerca di soccorso negli spogliatoi, dispersi che cercano parenti e amici. Il caos totale. In tribuna stampa si vede che sulla sinistra, settore Z, la folla tenta di scappare. Ma arrivano notizie imprecise. L’unica certezza: "Ci sono dei morti". Corriamo a vedere, cerchiamo di capire. Bruno Pizzul, in diretta Rai, tenta di non trasmettere il panico a chi ha parenti allo stadio. L’era degli smartphone e delle tragedie in diretta mediatica è ancora lontana, non ci sono cellulari né telefoni funzionanti, solo le postazioni fisse dei giornalisti, che vengono prese d’assalto. "Fate un numero, per favore, dite a mamma che sono vivo". Decine, centinaia di suppliche. Si dovrebbe giocare, ma la partita non comincia.

"Si deve giocare".

Giù, nell’antistadio, la guerra continua. La Croce Rossa allestisce una tenda davanti alla tribuna centrale e le prime salme vengono raggruppate proprio lì, molte incustodite, altre abbracciate dallo strazio di amici e parenti. Arriva Gianni Agnelli e intuisce che non sarà una serata di sport: scende per un istante dalla sua limousine e subito ci risale. L’Avvocato se ne va, turbato, mentre il figlio Edoardo (dirigente della Juventus) è dentro gli spogliatoi, dove i giocatori già sanno. Non tutto, ma sanno. Dicono a Trapattoni e Boniperti che non giocheranno: "Non avrebbe senso". D’accordo anche i giocatori del Liverpool, però il capo della polizia Mahieu e il sindaco di Bruxelles, Brouhon, ordinano di scendere in campo "per evitare una guerra civile". Scirea, il capitano, legge un messaggio alla folla: "Amici, restate calmi, giocheremo per voi". La partita comincia alle 21.43 in un clima surreale. Davanti alla tv, in Italia, c’è anche Sandro Pertini, con milioni di tifosi. Pizzul racconta, accenna a morti e feriti senza aggiungere dettagli e senza mai drammatizzare. Boniek viene atterrato (fuori area), Platini trasforma il rigore e poi solleverà il trofeo ("Un omaggio ai tifosi caduti", dirà dopo per stemperare le polemiche), la Juve vince una coppa come mai, nemmeno nel peggiore degli incubi, avrebbe immaginato. All’Heysel si contano ancora i morti. Quaranta ambulanze e decine di taxi fanno la spola con gli ospedali per trasportare i feriti. Non c’è gioia, solo disperazione. La notte è lunga e drammatica, una folla di disperati vagabonda per tutta Bruxelles, ospedale dopo ospedale, con il cuore in gola, nella speranza di sentirsi dire: "Sì, è ricoverato qui". E ricevendo quasi sempre un no. Un viaggio del dolore tra l’ospedale di Jette e quello francese, il Saint-Pierre, la clinica Saint-Jean. Il caos resta totale, nessuno fornisce identità certe, soltanto il passaparola dei superstiti guida quelle penose ricerche.

L’alba dell’orrore.

Quando cade l’ultima speranza, parenti e amici delle 39 vittime vengono dirottati all’obitorio. È già mattina. Il giorno dopo. Due ore di attesa e si spalanca una porticina sul retro: la folla silenziosa finalmente viene ammessa e scopre - noi con loro - uno stanzone spoglio. Altra interminabile attesa. Ore e ore. Proteste, lacrime. Non può essere carino un ospedale militare adibito a obitorio, ma qui non c’è rispetto: né per i vivi, né per i morti. Chi cerca il figlio, chi un amico, la moglie, il padre, il fratello: dove sono ? Nel pomeriggio di quel 30 maggio 1985 re Baldovino e la regina Fabiola entrano improvvisamente nello stanzone per abbracciare, una ad una, tante persone sconvolte. Stringono mani che tremano di rabbia: "Mi dispiace, scusateci, faremo di tutto per aiutarvi". Baldovino ha negli occhi un dolore autentico, non recita un copione. Per il suo Belgio è stata una vera debacle. Il re resta mezz’ora a consolare gli inconsolabili, poi se ne va e si spalanca la porta sull’orrore: entrate, sceglietevi pure il vostro morto. I corpi sono allineati sul pavimento, buttati lì senza pietà. Ancora sporchi e insanguinati, come erano stati raccolti la sera prima nello stadio maledetto. Esplode furibonda l’ira dei parenti: una vergogna, un insulto. Solo il giorno dopo infermieri pietosi metteranno una pezza, prima dell’autopsia e del mesto rientro delle salme su un aereo militare. A Bruxelles i feriti, visitati tre giorni dopo da Platini e da alcuni dirigenti juventini, continuano a domandarsi come e perché tutto questo sia successo.

29 maggio 2015

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

29 maggio 1985 la fine dell’innocenza del calcio

I 39 dell’Heysel morti come in guerra in un giorno di festa

di Stefano Tamburini

Lo stadio di Bruxelles divenne un cimitero sotto la furia ultrà e per quella strage nessuno ha mai pagato abbastanza.

Come in guerra, peggio che in guerra, perché in guerra almeno lo sai che puoi morire. E invece, quel mercoledì di 30 anni fa, il 29 maggio 1985, in un angolo di Bruxelles per migliaia di persone fu come piombare nell’orrore di Beirut squarciata dalle bombe. Ma non c’erano armi, a causar la morte era la guerriglia scatenata da un branco di lupi travestiti da uomini. Da hoolingans che trasformarono lo stadio in un cimitero. Quelli che furono travolti, senza neanche capire perché, erano lì per assistere a una festa, la finale della coppa dei campioni di calcio fra Juventus e Liverpool. Si trovarono schiacciati, sommersi, soffocati, stritolati o volati nel vuoto per una disperata roulette con in palio un modo meno atroce di morire. E quelli che riuscirono a fuggire o che furono strappati a quella fuga dall’altro mondo, negli occhi avranno per sempre l’orrore per aver visto l’inferno sulla terra. Morirono 39 persone, 32 italiani, quattro belgi, due francesi e un irlandese. Oltre seicento i feriti nella notte che segnò per sempre la perdita dell’innocenza del calcio, una notte di quelle che purtroppo non finiscono mai. Sì, perché non è mai arrivata l’alba del ravvedimento, della presa di coscienza collettiva. L’orrore di quelle ore, interminabili, resta ancora oggi in striscioni e cori criminali che inneggiano a quella bestialità e che basano le radici nella cultura dello sport trasfigurato in strumento di odio e sopraffazione. Fra i 32 morti italiani c’erano anche tre tifosi dell’Inter, quella era un'epoca in cui l’amicizia valeva davvero più della fede sportiva: poteva capitare di andare allo stadio insieme con il sostenitore di un’altra squadra e assistere a una partita che alla fine, al massimo, avrebbe regalato qualche sfottò. E che poi si sarebbe conclusa davanti a una birra con tante risate. Già, la birra. Cominciò tutto da lì, o anche da lì, perché solo un incapace o un malato di mente avrebbe potuto scegliere quello stadio decrepito, costruito negli anni Trenta del secolo scorso e mai ristrutturato, con reti di separazione degne di un pollaio e gradoni fatti con i sampietrini. Bastava un calcio ben dato per trasformarli da durissimi cuscini ad armi improprie in mano a un esercito di animali con sembianze umane, stravolti dalla loro imbecillità e da un carico di alcol inimmaginabile. Avevano già messo a ferro e fuoco il centro della capitale belga ma allo stadio trovarono solo pochi poliziotti e i rinforzi finirono per aggiungere terrore e morte. Sì, perché quelli che morirono o che rischiarono di morire si trovarono schiacciati nell’ultima parte della curva, il settore Z, e il terreno di gioco era l’unica via verso la salvezza. E proprio lì trovarono agenti a cavallo che sembravano usciti dal circo invece che da un’accademia: brandivano il manganello e respingevano quei disperati in fuga dalla morte. Si fermarono solo quando capirono che avevano di fronte l’orrore e c’è una scena che resta indelebile, quella di un poliziotto che si sente male e vomita fra i cadaveri mentre il suo cavallo va in mezzo al prato e si mette a mangiar l’erba dell’area di rigore. Poco dopo, 28 di quei poliziotti furono fatti uscire dallo stadio per andare a inseguire un ladro di salsicce. Un altro agente rimandò indietro il portiere sudafricano del Liverpool, Bruce Grobbelaar, che si era avvicinato per dare una mano ai soccorritori. Lo spogliatoio inglese era a due passi dalla tragedia ma fu tutto inutile, in linea con la terrificante sequenza di bestialità che si aggiunse a quella originale. Non c’era una vera e propria postazione di pronto soccorso, le transenne divennero barelle, i medici che arrivarono da altri settori dello stadio operarono a mani nude, anche una tracheotomia con un coltello per tentare inutilmente di salvare una delle vittime. E poi, dopo, cadaveri rispediti in Italia ancora nudi e squarciati dalle autopsie, scambiati fra di loro, uomini dati per morti e invece solo feriti. Per tutto questo nessuno ha pagato veramente. Undici hoolingans sono stati assolti dopo quattro anni di processo mentre altri 14 hanno ricevuto una condanna mite (appena tre anni) con la condizionale e quindi neanche un giorno di vera galera. L’Uefa, l’organizzazione del calcio europeo, l’ha fatta franca così come il Comune di Bruxelles. Il capitano della gendarmeria, quello che ha privilegiato la caccia al ladro di salsicce, se l’è cavata con nove mesi. L’Uefa ha escluso per un po’ le squadre inglesi ma ha proseguito con la sua ottusa imbecillità burocratica dando il peggio anche durante gli Europei del 2000. Nello stadio dell’orrore, finalmente ristrutturato, si giocò la sfida Belgio-Italia, e l’Uefa fu irremovibile: niente lutto al braccio e niente minuto di raccoglimento. Gli azzurri entrarono in campo stringendo un fiore bianco nella mano sinistra. Poco prima Paolo Maldini e Antonio Conte, capitani dell’Italia e della Juventus, andarono a deporre una corona e a pregare di fronte al settore Z. Davanti a quella curva, con i cadaveri ancora sul selciato, trent’anni fa un’ora e mezzo dopo l’orario prefissato fu comunque dato il calcio d’inizio della partita. La televisione tedesca si rifiutò di trasmetterla, quella austriaca mandò immagini mute con una sovrimpressione: "Quella che stiamo trasmettendo non è una manifestazione sportiva". Vero, tremendamente vero, non era una partita. Era solo l’ultimo atto di un oltraggio all’umanità..

29 maggio 1985

Fonte: Il Mattino di Padova

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

30 Anni di Heysel: Bambagia, Veleni e Melassa

La Memoria si alleni, ma sia sempre la Verità a salire sul podio più alto.

di Domenico Laudadio

Che sensazione strana, e molto più del precedente 25°. In Italia campeggia questa pessima consuetudine socio-mediatica della memoria che fa il salto della cavallina a cinque anni alla volta. Un mese, una settimana, il giorno che cade, poi la rincorsa si ferma. Fra qualche ora molte televisioni e quasi tutti i giornali riavvolgeranno il canapo marinaro dimenticato nei fondali dell’oblio rimuovendo l’ancora dalle sabbie ataviche e spronando le vele al vento dei ricordi di quella sera di maggio, quando un pallone prese le sembianze del clown, rimbalzando beffardo a pochi metri dai corpi nel cimitero dell’Heysel. Ritorneranno così le immagini televisive dai colori sbiaditi del 29 maggio 1985 a Bruxelles e soltanto lo strazio è rimasto intatto anche per chi ha tinto i capelli di argento. Qualcuno di loro li ha già raggiunti, altri hanno combattuto e magari vinto sopravvivendo ad un dolore scorpione, al suo veleno che paralizza i giorni. Familiari delle vittime, silenziosi e dignitosi, in tutti questi anni gli unici a poter parlare, gli ultimi ad essere interpellati da chi si iscrive alla sarabanda della presunzione. Non mi dispiace di non accodarmi alla nenia, talvolta ipocrita e meschina, del coro bianco dei soloni di una desolante assuefazione a fatti che ancora urlano vendetta, alla misconoscenza delle verità storiche e processuali. Si può stendere un sudario pietoso sui particolari più truci, ma non certamente rinunciare all’identificazione delle responsabilità di quanti furono gli artefici o colposamente sodali della carneficina di 39 innocenti. Lascio alla scrittura dei mestieranti le emozioni da prefiche, le morali semplicistiche da trenta denari. Dico solo che il male supremo non è tanto quella coppa di acciaio, ma negli occhi di chi ancora oggi non prova vergogna a risollevarla, giustificandosi dietro il paravento della compensazione. E allora comprendi perché è stata conservata frettolosamente nella bambagia, come un primogenito cieco dalla nascita che resterà a vita nella sua immeritata tenebra. Inutile muovergli sonagli, non vi sorriderà mai. La melassa di troppe parole non restituisce all’assenza di quei cari il senso compiuto. Si può avvicinare a stento e con discrezione una preghiera. Eppure anche Cristo si è arreso in croce alla solitudine, lo facciano anche i farisei del grande calcio e rinnovino i templi dove si adorano anche certi dei fasulli che si vendono a corrotti di mafie. Forse, allora, finalmente quel sangue dei martiri versato tragicamente e copiosamente rifiorirà in prati più verdi.. "Il valore della Memoria, il dovere della Verità"… A fare e disfare la tela delle congetture, la Penelope devota al politichese corretto si arrenderà all’evidenza. Non è stato il muretto crollato, non sono morti per "cause naturali" come scritto nelle autopsie frettolose e infami di medici militari senza onore. "Una verità condivisa"… E’ come sposare insieme nella geometria il taglio di una torta nuziale a più piani. Il tocco maldestro e la mano esperta non sono fatti per l’amore eterno, a meno che non riscoprano l’emozione e l’umiltà in un tremito. Perché davanti a quei trentanove nomi e cognomi si abbassano vessilli e alabarde, si snocciola il silenzio come un rosario e si bacia la terra dalle ginocchia. "Il valore della Memoria, il dovere della Verità"… A fare e disfare la tela delle congetture, la Penelope devota al politichese corretto si arrenderà all’evidenza. Non è stato il muretto crollato, non sono morti per "cause naturali" come scritto nelle autopsie frettolose e infami di medici militari senza onore. "Una verità condivisa"… E’ come sposare insieme nella geometria il taglio di una torta nuziale a più piani. Il tocco maldestro e la mano esperta non sono fatti per l’amore eterno, a meno che non riscoprano l’emozione e l’umiltà in un tremito. Perché davanti a quei trentanove nomi e cognomi si abbassano vessilli e alabarde, si snocciola il silenzio come un rosario e si bacia la terra dalle ginocchia.

29 maggio 2015

Fonte: Giulemanidallajuve.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

30 anni fa la tragedia dell'Heysel

Il 29 maggio 1985 39 tifosi della Juventus morirono prima della finale di Coppa Campioni col Liverpool.

"Per non dimenticare mai. Sempre nei nostri cuori". Il centrocampista della Juventus Claudio Marchisio commenta così, su Twitter, le 39 vittime dell'Heysel nel trentesimo anniversario della tragedia. "Trent'anni fa, in questo giorno, si è svolta una terribile tragedia. Tante persone sono morte in occasione di una partita di calcio. Vi chiedo di alzarvi in memoria delle persone che hanno perso la vita all'Heysel". Questo invece quanto chiesto dal presidente della Fifa, Sepp Blatter, poco dopo l'apertura del congresso della federazione stamane a Zurigo. "Michel Platini, segnò il gol della vittoria della Juve contro il Liverpool, in quel triste giorno che vide la morte di 39 persone".

Trentanove palloncini bianchi si alzano in volo. All'Heysel, ora stadio re Baldovino, trent'anni dopo, si onora la memoria delle 39 vittime della curva Z - 32 gli italiani - quando la festa per la finale di Coppa dei campioni Juventus-Liverpool si trasformò in violenza e sulle gradinate morirono i tifosi bianconeri schiacciati dalla folla impaurita. Un minuto di silenzio. Corone di fiori. Cordoglio. Ma nemmeno un rappresentante del Liverpool alla cerimonia. Il vento gelido frusta il gazebo rosso dove sono stati fatti accomodare i notabili. Ci sono l'attuale sindaco di Bruxelles Yvan Mayeur e quello dell'epoca Freddy Thielemans; il presidente del J-Museum Paolo Garimberti e l'ex difensore della Juventus Sergio Brio; l'ambasciatrice del Regno Unito presso il Belgio Alison Rose ed il suo omologo italiano Alfredo Bastianelli; il presidente della federazione dei tifosi di calcio britannica Malcolm Clarke e l'assessore allo sport Alain Courtois. Si scandiscono uno ad uno i nomi dei morti. Si liberano i 39 palloncini bianchi. Tutt'attorno decine di giornalisti, qualche familiare delle vittime e una ventina di supporter della Juve, seguono la traiettoria verso il cielo. "Una data da non dimenticare mai", dice Brio. "Un dramma che ha lasciato una lezione importante", secondo Garimberti. "Nessun supporter deve andare allo stadio per non tornare più", afferma Clarcke, "sorpreso" per l'assenza di esponenti del Liverpool. "Avevo 11 anni ed un biglietto per il blocco Z. Solo un caso mi ha fatto ritrovare dalla parte opposta, nell'area M", racconta Romolo Putzu, nato a Bruxelles da genitori italiani. Poco distante c'è Rebecca Jacques, arrivata qui dalla Francia con madre e figlie per ricordare il padre Francois, morto a 45 anni. "Ci pensiamo ogni giorno". Anche per loro l'orologio si è fermato a quel 29 maggio 1985, come recita la poesia incisa sulla targa a memoria, sul muro dello stadio. Heysel: Juve ricorda "il giorno più triste" - "Doveva essere un momento di festa, di attesa, di tensione sportiva. Si è trasformato in tragedia". La Juventus ricorda così, nel trentesimo anniversario, le 39 vittime "innocenti" dell'Heysel. E, sul suo sito internet, ricorda il 29 maggio del 1985 come "il giorno più triste" della storia bianconera. "Trentanove famiglie furono segnate per sempre da un dolore che non riusciamo neanche ad immaginare", si legge ancora sul sito web del club bianconero. "Quanto accadde quella sera è scolpito nella memoria di qualsiasi tifoso. Di coloro che erano presenti a Bruxelles, di chi era seduto davanti alla tv, anche di chi allora era troppo giovane o magari non era ancora nato. Sono passati trent'anni e oggi - sostiene la società - ci si può solo stringere nel ricordo. La Juventus lo farà partecipando insieme all'Associazione fra i Familiari delle Vittime dell'Heysel alla Santa Messa, celebrata alle 19.30 nella Chiesa della Gran Madre di Dio a Torino. Saranno presenti i giocatori della Prima Squadra, lo staff tecnico e i dirigenti della società. La Juventus partecipa anche alla cerimonia pubblica a Bruxelles, rappresentata dal presidente del J-Museum Paolo Garimberti e da Sergio Brio. Alla cerimonia che si tiene a Liverpool sono presenti Gianluca Pessotto e Massimo Bonini. Su Juventus.com per tutto il giorno queste righe rimarranno la prima notizia dell'home page, la cover delle pagine ufficiali sui vari social network e l'unico post pubblicato su Facebook saranno in ricordo delle vittime. Il resto sarà silenzio - conclude la Juventus. Per onorare la loro la memoria. Per cercare di dare conforto alle loro famiglie. Per ribadire l'auspicio che il vile scherno di cui quelle 39 vittime sono state oggetto per troppi anni finisca, una volta per tutte. Per fare comprendere che una simile follia non si dovrà ripetere. Mai più". Presidente supporter Gb, momento buio nostro calcio - La tragedia dell'Heysel "è stato un momento davvero buio per il calcio inglese, che ha colpito tutti. Un dramma che speriamo non si ripeta mai più", così Malcolm Clarke della Federazione dei tifosi di calcio britannica, a margine della commemorazione, a 30 anni dal dramma dello stadio Heysel, a Bruxelles. "Penso che il comportamento dei supporter britannici sia molto migliorato rispetto al passato - afferma Clarke. Sono un po' sorpreso che non ci siano rappresentanti del Liverpool qui oggi. Ma sono qui io, in rappresentanza di tutti i tifosi del mio Paese, per onorare quei morti. Nessun supporter deve andare allo stadio per non tornare più a casa". Alla cerimonia era presente anche l'ambasciatore italiano in Belgio, Alfredo Bastianelli: "Essere qui oggi è essenziale, da una parte per commemorare le vittime, ma soprattutto perché si riporti all'attenzione di tutti la necessità che tragedie di questo tipo non si ripetano. Che lo sport sia occasione di gioia e di competizione, ma non di violenza e di morte".

29 maggio 2015

Fonte: Ansa.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel, 30 anni fa l'immane tragedia

La Juventus: ''Il giorno più triste della nostra storia''

Trentesimo anniversario della strage di Bruxelles in cui morirono 39 persone (32 italiane) prima della finale di Coppa dei Campioni tra i bianconeri e il Liverpool. Il club ricorda i caduti: ''Quanto accadde quella sera è scolpito nella memoria di qualsiasi tifoso''. Da Zurigo messaggi anche di Blatter e Platini.

TORINO - Il giorno della memoria e del dolore. Sono passati 30 anni esatti da quel maledetto 29 maggio 1985, data in cui un avvenimento sportivo si è trasformato in una delle più dolorose pagine della storia del calcio. Quel giorno morirono 39 persone (di cui 32 italiane) poco prima dell'inizio della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles. "IL GIORNO PIU' TRISTE" - Attraverso il proprio sito ufficiale, la Juventus ha ricordato le vittime di quella giornata nera: "29 maggio 1985, il giorno più triste della nostra storia. Doveva essere un momento di festa, di attesa, di tensione sportiva. Si è trasformato in tragedia. Trentanove persone innocenti quella sera persero la vita. Trentanove famiglie furono segnate per sempre da un dolore che non riusciamo neanche ad immaginare. Quanto accadde quella sera è scolpito nella memoria di qualsiasi tifoso. Di coloro che erano presenti a Bruxelles, di chi era seduto davanti alla tv, anche di chi allora era troppo giovane o magari non era ancora nato". L'intero club bianconero (giocatori della prima squadra, staff tecnico e dirigenti) parteciperà insieme all’ Associazione fra i Familiari delle Vittime dell'Heysel alla Santa Messa che verrà celebrata alle 19.30 presso la Chiesa della Gran Madre di Dio a Torino". "MAI PIU' UNA FOLLIA SIMILE" - Manifestazioni che non si terranno soltanto a Torino. La Juventus è presente anche alla cerimonia pubblica a Bruxelles, rappresentata dal presidente del J-Museum Paolo Garimberti e da Sergio Brio. Proprio in Belgio sono state posate corone di fiori e sono stati liberati in cielo 39 palloncini bianchi ciascuno con il nome di una delle vittime, 32 delle quali italiane. Alla cerimonia che si tiene a Liverpool sono presenti Gianluca Pessotto e Massimo Bonini. Sul sito Juventus. com per tutto il giorno queste righe rimarranno la prima notizia dell'home page, la cover delle pagine ufficiali sui vari social network e l'unico post pubblicato su Facebook saranno in ricordo delle vittime. "Il resto sarà silenzio  -  conclude la Juventus. Per onorare la loro la memoria. Per cercare di dare conforto alle loro famiglie. Per ribadire l'auspicio che il vile scherno di cui quelle 39 vittime sono state oggetto per troppi anni finisca, una volta per tutte. Per fare comprendere che una simile follia non si dovrà ripetere. Mai più". IL RACCONTO DI BRIO  -  Presente quel giorno in campo e oggi a Bruxelles nei pressi del teatro di quella tragedia, Sergio Brio ha ricordato la tragedia di 30 anni fa: "Ho ricordi bruttissimi. Una serata tragica. Io devo ricordare le famiglie che hanno perso i loro cari e questa data non si dovrà scordare mai. La Juve fece di tutto per poter sistemare le cose  -  spiega  -  ma non ci riuscì. Boniperti non voleva giocare. Ma la Uefa lo impose perché altrimenti la Juventus avrebbe perso 3-0 ed eventuali morti negli scontri, casomai ci fossero stati, se li sarebbe dovuti assumere lui. A quel punto Boniperti decise di giocare. Venne nello spogliatoio e ci disse  -  lo ricordo come se fosse oggi  -  c'è stato un morto tra i nostri tifosi. Onoriamolo. Dobbiamo vincere per lui. La partita si giocherà. Fate la vostra partita. A tutt'oggi questa data del 29 maggio non ha insegnato niente al calcio". PLATINI: "RICORDO INDELEBILE"  -  Alla fine si giocò e la Juventus vinse 1-0 grazie al gol di Michel Platini. Presente a Zurigo nel giorno cruciale per le elezioni del nuovo presidente Fifa, l'ex campione francese ha ricordato la tragedia di Bruxelles: "Trent'anni fa, allo Stadio Heysel di Bruxelles, giocai una finale di Coppa dei Campioni che ancora oggi continuo a giocare  -  scrive Le Roi in una nota pubblicata sul sito della Uefa  -  Non ho mai dimenticato quella partita, come non l'hanno dimenticata tutti coloro che erano presenti quella sera, che hanno perso uno dei loro cari e per i quali tutto è cambiato in una fatale manciata di minuti. Trent'anni dopo, sono il presidente della Uefa, l'organismo che organizzò quella finale, e con i miei colleghi e i miei amici delle federazioni, dei campionati e dei club, lavoriamo quotidianamente per assicurare che l'orrore di quella serata non si ripeta mai più. Questo impegno si è tradotto in un incessante lavoro nel corso di questi anni per garantire la sicurezza degli impianti sportivi di tutta Europa. In occasione del trentesimo anniversario di quel drammatico evento, i miei pensieri sono rivolti alle trentanove vittime e ovviamente ai loro cari, ai quali voglio esprimere la mia vicinanza e ribadire il mio impegno instancabile nel fare tutto ciò che è in mio potere per impedire che una tale tragedia possa ripetersi". SILENZIO A ZURIGO  -  Prima dell'inizio del Congresso Fifa per le elezioni del nuovo presidente, a Zurigo si è tenuto un minuto di silenzio. "30 anni fa oggi, 39 tifosi di calcio provenienti da quattro paesi, sono morti all'Heysel in Belgio. Ci ricorderemo di loro oggi". Con questo tweet il presidente della Fifa, Seppe Blatter, ha ricordato i 39 caduti. Anche Malcolm Clarke della Federazione dei tifosi di calcio britannica ha lanciato un messaggio di cordoglio da Bruxelles: "Penso che il comportamento dei supporter britannici sia molto migliorato rispetto al passato  -  afferma. Sono un po' sorpreso che non ci siano rappresentanti del Liverpool qui oggi. Ma sono qui io, in rappresentanza di tutti i tifosi del mio Paese, per onorare quei morti. Nessun supporter deve andare allo stadio per non tornare più a casa". Alla cerimonia in Belgio era presente anche l'ambasciatore italiano in Belgio, Alfredo Bastianelli: "Essere qui oggi è essenziale, da una parte per commemorare le vittime, ma soprattutto perché si riporti all'attenzione di tutti la necessità che tragedie di questo tipo non si ripetano. Che lo sport sia occasione di gioia e di competizione, ma non di violenza e di morte". BUFFON: "MONITO COSTANTE NELLA LOTTA ALLA VIOLENZA" -  "Ogni anno l'anniversario dell'Heysel ci ricorda una delle pagine più dolorose del nostro calcio e di tutto lo sport in generale". Lo scrive su Twitter il portiere della Juventus Gianluigi Buffon. "Oggi più che mai sono convinto che questi 39 nomi e 39 volti debbano essere un monito per tutti nella lotta contro qualunque forma di violenza".

29 maggio 2015

Fonte: Repubblica.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

A proposito dell'Heysel

di Antonio La Rosa

Ho avuto modo di rivedere la trasmissione di Giovanni Minoli, relativa alla tragedia dello stadio Heysel di venti anni addietro, trasmissione che ha sicuramente avuto il merito di avere una volta per tutte raccontato i fatti per quelli che sono stati, e non per come parecchi li hanno voluti vedere. Intanto ritengo di poter dire che in questa trasmissione si è notata la differenza che esiste tra il giornalismo ed il pennivendolismo fazioso della stampa sportiva: un giornalista serio deve andare alla ricerca della verità, raccontare i fatti nel modo come realmente si sono verificati, lasciando all’ascoltatore o lettore di trarre le sue opinioni, non raccontare la sua versione dei fatti, da utilizzarsi a dimostrazione di teoremi già preconfezionati. Non entro nel merito di certe immagini davvero agghiaccianti ed inedite per me (io ho solo un ricordo della diretta televisiva, nella quale non si vide granché, e delle immagini molto scarne trasmesse nei telegiornali dei giorni successivi), o delle giustificazioni un po’ risibili del tifoso inglese, né ritengo sia il caso di commentare oltre il dolore di chi quella tragedia la visse personalmente; ma sicuramente dalla trasmissione sono emerse delle realtà di cui finora non si è molto parlato, anche perché parlarne poteva significare dare una visione più veritiera dei fatti e dunque sputtanare in buona sostanza certi censori morali di bassa lega che in questi anni ci hanno infestato dei loro commenti ipocriti. Intanto adesso sappiamo tutto che la grande responsabilità dell’accaduto fu dell’UEFA che non ebbe in alcuna preoccupazione di verificare le condizioni di uno stadio che doveva ospitare un evento di quella importanza: la descrizione di uno stadio fatiscente, pieno di calcinacci e materiale vario che poteva essere una vera manna per i violenti, è la prova che certe volte i padroni del calcio operano le scelte per ragioni incomprensibili ma solo di geopolitica e di interessi economici. Però abbiamo appreso pure altre importanti verità. Che il clima fosse surreale e di grande confusione penso lo abbia descritto al meglio una persona seria come Francesco Morini, all’epoca DS dei bianconeri: nella bolgia c’era chi piangeva per quanto accaduto, ma c’era pure chi gli chiedeva di far firmare gli autografi ai giocatori, cosa che dimostra che in fondo i presenti non avevano totalmente la contezza e la gravità dell’accaduto. Abbiamo anche sentito le dichiarazioni dei giocatori, da Tacconi a Tardelli, anche esse confermanti il clima di assurda confusione che si era creata in quei momenti. Ma le cose che finora sono state sempre taciute, sono ben altre e finalmente sono state dette. Prima verità occultata dai media di casa nostra è che chi materialmente decise che si giocasse la gara fu il capo della polizia belga, e dunque le autorità di quello stato (cosa confermata anche dall’allora ministro degli esteri De Michelis, presente peraltro alla partita) imposero la disputa ad ogni costo della gara: quindi non fu una richiesta diciamo derivante dalle società, ma una imposizione di polizia per ragioni di ordine pubblico. Seconda verità occultata dai media di casa nostra è che la Juventus, per bocca di Boniperti, non voleva affatto giocare la partita, anzi voleva ritirare la squadra e andare via, proprio per quanto accaduto, e la cosa è stata confermata anche dalle altre interviste (mi riferisco alla figlia dell’allora sindaco della città di Bruxelles): quindi c’era una precisa volontà della società di evitare l’evento agonistico, ormai privo di senso di fronte a quella tragedia. Terza verità direi da sempre abilmente occultata dai media di casa nostra, e sulla quale adesso emerge la grande menzogna di un ipocrita come Zibì Boniek, è che furono i dirigenti del Liverpool a dire che, se si giocava la partita, doveva essere partita vera e quindi valida per la conquista della coppa dei campioni. Queste tre verità mai chiaramente evidenziate dai nostri cosiddetti giornalisti sportivi, che ritengo diano una luce finalmente chiara su quanto accaduto quella sera. Premetto, a scanso di equivoci, che dal mio punto di vista non aveva senso giocare, e giocare sul serio, quella partita, proprio per la gravità della tragedia, e premetto che confermo la mia opinione che quella situazione di apparente avvenimento calcistico era davvero assurda surreale e illogica in quel momento, oggi però finalmente sappiamo chi volle far giocare la Juventus a tutti i costi, quale era la volontà della società bianconera, e chi volle che la partita avesse un significato competitivo (chi vince si aggiudica la coppa, insomma finale vera) furono i dirigenti del Liverpool e non i dirigenti della Juventus. Ecco che a questo punto, piaccia o no, quei comportamenti esecrati da tutti i ciarlatani antijuventini (mi sto riferendo alla esultanza dopo il gol di Platini, al giro di campo dei giocatori per festeggiare con i tifosi, alla esibizione della coppa all’arrivo a Torino), hanno un suo significato, un suo valore, una sua giustificazione: in una situazione davvero drammatica, alla Juventus fu imposto di giocare, e fu imposto di giocare per la Coppa, non per ragioni di ordine pubblico, il che significa che quella partita fu "vera" nei contenuti, anche se assurda ed irriverente al cospetto di quanto accaduto attorno. Come dire: la Juventus vinse davvero la coppa sul campo (possiamo discutere sul rigore fasullo, che farebbe il paio con qualche fuorigioco nettissimo di anni dopo), quel risultato fu pienamente legittimo dal punto di vista tecnico, perché, assurdo quanto si voglia, quella fu una finale vera di calcio, e dunque che dei giocatori, nel momento di totale ed assurdo coinvolgimento dell’evento, abbiano fatto il giro del campo a festeggiare, fu una conseguenza direi obbligata e naturale di scelte folli sulle quali non c’era stata alcuna responsabilità della società bianconera. Ma dire ciò da parte dei nostri media ufficiali, sarebbe come dire che per anni ci hanno preso per il culo, avendo usato la tragedia dell’Heysel non come dramma da ricordare e da utilizzare come lezione per il futuro (una tragedia che deve riportarci a vedere il calcio come sport, come gioia, come momento di divertimento e non come occasione di sfogo per frustrazioni e violenze inconsce), ma come episodio per speculare sulla Juventus come società, sulla Juventus come giocatori che vi parteciparono a quell’evento (tranne il "pentito" Boniek), sulla tifoseria bianconera, accusata di insensibilità di fronte ad una tragedia. Oggi grazie a questa trasmissione sappiamo finalmente qualcosa di più, che nel passato c’è stata abilmente occultata, e soprattutto sappiamo che una cosa è trovarsi dentro la tragedia, altra è vederla è giudicarla da fuori. Le parole finali di Tardelli credo siano emblematiche: in quel momento riteneva giusto fare quello che ebbe a fare, giro di campo compreso, ma oggi chiede scusa per quello che fece, un modo come dire che in quel momento lui e tutti gli altri non si rendevano conto di dove si trovavano, di che immane tragedia stavano vivendo da protagonisti inconsapevoli, di come si trovavano a recitare in un teatrino dell’assurdo, senza voler in alcun modo essere irriverenti ed insensibili, ma oggi a mente serena e rivendendo cosa successe realmente, prova vergogna dei suoi comportamenti. Insomma una onesta autocritica, che purtroppo altri avvoltoi e sciacalli non faranno mai.

29 maggio 2015

Fonte: Scrivoquandoequantovoglio.blogspot.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Trent’anni fa l’Heysel: anche la Brianza ricorda i 39 tifosi morti allo stadio

di Chiara Pederzoli

Sono passati 30 anni. Il 29 maggio 1985, trentanove tifosi della Juventus morirono prima della finale di Coppa dei campioni con il Liverpool. Fu la strage dell’Heysel. Trentanove morti, 32 di nazionalità italiana e anche un 49enne, di Brugherio, allo stadio col fratello che rimase ferito. E oggi anche la Brianza ricorda.

Trentanove morti da non dimenticare. Sono passati 30 anni da una delle pagine più nere e difficili del calcio italiano ed europeo. Nessuno scandalo scommesse, quella volta. Ma una tragedia: il 29 maggio 1985 trentanove tifosi della Juventus morirono prima della finale di Coppa dei campioni con il Liverpool. Fu la strage dell’Heysel. Trentanove morti, 32 di nazionalità italiana e anche Antonio Ragnanese, 49 anni di Brugherio, allo stadio col fratello Ciro che rimase ferito. Originari della Puglia, si erano trasferiti con le famiglie in due villette vicine là dove la cittadina si stava ingrandendo. Diversi altri i brianzoli presenti. E oggi anche la Brianza ricorda. I tifosi bianconeri ospitati dal settore Z dello stadio di Bruxelles furono caricati a ondate dai tifosi inglesi ubriachi. Morirono schiacciati contro le cancellate o cadendo dalla balaustra. Seicento invece i feriti. Una strage che in molti seguirono in televisione, ma che inizialmente non arrivò in campo. O almeno. "Non sapevamo cosa era davvero successo, avevamo avuto notizie di un morto, forse due, ma non potevamo immaginare una tragedia così grande", avrebbero detto poi i giocatori bianconeri. Dopo un rinvio lunghissimo, le squadre furono mandate in campo per giocare. "La Juve accetta disciplinatamente, anche se con l’animo pieno di angoscia, la decisione dell’Uefa, comunicata al nostro presidente, di giocare la partita per motivi di ordine pubblico", scrisse la società in una nota. Vinse la Juve con un gol di Michel Platini su rigore. I giocatori festeggiarono in campo e se ne pentirono immediatamente, appena resi ufficiali i numeri della tragedia. Il giorno dopo Sergio Brio scese dall’areo sollevando la coppa - la prima della storia della società - senza esultare. Tutte le vittime saranno ricordate a Bruxelles con una cerimonia pubblica e a Torino in una messa alla Chiesa della Gran Madre di Dio, alle 19.30. "La giornata del 29 maggio - sottolinea la società bianconera - sarà dedicata al ricordo da parte di tutti i tesserati Juventus. Per troppi anni quelle 39 vittime sono state oggetto di scherno finalizzato unicamente ad attaccare i colori bianconeri: un’azione vile che non dovrebbe trovare cittadinanza in nessuno stadio ed in nessun dibattito sportivo. Questo anniversario dovrà essere utile anche alla riflessione per evitare che simili comportamenti si ripetano". Venerdì 29 maggio una cerimonia è in programma anche a Meda. Lo Juventus Club Meda DOC - Gaetano Scirea 1991 dà appuntamento alle 18.45 al campo sportivo "Città di Meda" (o alle 18.30 in sede) per posare un mazzo di fiori in memoria delle vittime davanti alla targa posta sulla tribuna. "Vi chiediamo di perdere mezzora della vostra giornata per non dimenticare i 39 angeli che persero la vita per tifare la nostra maglia", spiega il club invitando a partecipare.

29 maggio 2015

Fonte: Ilcittadinomb.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

L'anniversario

L'Heysel 30 anni dopo, nero su bianco

di Angelo Marchi

Trent'anni fa oggi la tragedia di Bruxelles: tanti i libri che la rievocano, con gli occhi di chi c'era, di un bambino tifoso, o semplicemente di chi non può dimenticare.

Sono passati 30 anni esatti dalla strage dei 39 tifosi (32 italiani) morti allo stadio Heysel di Bruxelles dove si giocava la finale dì Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool. E la ferita è ancora aperta. Sono molti i libri pubblicati in questi giorni che riportano le storie di quel giorno, visti da angolature diverse, da età diverse, da tifosi e spettatori, da testimoni diretti di quella follia. I terribili hooligans, supporter del Liverpool, si scatenarono nella tribuna Z prima dell'inizio investendo migliaia di altri tifosi pacifici: molti morirono schiacciati sulle transenne, altri cercarono riparo sul terreno di gioco e presero pure le botte della polizia, che sulle prime li aveva scambiati per invasori di campo. Un'ora di follia, poi si giocò lo stesso, per evitare guai ulteriori. Una partita fasulla e surreale, con morti e feriti a bordo campo. "La notte dell'innocenza" (Rizzoli) s'intitola la storia scritta da Mario Desiati, che il 29 maggio del 1985, era un bambino di otto anni, emozionato perché la sera la sua Juventus contenderà al Liverpool la Coppa dei Campioni. Quando accende il televisore non può sapere che all'Heysel si è appena consumata una delle più gravi tragedie della storia del calcio. La sua è una ricostruzione chirurgica della diretta che incollò al televisore milioni di italiani sgomenti e disgustati; è la rievocazione della partita vista con gli occhi increduli di un bambino, è una riflessione sull'eredità dell'Heysel. Cosa ha lasciato quella notte alla nostra cultura sportiva e al suo immaginario ? Siamo cresciuti da allora o siamo rimasti lì, con il calcestruzzo insanguinato che si sgretola sotto i piedi, in uno stadio sempre più desolatamente vuoto ? "La partita del diavolo (Absolutely Free), a firma di Roberto Renga e Chiara Bottini, è invece un noir a due voci, mescola realtà e finzione, storie di persone e cronache dall'Heysel. Il Diavolo è impersonato dalla scelta di uno stadio non adatto alla finale di Coppa, da quel settore dove i tifosi italiani non dovevano esserci, dai pochi agenti destinati all'evento pur sapendo della sinistra furia degli hooligans. Francesco Caremani nella nuova edizione di Heysel, le verità di una strage annunciate (Bradipolibri Prefazione di Walter Veltroni e Roberto Beccantini) ripercorre in più anche le vicissitudini delle famiglie delle vittime. Sottolineando che se oggi gli stadi per le finali di Champions devono avere determinati requisiti di sicurezza, lo devono a Otello Lorentini, l'uomo che ha lottato in tribunale per difendere la memoria dei figlio Roberto, perso sulle gradinate della Curva Z mentre cercava di salvare un altro tifoso. L’unico, piccolo, spiraglio positivo di una tragedia immane e indimenticabile.

29 maggio 2015

Fonte: Avvenire

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel, trent’anni di rimorsi

di Roberto Beccantini

Sono passati trent’anni dalla strage che non ci ha insegnato nulla. Era il 29 maggio 1985, stadio Heysel di Bruxelles. In palio, la Coppa dei Campioni. In campo, Juventus e Liverpool. "Olocausto" titolò il "Guerin Sportivo". Trentanove morti, quasi tutti italiani e juventini. Il più piccolo, Andrea Casula, aveva undici anni. C’ero anch’io, quel giorno, inviato della "giornalaccio rosa dello Sport". Mi occupai di un problema marginale, anche se paradossalmente cruciale: si gioca o non si gioca ? Tampinai i burocrati dell’Uefa, imbarazzati e deliranti: si giocò. E’ difficile spiegare a un ragazzo d’oggi perché successe e perché, soprattutto, gli aggressori furono più efficaci degli aggrediti nell’affrontare il cancro della violenza e ridurne la metastasi. Di calcio, da quella sera, si è continuato a morire, ferire e infierire, fino agli accoltellati dell’ultimo derby. Tolleranza zero ? Non proprio. Stadi di proprietà  ? Uno solo, quello della Juventus. Cultura sportiva ? Ai minimi storici. La provocazione di qualche striscione non basta: a Bruxelles la feccia del Liverpool fu lo strumento che la nemesi (non il caso) usò per punire la miopia dell’Uefa, la negligenza della gendarmeria e del governo belgi, la golosità degli spacciatori di biglietti, che riempirono di pacifiche comitive il fatale settore Z, confinante con gli spicchi rossi degli inglesi. I lanci e le cariche degli hooligans portarono alla fuga, la fuga portò al crollo del muretto, il crollo del muretto portò all’ecatombe. In assenza dei cellulari che avrebbero diffuso la notizia del massacro da curva a curva, moltiplicandone probabilmente gli effetti, l’ordalia ebbe comunque luogo "per motivi di ordine pubblico" e finì 1-0, decisa dall’unica cosa finta di quella notte, il rigore su Boniek. L’esultanza di Platini, sbagliata, e l’esposizione del trofeo al ritorno, sbagliatissima, arroventarono un "dopo" che, viceversa, avrebbe avuto bisogno di unguenti comuni per rimarginare l’immane ferita. Penso a Otello Lorentini, che perse il figlio Roberto. Con il nipote Andrea, figlio di Roberto, ha dato voce alla parte più colpita e più debole: le famiglie dei morti. Che la terra sia lieve anche a lei, eroico Otello. Non era mai capitato che l’Uefa venisse condannata in sede giudiziaria. Capitò. Continua a capitare, in compenso, che nei nostri Colossei si tifi per un altro Heysel o un’altra Superga, a testimonianza di come e quanto le vittime abbiano preferito scimmiottare gli aguzzini, invece di combatterli. In questi casi l’enfasi e il tifo spingono ad analisi frettolose, a verifiche talvolta faziose. Intervistai Giampiero Boniperti in occasione dei 25 anni. Restava fermo sulla sua idea: "Riconsegnare "quella" Coppa avrebbe voluto dire: morti dell’Heysel, siete crepati per niente". I parenti dei defunti non gradirono, e ricucire lo strappo fu doloroso, travagliato. Richiese tempo, pazienza. Nessuno era preparato all’apocalisse. Dirigenti, giornalisti, giocatori, spettatori; nessuno. Sia chiaro, non è una scusante: L’Heysel continua ad agitare i sentimenti più estremi. Marco Tardelli ha chiesto pubblicamente scusa. Michel Platini si ritirò nel giro di due anni, anche per colpa di quel pugno al cielo. "Trent’anni dopo - ha confessato in "Parliamo di calcio", editore Bompiani - non è ancora chiaro nel mio spirito ciò che è accaduto, forse non lo sarà mai, e trent’anni dopo vorrei dire che non lo rifarei. Non avrei dovuto attendere trent’anni, trenta minuti sarebbero stati sufficienti". L’importante è allenare la memoria. Siamo pigri, quando ci fa comodo. E con l’Heysel ci ha fatto comodo spesso.

29 maggio 2015

Fonte: it.sports.yahoo.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Bruxelles commemora il "giorno più triste"

"L'Heysel è la pagina nera dello sport mondiale e della storia della Juventus", come l'ha definita il tecnico dei bianconeri Massimiliano Allegri.

I ricordi del "giorno più triste" nella storia della Juventus riaffiorano prepotenti, nel trentennale dell'Heysel. Impossibile dimenticare, giusto ricordare, con una partecipazione che mai era stata così ampia e diffusa negli altri anniversari, le 39 vittime innocenti nel settore Z dello stadio di Bruxelles, tifosi juventini morti per sfuggire alla furia degli hooligan inglesi. Nel pieno della lunga vigilia di Berlino, "la pagina nera dello sport mondiale e della storia della Juventus", come l'ha definita Massimiliano Allegri, è stata ricordata a Bruxelles, a Liverpool, a Torino, dove la Juventus al gran completo, prima di partire per Verona, ha presenziato alla messa nella chiesa della Gran Madre di Dio. Accanto a giocatori e staff tecnico, il presidente Andrea Agnelli, con la mamma Allegra, Giovanni Trapattoni e Stefano Tacconi, che della Juve dell'Heysel erano l'allenatore e il portiere. E ancora la vedova Scirea, Mariella, l'ex giocatore e dirigente Roberto Bettega, il presidente della Lega Calcio italiana Maurizio Berretta, il sindaco di Torino Piero Fassino e la super tifosa Evelina Christillin. L'omaggio alle vittime ha invaso anche i siti ufficiali dei club e delle istituzioni del calcio, i social network ed i blog dei tifosi. All'Heysel di Bruxelles si è tenuta la cerimonia, alla presenza degli ambasciatori d'Italia, Alfredo Bastianelli, e di Gran Bretagna, del sindaco di Bruxelles, del presidente del museo della Juve, Paolo Garimberti, e dell'ex juventino Sergio Brio. Sono state posate corone di fiori e sono stati liberati in cielo 39 palloncini bianchi ciascuno con il nome di una delle vittime, 32 delle quali italiane. I nomi sono stati scanditi anche all'Anfield di Liverpool, lo stadio del club inglese dove, a rappresentare la Juventus, c'erano il dirigente Gianluca Pessotto, che ha posato 39 gigli bianchi, e l'ex giocatore Massimo Bonini. Un minuto di silenzio è stato osservato a Bruxelles e a Liverpool, al congresso Fifa di Zurigo, ed a Torino all'assemblea degli azionisti di Exor, la holding della famiglia Agnelli presieduta da John Elkann, alla quale era presente anche Andrea Agnelli. A Vinovo, Allegri ha anteposto il suo ricordo alle domande della conferenza stampa della vigilia di campionato: "Oggi non c'è da fare altro che commemorare le vittime - ha detto - e stringerci con affetto ai loro famigliari". Il 29 maggio 1985 "avevo quasi 18 anni - ha aggiunto l'allenatore della Juventus su twitter - quella sera di 30 anni fa, davanti alla tv, rimasi sotto choc quando capii cosa era successo. Un pensiero ai 39 dell’Heysel". Tra i protagonisti in campo all'Heysel c'era Platini: "Non ho mai dimenticato quella partita, ancora oggi continuo a giocarla. E, come presidente dell'Uefa, con i miei colleghi ed i miei amici delle federazioni, dei campionati e dei club, lavoro quotidianamente per assicurare che l'orrore di quella serata non si ripeta mai più".

29 maggio 2015

Fonte: Ticinonews.ch

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Dalglish shock: "All'Heysel iniziarono i tifosi della Juventus, reagire è umano"

Kenny Dalglish ricorda a modo suo la tragedia dell'Heysel: "Il lancio di pietre cominciò dai tifosi della Juventus, reagire è umano".

Quella di oggi è la giornata del ricordo commosso per le vittime di una tragedia assurda. Sono infatti passati trent'anni da quella che verrà per sempre ricordata come la strage dell'Heysel. Il Liverpool ha ricordato oggi quella che è stata una delle pagine più tristi della storia del calcio attraverso una cerimonia privata che si è tenuta ad Anfield Road mentre a Torino si terrà una messa alle 19.30 alla quale parteciperà tutta la Juventus in blocco oltre a Ian Rush in rappresentanza dei Reds. Tra i protagonisti di quella giornata maledetta anche Bruce Grobbelaar che a Repubblica ha raccontato: "Furono estremisti di destra, del National Front, a provocare il caos. I veri tifosi del Liverpool trascorsero la mattinata della partita a bere birra con i tifosi della Juve". Ben diverse invece le parole utilizzate da Kenny Dalglish nella sua autobiografia e riportate dalla Gazzetta dello Sport: "I nostri tifosi furono aggrediti da quelli avversari. Nei bus che portavano i nostri fans allo stadio si scatenò l’inferno. Non si può certo giustificare il comportamento dei nostri tifosi, ma anche all’Heysel furono i fans italiani della Juventus a lanciare per primi i sassi contro i nostri. Reagire è umano e il ricordo di quanto era accaduto a Roma l’anno precedente era ancora fresco nella mente dei nostri tifosi. Se quelli della Roma avessero lasciato in pace i nostri, i fans del Liverpool non sarebbero stati così aggressivi con quelli della Juventus. E se quelli della Juventus non avessero cominciato a lanciare sassi contro i nostri, non sarebbe accaduto nulla". Quello che è certo è che il mondo del calcio è cambiato per sempre da quel giorno e che nulla potrà restituire alle proprie famiglie coloro che erano andati a seguire una partita e che non sono mai più tornati.

29 maggio 2015

Fonte: Goal.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel, per non dimenticare…

di Simone Balocco

Il sogno di ogni tifoso di calcio è quello di vedere la propria squadra del cuore disputare una finale di Champions League e magari vederla alzare al cielo la coppa: la sera del 29 maggio 1985, 32 tifosi juventini, allo stadio Heysel, teatro della finale di Coppa dei Campioni, non videro la loro squadra vincere, ma trovarono la morte.

Oggi si celebra (tristemente) il trentesimo anniversario della strage dell’Heysel che costò la vita in tutto a 39 persone, le trentadue appena accennate e altre sette persone tra i tifosi neutrali presenti nel settore Z dello stadio belga: quattro belgi, due francesi ed un irlandese, per un totale di 36 uomini, due donne (italiane), un bambino di 11 anni, quattrocento feriti in tutto. Lo stadio Heysel, prima di allora, era stato teatro di altre quattro finali di Coppa dei Campioni, una di Coppa Uefa e tre di Coppa della Coppe. Costruito in occasione del centenario dell’indipendenza del Belgio, l’impianto, situato nei pressi dell’Atomium, nonostante fosse la sede delle partite casalinghe della Nazionale dei "diavoli rossi", presentava grossi problemi strutturali ed organizzativi, ma la Uefa decise l’anno prima che vi si sarebbe giocata la finale della coppa europea più importante. Quella sera di fine maggio si affrontarono per la seconda volta in pochi mesi i campioni d’Europa uscenti del Liverpool ed i campioni d’Italia in carica della Juventus: i Reds e la Vecchia Signora si incontrano il 16 gennaio precedente per la finale della Supercoppa europea che vide la vittoria della squadra italiana, vincitrice l’anno precedente della Coppa della Coppe. Per la squadra del Trap la partita dell’Heysel era la terza finale europea consecutiva, mentre il club inglese la coppa l’aveva vinta già quattro volte, l’ultima l’anno prima in finale contro la Roma. Per la Juve era il terzo tentativo nella coppa più prestigiosa d’Europa e cercava il primo storico successo. Quel mercoledì alle 20.15 si sarebbe giocata la finale numero trenta della Coppa dei Campioni e allo stadio erano presenti complessivamente 58mila spettatori, ma la sera precedente gli hooligans, i temibili tifosi inglesi noti in tutta Europa per il loro tifo violento e per la loro propensione per la birra, picchiarono persone inermi alle fermate degli autobus, spaccarono le vetrine di molti esercizi commerciali ed alcuni di loro rapinarono una gioielleria fuggendo con un bottino di oltre 300 milioni di lire. La gendarmeria di Bruxelles non fece nulla per impedire agli inglesi di fare ciò che volevano in città. Il giorno dopo, i tifosi inglesi, in minoranza rispetto agli italiani, furono sistemati nei settori X ed Y per un totale di 17.200 unità, ma a loro si unirono altri otto mila giunti in Belgio senza biglietto che entrarono armati di coltelli, lancia razzi e con casse di birra al seguito; i tifosi juventini furono fatti accomodare nella curva opposta a quella dei Reds, i settori M, N e O ed erano in tutto 23.200. Accanto ai due settori destinati ai tifosi del Liverpool e la tribuna, fu creato un settore "cuscinetto" composto esclusivamente da tifosi non appartenenti a nessuna delle due squadre, i cosiddetti tifosi "neutrali", (il già citato settore Z), per un totale di 6mila posti. Per motivi organizzativi quel settore non sarebbe dovuto andare a nessun tifoso "dichiarato", mentre invece moltissimi biglietti, complici il bagarinaggio fuori dallo stadio e "pacchetti" delle agenzia di viaggio errati, andarono nelle mani dei tifosi italiani (non ultras) della Juventus con sciarpa al collo e bandiera bianconera in mano. Già dall’esterno, lo stadio appariva logoro, fatiscente e dentro era peggio in quanto le gradinate erano rotte, scheggiate ed era facile ricavare dei sassi: uno stadio non adeguato per una manifestazione come la finale di Coppa dei Campioni. I cancelli dello stadio si aprirono intorno alle 18.30 e gli hooligans iniziarono a spostarsi dal loro settore verso lo Z facendo partire i primi insulti verso i tifosi avversari, che non si scomposero, anche perché non erano tifosi violenti o pronti allo scontro (c’erano tante famiglie, per intenderci). Alle ore 19.08 gli hooligans iniziarono a caricare: rompendo la rete di recinzione che divideva i settori, superarono gli appena cinque gendarmi impegnati nel servizio d’ordine e riuscirono ad entrare nel settore "cuscinetto". Gli spettatori iniziarono a scappare di corsa verso l’uscita o verso il campo, ma tantissimi si riversarono a ridosso di un muretto che cadde, travolgendo quelli che non erano stati schiacciati e soffocati dalla ressa: alle 19.15, quando finì la carica degli hooligans, si contarono trentotto vittime. La trentanovesima morì dopo il ricovero in ospedale. Alle 19:22 i poliziotti dentro lo stadio chiamarono i rinforzi, che arrivarono sette minuti dopo quando era troppo tardi. Alle 19.49 i tifosi inglesi tornarono ai loro posti e la "mattanza" finì. Le bandiere bianconere servirono come veli funerari per coprire pietosamente le salme. La gente piangeva, urlava, si metteva le mani nei capelli e chiamava disperatamente parenti ed amici che erano lì con loro. L’Heysel sembrava un teatro di guerra. Alle 20.15 l’arbitro svizzero Diana avrebbe dovuto fischiare l’inizio del match, ma il fischio fu rimandato. Alle 20.28 i giocatori della Juventus si presentavano in campo dirigendosi verso la curva bianconera, anch’essa in parte devastata da coloro che avevano divelto le reti per cercare di andare a difendere i compagni dalla parte opposta. I giocatori furono sommersi da tifosi che volevano sapere se la partita si sarebbe giocata, cosa era successo realmente e qualcuno chiese anche un autografo. Alle 21.15 i capitani della due squadre, Gaetano Scirea e Phil Neal, lessero un comunicato in cui dissero che la partita si sarebbe disputata: non giocare quella partita avrebbe potuto peggiorare la situazione. Molti giocatori juventini non avrebbero voluto giocare, ma furono obbligati a farlo. Il match, disputato in un clima surreale, finì 1 a 0 con rete di Michel Platini su calcio di rigore procurato per fallo di Gillespie su Boniek. Il fallo del giocatore del Liverpool avvenne molti metri fuori dall’area di rigore, ma l’arbitro concesse la massima punizione per i torinesi che segnarono e vinsero la coppa. La premiazione avvenne negli spogliatoi, ma la "coppa dalle grandi orecchie" venne portata dentro al campo per farla vedere ai tifosi italiani giunti a Bruxelles per vedere vincere la loro squadra dopo due finali perse. Marco Tardelli, in un’intervista di anni dopo, disse quella coppa non se la sentiva come propria e si scusò per i festeggiamenti sotto la curva. In Italia, nonostante si sapesse della strage e delle vittime, i tifosi juventini scesero in piazza a festeggiare la prima vittoria in Coppa dei Campioni dopo due finali perse. La Uefa andò giù pesante contro l’Inghilterra calcistica: per cinque anni le squadre della FA furono escluse dalle coppe europee ed i Reds ebbero un anno in più di squalifica, mentre la Juventus fu punita con due partite da giocare a porte chiuse la stagione successiva per le intemperanze dei propri tifosi, ma riuscì a barattare un turno chiedendo di iniziare l’edizione successiva dal primo turno e non dagli ottavi come avrebbe dovuto in quanto detentrice del trofeo. Lo stadio Heysel venne abbattuto il 23 agosto 1994, ricostruito ed intitolato alla memoria di re Baldovino. Il nuovo impianto ospitò alcune partite degli Europei del 2000, ma a livello europeo, a parte la finale di Coppa delle Coppe del 1996, non gli venne più assegnata nessuna finale. Il 5 aprile 2004 le due squadre si rincontrarono ad Anfield road nei quarti di finale di Champions e la Kop, la curva del Liverpool, fece una coreografia speciale con la scritta "friendship" (amicizia), come segno di scusa e di smorzamento degli animi dopo i tragici fatti dell’Heysel, ma la tifoseria juventina ignorò le scuse. Il mondo degli stadi da quel momento cambiò, ma anche il calcio inglese cambiò: la strage del 15 aprile 1989 di Hillsborough, che causo la morte di 96 tifosi del Liverpool non per fatti violenti ma per la precarietà di quello stadio, fu la goccia che fece traboccare un vaso già saturo ed il governo inglese diede un forte giro di vite con il cosiddetto "rapporto Taylor". Sulla tragedia dell’Heysel sono stati scritti libri, girati documentari e, soprattutto, il 2 marzo 1986, Otello Lorentini, che all’Heysel perse il figlio Renato (N.D.R. Roberto) che si fermò ad aiutare un bambino in difficoltà, riunì le 31 famiglie italiane e fondò l’Associazione famiglie vittime dell’Heysel. Il processo, che iniziò subito dopo, vide la partecipazione di solo diciannove famiglie e dopo sei anni, e tre gradi di giudizio, furono condannati 26 hooligans (riconosciuti tramite dei video dentro lo stadio) per omicidio, mentre per "omessa prevenzione" furono condannate l’Uefa, la Federcalcio belga, il Ministro degli Interni del Belgio, il sindaco di Bruxelles e la gendarmeria. Sono passati trent’anni e questi tre decenni non hanno cancellato la rabbia ed il dolore per una partita sognata da tante persone che invece una massa di animali li ha portati alla morte. Molte persone sono rimaste così scioccate da non seguire più il calcio da allora: il calcio, come tutti gli sport, è una passione ma non deve portare alla morte. Tutti si chiesero come hanno potuto gli hooligans aver fatto ciò quando tutti sapevano che erano una tifoseria violenta: decuplicare il servizio d’ordine ? Dare agli inglesi un altro settore come è stato fatto per gli juventini ? Bloccare alla frontiera quelli senza biglietto ? Nulla si è potuto contro autentici criminali contro i quali il servizio d’ordine belga ha fallito clamorosamente il suo compito. L’organizzazione dei belgi, malgrado tutte le assicurazioni fornite, fu di una carenza incredibile, visto che l’anno prima, sempre a Bruxelles ci furono pesanti incidenti tra le tifoserie di Anderlecht e Tottenham in Coppa Uefa. Parafrasando l’epitaffio della targa commemorativa di Superga, "solo la morte li vinse". E la Juventus vinse quella coppa anche per loro. A distanza da allora, i bianconeri, il prossimo 6 giugno, giocheranno la loro settima finale Champions. Quei trentadue tifosi juventini forse ora sarebbero in possesso del prezioso biglietto dell’Olympiastadion come fecero trent’anni prima per l’Heysel. E chi ancora oggi insulta quei morti, dovrebbe solo vergognarsi.

29 maggio 2015

Fonte: Sportpaper.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel 30 anni dopo, la memoria vale più delle vittorie

di Riccardo Pessarossi

Se quelli appena trascorsi sono tra i giorni più neri della FIFA, il 29 maggio di trent'anni fa fu la notte nera dell'UEFA, quando allo stadio Heysel prima della finale di Coppa Campioni Liverpool- Juventus trentanove persone morirono schiacciate dalle cariche degli hooligans inglesi.

Allora l' UEFA scelse lo stadio Heysel di Bruxelles come sede della finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool, un solo anno dopo quella di Roma, dove i reds inglesi si erano già scontrati con i tifosi giallorossi nella Capitale. Le condizioni fatiscenti dello stadio, unite alle negligenze della polizia belga portarono al tragico epilogo che ancora oggi lascia aperti diversi spunti di riflessione. Quello più sentito, proviene dai famigliari delle 39 vittime, che per questi 30 anni hanno portato avanti la loro battaglia alla ricerca della verità e del rispetto per i cari che quella sera partirono per andare a vedere una partita di calcio e non fecero mai ritorno a casa. Il loro ricordo ha preso la forma di un monologo teatrale dal titolo emblematico "Heysel - Io sono la memoria, lettera da Bruxelles", messo in scena a Torino con la collaborazione della Consulta Regionale dei giovani del Piemonte. Trent'anni dopo, il ricordo a lungo rimasto un inspiegabile tabù - ha beneficiato di un maggiore risalto, si spera non soltanto per via della cifra tonda e della coincidenza che vedrà i bianconeri giocare nuovamente una finale del massimo torneo continentale. Della tragedia dell'Heysel si è parlato diffusamente in tv e sui giornali ed il valore della memoria ha varcato i confini: il Liverpool, i cui hooligans trent'anni fa furono artefici della carneficina, allo stadio di Anfield Road ha dedicato una targa ai caduti di Bruxelles. Anche nella capitale belga, su iniziativa delle autorità locali e dell'ambasciata italiana si è svolta una commemorazione delle vittime, alla quale era presente Beppe Franzo, presidente dell'associazione "Quelli di Via Filadelfia" e figura storica del tifo juventino, che condivide con Sputnik Italia il racconto della giornata: "Ero presente allo stadio Heysel quella drammatica sera di 30 anni fa e mi trovavo su quella pista di atletica insieme ai tifosi che non volevano che la partita si giocasse. Pochi mesi dopo, nell'estate del 1985, quando non avevo ancora elaborato il lutto, mi recai insieme a tre amici allo stadio Heysel e con molta difficoltà, scavalcando una rete, riuscii a deporre un fiore sul luogo dove morirono i 39 tifosi. Oggi lo stadio è completamente nuovo e non ci sono più tracce di quella tribuna. Le autorità belghe, che allora furono del tutto inadeguate, hanno organizzato una cerimonia in ricordo di quella sera, aperta a tutti coloro che si sentivano in dovere di esserci. Personalmente ho provato una forte commozione a rientrare in quel posto: il momento più toccante è stato quando si sono levati in aria 39 palloncini bianchi con dei cartoncini recanti i nomi dei morti di quella sera. Il vento, come se fosse stato guidato dal destino, ha soffiato proprio in direzione di quello che era il settore Z, portando quei palloncini proprio dove quelle persone persero la vita". Per un altro ricorso del destino, oggi il presidente dell'UEFA è proprio Michel Platini, allora capitano della Juventus (N.D.R. Il capitano era Gaetano Scirea, il vice Sergio Brio) che alzò quella coppa al cielo di Bruxelles. Il passaggio dal campo alla scrivania ha cambiato la prospettiva su quegli eventi e nell'anniversario della tragedia - coinciso con l'assemblea per la rielezione di Blatter a presidente della FIFA - Platini ha rivolto questo messaggio: "30 anni fa ho giocato la finale di Coppa dei Campioni allo stadio Heysel di Bruxelles e continuo a giocare quella finale. Non mi ha lasciato, così come non ha lasciato nessun altro di quelli che erano lì quella notte e rimane con tutti coloro che hanno perso un proprio caro e la cui vita è cambiata nel giro di pochi terribili minuti. 30 anni dopo sono presidente dell'UEFA, che organizzò quella partita ed ogni giorno lavoro con i miei colleghi e amici delle Federazioni nazionali e dei club per fare in modo che non possa più ripetersi l'orrore di quella notte. Nel 30° anniversario di quella notte tragica posso solo esprimere il mio più profondo cordoglio e ripetere che faccio tutto quello che è nelle mie facoltà affinché tragedie simili non si ripetano". Purtroppo al di fuori dei discorsi, tuttora ci si imbatte ancora in episodi di violenza e dileggio delle vittime delle tragedie legate al calcio, perpetrati sui gradoni di molti stadi in nome della diversa appartenenza calcistica. Al contrario, proprio la comune passione per questo sport dovrebbe unire al di là dei colori, nel ricordo di chi non c'è più, come sottolinea Beppe Franzo: "L'Heysel è sempre stato una sorta di simulacro non condiviso. Il fazionismo delle varie tifoserie ha fatto sì che la tragedia non venisse mai percepita nella sua drammaticità e nella sua dimensione italiana. Purtroppo nei vari stadi italiani da tempo si usa questa cifra, il 39, con il segno meno davanti per insultare la tifoseria juventina e la memoria del popolo bianconero. La nostra risposta è il simbolo +39, che ha una valenza duplice: significa che quei 39 angeli sono con noi e li sentiamo parte integrante del nostro tifo; ma +39 è anche il prefisso nazionale dell' Italia. Vogliamo che questa tragedia venga ricordata non solo in un contesto legato al tifo calcistico, ma venga riconosciuta come un dramma italiano condiviso. A questo proposito, noi come associazione, ci terremmo ad essere presenti anche a Mosca il 20 ottobre, quando viene ricordata la tragedia, per molti versi simili, dello stadio Luzhniki. In conclusione, il tempo passa e cambiano le generazioni, ma solo il valore della memoria lascia accesa la speranza che simili fatti di cronaca non si ripetano veramente più.

29 maggio 2015

Fonte: It.sputniknews.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel 2015

La missione del ricordo

di Guido Vaciago

Stadi nuovi e lotta alla violenza ecco il lascito di quella tragedia. Le cause della sciagura. Dall'assalto degli hooligans del Liverpool alle responsabilità degli organizzatori. Trent'anni fa prima della finale di Coppa Campioni a Bruxelles morirono 39 spettatori (32 italiani di fede bianconera), schiacciati nella curva Z. Nel giorno della commemorazione delle vittime dell’Heysel, 30 anni dopo, analizziamo in cinque approfondimenti le cause, i fatti di Bruxelles e i significati che la memoria di quella tragedia possiede ancor oggi, 29 maggio 2015.

1) Cosa successe ?

Il 29 maggio del 1985 si giocava la finale di Coppa dei Campioni a Bruxelles, nello stadio Heysel. Disputavano la finale Juventus e Liverpool, le due squadre più forti d’Europa in quel momento. Prima della partita, nella curva dove erano stati sistemati, follemente, sia i tifosi della Juventus (per lo più famiglie, nessun ultrà) che quelli del Liverpool, si scatenò la violenza degli inglesi. Venne divelta la rete da pollaio, che pretendeva di dividere le due fazioni, e gli hooligans del Liverpool caricarono. I tifosi bianconeri arretrarono spaventati e la calca asfissiante iniziò a fare le prime vittime fra coloro che, caduti a terra, vennero schiacciati o non riuscirono a riemergere. La pressione della folla sul parapetto laterale della maledetta curva Z fece crollare il muretto, causando ulteriori vittime, ma dando anche sfogo. In pochi minuti, durante i quali le forze dell’ordine belga assistettero sostanzialmente inermi, morirono 39 persone. La partita si giocò lo stesso, per ragioni di ordine pubblico e per permettere alla polizia belga di organizzare il deflusso dei tifosi, potenzialmente ancora più pericoloso. La Juventus vinse 1-0, ma nessuno poté godere fino in fondo di quella vittoria.

2) Di chi fu la colpa ?

Certamente delle autorità locali. L’organizzazione della partita fu disastrosa. Venne clamorosamente sottovalutata la pericolosità della tifoseria inglese (ben nota in tutta Europa). Si mise a disposizione dell’evento un numero ridicolmente esiguo di poliziotti. Si mischiarono con decisione demenziale tifosi della Juventus e del Liverpool nello stesso settore, divisi solamente da una rete. Non si aprirono immediatamente i cancelli che potevano rappresentare un varco di salvezza verso la pista di atletica e il campo, durante il terribile momento di schiacciamento. Nessun intervento, da quello della polizia a quello del personale medico, fu tempestivo e tutto sembrò frutto di improvvisazione. Se, per quei 39 morti, ci sono dei colpevoli contro i quali puntare il dito a distanza di 30 anni, questi sono i membri dell’organizzazione della finale, che - di fatto - non pagarono mai.

3) Quali furono le colpe degli inglesi  ?

Le abitudini violente degli hooligans inglesi erano note da diversi anni. Quella notte i tifosi del Liverpool si presentarono, come sempre, completamente ubriachi alla partita e la loro follia si scatenò su tifosi inermi: dall’altra parte della curva c’erano infatti famiglie, bambini e italiani che vivevano in Belgio. La furia demente degli ultrà del Liverpool non si fermò nemmeno di fronte a questo. Va detto che, a differenza degli organizzatori, gli inglesi pagarono e l’Heysel (insieme a Hillsborough) segnò il severo cambio di rotta del governo Thatcher: il piano varato in quegli anni spazzò via il fenomeno hooligans.

4) Cosa ha lasciato l’Heysel ?

Quella notte è forse, inconsapevolmente, nata la Champions League e il nuovo concetto di Coppe Europee, in cui l’organizzazione degli eventi ha effettuato un salto di qualità. Oggi le probabilità di un nuovo Heysel nelle competizioni Uefa sono minime, forse vicine allo zero. La violenza non è stata estirpata dal calcio, ma si ha maggiore consapevolezza nel gestirla e nel prevenirla. La strada è ancora lunga, soprattutto in Italia, e molto tempo è stato sprecato in questi trent’anni, ma non è passato del tutto invano.

5) Perché bisogna ricordare ?

Chiunque ami il calcio, ne sia tifoso o solo appassionato, non può concepire che si possa morire per assistere a una partita. Le vittime dell’Heysel devono essere un simbolo per tutte le vittime di una violenza assurda che insudicia lo sport. A Bruxelles non sono morti dei tifosi della Juventus. A Bruxelles sono morti dei tifosi. Chiunque lo sia, quando ne infama la memoria, infama anche se stesso.

29 maggio 2015

Fonte: Tuttosport

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel, oggi sono 30 anni: il ricordo più brutto e doloroso

Con la Juventus che torna in finale, il ricordo della tragedia di 30 anni fa scuote ancora.

TORINO - Alla gioia e alla trepidazione del popolo bianconero per la finale di Berlino si mescola il ricordo più brutto e doloroso: la tragedia dell'Heysel con le sue 39 vittime innocenti di cui proprio oggi ricorre il trentennale. Tifosi juventini - 32 erano italiani - andati a Bruxelles con la speranza di festeggiare la prima Coppa dei Campioni bianconera e che invece trovarono una morte orribile nel settore Z dello stadio, travolti dalla furia degli hooligans inglesi ubriachi, schiacciati contro le balaustre o precipitati dalle gradinate, poco prima che iniziasse la finale Juve-Liverpool. Morti, però, anche per l'inadeguatezza dell'Heysel e dei servizi di sicurezza ed ordine pubblico. Un ricordo ancora oggi terribile per i parenti delle vittime, per i sopravvissuti, per chi aveva seguito le cariche degli hooligans, il caos e la disperazione dei tifosi che cercavano scampo dagli altri settori dell'Heysel o in tv. Una "Coppa maledetta" che la Juve aveva inseguito per 30 anni, sfuggita già due volte, nel '73 a Belgrado, dieci anni dopo ad Atene. Un trofeo che oggi molti protagonisti dell'epoca non sentono come un trofeo conquistato, ricordando che in pratica furono obbligati a giocare. TROFEO ALLA MEMORIA DEI 39 - Ma ci sono anche tifosi juventini che, al contrario, la considerano un premio alla memoria delle 39 vittime, allineate nelle stanze dello stadio mentre sul campo si consumava la partita più surreale nella storia del calcio europeo, vinta dalla Juventus con un calcio di rigore segnato da Platini. Una partita giocata con un intero spicchio dell'Heysel, senza più tifosi, transennato davanti alle macerie ed alle cose perse dai tifosi nella calca. "Non sapevamo cosa era davvero successo, avevamo avuto notizie di un morto, forse due, ma non potevamo immaginare una tragedia così grande", avrebbero detto poi i giocatori bianconeri. I neo campioni d'Europa avevano festeggiato sotto la curva dell'Heysel subito dopo il 90', ma il giorno dopo, al rientro a Torino, quando le notizie sulle tragedia erano diventate ufficiali e chiare nella loro drammaticità, ogni traccia di gioia era scomparsa dai loro volti. Sergio Brio, scendendo sulla scaletta dell'aereo, stringeva la Coppa, ma senza esultare. All'Heysel il club bianconero aveva consegnato al delegato Uefa Gunther Schneider la nota ufficiale spiegando perché aveva detto sì alla richiesta di giocare comunque: "La Juve accetta disciplinatamente, anche se con l'animo pieno di angoscia, la decisione dell'Uefa, comunicata al nostro presidente, di giocare la partita per motivi di ordine pubblico". IL DOLORE DI BONIPERTI - Il presidente di allora, Giampiero Boniperti, non ha mai voluto riparlare di quella finale così dolorosa. Neppure per l'attuale massimo dirigente bianconero, Andrea Agnelli, è facile tornare sull'argomento: "Ho sempre fatto fatica a sentire mia quella Coppa - ha detto in occasione del venticinquennale dell'Heysel - anche se i giocatori mi hanno sempre detto che fu partita vera". E Marco Tardelli, in un'intervista alla Rai, qualche anno fa ha spiegato e chiesto scusa: "Era impossibile rifiutarsi di giocare, ma non dovevamo andare a festeggiare, l'abbiamo fatto e sinceramente chiedo scusa". LA MESSA PER RICORDARE LE VITTIME - Le vittime dell'Heysel saranno ricordate a Bruxelles con una cerimonia pubblica e a Torino in una messa alla Chiesa della Gran Madre di Dio, alle 19.30: "La giornata del 29 maggio - sottolinea la società bianconera - sarà dedicata al ricordo da parte di tutti i tesserati Juventus. Per troppi anni quelle 39 vittime - rimarca sul sito ufficiale - sono state oggetto di scherno finalizzato unicamente ad attaccare i colori bianconeri: un'azione vile che non dovrebbe trovare cittadinanza in nessuno stadio ed in nessun dibattito sportivo. Questo anniversario dovrà essere utile anche alla riflessione per evitare che simili comportamenti si ripetano". IL RICORDO DELLA JUVE - Anche la Juventus ha voluto ricordare la tragedia di 30 anni fa con un messaggio apparso sul proprio sito web: "29 maggio 1985, il giorno più triste della nostra storia. Doveva essere un momento di festa, di attesa, di tensione sportiva. Si è trasformato in tragedia. Trentanove persone innocenti quella sera persero la vita. Trentanove famiglie furono segnate per sempre da un dolore che non riusciamo neanche ad immaginare. Quanto accadde quella sera è scolpito nella memoria di qualsiasi tifoso. Di coloro che erano presenti a Bruxelles, di chi era seduto davanti alla tv, anche di chi allora era troppo giovane o magari non era ancora nato. Sono passati trent'anni e oggi ci si può solo stringere nel ricordo. La Juventus lo farà partecipando insieme all'"Associazione fra i Familiari delle Vittime dell'Heysel" alla Santa Messa che verrà celebrata alle 19.30 presso la Chiesa della Gran Madre di Dio a Torino. Saranno presenti i giocatori della Prima Squadra, lo staff tecnico e i dirigenti della società. La Juventus parteciperà anche a Bruxelles, alla cerimonia pubblica che avrà luogo nella capitale belga, rappresentata dal presidente del J-Museum Paolo Garimberti e da Sergio Brio. Alla cerimonia che si terrà a Liverpool saranno presenti Gianluca Pessotto e Massimo Bonini. Su Juventus.com per tutto il giorno queste righe rimarranno la prima notizia dell'home page, la cover delle pagine ufficiali sui vari social network e l'unico post pubblicato su Facebook saranno in ricordo delle vittime. Il resto sarà silenzio. Per onorare la loro la memoria. Per cercare di dare conforto alle loro famiglie. Per ribadire l'auspicio che il vile scherno di cui quelle 39 vittime sono state oggetto per troppi anni finisca, una volta per tutte. Per fare comprendere che una simile follia non si dovrà ripetere. Mai più".

29 maggio 2015

Fonte: Corrieredellosport.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel, trent’anni dalla strage

di Andrea Mauri

Sono passati trent’anni da quel 29 maggio 1985, trent’anni dalla follia hooligans, trent’anni da una strage che niente ci ha insegnato. Nell’inferno del settore Z dell’Heysel sono morti 39 tifosi juventini, schiacciati e calpestati dagli hooligans del Liverpool, il più giovane aveva 11 anni.

Tutto inizia alle sette e venti, i tifosi dei Reds sfondano le leggere recinzioni che li separavano dai tifosi della Juventus e cercano lo scontro. I tifosi provano a scappare, chi dai cancelli di ingresso, chi invadendo il campo, ma il risultato è il medesimo. I cancelli erano incredibilmente chiusi con i lucchetti, rotti molti minuti dopo dai pompieri, mentre la polizia a cavallo ricaccia i tifosi dal campo alla tribuna. Molti sono morti schiacciati dal fuggi-fuggi generale, altri dal crollo del muro provocato da alcuni tifosi intenti a scavalcare i cancelli. "The show must go on" avrebbe detto qualcuno, ed alle ventuno e quaranta l’arbitro dà il fischio di inizio alla finale, vinta poi dalla Juventus con l’unica cosa finta di quella sera, il rigore su Boniek. Trent’anni dopo nulla è cambiato. Allo stadio si continua a subire aggressioni e a morire, i morti vengono puntualmente insultati senza alcun rispetto e allora la domanda è una: cosa ci ha insegnato la strage dell’Heysel ? La risposta è facile: niente.

29 maggio 2015

Fonte: Milanoreporter.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

29 Maggio 2015

Heysel, trent'anni dopo: una ferita ancora aperta

di Stefania Castella

Il 29 maggio del 1985 non era un giorno come tanti, no, era un giorno speciale, per tanti. Giovani e non più giovani, bambini attaccati alle mani di padri, nonni, fratelli. Cappellini, magliette, giornali, risate, cori. Un giorno speciale. Quanti tifosi, quanta gente, quanta folla. Immagino facce come quella di mio padre, di mio fratello, immagino l’emozione di chi per la prima volta varcava i cancelli di uno stadio e chi alla fine ci era stato mille altre volte e sempre con la stessa emozione della prima. Cose da tifosi, di un mondo in cui per un giorno solo, respirare la stessa aria del tuo campione del cuore, veder passare la maglia della tua squadra, può bastarti per la vita, non dovrebbe costarti la vita. Bruxelles, finale di Coppa dei Campioni, Juventus - Liverpool, lo stadio Heysel gremito. Italiani e inglesi in curve opposte in quella struttura che, molti avrebbero raccontato dopo, appariva a tratti fatiscente. Eppure quello stadio di manifestazioni ne aveva ospitate tante. Inaugurato nel 1930 la sua capienza di circa 70.000 persone ne aveva fatto un vanto per il paese, di certo negli anni ’80 nonostante il prestigio, le sue condizioni non erano probabilmente la priorità per qualcuno. Tra gli scampati che oggi raccontano, qualcuno ricorda di essersi salvato perché salito sul tetto del bagno, unico per tutta una curva, della grandezza di una cabina telefonica. Altri tempi, forse neanche l’ombra delle strutture super tecnologiche moderne che si vedono in giro. Gli italiani occupavano i settori M, N, O, i tifosi del Liverpool X, Y affiancati al settore Z di tifosi lontani dai club organizzati, tifosi italiani, juventini, separati da basse reti metalliche dalla curva del Liverpool ai quali si erano uniti i "Cacciatori di Teste" (Headhunters) tifosi del Chelsea. Palla al centro prevista per le 20.15 ma già un’ora prima, come già ore prima, il fermento sembrava dare i primi segnali. Tutto accade quando la parte più accesa della tifoseria inglese, gli Hooligans, comincia a spingersi verso il settore Z come nell'intento di conquistare un territorio nemico. I tifosi che forse avrebbero potuto respingere gettandosi nella rissa, erano lontani, per cui l’ondata servì soltanto a sfondare le reti divisorie a creare panico a spingere chi era nel settore a cercare una via di fuga. Molti si diressero verso il basso cercando di raggiungere il prato, ma vennero rispediti indietro dai pochi agenti. In tutto quel marasma le manganellate delle forze dell’ordine arrivavano nel caos respingendo chi tentava di scavalcare, saltare, scappare dalla bolgia infernale che si stava creando. Questa compressione fu a ondate successive, la seconda, la peggiore, troppo potente, la folla ormai concentrata quasi del tutto a ridosso del muro che non regge a quella spinta. È l’inferno. Qualcuno si tiene, altri cadono, volano di sotto, uno sull'altro, qualcuno sviene, la pressione di corpi su corpi, è insostenibile. Chi si tira via, cerca di tirare via gli altri. Qualcuno corre, tanti non ne hanno la forza, cadono stremati, sotto shock. A terra, distesi, corpi. A terra, scomposti, pezzi di vita, una scarpa, un documento, una foto. Strisce di sangue, tante lacrime e quelle non si vedono, le senti solo bruciare forte sulla faccia. Le immagini, trent'anni dopo, mettono ancora i brividi. Le testimonianze di chi ha vissuto quei momenti sono racconti da Miracolati, le sensazioni ancora vivide parlano della totale disorganizzazione, dei pochi agenti, su tutto, quella recinzione da rete di pollaio a dividere tifosi "tranquilli" da una parte notoriamente più agguerrita. Inutile. L’esplosione di chi cercava di raggiungere l’uscita era stata apocalisse. E una parte del mondo, quelle immagini le vedeva in diretta Tv. La voce di Bruno Pizzul incerta, imbarazzata, raccontava di tafferugli, diranno poi, che già dalla parte opposta si faceva fatica a capire cosa stesse accadendo. Diranno poi, che per questo e per evitare danni ulteriori, quella partita, quella sera, si sarebbe giocata comunque. I morti: 39, tra questi 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi, 1 irlandese, 6000 feriti, un campo di guerra, un domino dove vedi la gente cadere abbattendosi l’una all'altra, cercando di tenersi stretta a chiunque per non cadere. Le grida di aiuto saranno spesso voci disperse nella folla e folla di troppe facce per distinguere i vivi e i morti. Da casa, attraverso lo schermo, la sensazione di qualcosa di surreale. Lo Stadio Heysel fu abbattuto successivamente, oggi si chiama "Re Baldovino" in onore del Re del Belgio a trent'anni di distanza, quei fatti, è doveroso ricordarli ancora. Una targa fuori da quello stadio riporta la memoria. Onore ai caduti come si fa per le battaglie. L’ "Associazione fra i Familiari delle vittime dell’Heysel" (con il patrocinio della Presidenza del Consiglio Regionale del Piemonte e della Consulta Regionale dei Giovani) terrà una commemorazione nel giorno 29 maggio 2015 alle ore 15.30 presso la Sala Viglione nella sede del Consiglio Regionale Piemonte, Palazzo Lascaris in via Alfieri 15, a Torino. SI ricorderà riflettendo, si terrà un monologo teatrale "Heysel: Io sono la memoria-Lettera da Bruxelles" di Domenico Laudadio (membro dell’associazione) con l’interpretazione dell’attrice Francesca Cassottana che evocherà le fasi di quel dramma, le cause, le responsabilità. L’Associazione si unirà poi alla Juventus Football Club per la celebrazione della Messa in suffragio dei caduti di Bruxelles (19.30 Chiesa "Gran Madre di Dio"). Recentemente l’assessore allo sport di Bruxelles Alain Courtois ha spiegato: "Vogliamo voltare pagina vogliamo demolire questo posto maledetto per l'Europa e per il mondo intero. Ma le vittime restano nel cuore di tutti i tifosi". Noi ricordiamo quei corpi senza divisione di maglia o di colore, perché sebbene vi fossero squadre distinte quel giorno, tutto il calcio perdeva un pezzo, e il dolore non riportava sulla maglia nessun colore, nessun numero, nessuna differenza.

29 Maggio 2015

Fonte: Ilgiornaleweb.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel, trent’anni dopo ospite a Bruxelles della RTBF

di Gabriella Greison

Sono stata invitata dalla RTBF, la televisione nazionale belga, per partecipare alla trasmissione dedicata ai 30 anni dell’Heysel. Avevo scritto due settimane fa un reportage sul Fatto Quotidiano, in cui raccontavo la strage, la tragedia, dal punto di vista dei belgi, essendo andata allo stadio Re Baldovino per cercare nuove testimonianze. Con me c’era ospite anche Stefano Tacconi, il portiere della Juventus che giocò quella partita, e che insieme a Platini riprese l’aereo per il Belgio per andare in ospedale a trovare i feriti, il giorno dopo che arrivarono in Italia. La trasmissione è stata molto interessante, ricca di spunti nuovi, e il punto di vista belga è un elemento da non sottovalutare. Sono molto fiera di aver partecipato al programma, in veste di giornalista e scrittrice che si è spellata le mani nel corso degli anni per raccontare il calcio "come luogo abitabile" (come mi ha detto Valdano un giorno), e che davanti a questo dramma non fa altro che studiare e leggere e documentarsi, facendosi domande su domande, e cercando di rigirarle a chi ha il potere di cambiare il cose. Abbiamo anche parlato della violenza negli stadi oggi (sono stata negli stadi più violenti del mondo, e ho raccontato nei miei reportage zone d’ombra e momenti di sollievo), e il parere di un tifoso inglese presente ha fatto scattare subito uno scambio di battute molto acceso. Il presentatore era Michel Lecompte, molto stiloso, molto forte come presenza intellettiva, come garbo, e come modo di fare: questo ha permesso di tenere le argomentazioni su un livello alto. Il tifoso inglese, Pascal Geens, sosteneva che i supporter del Liverpool siano stati istigati dagli italiani, nel commettere le violenze. Sosteneva che l’anno prima a Roma per la finale di Coppa del Campioni, Roma-Liverpool, si siano aperte le sfide, con agguati fuori dallo stadio per tifosi dei Reds, e quello accaduto all’Heysel nel 1985 fu soltanto un regolamento di conti. Ecco, questo passaggio mi ha fatto molto indignare: ho ricordato come il Times stesso abbia titolato il giorno successivo che gli italiani hanno istigato gli inglesi, e che questo concetto è intollerabile. Non porta a niente. Innesca solo conseguenze disastrose e a ripetizione. E’ un modo di interpretare le cose del tutto di parte, che non aiuta certo a risolvere la situazione. La dialettica, seppur in francese, ha avuto toni accesi. Ma quel che conta sono anche le altre testimonianze e il resoconto di Tacconi, che con molta pacatezza, ha anche ricordato che i teppisti non c’entrano niente con i supporter del calcio. Per me, vale la stessa considerazione. Il dolore è personale e non può essere condiviso. Ma la memoria restituisce dignità al dolore. Dietro ogni dramma esiste una vita, e siamo obbligati a stare vicini a queste vite, ricordando i drammi come quello dell’Heysel. La memoria è un lavoro, una scelta. Le vittime dell’Heysel non sono juventini, sono italiani, sono persone: non sbagliamoci, questa distinzione minerebbe in modo imperdonabile il peso reale della tragedia, perché la ridurrebbe ad un fatto calcistico, e quindi è sbagliata. Per questo sono fiera di aver partecipato e aver difeso la memoria. Ero bambina quando seguivo già il calcio in tv, e quando successe l’Heysel non capivo niente, facevo domande in casa e nessuno mi sapeva rispondere. Ora, da grande, sono io che riporto le domande a chi può dare risposte (anche qui il calcio è un pretesto, come ricordo spesso). E comunque il calcio, come diceva Javier Marias, deve tornare ad essere un ritorno settimanale all’infanzia.

29 maggio 2015

Fonte: Ilfattoquotidiano.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel, 30 anni di dolore

Le celebrazioni in ricordo della tragedia del 29 maggio 1985 in cui morirono 39 tifosi.

di Silvia Garbarino

Trent’anni. Un compleanno incancellabile dalla memoria dei tifosi juventini e dei tifosi di calcio. Il 29 maggio 1985 finale di Coppa Campioni, stadio Heysel a Bruxelles, Juventus e Liverpool stanno per scendere in campo quando la barbarie umana prende il sopravvento sull’evento sportivo. Gli hooligans invadono il settore Z dove ci sono singoli, coppie di padri e figli, fidanzati, di tutto fuorché degli assatanati di violenza. La pressione diventa orda che distrugge il debole muro di recinzione e chi si trova in quel settore viene calpestato. Moriranno 39 persone.  Per ricordare quel lutto oggi alle 15 nella Sala Colonne di Palazzo Civico (piazza Palazzo di Città 1) Francesco Caremani presenta il libro "Heysel. Le verità di una strage annunciata". Con l’autore Andrea Lorentini, presidente dell’Associazione familiari vittime Heysel. Stamattina l’assemblea degli azionisti di Exor si è aperta con un minuto di silenzio. Il presidente John Elkann ha invitato ad un minuto di raccoglimento per le vittime della tragedia accaduta 30 anni fa. Stasera la Juventus parteciperà insieme all’Associazione fra i Familiari delle Vittime dell’Heysel alla Santa Messa, celebrata alle 19.30 nella Chiesa della Gran Madre di Dio a Torino. Saranno presenti i giocatori della Prima Squadra, lo staff tecnico e i dirigenti della società. Alla cerimonia pubblica a Bruxelles, la società bianconera sarà rappresentata dal presidente del J-Museum Paolo Garimberti e da Sergio Brio. Alla cerimonia che si tiene a Liverpool sono presenti Gianluca Pessotto e Massimo Bonini.

29 maggio 2015

Fonte: Lastampa.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

In memoria dei caduti dell’Heysel

"Non morti, ma caduti dell’Heysel perché fu una battaglia ed a morire furono degli innocenti. Una tragedia che ha lasciato molti feriti, non solo nel corpo, ma nell’animo". Con queste parole, rotte dalla commozione, Darwin Pastorin, l’illustre giornalista molto vicino all’Associazione familiari vittime dell'Heysel, ha rievocato la tragedia verificatasi poco prima dell’inizio della finalissima di Coppa dei Campioni (ora Champions League) tra Juventus e Liverpool, esattamente trent’anni fa, il 29 maggio del 1985. L’evento, in memoria dei tragici fatti di Bruxelles e organizzato dall’associazione, è stato ospitato nella Sala Viglione di Palazzo Lascaris, dove a portare il saluto dell’Assemblea a nome dell’Ufficio di presidenza e della Consulta regionale dei giovani, è stato Alessandro Benvenuto, affinché "la memoria di quella tragedia venga preservata". Il momento culminante dell’incontro si è avuto con la lettura da parte dell’attrice Francesca Cassottana di una lettera scritta, al figlio, da Domenico Laudadio (tra i presenti) per spiegare con parole accorate il susseguirsi degli eventi di quella infausta giornata. Andrea Lorentini, presidente dell’Associazione e figlio di Roberto, una delle vittime e nipote di Otello, primo presidente dell’Associazione medesima, ha spiegato come "la memoria non possa prescindere dal dovere della verità", mentre Francesco Caremani - autore dell’unico libro riconosciuto dalle vittime – "Heysel, le verità di una strage annunciata", ha spiegato quanta strada ci sia ancora da fare nel mondo dello sport, particolarmente in Italia, per evitare che simili fatti possano ripetersi. È stato anche proiettato un breve video rievocativo. Tra i moltissimi ospiti, componenti dell’associazione e non, che hanno parlato delle varie sfaccettature della vicenda, importante la partecipazione di Domenico Beccaria, presidente del "Museo del Grande Torino", che ha affermato l’importanza degli sportivi nell’onorare i morti di simili eventi senza distinzione di maglia anzi, nel cogliere queste opportunità per andare oltre la memoria e contribuire, con questi atteggiamenti, a costruire un ambiente del calcio più sano ed etico. Già lo scorso anno vi fu una iniziativa comune "Settanta angeli in un unico cielo" in memoria dei 31 morti di Superga (i campioni del Grande Torino e gli accompagnatori) e dei 39 di Bruxelles (dei quali 32 italiani, quasi tutti bianconeri, senza dimenticare che ci furono ben 600 feriti a causa della furia degli Hooligans).

29 Maggio 2015

Fonte: Cr.piemonte.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

L’Heysel all’inizio della storia

di Giacomo Raccis

Il 29 maggio 1985, esattamente trent’anni fa, a Bruxelles si gioca la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool: da una parte Platini, Boniek, Scirea, Tardelli; dall’altra Rush, Dalglish, Grobbelaar. Juventus e Liverpool sono le due squadre più forti d’Europa; già a gennaio si sono sfidate nella prima edizione della Supercoppa Europea e ad affermarsi è stata la Juventus, con una doppietta del centravanti polacco. Adesso sono arrivate a contendersi nuovamente un titolo europeo, il più prestigioso. Anche per questo una semplice partita diventa, sulla bocca, di tutti, "la partita del secolo", o "le match dusiècle", come si sente dire per le strade di Bruxelles. L’attesa nei giorni precedenti è molto sentita e non priva di tensioni: si dice che un numero imprecisato di hooligans inglesi arriveranno a Bruxelles senza biglietto e che qualcuno abbia messo in circolazione centinaia di biglietti falsi, facendo confluire sulla capitale belga un numero di tifosi enormemente maggiore rispetto alla capienza dello stadio Heysel. Il quale, visto da Avenue des Athlètes, non sembra nemmeno tanto adatto - per bellezza e per struttura - a ospitare un evento sportivo di simile portata. A metà del pomeriggio, quando le strade cominciano a riempirsi di giovani con sciarpe rosse e bianconere, la situazione sembra comunque tranquilla. L’arrivo in città dei tifosi inglesi non ha finora prodotto gli scontri che si temevano. Ed è un bene, perché la polizia belga, schierata lungo le strade e intorno allo stadio, a piedi e a cavallo, non ha per niente l’aria di poter rintuzzare un’eventuale carica. Quello che non succede fuori, però, succede dentro lo stadio: perché gli organizzatori si sono premurati di mettere agli antipodi i sostenitori organizzati di Liverpool e Juventus, ma hanno assegnato ai tifosi italiani non appartenenti ai club un settore, lo Z, che si trova proprio di fianco ai settori X e Y, occupati dagli hooligans. Proprio su quello spicchio di gradinata, un’ora prima del fischio di inizio (stabilito per le 20.15) si scatena l’inferno: gli inglesi si lanciano sulle fragili reti divisorie e caricano i tifosi juventini - per lo più famiglie - in una sorta di lotta di conquista. La situazione degenera quando, sotto il peso della carica inglese, la tribuna crolla su se stessa, schiacciando sotto il peso delle lastre di cemento centinaia di corpi inermi. La polizia, schierata all’interno dello stadio, impedisce ai tifosi di scappare in direzione del campo, aggravando ulteriormente la situazione. D’altra parte, di lì a poco le squadre dovranno uscire per il riscaldamento e non è possibile occupare il terreno di gioco. La cosa più assurda di questa tragica serata, infatti, deve ancora andare in scena, perché "l’assurdo è così banale che le squadre entrano in campo". Per la televisione italiana, la voce di Bruno Pizzul, mai così atona, sentenzia la messa in onda dell’osceno: mentre i referti su morti e feriti vengono continuamente aggiornati, mentre i sopravvissuti tempestano di telefonate le redazioni televisive per chiedere di segnalare in diretta che loro sono vivi, la "partita del secolo" viene giocata (qualcuno dirà per evitare di aggravare ulteriormente la situazione già drammatica), come se nulla fosse. Boniek viene atterrato in area da un difensore del Liverpool, Platini si presenta sul dischetto di fronte a Grobbelaar, trasforma il rigore: ed esulta, "come forse non aveva mai fatto in vita sua". Così scriveva Nicola Lagioia, qualche anno fa, in "Riportando tutto a casa" (2009). Per il tramite del proprio alter ego romanzesco, Lagioia provava a tradurre in parole tutto il disagio che quell’episodio procurò nella sensibilità di un’intera generazione europea: "Non fu semplicemente una doccia fredda, non fu l’interruzione di una festa. Eravamo in una dimensione nuova… come se il mondo esterno e la nostra intimità si stessero schiantando, con il rischio di diventare tutt’uno. […] Seguimmo la partita senza sapere cosa stessimo guardando. Era la morte, ed era un gioco, ed era in qualche modo uno show televisivo […] la prima notte in cui la morte e lo spettacolo salirono i gradini di una scala planetaria per mano". Infatti, se oggi un ragazzo di ventotto anni come me può raccontare con precisione quanto avvenuto a Bruxelles il 29 maggio del 1985, è perché la tragedia dell’Heysel fu ripresa in diretta dalle televisioni di tutta Europa. Prima della Guerra del Golfo, prima dell’11 settembre, i fatti di Bruxelles inaugurano una nuova epoca, quella della storia che, passando attraverso il tubo catodico, arriva a sconquassare la vita di milioni di telespettatori seduti comodamente nelle proprie case e trasformati, improvvisamente e inaspettatamente, in testimoni della Storia. La tragedia dell’Heysel passò rapidamente da episodio di cronaca a fatto storico, insediandosi al centro dell’immaginario collettivo e sancendo il passaggio a un nuovo paradigma dell’esperienza della realtà. Più ancora che per chi rimase a casa, però, naturalmente quell’episodio fu traumatizzante per chi vi si trovò coinvolto. Ed è quel punto di vista che cercano tutti i tentativi di ricostruzione letteraria della tragedia dell’Heysel, mossi dalla convinzione che se una verità è custodita in quegli avvenimenti, senz’altro la si potrà trovare nelle parole e negli occhi di chi vide tutto "dal vivo" e senza la mediazione di uno schermo televisivo. Chi si cimenta in questo tentativo, però, finisce per scontrarsi con una "indicibilità" di fondo di quei fatti, che oppongono resistenza alla scrittura. Accade così anche per il romanzo che arriva oggi a commemorare i trent’anni dalla tragedia e che non a caso s’intitola "Il giorno perduto". Perché l’impressione è proprio quella di un evento che, nonostante l’eurovisione televisiva e nonostante la mole di parole pronunciate nei giorni, nei mesi e negli anni a venire a commento di quei fatti, abbia scavato al cuore comune della coscienza europea uno spazio vuoto, un buco nero della memoria, dove non è possibile tornare attraverso un esercizio della volontà, ma solo per mezzo delle imponderabili connessioni date da coincidenze o improvvise epifanie. Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto, gli autori di questo Racconto di un viaggio all’Heysel, da poco portato in libreria da 66thand2nd, ricostruiscono da una doppia prospettiva i giorni carichi di attesa che precedettero la partita e le ore allucinate in cui questa si svolse. Il giorno perduto si costruisce così come un romanzo a due voci. Una è quella inglese di Cartwright, che indossa i panni di Christy, soprannominato Monk per la sua aria schiva, giovane di Liverpool che vive insieme alla nonna e a un padre costretto a letto perché stroncato dall’amianto; Christy sbarca il lunario facendo qualche lavoro di tanto in tanto, è in costante emergenza economica e si sente sempre "ai margini della folla, un po’ dentro e un po’ fuori", "tranne nei rari, felici pomeriggi in cui si lascia trascinare dall’onda e dalle canzoni dello Spion Kop", la curva dei tifosi del Liverpool. L’altra voce è quella che Favetto presta a Domenico Dezzotti detto Mich e ai suoi amici Angelo, Charlie e Miranda, ragazzi provenienti da Rueglia, un paesino in Valchiusella, provincia di Torino, decisi ad affrontare l’impresa di un viaggio fino a Bruxelles in R4 per andare a vedere i propri beniamini, e anche per fare il tifo per Gianni Koetting, l’amico del campetto arrivato al palcoscenico europeo. Christy e Mich sono i protagonisti di due viaggi speculari e convergenti su Bruxelles, meta momentanea su cui vengono proiettati desideri e aspettative. La partita di calcio, le possibili formazioni, il risultato finale sono naturalmente un sottofondo costante nell’intera settimana che precede l’incontro; lo sono per Chris, che lungo la strada - a Londra, a Dover, a Calais - non vede altro che giovani e adulti con le sciarpe rosse, agli angoli delle strade, nelle macchine, alle fermate dei pullman; lo sono per Mich, perché su quelli si concentrano le frizzanti conversazioni dei quattro amici stipati nello spazio angusto della R4 e nelle soste a Bardonecchia, nelle campagne francesi e a Parigi. Tutto un continente, infatti, sfila davanti agli occhi dei due protagonisti e l’impressione è davvero che l’Europa intera si stia mobilitando per questa partita, per questo evento destinato a rimanere nella memoria di tutti. A sovraccaricare ulteriormente il significato del match, ci sono poi, come sempre, le attese personali dei due personaggi, che investono la partita della "promessa di un altrove", della responsabilità di un riscatto umano ed esistenziale che dia una svolta alle loro vite. Smetterla con una vita grama, fatta di umiliazioni e orizzonti corti e ritrovare la fiducia in se stesso, prendere il destino sulle proprie spalle e portarlo altrove, foss’anche a qualche centinaio di chilometri da casa: questo significa per Chris il viaggio verso l’Heysel. Per Mich, invece, quel viaggio dovrà essere la fine di un’esperienza, quella di un ragazzo sempre troppo impegnato a interpretare al meglio l’idea che gli altri hanno di lui, e l’inizio di una nuova vita, più libera, più sincera e senz’altro più felice. Per Mich come per Christy, allora, "Questa è l’avventura da cui ripartire". I piani del destino però sono diversi e non hanno nessun riguardo per queste attese; che magari verranno anche soddisfatte, ma che si sconnetteranno definitivamente dal ricordo di una partita di calcio. Perché anche se quella partita si gioca, la memoria non ne conserva traccia. Al suo posto si impongono sguardi disorientati, frasi smozzicate e, soprattutto, silenzio. Arrivati al momento dell’evento tragico, infatti, le voci convergenti di Cartwright e Favetto si interrompono e lasciano spazio al bianco delle pagine. Di quello che è accaduto, le parole non servono a dire altro che il dato: "Trentadue italiani, quattro belgi, due francesi, un nordirlandese. E seicento feriti". L’essenziale è l’unica cosa che si può opporre all’oscenità pornografica delle immagini che ritraggono i corpi rimossi con barelle improvvisate o i giocatori esultanti sul campo, o alle parole insensate di chi in diretta prova a "spiegare" quello che sta accadendo. Il resto dev’essere lasciato vuoto, per lasciare spazio alla commozione, alla riflessione, alla constatazione che in quel frangente qualcosa, delle normali strutture di interpretazione della realtà, ha fatto difetto, lasciando gli uomini incapaci di comprendere quanto sta accadendo. Qualcosa di analogo all’esperienza intrecciata di Christy e Mich è stato messo in narrazione da Laurent Mauvignier in un romanzo ancora non tradotto in Italia, Dans la foule (2006): a prendere la parola qui sono quattro personaggi tutti direttamente coinvolti nell’episodio del crollo della tribuna del settore Z dell’Heysel. Non c’è voce narrante a mediare le loro parole: tutto quello che si può conoscere dei fatti affiora dalle loro voci e dai loro pensieri, riportati in presa diretta da un narratore stenografo che rinuncia a mettere insieme, a collegare i fatti, a costruire impalcature di senso. Non si può trovare un senso in quello che è accaduto, non si può cercare di farsene una ragione. E infatti i quattro protagonisti di Dans la foule rimarranno tutti, in maniere diverse, marchiati da quanto hanno vissuto. Il trauma lavorerà dentro, scavando un buco nero - un altro - che impedirà loro di elaborare il lutto. Il silenzio che nel Giorno perduto resta impresso nel bianco delle pagine centrali, quelle corrispondenti agli attimi della tragedia, in Dans la foule si riempie di parole; parole che però restano tutte al di qua della soglia della comunicazione, rimangono mute, inespresse, rinunciando ad attivare qualsiasi processo di condivisione di esperienza. Tutto resta sottinteso negli sguardi, nei movimenti, nei silenzi; a fare difetto, infatti, non è il contenuto della comunicazione, bensì proprio le parole, inadeguate a dire quello che è stato visto e provato. Servirebbe qualcosa di impossibile, parole che "prendano il posto dei morti rimasti sul campo", come se si trattasse di una guerra e non di una partita di calcio. È così che l’evento scava un solco tra i "sopravvissuti" e nulla riesce più a colmarlo. Resta, a coprire tutto, il velo di un oblio che basterebbe un’intermittenza del cuore a squarciare, perché l’oblio è "come un vestito abbandonato in mezzo allo stadio e la cui assenza ci sarà ricordata ogni giorno, ogni minuto, reclamando che gli si opponga un silenzio totale". Di fronte a questo muro di silenzio l’unica soluzione, comune al libro di Mauvignier e a quello di Favetto e Cartwright, è la moltiplicazione degli sguardi e delle voci. Riportare da più punti di vista, attraverso differenti sensibilità, tutto quello che c’è prima e tutto quello che c’è dopo l’evento, per provare a inserirlo in una mappa emotiva ed esperienziale che se non può dargli senso, quantomeno può fornirgli profondità. La polifonia, inoltre, riesce a sfaccettare la realtà - pur riproducendola sotto le spoglie della finzione - e affranca così la narrazione degli eventi - di quegli eventi che si possono vedere e rivedere su Youtube, di cui si sente parlare nei giorni delle ricorrenze e che tutti ormai conoscono anche nel dettaglio - dal racconto mediatico, dalle interpretazioni vulgate, dalla commozione preconfezionata. Il sismografo della letteratura trova così, ancora una volta, lo spazio della propria necessità e lavora con la realtà non per cercarne un’impossibile verità, ma per riposizionarne il senso nel quadro di una magnifica e spaventosa complessità.

29 maggio 2015

Fonte: Minimaetmoralia.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

L’Heysel, trent’anni dopo. Quando uccisero l’anima

di Gianluca Barni

PISTOIA - Furono sufficienti pochi minuti d’immagini televisive, di gente in fuga dalla morte di corpi accatastati di urla strazianti e gesta bestiali ed eroiche, per farci crescere di anni. Per farci crescere male. Il 29 maggio 1985, in occasione della finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool, la tragedia del settore Z dello stadio Heysel di Bruxelles ci consegnò 39 angeli, volati in Cielo per la furia cieca degli hooligan, e un pallone sfregiato per sempre. Doveva essere una partita di calcio, fu il punto di non ritorno. Da allora sono trascorsi 30 anni e ogni tanto verrebbe da pensare, invano. Sì, perché la lezione che ne scaturì è stata compresa da pochi, pochissimi. Il football è migliorato grazie a indomiti sognatori (e ci vengono subito in mente Otello Lorentini e l’associazione "Fra i familiari delle vittime dell’Heysel": l’Uefa fu poi riconosciuta responsabile dell’organizzazione di eventi sportivi), ma è anche peggiorato, perché l’uomo è il peggior nemico di se stesso e ha continuato a farsi del male. A uccidersi per veder rotolare una sfera. Non assistemmo a una gara sportiva, trent’anni fa, ma alla follia omicida, all’overdose da pallone. Fummo incollati al tubo catodico dal sangue di innocenti arrivati in Belgio per fare festa. Come essere catapultati all’Inferno, per vedere l’effetto che fa. Fu disputata una farsa, una partita falsa per timore di dilatare all’infinito la carneficina. Fu decretato un penalty per un fallo avvenuto alcuni metri fuori area, quasi a voler sporcare ulteriormente la recita. Qualcuno alla fine ebbe il coraggio di alzare una Coppa che non avrebbe dovuto essere riconsegnata soltanto perché non doveva essere neppure sollevata. Bruno Pizzul, il telecronista Rai dell’epoca, fu immenso nel suo e nel nostro dolore, strazianti. Cercò di limitare il racconto, di non adoperare iperboli, di non farsi notare, come gli arbitri bravi, bravi davvero. Ma anche in questo caso, una telecronaca che andrebbe studiata - e che all’epoca fu persino contestata - non ha fatto proseliti, perché trent’anni dopo non si fa altro che gridare, sbraitare, mostrarsi invasati. Invasati come coloro che, superbi, pensarono di potersi permettere di togliere la vita altrui. In un attimo, per gioco. Iddio possa perdonarli. Noi, a distanza di tre decenni, non ci riusciamo. Vorremmo e non ce la facciamo. Lo desidereremmo, ma poi… Un’immagine e la morte dentro: l’anima.

29 maggio 2015

Fonte: Lineefuture.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel, la tragedia immane che da 30 anni nutre gli idioti

di Tony Damascelli

Nella finale di Coppa Campioni morirono schiacciati dagli hooligans 39 tifosi della Juve. Da quel giorno gli ultrà delle curve ne insultano spesso la memoria nei loro beceri cori. SI GIOCÒ LO STESSO. La Juve batté il Liverpool. L’arbitro sapeva dei morti, diede un rigore inesistente. PLATINI CHOCCATO. Il trofeo fu posto davanti alla curva. Le Roi iniziò a pensare al ritiro.

Pagine mille e mille racconti, mille le memorie, mille i fotogrammi. Tutti per una notte sola, quella notte maledetta che tutti vorremmo cancellare, come un incubo che ti segue e insegue e dal quale non riesci e non puoi liberarti. Perché il cimitero dell'Heysel non ha fiori, non ha tombe, non ha sepolcri ma resta un luogo che ha voluto cambiare il nome per la vergogna, nel tentativo vigliacco di fuggire alla verità. Lo hanno chiamato Baldovino, un re, pure lui scomparso ma otto anni dopo, per un colpo al cuore. Il regno del Belgio, quella notte di maggio, non aveva castelli e fiabe ma soltanto un antro di voci urlanti e di lacrime, di strazio. Il football ? Che cosa c'entrava e che cosa può c'entrare il gioco del pallone ? Perché si può e si deve morire per una partita di calcio ? L'elenco dei morti, trentanove, è un colpo di frusta sul nostro corpo di vivi e sopravvissuti, Z è l'ultima lettera dell'alfabeto, fu l'ultimo respiro per quella macchia bianca e nera che aveva pagato cinquantamila lire un biglietto per stare in piedi, ammassato, compresso, in curva. Ma c'era la Juventus, c'era la finale, c'era il sogno di sempre e altre partite avevano visto le stesse immagini, come a Basilea l'anno primo, sempre una finale, di coppa delle coppe, sempre curve e gradinate di folla ma la sfida era contro il Porto. I portoghesi e non gli inglesi, nessun hooligano, nessuna lama di coltello o mazza di ferro a picchiare contro la speranza e la passione, soltanto il tifo, la gioia e la sofferenza. Il paese piatto di Jacques Brel quella sera a Bruxelles era tragicamente vero e grigio, "où des diables en pierre décrochent des nuages", gli angeli in pietra presero a precipitare non dalle nuvole ma dal settore Y, era un branco di lupi decisi a vendicare le botte di Roma, buscate l'anno prima, negli scontri della finale contro la squadra di Falcao. Accadde, dunque, quello che tutti non vorremmo più rivedere, rileggere, riascoltare, la morte arrivò e qualcuno ebbe anche il tempo e la sensazione di intuirla, di sentirne l'odore fetido, il suo colore buio, bambini e adulti, gente di ogni terra, mentre, improvviso, fu il fragore cupo di mattoni che si sbriciolavano e un muro che crollava, lo schianto di vite ormai disperate, soffocate. Uno, due, tre, aumenta la conta tremenda, aumentavano i corpi fermi, giacenti, senza respiro, gli occhi fuori dalle orbite, altri spenti. E sangue. Lo stadio intorno, la partita da giocare perché quelli dell'Uefa non avevano spazio, tempo, testa, cuore per capire, scegliere, decidere. L'alveare era ormai impazzito, poliziotti e medici, giornalisti e calciatori, gendarmi e cavalli, manganelli e infermieri, onde di un mare nerissimo. Juventus e Liverpool giocarono infine la partita, segnò Michel Platini, su un calcio di rigore inesistente che l'arbitro André Daina, svizzero, concesse forse per rimediare al dramma dei tifosi juventini morti, di cui lui, come tutta l'Uefa, sapeva. Platini festeggiò con il braccio alzato come un fantasma di un altro pianeta. "Quando l'acrobata cade entrano i clowns". Furono le sue parole, incomprese e sfruttate. Finita la partita prese coscienza della tragedia e del proprio errore, fu la "sua" morte professionale, fu l'inizio di pensieri diversi che lo indussero a non ritornare più all'Heysel, in quella terra, in quella città, con il fastidio di un peccato commesso, di un'offesa alla memoria di chi era venuto in quel luogo per vedere giocare proprio lui, Michel Platini, le roi, per fare festa e convivere una notte di gioia. Fu l'inizio del suo pensiero al ritiro anticipato dalla carriera. La coppa venne deposta davanti a quella curva abbandonata dal mondo. Trent'anni sono un tempo lunghissimo e, assieme, breve, ferocemente breve quando il ricordo è così aspro, quando la memoria va alla morte, al dolore che non può avere spiegazione. Trent'anni non sono ancora serviti alla ciurma di idioti, detti tifosi ma meglio sarebbe dire e scrivere Jene, che di quei morti non hanno ricordo se non per l'insulto, lo sberleffo, il ghigno nelle loro curve di falsa passione, discariche di menti drogate. Il calcio cerca di correre più veloce della vita e non riesce a fermarsi, per riflettere, per rispettare il silenzio di chi non c'è più. E che, per lui, soltanto per lui, ha finito la propria esistenza, in una sera di maggio. Oggi troverà appena il tempo per la commozione. Domani tornerà a urlare il proprio volgare disprezzo.

29 maggio 2015

Fonte: Ilgiornale.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

La partita infinita delle famiglie

"La memoria si allena"

di Giulia Zonca

Processi chiusi, resiste l’associazione delle vittime. "Ma ciascuno di noi ha il proprio pezzo di storia".

Per chi ha perso qualcuno dentro lo stadio dell’Heysel ogni 29 maggio arriva sempre nello stesso modo. Non importa che siano i 30 anni, i 29 o i 18, che la messa sia privata o condivisa, è sempre una spia che si accende, un dolore latente e un’emozione, il ricordo che si rinnova e il bisogno di non dimenticare: "La memoria si allena", è la semplice perfetta frase che ripetono tutti. Molte famiglie lo chiamano "giorno del raccoglimento", semplice, spoglio, un momento intimo impossibile da spiegare, non ha bisogno di rituali, si muove da solo con il suo carico: tutto si amplifica perché l’anniversario è per sua natura collettivo: "Il cuore torna alla tragedia e per fortuna la testa ti porta via". I parenti difendono le immagini private, quelle che salvano perché mantengono il calore a dispetto dell’assenza. C’è un filo conduttore pubblico che è l’associazione, passata in gestione già alla seconda generazione, e poi c’è un grumo di ricordi, personali e protetti che non vengono scambiati neanche tra chi ha in comune una notte d’orrore.

Le testimonianze

Andrea Lorentini oggi è il presidente dell’associazione, l’ha ereditata dal nonno che l’aveva messa in piedi per avere giustizia. Ora che il processo è chiuso resta la volontà di tramandare, di raccontare la verità perché nulla venga dimenticato, perché le responsabilità non sbiadiscano. Poi ci sono le fitte, come la voce squillante di Andrea che si abbassa quando parla del padre Roberto, medico e medaglia d’argento al valore civile, deceduto mentre cercava di salvare un bambino. Di fare il suo lavoro: "Non ho alcun ricordo di lui, ero troppo piccolo ma sono cresciuto con il suo esempio. Ci ha lasciato il suo grande altruismo". Andrea fa il giornalista sportivo, non ha chiuso il calcio dentro una scatola nera "anzi sono convinto che possa esprimere dei valori, non lo associo a quell’inferno". Sembra strano ma non ha mai scambiato il suo pezzo di storia con la famiglia di chi la completa, con la sorella e la mamma di Andrea Casula, la vittima più giovane, il bimbo che il padre di Andrea cercava di rianimare all’Heysel.

La memoria collettiva

La sorella del piccolo Andrea, Emanuela, oggi è vicepresidente ma Lorentini trova normale che "ognuno tenga per sé il proprio pezzo di famiglia". La storia collettiva è finita sul prato insanguinato, non c’è altro da dire. Emanuela un giorno ha chiesto alla madre di smontare la cameretta totem del fratello tenuta uguale a se stessa nonostante gli anni. È successo tanto tempo fa, Emanuela aveva già capito che la memoria si allena in un altro modo. Come sottolinea Fabrizio Landini che in quel macello ha perso uno zio: "La memoria non va riesumata ma protetta, coltivata". Quando Giovacchino Landini era in vita, la famiglia gestiva una trattoria a Torino, ora si sono trasferiti in Liguria, tornano ogni anno per la messa: "Mio zio si sapeva godere la vita, peccato che non abbia potuto farlo a lungo come meritava. Io ero e sono rimasto tifoso della Juve, lo zio era così innamorato di quella squadra che non mi sono mai immaginato un tradimento. Non vado allo stadio, non per paura per...". Le parole mancano, forse quella giusta è distanza. Quel filtro quasi impossibile tra il dolore e il ricordo. Per restare in equilibrio bisogna allenare la memoria, senza mescolare l’esempio da tramandare con le storie da custodire.

29 maggio 2015

Fonte: La Stampa

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

La testimonianza. Lorentini, figlio di una vittima

"La Juve ha ancora paura della strage"

di Andrea Scanzi

LE COLPE DELL’UEFA. La società teme Platini, il presidente che allora esultò. Come mi hanno raccontato giornalisti che lo conoscono bene, non gradisce che si parli dell’Heysel, mai.

La sintesi è semplice: per 25 anni la Juventus non ha fatto nulla, e negli ultimi cinque abbiamo ottenuto due messe e un angolo nel museo del nuovo stadio dedicato alle vittime dell’Heysel. Un po’ poco". Andrea Lorentini ha 33 anni, uno in più di quelli che aveva il padre Roberto quando morì trent’anni fa all’Heysel, prima della finale di Coppa Campioni Juventus-Liverpool, 29 maggio 1985. "Io avevo tre anni, mio fratello un anno e mezzo. Mio padre era medico. Settore Z, quello famigerato, quello del muro crollato. Era riuscito a uscire dallo stadio e a mettersi in salvo. Poi, una volta fuori, ha visto un ragazzo a terra ferito ed è rientrato dentro lo stadio per soccorrerlo. Mentre gli stava facendo la respirazione bocca a bocca, è stato travolto da una seconda ondata di persone. Non si è più rialzato". Dallo scorso gennaio Andrea, giornalista aretino, ha ricostituito l’Associazione familiari vittime dell’Heysel. NE HA EREDITATO la guida che era stata del nonno paterno Otello, scomparso un anno fa. "Mio nonno ha dedicato larga parte della sua vita a dare giustizia a mio padre e alle vittime, seguendo all’estero per sei anni e mezzo il processo che ha portato alla condanna dell’Uefa". A gennaio Lorentini scrive ad Andrea Agnelli. Il presidente risponde con una email, lo invita in sede. L’incontro dura un’ora e sembra andare tutto bene. "Per la prima volta la Juventus ascoltava i familiari delle vittime dell’Heysel. Con Boniperti non era mai successo, il nulla assoluto. Lo stesso con la Triade. Con Agnelli avevamo pianificato due cose per il trentennale: una messa e qualcosa che sancisse una memoria finalmente condivisa. Un monologo, da recitare allo Juventus Stadium, partendo da una lettera scritta da Domenico Laudadio, membro della nostra associazione". La messa stasera ci sarà (ore 19.30), il monologo no. "Credevamo che Agnelli e questa Juve fossero pronti. Invece, non appena abbiamo alzato l’asticella, si sono defilati". Il nervo scoperto resta ancora il ruolo dell’Uefa. "La Juve voleva addebitare ogni colpa agli hooligan, ma è un falso storico. La polizia belga sbagliò tutto, c’erano solo quattro poliziotti a controllare gli spalti e l’esercito arrivò a strage già avvenuta. Ancora più colpevole fu l’Uefa, che permise che il Settore Z (destinato ai tifosi neutrali) fosse concesso agli italiani e che scelse uno stadio fatiscente. Optò per l’Heysel di Bruxelles perché era il più grande in Belgio. L’80% dell’incasso andava all’Uefa, che non aveva alcuna responsabilità sugli eventi da lei organizzata. È cambiato tutto solo con la sentenza del 1991, che ha ritenuto l’Uefa corresponsabile del disastro". Perché, nel 2015, la Juve sarebbe ancora così omertosa ? "Per Boniperti quella fu una vera vittoria sportiva. Se racconti interamente la storia, offuschi i ‘meriti’ di società e squadra. Non dimentico, e la cosa continua a farmi male, che tanti calciatori esultarono dopo la partita e addirittura il giorno dopo scendendo dall’aereo. Con Agnelli poco è cambiato". C’è dell’altro. "Ricordare le responsabilità dell’Uefa significherebbe disturbare il manovratore. ECCO PERCHÉ anche le altre società e gran parte dei giornalisti hanno fatto pochissimo. C’è un’ignoranza incredibile attorno all’Heysel. Lo capisci anche dai cori vergognosi che ancora oggi si levano negli stadi. Insultano "39 juventini morti" senza neanche sapere che non tutte le vittime erano italiane e che, pure tra i connazionali, non tutti erano juventini. Sono morti anche tre interisti, per dire. E poi c’è Platini". All’Heysel fu tra i più esultanti. Oggi è presidente Uefa. "La Juve non vuole urtarlo. Come mi hanno raccontato giornalisti che lo conoscono bene, Platini non gradisce che si parli di Heysel. In alcun modo". Niente monologo, dunque. "La versione propostaci dalla Juventus era troppo edulcorata e non abbiamo dato l’avallo. A noi interessa la storia senza censure, quella che racconto nelle scuole". Oggi, però, a Torino (ore 15.30, Consiglio regionale) ci sarà comunque un evento organizzato dall’Associazione Vittime. "Riprenderemo anche un piccolo passaggio del monologo. Poi un dibattito, la messa e alle 22.30 parteciperò allo speciale Heysel su Rai Sport. Meglio di niente, ma l’amarezza resta. Speravamo, con Agnelli, di aprire una pagina nuova. Non è stato così".

29 maggio 1985

Fonte: il Fatto Quotidiano

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Sotto la lente - Heysel, una ferita sempre aperta

di Carmen Vanetti

Più che un articolo questo di oggi è un ricordo, un ricordo di 39 angeli sacrificati sull’altare della bestialità (dis)umana (che raramente perde l’occasione di dar fulgida prova di sé). Qualsiasi argomento alla ribalta della cronaca, qualsiasi scandalo, qualsiasi polemica devono oggi cedere il passo al ricordo di questa tragedia, che ci costringe, a 30 anni di distanza, a "renovare infandum dolorem", una sofferenza così indicibile che mai potrà essere cancellata, o anche solo lenita. Trentanove morti (nella stragrande maggioranza tifosi bianconeri, ma le tragedie non hanno colore), e circa 600 feriti: quella che avrebbe dovuto essere una splendida serata di calcio, la finale di Champions League 1985, divenne in realtà una delle pagine più nere del calcio, proprio perché il disastro non fu una fatalità, ma frutto di gravi colpe a tutti i livelli. Da chi aveva messo a stretto contatto i pericolosi hooligans britannici (nei settori X e Y) e  gruppi di tifosi juventini (l’ormai tristemente noto settore Z), all’Uefa che aveva permesso che una finale di tale portata si svolgesse in uno stadio fatiscente, un decrepito relitto palesemente  inadeguato sotto il profilo della sicurezza, ai responsabili dell’ordine pubblico che avevano affidato la sorveglianza a forze di polizia troppo esigue e incapaci di far fronte alla situazione, tanto che risultarono di ostacolo anziché di aiuto a quanti cercavano salvezza. La ricerca delle responsabilità e dei colpevoli (gli sconsiderati organizzatori ricevettero praticamente solo un buffetto) e la squalifica di cinque anni dalle competizioni internazionali per i club inglesi non sono nemmeno un cerottino sulla ferita, anzi gettano quasi più sale perché lasciano chiaramente intendere che la tragedia poteva, anzi doveva, essere evitata. Così come lasciano il tempo che trovano le polemiche sull’opportunità di disputare comunque la partita e consegnare la coppa: quello che resta di quella sera sono solo le 39 bare. La partita, intesa come evento sportivo, era finita ancor prima di iniziare. Purtroppo pare che la lezione non sia stata appresa. Non solo il tifo becero e disumano (quello che plaude all’Heysel e ad altre tragedie come la morte di Ale&Ricky) alligna sempre più come una mala erba; c’è molto di più, perché ormai i nostri stadi non possono più essere visti come luoghi sicuri, in balia come sono (stadi, ma anche zone limitrofe) di  gruppi violenti che nulla hanno a che fare con lo sport. Il calcio (tutto lo sport in genere) è vita, gioia, voglia di vivere: non sia necessario riflettere su altre tragedie e piangere altri morti per riportarlo alla sua vera natura.

29 maggio 2015

Fonte: Tuttojuve.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel, un minuto di silenzio a 30 anni dalla tragedia

Il ricordo di quella finale maledetta giocata Il 29 maggio del 1985, in cui persero la vita 39 tifosi della Juventus.

Un giorno tremendo, in cui una partita di calcio si è trasformata in un incubo. Blatter ha voluto ricordare al congresso Fifa la ricorrenza della strage dell'Heysel, osservando un minuto di raccoglimento: "Trent'anni fa, in questo giorno, si è svolta una terribile tragedia. Tante persone sono morte in occasione di una partita di calcio. Vi chiedo di alzarvi in memoria delle persone che hanno perso la vita all'Heysel". Michel Platini, che ha segnato il gol della vittoria della Juve contro il Liverpool, in quel triste giorno che vide la morte di 39 persone, era accanto al presidente, nella sua posizione di vice-presidente Fifa. Sul posto. Un minuto di silenzio è stato osservato di fronte alla stele che allo stadio Heysel di Bruxelles ricorda le 39 vittime del dramma di 30 anni fa. In una cerimonia alla presenza degli ambasciatori d'Italia, Alfredo Bastianelli, e di Gran Bretagna, del sindaco di Bruxelles, del presidente del museo della Juve, Paolo Garimberti, e dell'ex juventino Sergio Brio, sono state posate corone di fiori e sono stati liberati in cielo 39 palloncini bianchi ciascuno con il nome di una delle vittime, 32 delle quali italiane. Il racconto di Brio. "Ho ricordi bruttissimi. Una serata tragica. Io devo ricordare le famiglie che hanno perso i loro cari e questa data non si dovrà scordare mai", così l'ex giocatore della Juventus Brio davanti alla tribuna dello stadio Heysel, dove 30 anni fa in occasione della Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool ci furono 39 morti e 600 feriti. "La Juve fece di tutto per poter sistemare le cose - spiega - ma non ci riuscì. A tutt'oggi questa data del 29 maggio non ha insegnato niente al calcio". Brio spiega che i giocatori dal campo non si erano accorti di niente perché stavano facendo il riscaldamento. "Abbiamo avuto l'impressione che stesse accadendo qualcosa - dice - ma non sapevamo di alcun morto". "Boniperti non voleva giocare. Ma la Uefa lo impose - ricorda - perché altrimenti la Juventus avrebbe perso 3-0 ed eventuali morti negli scontri, casomai ci fossero stati, se li sarebbe dovuti assumere lui. A quel punto Boniperti decise di giocare. Venne nello spogliatoio e ci disse, lo ricordo come se fosse oggi, c'è stato un morto tra i nostri tifosi. Onoriamolo. Dobbiamo vincere per lui. La partita si giocherà. Fate la vostra partita". L'incidente. Sono trascorsi 30 anni dalla tragedia dell'Heysel: la notte più buia del calcio mondiale. I tifosi juventini - 32 erano italiani - andati a Bruxelles con la speranza di festeggiare la prima Coppa dei Campioni bianconera trovarono una morte orribile nel settore Z dello stadio, travolti dalla furia degli hooligans inglesi ubriachi, schiacciati contro le balaustre o precipitati dalle gradinate, poco prima che iniziasse la finale Juve-Liverpool. Morti, però, anche per l'inadeguatezza dell'Heysel e dei servizi di sicurezza ed ordine pubblico. Il ricordo. Un ricordo ancora oggi terribile per i parenti delle vittime, per i sopravvissuti, per chi aveva seguito le cariche degli hooligans, il caos e la disperazione dei tifosi che cercavano scampo dagli altri settori dell'Heysel o in tv. Una "Coppa maledetta" che la Juve aveva inseguito per 30 anni, sfuggita già due volte, nel '73 a Belgrado, dieci anni dopo ad Atene. Un trofeo che oggi molti protagonisti dell'epoca non sentono come un trofeo conquistato, ricordando che in pratica furono obbligati a giocare. Ma ci sono anche tifosi juventini che, al contrario, la considerano un premio alla memoria delle 39 vittime, allineate nelle stanze dello stadio mentre sul campo si consumava la partita più surreale nella storia del calcio europeo, vinta dalla Juventus con un calcio di rigore segnato da Platini. Una partita giocata con un intero spicchio dell'Heysel, senza più tifosi, transennato davanti alle macerie ed alle cose perse dai tifosi nella calca. La decisione di giocare. All'Heysel il club bianconero aveva consegnato al delegato Uefa Gunther Schneider la nota ufficiale spiegando perché aveva detto sì alla richiesta di giocare comunque: "La Juve accetta disciplinatamente, anche se con l'animo pieno di angoscia, la decisione dell'Uefa, comunicata al nostro presidente, di giocare la partita per motivi di ordine pubblico". Il presidente di allora, Giampiero Boniperti, non ha mai voluto riparlare di quella finale così dolorosa. Neppure per l'attuale massimo dirigente bianconero, Andrea Agnelli, è facile tornare sull'argomento: "Ho sempre fatto fatica a sentire mia quella Coppa - ha detto in occasione del venticinquennale dell’Heysel - anche se i giocatori mi hanno sempre detto che fu partita vera". E Marco Tardelli, in un'intervista alla Rai, qualche anno fa ha spiegato e chiesto scusa: "Era impossibile rifiutarsi di giocare, ma non dovevamo andare a festeggiare, l'abbiamo fatto e sinceramente chiedo scusa". La cerimonia. Le vittime dell'Heysel saranno ricordate a Bruxelles con una cerimonia pubblica e a Torino in una messa alla Chiesa della Gran Madre di Dio, alle 19,30. "La giornata del 29 maggio - sottolinea la società bianconera - sarà dedicata al ricordo da parte di tutti i tesserati Juventus. Per troppi anni quelle 39 vittime - rimarca sul sito ufficiale - sono state oggetto di scherno finalizzato unicamente ad attaccare i colori bianconeri: un'azione vile che non dovrebbe trovare cittadinanza in nessuno stadio ed in nessun dibattito sportivo. Questo anniversario dovrà essere utile anche alla riflessione per evitare che simili comportamenti si ripetano".

29 maggio 2015

Fonte: Globalist.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Trent’anni fa la tragedia dell’Heysel

di Massimo Righi

Oggi ricorre il trentennale dell’anniversario della strage dell’Heysel, dove persero la vita 39 persone prima della finale di Coppa dei Campioni. Nel ricordo dei fatti, emerge l’impegno di chi non si è mai dato per vinto nella ricerca della verità.

Sono passati trent’anni da quella che si può considerare una delle pagine più nere della storia del calcio italiano ed europeo, ovvero la strage dell’Heysel dove il 29 maggio del 1985 persero la vita 39 persone poco prima della finale di Coppa dei Campioni giocata a Bruxelles fra Liverpool e Juventus. Sono stati anni di processi, di accuse, di ricerca delle responsabilità per una tragedia annunciata data l’organizzazione approssimativa dell’evento e alla scelta dello stadio, alquanto fatiscente, crollato sotto il peso delle persone e dalla loro paura durante l’invasione degli hooligans inglesi nel famigerato settore "Z". Ad oggi sono ancora troppi gli interrogativi che coprono la verità e che lasciano impuniti i responsabili di quanto accaduto, moltiplicando il dolore e l’amarezza di chi in 30 anni ha combattuto per la giustizia e la verità. La strage - In occasione della finale di Coppa dei Campioni fra Liverpool e Juventus, giocata a Bruxelles nello stadio Heysel (ora Re Baldovino), accadde un fatto di cronaca nera fra i più gravi della storia del calcio. Prima del fischio d’inizio, a causa dell’invasione degli hooligans inglesi nel settore adiacente al loro, denominato Z e occupato per lo più da tifosi della Juventus, i supporters iniziarono a scappare impauriti. Il fuggi-fuggi portò la gente ad ammassarsi sul muro opposto, il quale cedette sotto il peso della calca, provocando la morte di 39 persone, di cui 32 italiane. Gran parte dei presenti rimasero schiacciati e calpestati nella corsa verso una via d’uscita, per molti rappresentata da un varco aperto verso il campo da gioco. Ciò nonostante, l’incontro si disputò ugualmente dopo quasi un’ora e mezzo di rinvio: la decisione fu presa dalle forze dell’ordine belghe e dai dirigenti UEFA, per evitare ulteriori tensioni. La follia degli hooligans inglesi che volevano "prendere la curva", l’impreparazione delle autorità belghe e della polizia locale che non si era resa conto della gravità della situazione e aveva iniziato a caricare i tifosi che invadevano il campo per mettersi in salvo, oltre all’inadeguatezza della struttura e alla paura diffusa, furono le cause determinanti della tragedia. Ma non va sottovalutata la vendita scriteriata e selvaggia dei tagliandi del settore Z ai tifosi italiani, i quali furono sistemati in quella parte dello stadio per accontentare l’ingente richiesta di biglietti. In questo modo i tifosi furono sistemati in prossimità degli hooligans, mettendo a repentaglio l’incolumità degli stessi i quali sarebbero dovuti essere sistemati nella curva opposta, dov’era presente la maggior parte dei fans juventini. L’impegno di Lorentini e Caremani - Nel trentennale da quella immane tragedia, sono stati in tanti ad impegnarsi affinché la verità venisse a galla, combattendo per questa. Il neo presidente dell’"Associazione Familiari delle vittime dell’Heysel" Andrea Lorentini, che all’Heysel ha perso il padre Roberto, giovane medico aretino medaglia d’argento al valor civile, morto nel tentativo di salvare un connazionale, si è posto l’obiettivo di difendere la memoria della tragedia e di chi quel giorno perse la vita, ricoprendo il ruolo che aveva il nonno Otello all’interno dell’associazione da esso fondata. Anche il giornalista aretino Francesco Caremani, si è speso nella ricerca della verità sulla triste vicenda dell’Heysel che ancora oggi richiede chiarezza. Il suo libro "Heysel, le verità di una strage annunciata", è un contributo di grande valore per non dimenticare e continuare a difendere la dignità di chi quel giorno è scomparso senza che fosse fatta piena luce sui fatti.

29 maggio 2015

Fonte: Ilpallonegonfiato.com

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Trent'anni passati inutilmente

Heysel, la strage rimossa

di Gianni Cerasuolo

Nella notte del 29 maggio 1985 si consumò un dramma che ancora dà fastidio. La vera Coppa andrebbe data al cinismo, al disimpegno e soprattutto al mancato rispetto per il dolore.

Il massacro dell’Heysel viene "commemorato" ogni domenica nei nostri stadi così: "Ti ricordi lo stadio Heysel / le bandiere del Liverpool / diecimila sono partiti / 39 non tornan più…". Lo cantano un po’ di canaglie della curva Fiesole, a Firenze, base musicale il vecchio brano di Marcella Bella, Montagne verdi. Anche quelli del Torino si esibiscono su queste note. A Roma, invece, molti farabutti della sponda giallorossa sono più rockettari e preferiscono Vasco di Cosa succede in città ? E allora si attacca con: "Cosa succede? / Cosa succede a Bruxelles? / Cosa succede all’Heysel? / Guarda qui, guarda lì / son trentanove e son tutti sottoterra…". La carneficina dello stadio Heysel (accadde a Bruxelles 30 anni fa, il 29 maggio 1985, finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool, 39 morti, 32 italiani) offre da sempre spunti per l’idiozia da stadio. Una strage rimossa, un ricordo che infastidisce come succede per altre storie drammatiche collettive che hanno segnato il nostro paese. Come se le vittime della "partita della morte" appartenessero solo ad un tifoseria, al club più amato e detestato. E non a tutta la nazione. Sono andato a guardare le regioni di provenienza dei 32 morti ed ho contato: 7 venivano dalla Lombardia, 4 dal Piemonte e dalla Toscana, 3 dal Veneto e dalla Sardegna, 2 dall’Abruzzo, dalla Sicilia e dalla Puglia e 1 rispettivamente dal Friuli, dall’Umbria, dal Lazio, dalla Liguria e dall’Emilia (le altre 7 vittime: 3 erano residenti in Belgio, 3 in Francia e 1 era irlandese). Alcuni erano originari del Sud, come Luciano Rocco Papaluca che veniva da Grotteria, in provincia di Reggio Calabria. Un paio forse non erano nemmeno tifosi juventini ma interisti che avevano seguito in Belgio i loro amici di fede bianconera. Insomma, un mosaico dell’Italia come da sempre si caratterizza il tifo per la Juve. A trent’anni di distanza bisogna, invece, ancora ascoltare offese di ogni genere per quei poveri morti. L’esecuzione delle "montagne verdi" è stata fatta da una parte della Fiesole appena nello scorso aprile quando Fiorentina e Juve si sono affrontate nella semifinale di ritorno della Coppa Italia. Poi coro chiama coro, così come striscione segue a striscione. Durante la partita con il Napoli allo Juventus Stadium si ricordano i morti dell’Heysel ma, per mantenersi in allenamento, si cantano anche ritornelli contro i napoletani. Se quelli del Toro inneggiano al Liverpool, quelli della Juve rispondono sbeffeggiando la sciagura di Superga. E gli altri ricordano il "volo" di Pessotto e, in risposta, quegli altri se la prendono con Facchetti. I napoletani promettono vendetta per Ciro Esposito e i romanisti espongono striscioni offensivi contro la madre del ragazzo: una spirale che alimenta l’odio e la vergogna. L’Heysel non ci ha insegnato quasi nulla. Abbiamo contato altri morti, altri feriti, gli ultimi nel derby di Roma di lunedì. La violenza continua. Altrove, in Inghilterra, hanno cercato di arginarla, di contenerla, di punirla dopo l’Heysel e la strage di Sheffield, quella avvenuta quattro anni dopo la finale tra Juve e Liverpool (96 morti tra i supporters dei Reds, a Hillsborough un altro stadio in rovina e altri tragici errori di organizzazione). Margaret Thatcher usò ogni mezzo, come aveva fatto per reprimere gli scioperi nelle miniere e il terrorismo dell’Ira. Ma l’hooliganismo è stato reso impotente non solo con la repressione. C’è stata anche una ribellione di chi voleva tifare e godersi una partita di pallone. Da noi, no. Roberto Beccantini, ex firma della Stampa, uno dei migliori giornalisti sportivi, ha scritto nell’introduzione alla nuova edizione del libro di Francesco Caremani "Heysel. La verità di una strage annunciata", (BradipoLibri), uscito dodici anni fa ed ora riedito in occasione del trentennale del terribile fatto: "Era il 2003 quando uscì il libro. Il 2 febbraio 2010 abbiamo celebrato, in sordina, il terzo anniversario dell’uccisione dell’ispettore Raciti… Siamo il paese degli slogan ("tolleranza zero"), dei tornelli, delle tessere del tifoso e dei tifosi con le tessere. Siamo quelli che un nero non può essere italiano, riferito a Mario Balotelli; siamo quelli che "Opti Poba è venuto qui che prima mangiava le banane"… Siamo quelli che mai più un altro Ciro Esposito… Siamo quelli, sempre quelli". Aggiungo: siamo quelli del "non si può sempre pensare di dare soldi a queste quattro lesbiche", quelli che hanno consegnato il calcio di periferia in mano alle mafie, quelli che si spartiscono la tv del pallone probabilmente in maniera fraudolenta. Tanto per completare un quadro decadente e incivile.  Del resto, l’Heysel fu dimenticato già qualche ora dopo il massacro. Fu cancellato da quell’esultanza fuori luogo di Platini dopo aver messo a segno il rigore inesistente che consegnò la Coppa alla squadra diretta da Giovanni Trapattoni. Da quel giro di campo festoso degli juventini mentre oltre il muro dello stadio maledetto erano stesi i corpi dei tifosi uccisi dalla furia degli hoolingans e i lamenti dei feriti (oltre 600) erano ancora alti. Dai caroselli dei tifosi a Torino nella notte, nonostante fosse ormai noto il tragico bilancio della finale. Dai silenzi e dalle omissioni della stessa società torinese che ha scelto, almeno negli anni passati, di parlare il meno possibile di quella drammatica serata. Non è un caso che tra il club e l’Associazione fra le famiglie delle vittime di Bruxelles i rapporti siano stati spesso tesi, al limite della rottura. Adesso, con la presidenza di Andrea Agnelli le cose sono cambiate. Allo Juventus Stadium ci sono 39 "stelle" con i nomi delle vittime e una parte dello "J Museum" è dedicato a quei morti.  Ma anche per questo trentennale non sono mancate le frizioni. Quelli dell’Associazione volevano che venisse rappresentato un testo teatrale, alla Juve non è piaciuto, è stato modificato, i familiari delle vittime hanno dato l’ok ma hanno fatto sapere anche che parteciperanno soltanto alla messa in ricordo dei loro morti: "Quello sarà l’unico momento condiviso con il club bianconero" hanno scritto in un comunicato pubblicato da "Arezzo Notizie". La città toscana ebbe due giovani uccisi: Roberto Lorentini, 31 anni, un medico, un uomo generoso che rimase  travolto dalla furia degli hooligans mentre cercava di soccorrere qualcuno, con ogni probabilità un bambino sardo, Andrea Casula, 11 anni, la più giovane vita sacrificata in quel massacro. Per quel gesto Lorentini ebbe la medaglia d’argento al valor civile ("d’argento e non d’oro, così lo Stato risparmiò una piccola pensione…" accusava il padre, Otello). L’altra vittima aretina si chiamava Giuseppina Conti detta Giusy, una ragazza di 17 anni. Otello Lorentini, scomparso lo scorso anno ad 89 anni, ha impiegato metà della sua vita a combattere una battaglia difficile e spesso solitaria affinché i colpevoli venissero puniti e non si dimenticassero i 39. "La Juve non si è mai fatta viva" si lamentava spesso. Aggiungendo: "Boniperti non ci ama… Tre giorni dopo la catastrofe disse che si doveva mettere una pietra sopra l’accaduto. Evidentemente, l’intenzione della Juventus era di stendere un velo sui fatti dell’Heysel, in modo da salvare il famoso "stile Juve" che io non ho mai condiviso". Il genitore vide scomparire all’improvviso il figlio Roberto che era accanto a lui nel famigerato settore Z dell’Heysel. Quando lo ritrovò "mi sembrava che gli battesse ancora il cuore, invece era la mia tempia che martellava sul suo petto". Fu Otello a fondare l’Associazione e fu lui con la sua tenacia a sconfiggere in appello la protervia dell’Uefa che l’aveva passata liscia nel primo processo in Belgio. L’Uefa fu costretta a pagare dei risarcimenti ai superstiti e si vide condannare il segretario generale, Hans Bangerter, a tre mesi con la condizionale. Una pena mite ma quello fu il riconoscimento della responsabilità dell’organizzazione calcistica, sebbene il presidente, che allora era Jacques Georges, venisse assolto. Nei processi in Belgio, impostati e condotti male dalla pubblica accusa, alla fine hanno pagato i pesci piccoli. Ci furono gravissime responsabilità per quello che successe da parte dell’organizzazione locale. Lo stadio cadeva a pezzi. Gli hooligans - guidati da un ex parà (l’ex portiere del Liverpool, Bruce Grobbelar ha detto a Repubblica che quel giorno a Bruxelles c’era gente del National Front, l’estrema destra inglese, venuta da Londra, che scatenò l’assalto e poi scomparve: dovevano fare casino e mettere in cattiva luce quelli di Liverpool, che molti odiavano, secondo lui) - "caricarono" i tifosi della Juve rompendo pezzi di gradinata che si sbriciolava come pasta frolla e lanciandoli verso il Block Z. Quelli di fede bianconera non dovevano stare in quel settore, destinato ai belgi o a spettatori neutrali, però i biglietti  furono venduti anche da agenzie italiane e da club juventini e provenivano probabilmente dal mercato nero. Le forze di polizia erano presenti in maniera ridicola: 7-8 poliziotti a dividere gli inglesi dagli italiani in quella parte dello stadio dove era stata eretta una rete inadeguata ("tipo tennis" dissero molti testimoni). I walkie talkie degli agenti non funzionavano perché le pile erano scariche; incapaci e mal diretti, quei poliziotti furono capaci di infliggere solo manganellate ai pochi tifosi italiani che riuscirono a mettersi in salvo sul prato mentre il muro della curva Z crollava. Il ministro degli Interni, che si guardò bene dal dimettersi, il sindaco, il capo della polizia non furono toccati; venne condannato un capitano: pochi mesi con la condizionale. Pesci piccoli. Accade sempre così, anche da noi. Su YouTube, ci sono pochi frammenti che riprendono la polizia a cavallo mentre fa il suo ingresso nel piccolo stadio a passo di parata, dopo che i morti già si contavano a decine. Tragicamente comici. Mentre intorno c’era gente che si disperava, persone moribonde, corpi che venivano adagiati confusamente su barelle improvvisate con le recinzioni in ferro. Altri che venivano portati a spalla, come si fa con i quarti di bue. Nel civile Belgio, sede della Comunità europea, furono talmente cinici, in quella occasione, che anche con i morti si comportarono malissimo. Lo denunciò Lorentini, lo scrissero i giornali italiani. Le autopsie furono eseguite in maniera sommaria, molti corpi, mutilati orrendamente, non vennero ricuciti e furono riconsegnati in condizioni pietose ai familiari. In qualche caso le bare portavano nomi sbagliati; delle vittime furono scambiate con altre: "Non eravamo pagati per gli straordinari", fu la risposta fredda e impudente di certi medici di Bruxelles. "L’Italia ci mise fretta per la riconsegna dei cadaveri", fu la versione ufficiale. I nostri magistrati chiesero la riesumazione dei corpi. Lo ricordava, commuovendosi, Lorentini nel libro di Caremani. Soltanto da poco, i belgi hanno riconosciuto i loro errori e hanno reso omaggio ai morti. I pochi inglesi condannati se la cavarono con qualche anno di galera mai scontato. Show must go one. Forse quella volta lo spettacolo dovette continuare per scongiurare il peggio: la vendetta degli italiani, dei Fighters, gli ultrà juventini, che si agitavano minacciosi già prima degli assalti inglesi. Si temeva anche qualche altra pazzia dei tifosi dei Reds, ubriachi dalla testa ai piedi. "Giochiamo per voi" disse Scirea ai microfoni dello stadio. D’altro canto il calcio non si è fermato nemmeno l’11 settembre 2001: la sera stessa dell’attacco alle Torri Gemelle si scese in campo per la Champions, all’Olimpico andò in scena Roma-Real Madrid. Poi il giorno dopo l’Uefa ci ripensò e sospese le partite, rossa di vergogna. Bruno Pizzul durante una telecronaca surreale - che gli fu a lungo rimproverata ma quella sera tutta l’informazione Rai fu sbagliata - fece in tv una premessa prima dell’inizio della partita, ore 21.40: "Consentitemi di non definirla finale di Champions, è che si gioca una semplice partita per motivi di ordine pubblico". All’Heysel molti juventini non volevano scendere in campo, lo stesso Giampiero Boniperti, allora presidente bianconero, andò dai capi dell’Uefa a dire: "Prendo la squadra e la riporto a casa". E quelli gli risposero, secondo la testimonianza di Francesco Morini, ex difensore e all’epoca ds bianconero: "Allora vi assumerete la responsabilità degli incidenti e su di lei ricadrà la colpa di quello che può succedere". Edoardo Agnelli, il figlio dell’Avvocato presente negli spogliatoi, esclamò: "Incredibile, si gioca". Giocarono, la Juve vinse 1-0 e si assicurò la Coppa che gli era sfuggita da troppo tempo. La Coppa venne mostrata come il più bello dei trofei il giorno dopo sulla scaletta dell’aereo atterrato a Caselle. Bettino Craxi, che era presidente del Consiglio, disse chiaro e tondo che quella partita non andava giocata. Ancora oggi la tifoseria juventina è combattuta su quella vittoria sporca di sangue. Trapattoni si è espresso recentemente: "Restituiamo la Coppa all’Uefa". E così anche qualche giocatore, Tardelli ad esempio. Andrea Agnelli, che al tempo dell’Heysel aveva dieci anni, nel venticinquennale della strage ha sottolineato: "È una Coppa che facciamo fatica a sentire nostra". Mario Soldati pochi giorni dopo quel 29 maggio disse a Repubblica: "La Juve si è comportata in maniera perfetta. Chi condanna il tripudio dei giocatori dimentica che loro non potevano conoscere l’esatta dimensione del dramma… Non mi vergogno di aver gioito per quella vittoria. Erano anni che noi juventini la aspettavamo… È assurdo pensare di restituire il trofeo… Sarebbe come punire la Juventus…".  Di altro parere Italo Calvino che, intervistato dallo stesso quotidiano, ammise, pur non essendo tifoso juventino: "Da principio anch’io ho provato una naturale soddisfazione per lo smacco sportivo - almeno quello - subito dai tifosi di Liverpool. La gioiosa scorribanda dei giocatori per il campo, però, mi è sembrata inopportuna. Di fronte a una tragedia di quella portata, ciò è risultato disumano". Calvino non voleva che si disputasse la finale. "Rifare la partita ? Restituire la Coppa ? No, non sono molto sensibile a questi simbolismi" (i pareri di Soldati e Calvino li ho trovati leggendo Quella notte all’Heysel di Emilio Targia, uscito da poco in libreria per Sperling & Kupfer. Targia rivela un particolare non da poco: sul biglietto di ingresso allo stadio Heysel che lui ancora conserva e che si procurò con un amico direttamente dal Belgio c’è una scritta in francese in cui l’Uefa avvertiva che declinava ogni responsabilità in caso di incidenti. Da non credere: l’Uefa che allestiva l’evento si lavava le mani per qualsiasi cosa fosse successa…). Otello Lorentini, tifoso bianconero come il figlio Roberto, aveva le idee chiare in proposito. Rivelò che quando vide la Juve che faceva il giro d’onore con la Coppa "Mi è venuto da vomitare… Sono rimasto impressionato vederli scendere dall’aereo come se avessero vinto il mondo, quando "quella cosa là" grondava ancora sangue. Quella visione mi ha dato veramente fastidio, non ho mai potuto digerire quelle immagini. Dico di più, considero vergognoso che ancora oggi nelle statistiche e negli almanacchi la Coppa dei Campioni 1985 si consideri vinta dalla Juventus, quando la dovrebbero restituire… Come si fa a parlare di Coppa vinta?". Michel Platini non ha mai voluto parlare volentieri di quella notte e dell’atteggiamento suo e della squadra. Lo ha fatto una sola volta, aprendosi un pochino di più, in una intervista incrociata con Marguerite Duras su Liberation, due anni dopo la tragedia: "Per prima cosa non avevamo visto l’orrore. È come quando dicono: si è schiantato un aereo, trentasette morti, duecento morti… Non si vede niente. Bene, dopo si prende lo stesso l’aereo… E quando sei in campo, quando si pensa al calcio, che è la nostra passione, la nostra giovinezza, la nostra adolescenza, non si può pensare mentre si gioca che ci sono stati tanti morti. Quando realizzo il rigore sono felice, in fin dei conti il calcio mi salva dall’infelicità umana… Quel giorno sono diventato un uomo ! Diciamo che sono passato da un mondo in cui il calcio era un gioco a un mondo in cui il calcio è diventato una specie di violenza. In altre parole, fino ad un certo momento hai dei giocattoli. Be’, quel giorno non avevo più giocattoli. Ero diventato un uomo" (da Le Heysel. Une tragédie européenne di Jean-Philippe Leclaire, 2005, edito in Italia da Piemme). Nelle ore successive al massacro, le Roi Michel usò altre parole, atroci: "Al circo quando muore il trapezista entrano i clown in pista. Noi non siamo dei clown, ma il discorso è lo stesso…". Infatti, quella dell’Heysel fu una macabra recita.

29 maggio 2015

Fonte: Succedeoggi.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

L’Heysel: una ferita per sempre

E’ il mio primo editoriale e per tale motivo è per me un giorno speciale. La vita mi ha sempre riservato incredibili fatalità e quella di oggi ne è un’altra dimostrazione. E’ il 29 maggio 2015 e tutti i media stanno commemorando la tragedia dell’Heysel  (Bruxelles) nel trentesimo anniversario di quella maledetta sera del maggio del 1985 quando in uno stadio di calcio fatiscente si disputò la finale di coppa dei campioni tra la Juventus ed il Liverpool.

Trentanove furono i tifosi morti a causa della follia di una parte della tifoseria inglese che a quell’ora (19 circa) era ormai ubriaca fradicia: stiamo parlando dei famigerati hooligans. Su quello che successe in quello stadio dalle 19 alle 24 si è detto di tutto da parte di tutti in questi trent’anni. Come sempre succede anche in casi drammatici come quello che stiamo ricordando ognuno ha una sua verità, una sua spiegazione, una sua soluzione non attuata. E’ chiaro che una discussione esploda per avvenimenti così gravi ma sono fondamentali le testimonianze, i fatti oggettivi e l’onestà intellettuale. Come giustamente ha detto Boniek recentemente i veri grandi responsabili furono gli organizzatori della finale nella scelta di quel campo fatiscente dove si notavano calcinacci e materiale di risulta di un cantiere in vari punti dello stadio ed ancor più nella vendita scellerata dei biglietti di "curva Z" (rimasta famosa negli annali di cronaca) sia a tranquilli italiani con bambini al seguito che ai cosiddetti hooligans ! E qui il discorso sarebbe già fin troppo chiaro. Ricordo invece (ne sono ancora in possesso) tutti i titoli e le frasi quali: "restituite la coppa di sangue", "vergogna, è una coppa insanguinata", "la Juventus non doveva giocare", "i giocatori della Juventus ed i tifosi non dovevano esultare per la conquista della coppa" e così via. Sono stato per trent’anni in giro per il mondo con la Juventus e quella sera ero in tribuna con italiani emigrati in Belgio i quali avevano procurato nei giorni precedenti sei biglietti di curva Z per tutti noi. La fortuna ci fu vicina perché all’ultimo momento prima della partenza da Salerno entrai in possesso di sei biglietti di tribuna. Ci disfacemmo all’ultimo momento di quei pericolosi biglietti e non abbiamo mai saputo a chi fossero capitati (erano tra i trentanove ?).  Alla fine della partita nell’uscire sul piazzale della tribuna ci trovammo davanti ad uno spettacolo tremendo che ancora oggi mi sconvolge al pensiero: trentanove corpi esanimi nascosti da lenzuola e coperte. Posseggo anche un mio filmato amatoriale con le scene di quella tragedia. Ma in tribuna certamente nessuno di noi aveva compreso la dimensione della strage. Era chiaro che fossero avvenute cose molto gravi perché evidenti erano le scene drammatiche provenienti da quella curva e perché subito dopo un altoparlante chiamava i tifosi singolarmente e per nome per farli convergere verso i rispettivi pullman per il rientro a casa dal momento che la partita sarebbe stata annullata. Non so cosa sapessero i tifosi degli altri settori ma ricordo perfettamente i discorsi che facevamo in tribuna (e vi assicuro che arrivavano solo notizie nettamente contrastanti fra di loro) e quello che avvenne negli spogliatoi dove testimoni importanti mi hanno in seguito descritto minuto per minuto ogni sofferta decisione. La partita poi si giocò in un clima surreale che riuscì a non trasferirci l’immagine della tragedia in tutta la sua dimensione. Da allora ad oggi non solo non è migliorato nulla ma addirittura la situazione è peggiorata per la continuità ed il crescendo dei lutti. L’Inghilterra nella figura della signora Thatcher seppe risolvere in maniera straordinaria e determinata i problemi interni (oggi i loro stadi sono dei salotti) mentre da noi apprendo dopo i disordini (per usare un eufemismo)  di Lazio -Roma la decisione del Viminale: "I derby in futuro saranno giocati sempre di domenica ed alle 12.30". Roba da non credere !! Quel che conta oggi è un mio sentimentale e commosso ricordo delle vittime e la voglia di stringermi ai loro familiari perché solo Dio sa cosa ho sofferto, insieme a tanti quella sera, e quali segni porto ancora oggi dentro di me. In medicina chiamansi "cheloidi". Spero che possiate leggere in autunno particolari inediti e storie e nomi di quella serata che io ho descritto nel mio primo libro  "Io e la Juve, storia di un grande amore". Confido in questo modo di poter contribuire a fare luce su una vicenda ancora oggi infinitamente straziante.

29 maggio 2015

Fonte: Pasqualegallo.net

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel, il ricordo della strage a Bruxelles, Torino e Liverpool

Bruxelles (Belgio), 29 mag. (LaPresse/Reuters) - Si è svolta a Bruxelles una commemorazione per i 30 anni della strage dell'Heysel, quando 39 persone morirono per il crollo di un settore dello stadio in occasione della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool il 29 maggio 1985. Allo stadio Re Baldovino della capitale belga, una folla numerosa di familiari delle vittime ed ex calciatori hanno portato una corona di fiori e rilasciato 39 palloncini accanto alla lapide recante i nomi dei tifosi morti. "È sempre doloroso. Trent'anni dopo lo è ancora di più", ha detto Charline Francois che all'Heysel ha perso il fratello Jacques. "È bello aver organizzato una commemorazione perché tutti dicono di non dimenticare, ma per noi familiari è ancora più difficile", ha aggiunto. Presente anche l'ex difensore della Juventus Sergio Brio, in campo quella sera, che ha detto di sentirsi sempre a disagio quando torna in quello che è stato ribattezzato stadio Re Baldovino. "Come mi sento oggi ? Come mi sono sentito durante tutti questi anni quando sono tornato in Belgio a giocare in questo stadio. Mi sono sempre sentito strano, strano", ha detto Brio. Una commemorazione si è svolta anche a Liverpool, tenuta dal cappellano del club, alla presenza del capitano del Liverpool del 1985 Phil Neal, del dirigente della Juventus Gianluca Pessotto e dell' ex giocatore bianconero Massimo Bonini che hanno posato una corona di 39 gigli bianchi. A Torino, invece, la Juventus ha organizzato una messa commemorativa nella chiesa della Gran Madre. Un silenzio raccolto carico di commozione ha avvolto il momento in cui, dal pulpito della chiesa torinese della Gran Madre di Dio, sono stati scanditi uno ad uno i nomi dei 39 innocenti che persero la vita. Alla funzione religiosa ha partecipato tutta la società, il presidente Andrea Agnelli, la Prima Squadra, lo staff tecnico e la dirigenza. Lungo l’elenco dei rappresentanti delle istituzioni sportive e non presenti alla cerimonia: il presidente della Lega Calcio Maurizio Beretta, il direttore Generale della Lega Serie A, Marco Brunelli, il segretario generale del Coni Roberto Fabbricini, Giorgio Marchetti, Uefa competitions director e le autorità cittadine, rappresentate dal Sindaco Piero Fassino. Tante anche le personalità di spicco e gli ex calciatori: non hanno voluto mancare Mariella Scirea, moglie del compianto Gaetano, così come il tecnico allora sulla panchina bianconera, Giovanni Trapattoni, ed alcuni dei giocatori di quella maledetta serata come Stefano Tacconi, Beniamino Vignola e Ian Rush, che all'epoca giocava nel Liverpool e che avrebbe poi militato anche nella Juve. Il ricordo di Platini: "Trent'anni fa, allo Stadio Heysel di Bruxelles, giocai una finale di Coppa dei Campioni che ancora oggi continuo a giocare. Non ho mai dimenticato quella partita, come non l'hanno dimenticata tutti coloro che erano presenti quella sera, che hanno perso uno dei loro cari e per i quali tutto è cambiato in una fatale manciata di minuti". In occasione del trentesimo anniversario della tragedia dell'Heysel, il presidente dell'Uefa Michel Platini, in campo con la Juventus contro il Liverpool in quella serata fatale, rende omaggio alle 39 vittime e a tutti coloro che erano presenti e non dimenticheranno. "Trent'anni dopo, sono il Presidente della Uefa, l'organismo che organizzò quella finale, e con i miei colleghi e i miei amici delle federazioni, dei campionati e dei club, lavoriamo quotidianamente per assicurare che l'orrore di quella serata non si ripeta mai più", scrive Le Roi in una dichiarazione sul sito dell'Uefa. "Questo impegno si è tradotto in un incessante lavoro nel corso di questi anni per garantire la sicurezza degli impianti sportivi di tutta Europa", prosegue l'ex numero 10 della Juventus autore del gol decisivo in quella tragica serata. "In occasione del trentesimo anniversario di quel drammatico evento, i miei pensieri sono rivolti alle trentanove vittime e ovviamente ai loro cari, ai quali voglio esprimere la mia vicinanza e ribadire il mio impegno instancabile nel fare tutto ciò che è in mio potere per impedire che una tale tragedia possa ripetersi", conclude Platini. Il sindaco Fassino. "Il 29 maggio 1985 si consuma la tragedia di Heysel. Non dimenticare perché lo sport non sia dolore, ma passione, divertimento e vita". Così Piero Fassino, sindaco di Torino, ricorda su Twitter il 30° anniversario della strage dell'Heysel a Bruxelles. Il ricordo della Figc. "Non dobbiamo mai dimenticare quanto è accaduto all'Heysel. E' una delle pagine più tristi della storia del calcio e a nome mio e di tutta la federazione voglio stringermi nel ricordo di chi ora non c'è più e di tutte quelle famiglie che hanno vissuto in prima persona questa immane tragedia". Questo il messaggio nel trentesimo anniversario dell'Heysel da parte del Presidente della Figc Carlo Tavecchio, che martedì aprendo il Consiglio Federale aveva voluto dedicare un minuto di silenzio a quanti persero la vita il 29 maggio del 1985. Nella stessa occasione il Direttore Generale Michele Uva ha annunciato che la Federcalcio sta lavorando all'organizzazione di una gara amichevole con il Belgio il prossimo novembre per commemorare sul campo le 39 vittime. "Il calcio - aggiunge il presidente federale - dovrebbe sempre essere una festa, ma il suo straordinario fascino è un richiamo anche per quanti cercano di dare sfogo alla violenza. Per questo le istituzioni, le società e i veri tifosi devono contrastare ogni fenomeno di intolleranza e di distorsione dei valori dello sport". Allegri e Buffon. "Oggi c'è solo da commemorare le vittime e stringersi intorno ai familiari. Bisogna raggiungere un livello tale di serenità e tranquillità per far sì che non succeda mai più nulla del genere. E' necessario che tutti migliorino, e che ci si metta una mano sulla coscienza: il calcio, come lo sport, è uno spettacolo, e lo spettacolo non va vissuto attraverso violenza e atti vandalici". Lo ha detto Massimiliano Allegri, allenatore della Juventus, parlando in conferenza stampa alla vigilia della partita di campionato contro il Verona, a proposito della strage dell'Heysel. Successivamente il tecnico bianconero ha scritto anche un tweet su quanto accaduto 30 anni fa a Bruxelles: "Avevo quasi 18 anni; quella sera di 30 anni fa, davanti alla tv, rimasi sotto choc quando capii cosa era successo. Un pensiero ai #39 #Heysel". "Ogni anno l'anniversario dell'Heysel ci ricorda una delle pagine più dolorose del nostro calcio e di tutto lo sport in generale", scrive invece su Twitter il portiere della Juventus Gianluigi Buffon, a proposito del 30° anniversario della strage dell'Heysel. "Oggi più che mai sono convinto che questi 39 nomi e 39 voli debbano essere un monito per tutti nella lotta contro qualunque forma di violenza", ha aggiunto.

29 maggio 2015

Fonte: Lapresse.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Heysel, Juve-Liverpool

Un testimone: "Vidi sciarpe insanguinate e..."

"L'Heysel ? Un'immagine indelebile nella memoria è il ritorno allo stadio il giorno dopo. Camminavo tra sciarpe insanguinate e macerie". Parla un testimone sopravvissuto al bagno di sangue prima di Juventus-Liverpool di 30 anni fa. La testimonianza. Platini (in campo quel giorno): "Mai più". Allegri: "Pagina nera nella storia della Juventus e dello sport".

Allegri: "Una pagina nera dello sport mondiale e della storia della Juventus" - "Vorrei iniziare ricordando quello che è successo 30 anni fa in una tragica serata, una pagina nera dello sport mondiale e della storia della Juventus. Oggi credo ci sia solo da commemorare le vittime e stringersi attorno con affetto ai loro familiari". Queste le parole che Massimiliano Allegri, in apertura di conferenza stampa, ha voluto dedicare alle vittime dell'Heysel, tragedia di cui ricorre oggi il trentesimo anniversario. "Da quel giorno si è fatto tanto ma non abbastanza per risolvere queste problematiche - ha aggiunto Allegri - Per andare allo stadio con tranquillità, bisogna tutti migliorare, mettersi una mano sulla coscienza e bisogna essere tutti positivi. Alla fine il calcio è uno spettacolo e va vissuto in un certo modo e non attraverso la violenza e gli atti vandalici". Platini ricorda tragedia Heysel, "non si ripeta mai più" - Mai più. Michel Platini, presidente della Uefa, ricorda le vittime dell'Heysel. "Trent'anni fa, allo Stadio Heysel di Bruxelles, giocai una finale di Coppa dei Campioni che ancora oggi continuo a giocare - scrive Le Roi in una nota pubblicata sul sito della Uefa - Non ho mai dimenticato quella partita, come non l'hanno dimenticata tutti coloro che erano presenti quella sera, che hanno perso uno dei loro cari e per i quali tutto è cambiato in una fatale manciata di minuti. Trent'anni dopo, sono il presidente della Uefa, l'organismo che organizzò quella finale, e con i miei colleghi e i miei amici delle federazioni, dei campionati e dei club, lavoriamo quotidianamente per assicurare che l'orrore di quella serata non si ripeta mai più". Questo impegno - ha detto ancora il presidente della Uefa - si è tradotto in un incessante lavoro nel corso di questi anni per garantire la sicurezza degli impianti sportivi di tutta Europa". E in occasione del trentesimo anniversario di quel drammatico evento, "i miei pensieri sono rivolti alle trentanove vittime e ovviamente ai loro cari, ai quali voglio esprimere la mia vicinanza e ribadire il mio impegno instancabile nel fare tutto ciò che è in mio potere per impedire che una tale tragedia possa ripetersi", ha concluso Platini. Heysel: 30 anni fa il bagno di sangue che cambiò il calcio - Un bagno di sangue, una strage rimasta impunita: 30 anni dopo la strage dell'Heysel è una ferita ancora aperta. Famiglie intere, andate a Bruxelles con la speranza di festeggiare la prima Coppa dei Campioni juventina, che hanno trovato la morte nel settore Z dello stadio, travolti dalla furia degli hooligans ubriachi. Gli inglesi, approfittando della mancanza di forze dell'ordine - in ferie dopo la visita del Papa in Belgio, è la denuncia di chi quel giorno era lì - caricarono i supporters bianconeri che per difendersi si ammassarono contro il parapetto del settore ospiti. La barriera cedette e a decine precipitarono nel vuoto. In 39 persero la vita. Da allora molto si è detto e scritto, spesso perdendo di vista l'unica cosa che conta: il mantenimento della memoria e della verità, nel rispetto delle vittime e dei loro famigliari.

Emilio Targia, giornalista testimone, nel libro "Quella notte all'Heysel" (Sperling & Kupfer, 178 pagine, 14,90 euro) ripercorre la vicenda, raccontando quello che ha visto all'interno dello stadio, condividendo lo sgomento, l'incredulità e la rabbia che seguirono.

D - Heysel continua a "vivere" con noi e, spesso, contro la pigrizia della nostra memoria. Qual è la prima immagine che viene in mente riavvolgendo il nastro ?

R - "Un padre di famiglia. Un uomo che, preso da un attimo di follia, mi affida il figlio e tenta di raggiungere il settore Z che avevamo di fronte. E' stato un attimo, poi probabilmente si sarà reso conto che non avrebbe potuto essere d'aiuto in nessun modo, ed è tornato indietro. Ma un'altra immagine che resterà indelebile nella memoria è il mio ritorno allo stadio il giorno seguente. Ero andato per portare un mazzo di fiori e mi ritrovai a camminare tra sciarpe insanguinate, macerie e scarpe rimaste a terra".

D - Cosa ha scatenato il tutto ?

R - "Non fu una sola la causa. Più che altro fu una serie di eventi. Uno stadio obsoleto e fatiscente, un servizio d'ordine non all'altezza e migliaia di inglesi ubriachi pronti a "caricare" i tifosi italiani. Fu tutto sbagliato anche la vendita dei biglietti, troppi, e infine anche il mancato divieto di vendita di alcol".

D - Entrati allo stadio avevate avuto il sentore che potesse accadere qualcosa ? Avevate capito la gravità della situazione ?

R - "Eravamo a conoscenza delle "turbolenze" dei tifosi del Liverpool. Arrivando allo stadio avevamo incontrato inglesi ubriachi, avevamo sentito parlare di risse, ma non pensavamo che la situazione potesse degenerare in questo modo. L'anno prima a Roma c'era stato l'incontro con il Liverpool, in uno stadio grande il doppio, non c'erano stati problemi e tutto era stato gestito bene. Come avremmo potuto immaginare che i belgi sarebbero potuti essere tanto disorganizzati ? Qualche tempo dopo si venne a sapere che il Papa, Giovanni Paolo II, quindici giorni prima del mach era andato in visita a Bruxelles e per l'occasione erano stati impiegati i corpi d'élite specializzati nell'ordine pubblico. Il giorno dell'incontro erano tutti ferie".

D - E le forze dell'ordine presenti allo stadio, come intervennero ?

R - "I poliziotti sul campo erano davvero pochi, io ne contai 5 o 6. Mi dissero che molti erano impegnati fuori dallo stadio, nessuno si rese conto che il rischio e la situazione da tenere sotto controllo era all'interno. Appena iniziò lo spostamento di massa, qualche italiano riuscì a fuggire invadendo il campo, ma fu preso a manganellate. Il servizio di sicurezza non era stato nemmeno addestrato sui colori delle maglie delle due squadre, non riuscivano a riconoscere gli hooligans dai tifosi italiani".

D - Le autorità calcistiche decisero comunque di far disputare la partita, è stata una scelta giusta ?

R - "Assolutamente sì. Sarebbe stato un gesto folle non far disputare la gara. Sarebbero venute a contatto le curve e si sarebbe scatenato l'inferno".

D - Qual è il modo migliore per non dimenticare i 39 morti ?

R - "Un buon esempio lo ha dato la curva della Juve nel corso dell'ultima partita contro il Napoli, issando uno striscione con i nomi dei 39 tifosi morti nella tragedia. Non bisognerebbe parlare solo di numeri, ma raccontare storie per far capire e non dimenticare. Mi piacerebbe che il Coni, la Uefa, la Lega insomma le autorità calcistiche organizzassero un minuto di silenzio, anche in tutti gli stadi, domenica prossima per il trentennale".

29 maggio 2015

Fonte: Affaritaliani.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

30 anni dalla strage dell’Heysel: un’amara lezione che non va dimenticata !

di Giandomenico Tiseo

In un sistema calcio (italiano e internazionale) che presenta problematiche diverse e di grande importanza (calcio scommesse e dirigenti della FIFA corrotti), la ricorrenza dei 30 anni della strage dell’Heysel e di ciò che quel maledetto 29 maggio 1985 ha rappresentato non deve essere dimenticato. Al contrario, il ricordo che poco prima dell’inizio della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles, morirono 39 persone, di cui 32 italiane, e ne rimasero ferite oltre 600, deve essere riportato alla mente per trarne giovamento per i mali del nostro presente. Una tragedia che, come molti altri hanno scritto, sarebbe potuto essere evitata da un’organizzazione migliore delle autorità belghe le quali sottovalutarono la portata di tifosi che accorse nella struttura, peraltro fatiscente e poco consona ad ospitare un evento di tal portata. 

Come si svolsero i fatti ? Ai molti tifosi italiani, buona parte dei quali proveniva da club organizzati, fu assegnata la tribuna delle curve M-N-O, che si trovava nella curva opposta a quella riservata ai tifosi inglesi. Molti altri tifosi organizzatisi autonomamente, anche nell’acquisto dei biglietti, si trovavano invece nella tribuna Z, separata da due basse reti metalliche, assolutamente inadeguata, dalla curva dei tifosi del Liverpool, ai quali si unirono anche tifosi del Chelsea, noti per la loro violenza (chiamati headhunters, "cacciatori di teste"). Circa un’ora prima della partita (ore 19.20; l’inizio della partita era previsto alle 20.15) i tifosi inglesi più accesi, i cosiddetti hooligans, cominciarono a spingersi verso il settore Z a ondate, cercando il take an end ("prendi la curva") e sfondando le reti divisorie: memori degli incidenti della finale di Roma di un anno prima, si aspettavano forse una reazione altrettanto violenta da parte dei tifosi juventini, reazione che non sarebbe mai potuta esserci, dato che la tifoseria organizzata bianconera era situata nella curva opposta (settori M-N-O). Gli inglesi sostennero di aver caricato più volte a scopo intimidatorio, ma i semplici spettatori, juventini e non, impauriti, anche per il mancato intervento e per l’assoluta impreparazione delle forze dell’ordine belghe, che ingenuamente ostacolavano la fuga degli italiani verso il campo manganellandoli, furono costretti ad arretrare, ammassandosi contro il muro opposto al settore della curva occupato dai sostenitori del Liverpool. Nella grande ressa che venne a crearsi, alcuni si lanciarono nel vuoto per evitare di rimanere schiacciati, altri cercarono di scavalcare gli ostacoli ed entrare nel settore adiacente, altri si ferirono contro le recinzioni. Il muro ad un certo punto crollò per il troppo peso, moltissime persone rimasero schiacciate, calpestate dalla folla e uccise nella corsa verso una via d’uscita, per molti rappresentata da un varco aperto verso il campo da gioco. I sopravvissuti all’accaduto si recavano dai giornalisti presenti per la cronaca della partita, per voler rassicurare le proprie famiglie. Una situazione surreale nella quale anche il grande Bruno Pizzul, cronista di tante partite della Nazionale, si trovava non potendo da un lato accogliere le richieste dei tifosi, temendo che se ciò fosse avvenuto altre 1000 mamme avrebbero potuto esigere la medesima richiesta, e dall’altro un contrasto interiore dettato dal fatto che una festa dello sport si era tramutata in un vero e proprio fatto di cronaca nera.

Perché è importante ricordare ciò ? E’ fondamentale perché quanto accaduto a Bruxelles quel giorno fu il risultato di un’estremizzazione negativa della concezione non sportiva del calcio i cui residuati, sfortunatamente, sono presenti anche a distanza di tanto tempo. Spesso ci capita di ascoltare cori in cui da un lato si intonano cori: "10, 100, 1000 Heysel" e dall’altra: "10, 100, 1000 Superga" per un puro gioco becero allo sfottò quando il rispetto per chi non è più in vita è assente. Il "pallone" dovrebbe imparare dai suoi errori o quantomeno cercare di migliorare ma spesso atteggiamenti facinorosi vengono accettati per via di un bieco discorso di marketing. Di cosa stiamo parlando ? Semplice, se si interviene pesantemente su alcune frange dei gruppi organizzati molte società temono, soprattutto, che nella struttura "Stadio" l’affluenza è ancor più inferiore e le entrate scarseggiano. Peccato che questa visione capitalistica della realtà porta le persone "normali", le loro famiglie, a star lontano da un luogo progettato per svagarsi e che, invece come 30 anni fa, è palcoscenico di ben altri show. Quel che si nota, pertanto, è la mancanza del sorriso e del piacere di guardarsi una partita sia da parte dello spettatore e sia degli stessi attori principali, i giocatori, che fin dai "pulcini" ricevono troppa pressione psicologica per le eccessive aspettative dei rispettivi genitori.

Avete ragione, un discorso troppo lungo ma del resto serve a poco descrivere, in maniera asettica, quanto avvenuto tanto tempo addietro se poi non si vuol cercare, come si suol dire, di aprire gli occhi e trarre spunto per un presente e un domani migliore. Lo sport e il calcio è prima di tutto un darsi ludico, piuttosto che un business, ha una funzione prioritaria: l’aggregazione. Bisogna far sì che tante piccole realtà si fondano affinché la nostra stessa società possa migliorare e intendere "il pallone" per quello che è: un gioco. La lezione dell’Heysel non deve essere dimenticata.

29 maggio 2015

Fonte: Oasport.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 29 MAGGIO 2015 

Tavecchio sull'Heysel: "Proporrò il ritiro della maglia n° 39 della Nazionale"

di Giovanni Capuano

La Figc raccoglie la richiesta dell'Associazione familiari delle vittime: "Gesto simbolico che dà il senso di un ricordo storico".

Il presidente della Figc, Carlo Tavecchio, proporrà al Consiglio federale il ritiro della maglia numero 39 della nazionale italiana come "gesto simbolico che dà il senso di un ricordo storico". Lo ha annunciato lo stesso Tavecchio intervenendo ai microfoni di Radio 24, ricordando la petizione lanciata dall'Associazione dei familiari delle vittime: "Sono d’accordo e, una volta formalizzata, porterò questa proposta in Consiglio Federale". La Figc sta lavorando all'organizzazione di un'amichevole contro il Belgio per il prossimo mese di novembre, gara da giocare nell'ex Heysel: "Stiamo trattando per fare la partita del ricordo con la Federazione belga . Mi auguro che avvenga per dare un segnale alle giovani generazioni". L'Heysel continua a restare, però, una tragedia che divide: "Io sento molto il problema della sicurezza degli stadi e l’ho sempre portato all’ordine del giorno per gli stadi piccoli della Lega Dilettanti dove c’è sicurezza e violenza - ha spiegato Tavecchio. La tragedia dell’Heysel l’abbiamo ricordata con un minuto di raccoglimento in Consiglio Federale per dare il giusto peso ad una tragedia quasi unica nella storia del calcio, con 39 morti. Questo deve essere un monito per le generazioni a cambiare atteggiamento, anche se non credo siamo ancora a buon punto".

31 maggio 2015

Fonte: Panorama.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 31 MAGGIO 2015 

Che pena l’Italia senza etica dello sport

di Diego Minonzio

Il 29 maggio 1985, chi scrive questo pezzo era comandante della guardia alla polveriera Cimabanche, sul passo montano a metà strada tra Dobbiaco e Cortina d’Ampezzo. Quello era il posto dove i colonnelli della caserma "Piave" spedivano i sottotenenti rompipalle, quelli che non tenevano la bocca chiusa e che, soprattutto, non sottostavano alle regole del nonnismo militare, molto più feroce tra gli ufficiali che nelle camerate dei soldati di leva. E proprio per questo, chi scrive si trovava lì una volta sì e l’altra pure, con il vantaggio però di prendere le 12mila lire al giorno in più per la missione e di avere il tempo per preparare gli esami universitari anche durante la naja, alla faccia dei vessatori e dei mobbizzatori con le stellette. Bene, quella sera, finito il turno di guardia e il controllo del percorso di quattro chilometri in mezzo a una maestosa natura buzzatiana, tutta la truppa si assembrò davanti a un vecchio televisore in bianco e nero dal segnale traballante per vedere la finale di Coppa dei Campioni tra Liverpool e Juventus. C’era di tutto, in quella tavolata che raccoglieva ogni più bieco luogo comune, tic, birignao e visione del mondo del tipico maschio italiano medio: operai bresciani, taglialegna tirolesi, muratori bergamaschi, fighetti milanesi, studenti universitari, apprendisti del legno-arredo, buzzurri delle valli, timidoni venuti giù dal Resegone, bambocci che piagnucolavano per la lontananza da mammà. Chissà che fine hanno fatto ? Chissà cosa saranno diventati adesso ? Magari cardiochirurghi, insegnanti di latino, reucci del tavolo del biliardo, spacciatori di cocaina, venditori di aspirapolveri, poeti falliti, molestatori dei giardinetti, sindacalisti pulciosi, catechisti dell’oratorio. Chissà. Già al solo vederli si capiva che avrebbero avuto destini incomparabilmente diversi e opposti, salvo quell’unico comune denominatore che venne fuori feroce e inaspettato in quella tragica serata. Il totale disinteresse per la morte dei tifosi allo stadio Heysel. Totale. Assoluto. Assordante. Definitivo. L’inferno, quello vero, che portò ben oltre i limiti dello scontro fisico, si scatenò al minuto 56, quando Boniek venne atterrato due metri fuori dall’area e l’arbitro, succube degli eventi, fischiò il più incredibile dei rigori. Gol. Partita. Coppa. Lì sì che, nella polveriera, saltò tutto per aria. Da una parte gli juventini a ridere e sghignazzare e sganasciarsi e sbellicarsi e piroettare per il furto con destrezza - "perché così è ancora più bello !" - e un roboante "cazzi loro !!" agli spiaccicati, tritati, massacrati della curva Z. Dall’altra gli ululati e la bava alla bocca e i fluidi verdognoli - "ladri, schifosi, maiali !!" - di tutti gli altri, che sbraitavano sulla vergogna della partita falsata, dei festeggiamenti di Platini, del trofeo grondante sangue, dell’arroganza dei padroni delle ferriere e tutto il resto di quella retorica moralisticheggiante con cui hanno infarcito trent’anni di rivendicazioni, ma che nascondeva un’unica, inconfessabile verità. Neppure a loro importava una mazza del massacro, ma solo che quelli avessero vinto la loro prima Coppa, che doveva quindi essere privata di qualsiasi valore. Una coppa impresentabile. A parti inverse, si sarebbero comportati allo stesso modo. È stato un post partita pazzesco, demoniaco, violentissimo, dove tutti quei ragazzotti hanno espresso in maniera grandguignolesca una radice di vigliaccheria e antisportività senza eguali, che però non rappresenta altro che la metafora mille volte ripetuta del rapporto marcio che esiste, almeno in questa repubblica delle banane, tra sport e vittoria, tra calcio e successo. E’ per questo che tutta l’ondata di indignazione sgorgata dopo gli arresti dei manager Fifa e la grottesca rielezione di Blatter, fa sorridere. Se ne straparla al bar, generalmente al terzo giro di bianchi, si trombona sul fatto che non si può più andare avanti così ed è uno scandalo e ai tempi del Mago e del Rocco era diverso e qui una volta era tutta campagna e intanto però, sotto sotto, si cerca di capire come questo ennesimo bubbone possa colpire la squadra nemica e aiutare la tua. Il resto, chissenefrega. Ne abbiamo avuto la prova provata durante Calciopoli, maestosa metafora e nemesi del truogolo di schifezze del circo pallonaro italiota. Ora facciamo una piccola scommessa con i lettori. Trovate uno juventino uno che dica che - a fronte di condanne in tutti i gradi della giustizia sportiva e di condanne o mere prescrizioni in quella penale - la Juve di quegli anni era governata da Tony Soprano e che in un paese serio sarebbe ripartita dall’Eccellenza. Trovate un interista uno che dica che le intercettazioni del buonanima Facchetti, se non fossero state prescritte, e il passaporto di Recoba avrebbero dovuto portare l’Inter dritta filata in serie B, altro che scudetto di cartone. Trovate un milanista uno che dica che la sceneggiata di Galliani a Marsiglia avrebbe meritato la radiazione a vita e che tra i passaporti tarocchi non c’era solo quello del Chino (che si ricordano tutti) ma pure quello di Dida (che non si ricorda nessuno). Trovatene uno, uno solo su milioni e milioni di tifosi e gli regaliamo un’auto aziendale. Ci piace vincere facile: non arriverà nessuno. Tutti ipergarantisti quando si finisce nella melma con la propria squadretta, tutti supermanettari quando un sospetto sfiora le altre. E poi dicono che non c’è niente di peggio della politica. La verità è che in Italia non esiste alcuna cultura sportiva, alcuna dimensione etica del sano confronto agonistico, della sua sapienza tecnica e valoriale, dove la stessa informazione è composta in larga parte da servi o da tifosi o da collusi e che quindi tutto il sistema galleggia su un’enorme ipocrisia di fondo. Fondi neri, scommesse clandestine, partite truccate, mazzette per i mondiali, ricatti dei procuratori, doping e cocaina, arbitri servili, piagnistei complottisti, ultras taglieggiatori, retorica moralista e inanità pratica. E’ tutto funzionale al baraccone e ci va tutto bene. Tutto. Basta che si vinca. A qualsiasi costo. Che pena. Altro che indignados… E questo vale anche per chi ha scritto questo pezzo, che se la tira tanto da Robespierre, ma che pur di veder vincere la squadra che ama e perdere quella che odia sarebbe disposto a tutto - a farsi prendere a torte in faccia, a picchiare una suora, a buttare un nano giù da una scarpata, a tutto: perché anche lui è esattamente come tutti gli altri.

31 maggio 2015

Fonte: Laprovinciadicomo.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 31 MAGGIO 2015 

Heysel, i livelli di responsabilità e l’ipocrisia del tifo

di Alberto Scotta

Chissà se qualcuno di voi si ricorda dove fosse la sera del 13 gennaio 2012, verso le 21.45. Senza andare a cercare su google credo sia difficile, ma vi aiuto io. Quella notte morirono 32 persone, tutte insieme in Italia, su una nave da crociera. Ecco ora avrete tutti in mente la tragedia, le polemiche e le mille ricostruzioni che ne seguirono. Vi faccio una domanda. Se chiedete a 100 persone di raccontarvi quella storia e di provare ad indicare il o i colpevoli c’è qualcuno che si aspetta che il discorso inizi così ? "Beh, sì una grande tragedia, ma i turisti che passavano al Giglio a fare le foto, beh quelli proprio non si potevano vedere, una vergogna, avrebbero dovuto restituire le loro macchine fotografiche e i loro smartphone". Questa metafora aiuta forse meglio a capire il primo punto chiave dell’unicità dell’Heysel. La differenza, enorme, tra la responsabilità penale e quella etica non c’è, viene annegata nell’ottusità del campanilismo calcistico, come in nessun’altra tragedia. Quante volte, e basta cercare sui giornali, social e su youtube in questi giorni, le responsabilità dei tifosi inglesi, dell’organizzazione calcistica e delle autorità belghe vengono equiparate senza soluzione di continuità a quella dei tifosi che esultano per una coppa insanguinata, dei giocatori che festeggiano pur essendo a conoscenza di una o più morti e della società Juventus che gioca comunque la partita e non restituisce la Coppa, peraltro alle stesse autorità condannate penalmente per la tragedia ? Ci sono 39 morti e questi morti non li hanno ammazzati né i tifosi della Juve a Bruxelles (per quanto alcuni di loro non fossero certo degli angioletti come dimostrano le immagini TV), né i tifosi che sono scesi in piazza quella notte a festeggiare una Coppa tanto desiderata e che non avevano probabilmente amici o parenti nella capitale belga, né Platini, Tacconi, Favero o Cabrini, né tanto meno Scirea, che esultò anche lui insieme a tutta la squadra, né la società Juventus, che fu costretta a giocare quella partita dalle autorità e che di Coppa ne restituì comunque implicitamente una. Già la Supercoppa 1985/86 non fu disputata perché l’anno precedente la vincitrice della Coppa delle Coppe fu l’Everton, a cui fu impedito di giocare in quanto inglese, lasciando di fatto quella coppa non assegnata. Possiamo stare qui a discutere fin che vogliamo sull’opportunità dei festeggiamenti, del giocare o meno quella finale per ordine pubblico, e pure di restituire o meno quella coppa, ognuno come giusto ha le sue idee, magari chi l’ha vissuto sulla propria pelle ha più elementi per giudicare, ma è giusto rispettare ogni punto di vista. Ma nessuno dei 39 corpi tornerà in vita, chiunque di noi, di voi, di fronte alla possibilità di salvarli avrebbe fatto re-wind e lasciato quella Coppa al Liverpool, ma i morti c’erano e non c’era una singola azione che ormai li avrebbe salvati, e la famiglia Juventus in tutta questa tragedia è stata solamente vittima. Dopo aver provato a dirimere la questione dei differenti livelli di responsabilità, vorrei provare a rompere un altro muro. Quello dell’ipocrisia del tifo che pretende di codificare le emozioni di tutti i suoi simili, annullando le sfaccettature e le sfumature di ogni singolo essere umano. Solo qualche anno prima, il 22 novembre 1981, succede un fatto terribile, uno dei migliori centrocampisti italiani viene atterrato da una ginocchiata e cade esanime a terra. Si teme per la sua vita, quando esce dal campo in barella nessuno sa se sia ancora vivo e se ce la farà, lo stadio è impietrito per qualche minuto, ma poi si gioca. La storia ci racconta che quel giocatore si salvò diventando l’anno seguente campione del mondo al Bernabeu insieme ad altri 21 azzurri, quel giocatore era Giancarlo Antognoni e quella partita allo stadio di Firenze continuò, la Fiorentina (che peraltro era in lotta proprio con la Juve per lo scudetto) rimontò segnando 2 gol proprio dopo l’incidente del suo numero 10 e vinse 3-2, nessuno uscì dallo stadio, nessuno chiese (giustamente) di restituire quei 2 punti al Genoa o alla FIGC, eppure un grande calciatore a pochi metri di distanza stava lottando per la vita. In un’altra notte, un altro epico numero 10 del nostro calcio, realizza un rigore, corre a prendere la palla per tornare velocemente a centrocampo, esulta di rabbia e carica (giustamente) tifosi festanti e compagni di squadra per andare a prendersi il pareggio. Quel campione è Francesco Totti e la notte è quella tragica dell’11 settembre 2001, i morti a NY forse non avevano la sciarpa giallorossa al collo, ma erano morti di tutti, della nostra civiltà, ma anche in quel caso qualcuno obbligò le squadre a scender in campo e i calciatori eseguirono, facendo il loro mestiere, ma nessuno mai si sognò di criticare per questo le società o i calciatori. Il mondo è fatto di episodi, che ognuno seleziona per raccontare la propria verità o giustificare le proprie idee, sarebbe bello che arrivassimo almeno sulle tragedie ad affogare i colori del tifo nell’unico colore della memoria, spogliandoci dai personalismi, restando pur sempre avversari, anche acerrimi, ma solo sul campo di gioco.

31 maggio 2015

Fonte: Canalejuve.it

ARTICOLI STAMPA e WEB 31 MAGGIO 2015 

www.saladellamemoriaheysel.it  Domenico Laudadio  ©  Copyrights  22.02.2009  (All rights reserved)