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ARTICOLI GIUGNO-DICEMBRE 2020
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GIUGNO-DICEMBRE 2020

ARTICOLI STAMPA e WEB GIUGNO 2020

35 anni fa la tragedia allo stadio Heysel di Bruxelles

Heysel, alla ricerca di una giustizia che non arriverà mai

Heysel: "Massacro per una coppa"

Camerano intitolerà un’area pubblica alle vittime dell’Heysel

ARTICOLI STAMPA e WEB LUGLIO 2020

Gorizia, emozionante mostra per il 35° anniversario del dramma dell’Heysel

La tragedia dell'Heysel nella mostra fotografica allestita dal circolo Heimat

La tragedia di Heysel - Bruxelles 29/5/85

Una mostra fotografica per non dimenticare l’Heysel

La storia di Otello Lorentini nell’e-book "I Giusti dello sport"

La storia di Otello Lorentini tra "I Giusti dello sport"

ARTICOLI STAMPA e WEB SETTEMBRE 2020

Un parco intitolato a Claudio Zavaroni

ANNIVERSARIO

35 anni fa la tragedia allo stadio Heysel di Bruxelles

di Pier Giuseppe Accornero

29 maggio 1985 - "Poche ore dopo la tragedia allo stadio Heysel di Bruxelles, da Liverpool cercarono l’Arcivescovo di Torino cardinale Ballestrero. Le telefonate furono parecchie per esprimere, a nome nella comunità di Liverpool, l’amarezza per il doloroso episodio.

"Poche ore dopo la tragedia allo stadio Heysel di Bruxelles, da Liverpool cercarono l’arcivescovo cardinale Anastasio Alberto Ballestrero. Essendo a Roma per l’assemblea della Cei (della quale era presidente 1979-1986 n.d.r.), i contatti con Torino vennero avviati con il vicario generale. Le telefonate furono parecchie per esprimere, a nome nella comunità di Liverpool, l’amarezza per il doloroso episodio". Con lo scrupolo del cronista di vaglia, mons. Franco Peradotto, vicario generale, raccontò il retroscena dello straordinario "incontro di riconciliazione" a Torino, dove il 18 giugno 1985 giunse una delegazione di Liverpool dopo la sciagurata notte dell’Heysel, dove 35 anni fa, la sera del 29 maggio 1985, si disputò la finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool e dove centinaia di tifosi inglesi ubriachi diedero l’assalto al settore dove erano asserragliati gli italiani. Una carneficina: 39 morti di cui 31 italiani, un inglese, belgi e di varie nazionalità (Ndr: 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi, 1 nordirlandese). La delegazione di Liverpool era composta da 29 persone: amministratori della città, deputati laburisti, conservatori, liberali, responsabili delle due squadre di calcio Liverpool ed Everton, rappresentanti delle tifoserie, l’arcivescovo cattolico mons. Derek Worlock, il vescovo anglicano David Sheppard. Era stato Worlock all’inizio di giugno a muovere i primi passi e trovò grande disponibilità in Peradotto: "La prima telefonata, a nome dei tre vescovi ausiliari, per dirci che a Liverpool si stava predisponendo una celebrazione di suffragio". Si realizzò così l’"incontro di pacificazione". "Non possiamo riparare il male che è stato fatto ma cominciamo a costruire un ponte di solidarietà e di pace tra Liverpool e Torino" disse appena sbarcato a Caselle, Hugh Dalton, presidente del Consiglio comunale. Aggiunse l’anglicano Sheppard: "Vogliamo condividere con la gente di Torino il nostro dolore. Abbiamo provato un grande senso di partecipazione al dolore degli italiani". Per mons. Worlock "è un’occasione per incontrare la gente di Torino e per ribadire la comune volontà di opporci con tutte le forze a ogni forma di violenza, specie negli stadi".

La delegazione fu ricevuta a Palazzo di Città. Nella Sala Rossa i discorsi di condanna della violenza dei tifosi che, ubriachi di birra e di fanatismo, provocarono l’immane tragedia, come disse il sindaco di Torino Giorgio Cardetti: "Il massacro ha visto il prevalere della volgarità e della stupidità in una situazione in cui nulla è rimasto del senso dell’agonismo sportivo come affermazione di abilità e bellezza, di eleganza e stile. La vera Liverpool siete voi che rendete omaggio alle vittime e chiedete scusa". Nobile il saluto di Dalton, presidente di Liverpool: "È difficile descrivere il senso di desolazione e dolore che pervade gli animi in ogni strato della nostra comunità". Elevato l’intervento del vescovo cattolico Worlock: "Veniamo in spirito di fratellanza a esprimere il nostro rammarico per il coinvolgimento dei nostri concittadini nella morte dei vostri concittadini". La sera della tragedia le due Cattedrali, cattolica e anglicana, "si riempirono di migliaia di persone in lacrime e preghiera". Mons. Peradotto parlò di "coraggioso e generoso gesto di fraternità e di serenità" e insistette "sulla necessità di educare i giovani a un sano modo di intendere e vivere l’agonismo sportivo e il sostegno alla squadra del cuore". Uno dei momenti più commoventi fu quando Dalton, lasciando i fogli del discorso, si rivolse alla vedova di Gioacchino Landini, uno dei tifosi juventini periti. La donna piangeva nei banchi del Consiglio comunale, accanto a un congiunto e al vicario generale Peradotto: "Signora Landini, niente può cancellare i fatti di quella sera. Purtroppo non possiamo restituire la vita a suo marito. Noi di Liverpool siamo a Torino per offrire la nostra amicizia. Questo era il modo migliore per esprimere sentimenti di tristezza, di cordoglio, di mestizia da allargare a tutti coloro che hanno sofferto per i morti e i feriti". La signora rappresentava le 32 famiglie italiane che avevano perso un congiunto. Dopo la cerimonia un uomo e una ragazza abbracciarono, sullo scalone del palazzo comunale, John Welsh, al quale poco prima il sindaco Cardetti aveva consegnato il sigillo, simbolo della città. L’uomo era Arnaldo Bonomi, giunto con la figlia da Rovigo per dire grazie a John al quale il tifoso juventino doveva la vita. La sera del 29 maggio "ero schiacciato da tutte le parti e tu hai tentato una prima volta di tirarmi fuori. Non ci sei riuscito, ma non hai desistito e mi hai salvato al secondo tentativo, un attimo prima che fossi travolto dalla caduta del muro". Poi gli incontri con la stampa e in Galleria San Federico, dove allora c’era la sede della Juventus. Il 19 giugno, vigilia della solennità della Consolata, patrona della diocesi, l’incontro più popolare, perché aperto al popolo. Presiedette la Concelebrazione l’arcivescovo Worlock, che parlò italiano con simpatico accento inglese. Assistettero il cardinale Ballestrero e il vescovo anglicano Sheppard. Nell’omelia Worlock disse: "Questo incontro non è facile, ma porta molta consolazione. Siamo venuti a esprimere le condoglianze per i morti e gli auguri ai feriti e siamo felici di incontrarvi nel santuario della Patrona. La nostra speranza è che dalla sciagura di Bruxelles possa nascere un insegnamento di carità, speranza, impegno contro la violenza, riconciliazione e pace". Ballestrero disse poche parole: "Questo momento ha bisogno di silenzio per fare spazio alla grazia del Signore nel cuore dell’uomo". Commentò l’arcivescovo cattolico Worlock: "Ci avevano detto che Torino è una città fredda. Invece abbiamo trovato un grande calore che ha facilitato la missione di riconciliazione. Torino è magnifica".

2 giugno 2020

Fonte Vocetempo.it

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Heysel, alla ricerca di una giustizia che non arriverà mai

di Francesco De Lisio

Non ho ricordi della notte dell’Heysel. Avevo appena due anni, mio padre mi racconta sempre che quella sera fu l’unica volta in vita sua che aveva convinto mia madre a guardare una partita di calcio in televisione, e da allora (comprensibilmente) mia madre non ha più voluto guardarne neanche una, nemmeno per sbaglio, nemmeno i rigori di Berlino 2006 ha voluto vedere. I tifosi della Juve, ammazzati da quelli del Liverpool, oggi chiedono ancora una giustizia, che sappiamo tutti, non arriverà mai. Gente che era andata a vedere una finale di coppa (orrendamente disputata, vinta, e persino quasi festeggiata) ed è tornata chiusa per sempre in una bara. Una giustizia che dovrebbe essere di tutti, perché quella notte è una pagina orribile di tutto lo sport italiano, non solo di noi "gobbi di merda" (scusate il francesismo, ma quando ci si rivolge a noi, la parola "di merda" per molti di voi è un intercalare, quindi mi abbasso un attimo al vostro livello per farmi capire meglio). Sono stato a Liverpool in vacanza una settimana dodici anni fa, con alcuni amici, abbiamo conosciuto gente del posto e parlato con i cittadini più diversi, dal tassista, al benzinaio, al gestore di pub, al nostalgico dei Beatles; tutti quanti ci hanno confessato il profondo senso di colpa e di vergogna che provano ancora i tifosi Reds nei confronti della Juventus e del suo tifo. Resta tuttavia, come nella più classica delle beghe di cortile, anche questa una tragedia di parte, con i morti di serie A e i morti di serie B; viviamo in un paese dove (giustamente) vengono sanzionate le curve che inneggiano all’eruzione del Vesuvio, e restano beatamente impunite le curve (Firenze su tutte, ma in buona compagnia di Napoli, Roma, Verona, Milano e mi fermo qui per decenza) che inneggiano tranquillamente, ogni anno, ai morti dell’Heysel. I nostri morti, che sono anche morti di tutti quelli che amano il calcio, non solo degli "juventini di merda". Io porto rispetto anche per chi non ci riuscirà mai, semplicemente perché non è abbastanza umano da riuscirci.

2 giugno 2020

Fonte Juventibus.com

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Heysel: "Massacro per una coppa"

di Luigi Minerva

Per raccontare quello che accadde all’Heysel Stadium di Bruxelles la sera del 29 maggio forse è meglio partire a ritroso. Dal 24 aprile 1985, data che forse, anzi verosimilmente, a molti non dice nulla. Persino ai tifosi juventini, eppure riguarda loro. Semplicemente la sera di mercoledì 24 aprile intorno alle 22:30 circa la Juventus Football Club, con una sofferta ma ininfluente sconfitta contro i francesi del Bordeaux, strappava il biglietto, l’ambito pass per la finale della Coppa dei Campioni, edizione 1984-1985. Erano le semifinali e la Juve era uscita vittoriosa nel doppio confronto con i transalpini, dopo un netto 3-0 a Torino e una sconfitta indolore 0-2 in Francia. L’altra sfida di semifinale vedeva invece fronteggiarsi Liverpool e Panathinaikos, con gli Inglesi che fecero un sol boccone dei greci del "Pana" con il punteggio complessivo di 5-0. Quindi finale Juve-Liverpool, lo stadio designato per l’attesissimo match sarebbe stato l’Heysel di Bruxelles. Uno stadio "vissuto" quello della capitale belga, che ha già ospitato l’ultimo atto della Coppa dei Campioni ben tre volte in passato: nel 1958, nel 1966 e nel 1974. Uno stadio vecchio ? Forse sì, ma evidentemente abituato a questo tipo di eventi. E quando qualcuno si era chiesto se ci si doveva preoccupare per l’ordine pubblico i belgi e l’UEFA avevano risposto di no, promettendo la massima attenzione. Ma in quegli anni eravamo nel pieno dell’esplosione del tifo organizzato. In Inghilterra si chiamavano hooligans e, purtroppo, sia in patria che in Europa si lasciavano alle spalle spesso episodi di violenza. Anche in Italia c’erano gli ultras e, se da piccoli eravamo cresciuti con modelli come il Presidente Pertini, che nella finale mondiale Spagna 1982 al 2-0 per noi, per dare compostezza alla sua esultanza si abbottonò la giacca, di colpo nel calcio nostrano ci si doveva abituare a uno slang del tifo un po’ più "esposto"… Per essere gentili.

Quindi Juve-Liverpool era considerata una partita a rischio. Come detto lo stadio Heysel era vecchio ma abbastanza facile da dividere in settori. Le due grandi tribune una di fronte all’altra e le due curve, con i settori M, N, O da una parte e X, Y, Z dall’altra. Tutti e tre i settori M, N, O furono assegnati al tifo organizzato italiano, mentre agli hooligans inglesi andarono i settori X e Y. Il settore Z invece fu destinato ai tifosi neutrali di casa. Ma quanti immigrati italiani vivevano in Belgio in quegli anni ? Tanti. E accade che molti, moltissimi biglietti di quel famigerato settore Z furono rivenduti agli Italiani fuori dal circuito del tifo organizzato, a quelli che vanno allo stadio, per intenderci, con la famiglia e il panino con la frittata. Agli Juve club insomma. E così fu. Intanto passavano i giorni e la tanto attesa data della partita si avvicinava. Il 29 maggio 1985 infine era arrivato. La capitale belga si colorò sin dal mattino dei tifosi delle due squadre; dall’alba alle ore prima del match: dalla "Grand Place" alle vie che portavano allo stadio tutto era trascorso in maniera tranquilla malgrado il chiasso, con le due tifoserie che in sporadici e spontanei episodi si erano anche scambiate gadgets, sciarpe a magliette.

Forse a sprazzi qualche avvisaglia degli scalmanati inglesi c’era stata, qualche piccolo disordine con un ricoverato in ospedale al mattino, ma poca roba, niente più, tutto sembrava essere sotto controllo. L’ingresso allo stadio iniziò intorno alle 16:00, con le porte d’entrata che colpirono molti per quanto erano piccole. "E se succede qualcosa da dove si esce ? Siamo tanti…". Domanda buttata lì e poi rimossa. Doveva essere un giorno di festa. Alle 19 il tramonto stava occupando il cielo di Bruxelles, gli Inglesi avevano continuato a buttar giù fiumi e fiumi di birra, erano ubriachi e, una volta dentro lo stadio, quando si ritrovarono gli Italiani nel settore affianco, quello dei biglietti rivenduti, il settore Z, iniziarono a lanciare bottiglie, pietre, lattine. La tensione stava iniziando a montare. La famosa "rete da pollaio" - tutta la stampa i giorni successivi la definì cosi - che divideva le due tifoserie fu facilmente divelta dagli hooligans che iniziarono a caricare i tifosi italiani inermi. Erano le 19:25 quando la carica degli Inglesi venne ripresa dalle telecamere con in sottofondo il cartellone luminoso dello stadio che augura "a tutti i presenti una buona e piacevole permanenza nello stadio Heysel".

Il paradosso… Intanto il "take and bend", letteralmente "prendi la curva" degli Inglesi continuava e, come un’onda del mare che si ritrae e ritorna più forte, si abbatteva contro i tifosi italiani. E mentre quei pochi gendarmi presenti scappavano i tifosi italiani venivano compressi lungo il muro di cinta dello stadio e la recinzione che divide dal campo di gioco. Era la fine. Moltissimi di loro rimasero schiacciati, un pezzo di muro crollò dando spazio nel caos più totale a una parte di tifosi che riuscirono a uscire dalla asfissiante calca e, quando i poliziotti decisero di aprire i cancelli che portavano al campo da gioco, era già troppo tardi. Molti corpi rimasero a terra, trentanove per l’esattezza, più oltre seicento feriti. La banalità del male si era compiuta. Per la cronaca la partita alla fine si giocò lo stesso, per motivi di "ordine pubblico" (almeno questa fu l’algida spiegazione degli organizzatori) e con un’ora abbondante di ritardo. Come tutti sappiamo la Juventus vinse 1-0 grazie a un rigore concesso molto generosamente dall’arbitro svizzero Daina per un fallo su Boniek decisamente fuori area.

Anni dopo, quando all’arbitro chiesero lumi su quell’errore rispose: "Arbitrare una partita così, con poliziotti a bordo campo come in uno stato di guerra, non è stato semplice". Ben venga chi vuol leggere tra le righe ma ai posteri, quando qualcuno disse che quella Coppa era insanguinata e che la Juventus la doveva restituire, venne spontaneo rispondere che in fondo la Juve a quella finale era arrivata giocando e che, probabilmente, dopo le vittime e le loro famiglie era anch’essa parte lesa. E allora ? Come chiudere un articolo così e rispondere agli interrogativi posti ? Forse con la riflessione di lasciare questa coppa a chi ce l’ha, che la possa dedicare a chi non c’è più e tenerla come simbolo, a granitico monito, affinché tutto ciò in futuro non accada più. Anche perché trovare le giuste parole per chi ha vissuto quella tragedia, chi ha perso amici, fratelli, padri o figli, sinceramente non crediamo sia possibile. Nessuna parola può lenire quel dolore… Si può solo promettere con voce sommessa e rispettosa che tutto ciò in futuro non dovrà più accadere. Alle vittime più giovani di quel triste giorno. Dedicato ad Andrea Casula e Giuseppina Conti.

5 giugno 2020

Fonte: Magazzininesistenti.it

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Camerano intitolerà un’area pubblica alle vittime dell’Heysel

Sì unanime del Consiglio comunale per individuare uno spazio idoneo in collaborazione con il circolo Camerano Bianconera.

Camerano, 21 giugno 2020 - La sera del 29 maggio 1985 è una data impressa in modo indelebile nella storia del calcio e nel cuore e nella mente di milioni di tifosi italiani, inglesi, belgi e del mondo intero. Ma pure di tanti tifosi cameranesi presenti quella sera. Belgio, Bruxelles, Stadio Heysel, finale di Coppa Campioni. In campo, a contendersi il trofeo, i giocatori di Juventus e Liverpool. Sugli spalti gremiti di tifosi, circa un’ora prima del calcio d’inizio (19.20), i tifosi del Liverpool (un misto di hooligan ed headhunters i violentissimi tifosi del Chelsea), cercano di appropriarsi del fatidico settore Z dello stadio occupato da tifosi juventini non appartenenti al tifo organizzato. Ripetuti attacchi che alla fine producono una strage: 39 morti, dei quali 32 italiani (tra questi un bimbo di 10 anni) e 600 feriti. Il resto è storia. Tragica, vergognosa, incancellabile. Con i processi che seguirono tutti concordi nell’attribuire le colpe ai soli tifosi inglesi. Una storia che diversi cameranesi possono raccontare perché presenti quella sera all’Heysel e perché, per fortuna, rientrati tutti a casa sani e salvi. A 35 anni di distanza da quella strage, il circolo Camerano Bianconera ha chiesto all’Amministrazione comunale di valutare la possibilità d’intitolare uno spazio pubblico alle vittime dell’Heysel. Richiesta ripresa con una mozione portata in Consiglio comunale da Lorenzo Rabini, capogruppo di Operazione Futuro, e discussa dall’assise lo scorso 18 giugno. Un atto d’indirizzo che il Consiglio comunale ha votato all’unanimità impegnandosi ad individuare un’area idonea. "La politica sa regalare anche queste belle emozioni - commenta Lorenzo Rabini - proprio nel momento in cui un Consiglio comunale, scevro di ogni considerazione di parte, capisce bene il senso di una mozione, di un atto di indirizzo, comprende appieno le finalità, il perché sia stato presentato e la storia che c’è dietro a fatti, persone, momenti che entrano anche a  pieno titolo nella storia della tua comunità locale". Ed è indubbio che il circolo Camerano Bianconera, nei due anni dalla sua fondazione, sia entrato a pieno titolo nella realtà cameranese superando il semplice discorso di parte dovuto ai colori sportivi e al tifo. Un Club che si è subito contraddistinto non solo per l’organizzazione dei locali con spazi ampi ed accoglienti, ma anche per la grande partecipazione che conta oltre 200 soci e le tante iniziative sportive, sociali e di beneficenza che ne hanno fatto in breve tempo un’associazione comunitaria fra le più vive, attive ed impegnate a livello locale. "Ringrazio l’assessore allo Sport Marco Principi - ha detto Rabini in conclusione - che a nome del gruppo di maggioranza ha fatto un intervento in Consiglio comunale molto importante e significativo, non solo a ricordo di quanto avvenne ed il coinvolgimento di nostri concittadini, ma dando forte importanza e valore a quanto oggi lo Juve Club sta facendo nell’ambito del mondo dell’associazionismo di Camerano". Ora, dopo che il Consiglio comunale ha votato l’atto di indirizzo, sarà compito della Giunta in collaborazione con Camerano Bianconera attuare la volontà consiliare, definendo modalità, tempi e luogo per rendere omaggio alle vittime dell’Heysel.

21 giugno 2020

Fonte: Corrieredelconero.it

ARTICOLI STAMPA e WEB GIUGNO 2020  

Gorizia, emozionante mostra per il 35° anniversario del dramma dell’Heysel

Sarà un appuntamento di respiro quantomeno nazionale quello ospitato nelle sale dell’Associazione Culturale Heimat dal 10 luglio al 31 luglio 2020 (orario di apertura dal lunedì al sabato dalle 15.30-20.30).