Dall'evento di
Targia a Torino al Ricordo di Reggio Emilia
Tra letture e cerimonie
l'intitolazione di una via
Fra le tante iniziative che
hanno costellato la giornata di ieri, dedicata da ogni
tifoso juventino alla memoria della tragedia
dell'Heysel, toccante è stata la lettura di Emilio
Targia nel Palazzo della Regione Piemonte a Torino. Il
giornalista e scrittore ha dato vita e voce al suo libro
"Quella notte all'Heysel", accompagnato dal
fisarmonicista Gianluca Casadei. Quarantacinque minuti
intensi, nei quali si è ripercorsa la storia di quella
tragica serata e del giorno seguente con lo sguardo di
un ragazzo (lo stesso Targia, perché il libro racconta
la sua vera storia del 29 maggio 1985 a Bruxelles),
partito per andare a vivere l'immensa gioia di una
finale di Coppa dei Campioni e diventato, suo malgrado,
testimone di una delle più immani tragedie del calcio.
Il reading, promosso dall'assessore Fabrizio Ricca, è
stata l'occasione per "fare manutenzione alla memoria,
perché senza la memoria saremmo solo luci spente", ha
detto Targia nella chiusura, molto significativa, sul
senso delle iniziative del 29 maggio. Una data spesso
dimenticata dai tifosi della Juventus in passato, ma che
negli ultimi quindici anni ha ripreso a essere ricordata
e celebrata degnamente. Anche dal Comune di Torino, che
ieri sera ha illuminato la Mole Antonelliana di
bianconero, con il numero 39, in ricordo delle vittime
della tragedia dello stadio Heysel, quando a causa della
pessima organizzazione della finale di Coppa Campioni,
morirono uomini, donne e bambini, schiacciati dalla
carica degli hooligans inglesi. "Il grido di dolore e di
giustizia per le 39 vittime della strage dell'Heysel ci
unisce nel ricordo commosso e nella volontà di coltivare
la memoria di una delle pagine più tristi della storia
internazionale dello sport, affinché non si debbano più
vivere giornate drammatiche come quella", ha dichiarato
in una nota il presidente della Figc Gabriele Gravina. E
tante sono state le squadre che hanno ricordato sui
social la tragedia, a partire dalla Fiorentina. Un gesto
significativo, visto che spesso proprio Firenze è stata
teatro di gesti ignobili da parte di una stupida
minoranza del tifo viola. "29 Maggio 1985 - 29 Maggio
2022. Il rispetto non conosce colori", il testo del
messaggio pubblicato sul proprio profilo Twitter dalla
Fiorentina, usando l'hashtag #Heysel. Mentre a Liverpool
sono stati lo stesso Jurgen Klopp e il capitano
Henderson a ricordare la tragedia, deponendo fiori
davanti a una lapida di Anfield. A Reggio Emilia, di
fronte al monumento "Heysel" dello scultore fiammingo
Gido Vanlessen, un momento di ricordo con la presidente
e fondatrice del Comitato "Per Non Dimenticare Heysel"
di Reggio Emilia e i nomi delle 39 vittime letti dallo
scrittore Riccardo Gambelli. Significativo, inoltre, che
proprio a Reggio Emilia, nei pressi del monumento sia
stata intitolata una via a "Claudio Zavaroni e tutte le
vittime Heysel 29.05.1985". Tanti, infine, i giocatori
che hanno voluto partecipare. Fra questi vale la pena
ricordare l'ultimo arrivato bianconero Dusan Vlahovic e
due veterani di sempre come Alessandro Del Piero e
Claudio Marchisio.
30 maggio 2022
Fonte: Tuttosport
Il Maggio dei libri
2021 presenta
"Quella notte
all’Heysel": finale di Coppa Campioni
di
Maria Salomone
Per il Maggio
dei libri 2021 in primo piano, oggi, venerdì 28 maggio,
"Quella notte all’Heysel". Appuntamento, alle ore 19:30,
per la presentazione on-line. Aprirà i lavori
l’Assessore Benedetto Merulla. Interverranno Juliana
Bodnari, presidente del Comitato "Per non dimenticare
Heysel", Stefano Tacconi, ex portiere, Andrea Lorentini,
presidente associazione vittime Heysel, ed Emilio Targia
autore del libro. Modereranno Francesco Anania e la
Prof.ssa Katia Trifirò. Si ritornerà con la memoria al
29 maggio 1985, quando allo stadio "Heysel" si disputò
la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e
Liverpool, si disputò alla partita delle partite. Emilio
ha diciotto anni e ce l’ha fatta: è lì, con il
biglietto per entrare allo stadio, insieme all’amico di
sempre, Giampiero. Nello stadio, tra canti e battiti di
mani, un’atmosfera da incantesimo. "Bastò un click
sull’interruttore a far svanire il calore di quel sole.
A precipitarci nel gelo. Mani che di colpo ora servivano
a proteggersi. Canti tramutati in urla". Chiunque voglia
seguire la diretta potrà collegarsi alla pagina Facebook
del Comune di Santa Lucia del Mela, nel Messinese.
28
maggio 2021
Fonte: Messina7.it
Santa Lucia Del Mela -
questa sera alle ore 19:30
la presentazione del
libro "Quella notte all’Heysel"
di
Giuseppe Ruggeri
Si
terrà questa sera alle ore 19:30 in diretta facebook
sulla pagina ufficiale del Comune di Santa Lucia Del
Mela https://www.facebook.com/santaluciaofficial la
presentazione del libro "Quella notte all’Heysel"
scritto da Emilio Targia. La presentazione odierna si
inserisce e conclude l’iniziativa denominata "Maggio dei
libri". Il libro narra di una delle pagine più brutte
del calcio, e in maniera particolare è un tristissimo
ricordo nelle menti dei tifosi juventini, infatti il 29
Maggio 1985 allo stadio Heysel a Bruxelles morirono in
maniera atroce 39 persone che si erano recate in Belgio
per assistere alla finale di Coppa Campioni fra la
Juventus e il Liverpool. Nel dettaglio ecco come
presenta l’evento il Comune Luciese: Maggio dei
libri
- Il 29 maggio
1985, allo stadio Heysel, finale di Coppa dei Campioni
tra Juventus e Liverpool, la partita delle partite.
Emilio ha diciotto anni e ce l’ha fatta: è lì, con il
biglietto per entrare allo stadio, insieme all’amico di
una vita, Giampiero. Nello stadio, tra canti e battiti
di mani, c’è una chimica speciale che assomiglia a un
incantesimo. "Bastò un click sull’interruttore a far
svanire il calore di quel sole. A precipitarci nel gelo.
Mani che di colpo ora servivano a proteggersi. Canti
tramutati in urla". Venerdì 28 maggio alle ore 19.30
segui la diretta dalla pagina Facebook del Comune di
Santa Lucia del Mela. Programma: Saluti dell’Assessore
Benedetto Merulla - Iuliana Bodnari (Presidente Comitato
PER NON DIMENTICARE HEYSEL) - Stefano Tacconi (ex
calciatore) - Emilio Targia (Autore del libro) - Andrea
Lorentini (Presidente Associazione Vittime Heysel).
Moderano l’incontro la Prof.ssa Katia Trifirò e
Francesco Anania. Complimenti al Comune di Santa Lucia
Del Mela e in particolare all’Assessore Comunale
Benedetto Merulla per questa lodevole iniziativa
culturale.
28
maggio 2021
Fonte: Nicetotv.it
L’Heysel, la Storia, la
Memoria
di Emilio Targia
La bellezza del calcio. In
Inghilterra, del "Football". Ci pensavo qualche giorno
fa, mentre in campo a Liverpool tutti piangevano dopo
l’impresa contro il Barcellona in Champions League. E
quell’inno fantastico, "You’ll never walk alone", e i
brividi che si respiravano nell’aria, dentro a quel coro
avvolgente. "Come si può - mi chiedevo - trasformare
tutta questa bellezza in orrore ? Come si può deragliare
in modo così volgare e violento da una simile magia ?".
Come è potuto succedere, dunque, quel pomeriggio di 34
anni fa ? Chi spense l’interruttore di quella gioia
fanciullesca per infilarci tutti dentro a un incubo
assurdo ? Chi aumentò i giri di quella giostra fino a
farci finire dentro a un frullatore impazzito ? Sappiamo
chi. Sappiamo come. Sappiamo della assurda
concatenazione di errori e negligenze che provocarono
quella strage. Quello schiaffo che interruppe la chimica
di quella magia, di quell’attesa festante dentro a un
pomeriggio di luce e di migliaia di bandiere impazienti.
L’urlo di un ragazzo: "Guardate laggiù ! Nell’altra
curva ! Gli inglesi caricano ! Caricano !". Poi le
notizie che rimbalzarono veloci, imprecise,
frammentarie, concitate. Mentre gli altoparlanti
gracchiavano surreali inviti alla "calma". L’unica
pratica impossibile in quella centrifuga di rabbia e
paura. Altro che calmi. Eravamo arrabbiati. Spaventati.
Impotenti. E quello stadio, ormai, era come una stanza
satura di gas che poteva esplodere alla prima scintilla.
In cielo, beffardi, sfrecciavano addirittura degli aerei
militari. Un altro rumore assurdo e surreale che piombò
su di noi. I nostri pensieri angosciati rivolti alle
nostre famiglie, gli amici, ai quattrocento milioni di
persone che davanti alla tv scopriranno di essere in
diretta con una guerra e non con una finale di Coppa dei
Campioni. Lo stadio era un campo di battaglia, e sopra
di noi arrivarono anche alcuni elicotteri. Dei Puma
bianchi e rossi. "Il muretto non c’è più, è crollato ! È
crollato !" L’urlo disperato di una ragazza ci spinse a
guardare nuovamente verso il settore Z. Era vero, il
muretto non c’era più. Cristo santo. Saranno caduti di
sotto ? Magari si sono salvati proprio grazie al crollo.
O erano troppo in alto per sopravvivere ? Saranno caduti
uno sull’altro ? Si moltiplicavano le domande, e come al
solito, nessuno poteva risponderci. Non in quell’attimo,
non lì. Angoscia senza risposta. L’odore di bruciato
nell’aria infettava le narici. Irritava la gola. Poi
quel sussurro che passò di bocca in bocca, e quando
arrivò fu come un pugno nello stomaco: "sono morti in 7
in quella calca". "No sono 20, forse 21…". O forse sono
di più. O forse non era vero. Nessuna certezza. Ma era
qualcosa che ti cambiava il respiro, il battito del
cuore. Come se il braccio di una gru ti agganciasse e ti
tenesse sospeso per un attimo sopra lo stadio,
costringendoti ad astrarre per capire, per comprendere,
per salvarti. Un attimo soltanto, poi la gru ti molla e
ti ributta giù, in quell’incubo, senza riguardo.
Intanto, gli altoparlanti dello stadio continuavano a
diffondere messaggi personali: "Francesco Rossi comunica
al cugino Daniele di aspettarlo di fronte all’ingresso
tribune". E così via. Lentamente, il prato sembrò
svuotarsi. Confusamente. In sottofondo, urla, cori,
elicotteri. E gli zoccoli dei cavalli sulla pista di
atletica. Alle 21.30 su tutto quel rumore di fondo, così
estraneo a un campo di calcio, si appoggiò come un
abbraccio la voce di Gaetano Scirea, il capitano della
Juventus. Arrivò chiara e dolce, nonostante il riverbero
metallico dell’amplificazione: "La partita verrà giocata
per consentire alle forze dell’ordine di organizzare
l’evacuazione del terreno. State calmi, non rispondete
alle provocazioni. Giochiamo per voi". Dio. Finalmente
una voce. Qualcuno che ci parlò, che si rivolse a noi
per dirci qualcosa, qualunque cosa. Eravamo tutti
prigionieri dentro a una specie di bolla. Si accesero i
riflettori, il prato sgombro. Sgombro ma non libero.
Circondato, piuttosto. Da centinaia di poliziotti in
assetto antisommossa. Almeno mille, o duemila, se non di
più. Avevamo forse sognato ? Galleggiavamo su qualcosa
che non capivamo. Ci guardavamo negli occhi l’uno con
l’altro, in preda alle domande e allo smarrimento.
Cercavamo un linguaggio comune. Un appiglio. Come
congelati dentro quello stadio che ormai era lontano da
noi, lontano da tutto. Zombies che camminavano sulle
macerie di un sogno. Eravamo allo stadio Heysel, ma
anche altrove. In un non-luogo privo di risposte certe.
Guardammo la partita come attraverso un vetro. Le
immagini sfocate, l’audio attutito. Il tempo rallentato.
Tuttavia, tentammo ugualmente di agganciare il nostro
sguardo al pallone che rotolava, di farci catturare e
"stordire" da quella partita. Ne avevamo un disperato
bisogno, per metabolizzare qualcosa che era parecchio
più grande di noi, e che rischiava di travolgerci. Che
ci aveva già travolto e risucchiato. In cima al settore
M della nostra curva, un bengala rosso illuminò lo
striscione dello Juventus Club Torino, che non era stato
rimosso come gli altri. Una illusione di normalità. Dopo
la partita, fecero uscire prima i tifosi inglesi, con
grande celerità. Continuammo a fissare i riflettori
dell’Heysel, il campo verde ormai vuoto e il rosso ocra
della pista di atletica, del tutto inghiottita
dagli
stivali dell’esercito belga, che occupava ogni corsia.
Dopo pochi minuti non c’era più nessuno nel settore
degli inglesi. Il bloc Z restava intanto muto e deserto,
immerso nel suo dolore assurdo e innocente. Oggi. Oggi
occorre preservare la memoria di quella notte.
Proteggerla dalle imprecisioni, dalle infiltrazioni,
dalle approssimazioni. Una volta, per ricordarsi
qualcosa di importante, si faceva un nodo al fazzoletto.
Non c’era il bip di un telefonino, ma un semplice nodo
di stoffa. Per la scrittrice americana Barbara
Kingsolver "la memoria è una faccenda complicata, è
imparentata con la verità ma non è la sua gemella". A me
piace pensare che si possa imbrigliare il destino di
questa frase. Se non sovvertirlo. E che nel caso
dell’Heysel la memoria possa diventare almeno sorella
della verità. Possa provare a far immaginare il dolore,
quel dolore di cui nessuno parla mai. Occorre educare
alla memoria. E occorre fare manutenzione. A me piace
pensare alla manutenzione della memoria come ad un
lavoro in cui sporcarsi le mani quotidianamente, tra
grasso e bulloni, e viti e colla e chiodi e vernice.
Fino a quando, un bel giorno, chissà, nell’ennesima
discussione al bar o sui social su quel 29 maggio, la
smetteranno di rivolgersi a noi con le solite frasi
fatte, e cominceranno a chiederci, finalmente, di
raccontare loro la vera storia dell’Heysel. E la storia
di Nino, di Andrea, di Francesco, di Giuseppina, di
Roberto, di Loris…
29 maggio 2019
Fonte:
Juventibus.com
JUVE/LA
RICORRENZA
Ora l'Heysel deve unire
e non dividere
di Guido Vaciago
A 34 anni dalla
tragedia in cui morirono 39 persone sono tante le
iniziative per non dimenticare: affinché le vittime non
siano solo tifosi della Juve ma appartengano a tutti
quelli che amano il calcio.
MEMORIA E RISPETTO. Il 29
maggio è sempre una buona occasione per fare il
tagliando alla memoria, una piccola ma necessaria
manutenzione della coscienza nella data della tragedia
dell’Heysel. Sono passati 34 anni dal quel mercoledì
nero del 1985, quando a Bruxelles morirono 39 persone
nello stadio che ospitava la finale di Coppa dei
Campioni fra Juventus e Liverpool; dimenticarle o
trascurarne il ricordo non è meno grave della criminale
demenza di chi ancora le insulta negli stadi. Ma forse
si può fare di più, andare oltre nel pensare quella
notte, metabolizzando ogni volta il dolore; si può
iniziare a parlare delle vittime senza indicarle come
tifosi della Juventus, ma semplicemente come tifosi o
appassionati di calcio, per comprendere fino in fondo
che l’Heysel è una tragedia di tutti quelli che amano
questo sport, che l’Heysel è un buco nero che ha
inghiottito una parte dell’innocenza di un popolo più
ampio e globale. Sarebbe un altro passo avanti, uno dei
molti che per fortuna sono stati fatti da allora perché
se l’Heysel diventasse finalmente di tutti e non solo
dei tifosi juventini, non solo si combatterebbe meglio
l’aberrazione di chi sfrutta quelle morti per insultare,
ma si capirebbe che anche nella tragedia il calcio e lo
sport sono fatti per unire e non per dividere, per
solidarizzare e non per ghettizzare. Questa sera alle
ore 21 nella Sala delle Colonne del Comune di Torino, ve
ne sarà un’eccellente occasione grazie all’Associazione
"Quelli di via Filadelfia" di Beppe Franzo che, con il
patrocinio del Comune, organizza una serata con il
giornalista Emilio Targia, autore del libro "Quella
notte all’Heysel" (tutto potrà essere seguito in
streaming sul sito di Radio Radicale ed è solo una delle
tante iniziative che sono state indette in tutta Italia
già dai giorni scorsi e che si svolgeranno anche nei
prossimi, come il Torneo di calcio per i bambini dello
Juventus Club Meda). Questa sera Targia terrà un
monologo tratto dal suo libro e ne seguirà un dibattito
con i presenti in sala. E una piccola scheggia di
memoria impreziosirà la serata, perché verrà proiettato
un momento di una presentazione del libro nel 2015.
Ospite, in quell’occasione, era Felice Pulici, l’ex
portiere della Lazio e dell’Ascoli, che nulla c’entrava
con la tragedia del 1985 se non per il fatto di essere
uno sportivo sensibile, un uomo intelligente e una
persona degna. Pulici non conosce i dettagli della
tragedia, li ha appresi dal libro, che lo ha commosso.
Quel giorno vuole leggere uno dei passaggi più
devastanti, quello in cui nell’inferno della Curva Z,
muoiono il piccolo Andrea Casula e il padre Giovanni,
partiti da Cagliari per assistere insieme alla partita,
una gita da sogno fra padre e figlio. Pulici legge con
trasporto, si commuove più volte, piange, ma riesce a
finire. Non sa che quella ragazza tra il pubblico, anche
lei visibilmente commossa, è la sorella di Andrea. Oggi
quelle immagini commuovono ancora di più al pensiero che
lo scorso dicembre è mancato anche Pulici. Ma quel
momento rimane e verrà rivissuto questa sera, proiettato
insieme ad altre immagini girate proprio da Targia quel
tragico 29 maggio con la sua telecamera Super8. E quel
momento sarà importante per chi vorrà capire
l’universalità della tragedia dell’Heysel che, a 34 anni
di distanza, deve diventare un ricordo comune per il
mondo del calcio. Come ha già iniziato a fare domenica
scorsa, quando è comparso un fiore meraviglioso allo
stadio Grande Torino sotto forma di bandiera granata con
la scritta "+39 rispetto". L’iniziativa è stata voluta
dal Museo del Grande Torino e della memoria granata, cui
va un plauso, e sembra il proseguimento di un bel
dialogo iniziato con lo striscione per i caduti di
Superga apparso, in occasione del derby, all’Allianz
Stadium. Se non vogliamo altri Heysel e se vogliamo un
futuro più sano e salutare per il nostro calcio questa è
l’unica strada possibile: memoria e rispetto. Sempre.
29 maggio 2019
Fonte: Tuttosport
Heysel #persempre: quei
momenti nel Bloc Z
di Emilio Targia
ll giorno seguente, il 30
maggio del 1985, volli tornare allo stadio Heysel. Forse
perché ancora non avevo capito quel che era successo,
non lo avevo realizzato. Forse solo per istinto, per una
urgenza del cuore, per gli insondabili motivi che
spingono tutti noi a gesti che sentiamo come
irrinunciabili, urgenti, doverosi. Entrare, con un mazzo
di margherite in mano, non fu facile. Ma alla fine, dopo
aver alzato parecchio i toni della voce, gli agenti mi
fecero entrare. Una volta dentro, mi ritrovai in un
silenzio irreale. Guardare il bloc Z faceva gelare il
sangue. Un attimo, serviva un bel respiro. Attraversai
la pista di atletica e raggiunsi la curva. Di fronte,
uno spettacolo difficile da dimenticare. Le gradinate
erano un vero e proprio campo di battaglia. Il vento
sibilava e sbatteva contro il nastro di plastica bianca
e rossa che delimitava l’area della strage. Era l’unico
rumore che spezzava quel silenzio terribile. Mi
avvicinai con discrezione. In terra una lunga sequenza
di sciarpe, bandiere strappate, brandelli di vestiti,
giornali. E poi panini ancora incartati nel cellophane,
calzini, bottigliette, cappellini, cinture, felpe,
occhiali, buste di plastica. E scarpe. Tante scarpe. Il
sogno di tanti tifosi spogliato. Offeso. Violentato.
Salii sulle gradinate, lentamente, passando sotto la
recinzione di plastica. I gendarmi lì intorno mi
fissarono, senza fermarmi. Raggiunsi il punto in cui il
muretto cedette. Gli oggetti a terra erano tantissimi.
Fu una sensazione terribile, come camminare sopra un
sudario, su una gigantesca sindone di cemento andato a
male. Rallentai ancora il passo, per non disturbare quel
luogo ancora così fresco di dolore. Le balaustre di
ferro erano completamente piegate. Il peso della folla
in fuga le aveva divelte come fossero state di burro.
Tutto, era di burro, in quello stadio. Continuai a
salire con circospezione, quasi in punta di piedi, senza
calpestare nessuno degli oggetti in terra, che
fotografavano in modo impressionante quel che era
accaduto poche ore prima. Quegli oggetti sembravano
fissarmi. Sembravano urlare, dentro a quel silenzio
assurdo. Macerie di guerra, eppure oggetti vivi. "Voglio
solo abbracciarvi" pensavo tra me e me. Lasciare un
mazzo di fiori, interrompere per un istante quello
strazio senza senso. E senza amore. Senza perché. Solo
un po’ di calore nel gelo di quella curva che nessun
sole riuscirà più a scaldare. Posai il mio mazzo di
margherite vicino al muretto crollato e restai lì, in
ginocchio, di fronte a quell’abisso. Non so per quanto.
Forse 5 minuti, forse di più. Chiusi gli occhi, pensai e
ripensai alla sera precedente, forse sciolsi una
preghiera. Poi scesi piano le gradinate, fissai ancora
tutti quegli oggetti in terra, che ancora sembravano
chiedere aiuto. Feci fatica ad andare via. Mi sentivo in
colpa. Avrei voluto restare lì, a proteggere quel luogo,
quegli oggetti, quelle sciarpe. Il vento che aumentava
alle spalle mentre scendevo dal Settore Z disegnava una
specie di sibilo, di respiro, quasi un lamento. Mi
vennero i brividi. Alla fine mi girai, per accomiatarmi
con un ultimo sguardo da quella curva maledetta. E mi
inchinai ad accarezzare l’ultimo gradino, come fosse una
cosa viva. In mezzo alle sciarpe e alle scarpe, sassi,
vetri, bulloni. L’arsenale operaio degli assassini. I
proiettili a buon mercato degli hooligans.
29 maggio 2018
Fonte: Juventibus.com
NDR: Nella foto a seguire Emilio Targia
immortalato nel gesto raccontato 30 anni dopo nel suo
libro.
14.07.2017 - Hotel
Miramare Latina - Palco Terrazza Levante ore 19.05:
presentazione del libro "Quella notte all’Heysel"
(Sperling & Kupfer) di Emilio Targia nell'ambito della
prima edizione del Festival delle narrazioni e di
cultura politica dal titolo "Come il vento nel mare" in
programma dal 12 al 16 luglio 2017 a Latina. Sono
intervenuti i giornalisti: Massimiliano Coccia, Emilio
Targia, Roberto Renga.Interviene:
Roberto Renga.
Il 29 maggio 1985, allo stadio
Heysel di Bruxelles, è un pomeriggio di luce e bandiere
che sembra scandire alla perfezione il conto alla
rovescia prima della finale di Coppa dei Campioni tra
Juventus e Liverpool, la partita delle partite. "Bastò
un click sull'interruttore a far svanire il calore di
quel sole. A precipitarci nel gelo. Mani che di colpo
ora servivano a proteggersi. Canti tramutati in urla. E
bocche spalancate, nel settore Z, come respiratori
d'emergenza. La curva, un girone dell'inferno. Poi il
silenzio". Emilio Targia, sopravvissuto all'incubo di
quella notte all'Heysel, racconta ciò che ha visto, che
ha sentito, i suoi ricordi, fissati anche su una
pellicola e su un nastro magnetico, e prova a sciogliere
nell'inchiostro memoria, rabbia, dolore e paura. "Voglio
provare a tenere viva la memoria e a sconfiggere quella
patina di ipocrisia e superficialità che si deposita
spesso su questa vicenda. La memoria non è qualcosa di
empirico, è un lavoro di manutenzione fatto da tenaglie
e cacciaviti con le mani sporche di olio". Ad intervistarlo un altro
grande giornalista Roberto Renga: "Quel giorno avrei
dovuto esserci anche io, da inviato, ma quando vidi il
manifesto della partita così pieno di rosso, il colore
del Liverpool, cambiai idea, sono passati anni ma quelle
39 persone morte non riesco a scordarle".
14 luglio 2017
Fonte: Facebook (Pagina
Festival Come il vento nel mare)
L’Heysel e la
manutenzione della memoria
di Emilio Targia
Deve essere un vizio
maledettamente umano. Quello della propensione
all’oblio. Una specie di basso istinto. Malsano,
contagioso. Lo si può scegliere per autodifesa, come
anestesia contro il dolore. O si può provare a imporlo,
a se stessi e agli altri, per comodità, per
superficialità. O per vigliaccheria. Heysel è una parola
che schiocca come una frustata. Che evoca solo e
soltanto quella notte, quella strage. E’ un termine
ormai svuotato del suo originario valore. Heysel non è
più uno stadio, così come Ustica non è più un’isola, né
l’Italicus un treno. In Belgio quello stadio prima lo
hanno abbattuto, e poi lo hanno ricostruito, nel 1995.
Cambiandogli nome: Stadio Re Baldovino. Come se bastasse
quello, a cancellare la Storia. A cancellare quel che
significa davvero Heysel. Del vecchio Heysel resta oggi
solo il cancello principale. Unico testimone di quella
sciagurata notte del 29 Maggio 1985. Che io non posso,
né voglio, dimenticare. Una notte cominciata dentro a
una luce speciale. Un tramonto gialloarancione che
sembrava il contraltare ideale di quelle bandiere
bianconere infilate dentro a un sogno. Come gli
ombrelloni ancora chiusi sulla spiaggia al mattino
presto. Quando soffia un’aria piena di promesse. I cori
dei tifosi bianconeri erano partiti un po’ in disordine,
tanto erano emozionati. Come bambini. Ciascuno intento a
coltivare il proprio senso di gioia e di stupore, con lo
sguardo fisso sul verde del prato. Ciascuno a "cantare"
un po’
per conto proprio. Poi pian piano i sentimenti si
erano organizzati, e avevan trovato ritmo ed equilibrio.
E soprattutto un senso di comunione. Finalmente dentro a
un unico canto. Fino a quel battere di mani serrato,
ordinato. A scandire i cori. Le rime storiche. Gli
slogan più cari. E io ero lì immobile, fermo a guardare
e ad ascoltare. Silenzioso. Sull’onda di quella chimica
speciale che si forma nell’aria e che assomiglia così
tanto a un incantesimo. Poi quel batter di mani
bruscamente interrotto. Poi le mani che ora indicavano "laggiù". La prima carica degli inglesi. Mentre il canto
spezzato diventava un urlo. E le bocche della curva Z,
spalancate nella paura, respiratori d’emergenza.Un
click sull’interruttore e la più bella delle luci
svanisce in un attimo. Gli spalti mutano in fronte di
guerra. Il campo da gioco diventa via di fuga. E la
curva Z un girone dell’inferno. E noi lì smarriti,
raggelati. Immobili. Con le pale degli elicotteri dentro
al nostro sguardo attonito. Vera giustizia, come noto,
non fu mai fatta. Difficile individuare, accertare e
provare tuttele singole
responsabilità nella follia del branco impazzito. E
allora, ci resta la memoria.La
cui solidità non passa solo attraverso un monumento. O
un anniversario. Occorre che divenga prima di tutto
risorsa condivisa, consapevolezza, comprensione. Una
specie di sentimento comune. Occorre che le istituzioni,
le scuole, i media sostengano e preservino la memoria.
Memoria che sembra ancora oggi infastidire i principali
responsabili di quella strage.Tanto
che nel 1990, in quello che era lo stadio Heysel, in
occasione della partita tra il Malines e il Milan, al
capitano rossonero Franco Baresi viene impedito di
deporre una corona di fiori in prossimità del vecchio
settore Z, al Milan viene impedito di portare il lutto
al braccio, né si osserva un minuto di silenzio prima
del match. Episodi come questo accrescono il rischio che
la memoria possa dunque sfilacciarsi, affievolirsi,
perdersi. Col pericolo che resti alla fine solo quel
nome, Heysel, senza dentro la storia di quel che accadde
davvero quella notte. Senza il suo significato più
profondo, il suo dolore tagliente, i suoi volti segnati.
Heysel come una scatola vuota. Una volta si faceva un
nodo al fazzoletto, per rammentarsi qualcosa di
importante. Non c’era il bip di un telefonino, ma un
semplice nodo di stoffa. La scrittrice americana Barbara
Kingsolver sostiene che la memoria è una faccenda
complicata, è imparentata con la verità ma non è la sua
gemella. A me piace pensare che si possa imbrigliare il
destino di quella frase. Se non sovvertirlo. E che nel
caso dell’Heysel la memoria possa divenire almeno
sorella della verità. Che possa provare a far immaginare
il dolore. Quel dolore di cui nessuno parla mai. E
creare gli anticorpi contro qualunque manipolazione o
strumentalizzazione. Tenere lontana la retorica e
respingere l’ipocrisia. Non ci sarà qualcuno che lo farà
per noi. Perché la memoria è un lavoro. Una scelta.
Necessita di manutenzione e amore. Un compito che spetta
a tutti e a ciascuno. Fatelo, allora, quel nodo al
fazzoletto. Che senza memoria, saremmo luci spente.
(Tratto dal libro
"Quella notte all’Heysel" – Sperling&Kupfer)
29 maggio 2017
Fonte: Juventibus.com
SPECIALE HEYSEL (Emilio Targia)
Radio Radicale 27.05.2017
Quella notte
all’Heysel. Impossibile dimenticare
di Carla Marras
Il giorno più triste della
storia bianconera. La notte che ha cambiato il
calcio.Quando sentii per la prima volta
la parola "Heysel" ero una ragazzina, e chiesi a mia
madre cosa fosse successo in quel posto dallo strano
nome, avendo appena seguito in tv un’intervista a
Platini. Il giornalista gli chiedeva pareri su una
partita che "non si sarebbe dovuta giocare". Mi
venne spiegato cosa accadde, e alcune cose non le
capivo. Da ragazzino vedi lo sport in un modo
totalmente innocente e non concepisci parole come
"hooligans" o "caricare la folla". Non capisci come
possano essere morte tante persone in uno stadio.
Fai sempre più domande e la più frequente, a cui non
ricevi risposta, è "perché?". Perché tante persone,
arrivate allo stadio per coronare il sogno di vedere
la propria squadra del cuore giocarsi la finale
della Coppa dei Campioni, hanno vissuto l’incubo più
nero incontrando la morte ? Sulla tragedia che ha
sconvolto il mondo del calcio, il cui peso si fa
sentire ancora bruciante ogni 29 maggio, sono state
spese tante parole. Accuse, scuse, giustificazioni,
tentativi di spiegare qualcosa che forse poteva
essere evitato. Da questo fiume di parole, che
ancora oggi non si arresta, la corrente mi porta uno
dei libri più toccanti che siano stati scritti
sull’argomento. Emilio Targia, che quella notte
infernale era all’Heysel, ha deciso di raccontare la
sua esperienza. A distanza di trent’anni il ricordo
è vivido. Fa male e va a pungolare una ferita ancora
aperta. Con le sue parole semplici e delicate,
ricordando le sensazioni e l’emozione che solo un
ragazzo che ama profondamente la sua squadra
conosce, riesce a descrivere con incredibile umanità
e delicatezza tutto ciò che accadde, con l’acutezza
di un giornalista e allo stesso tempo l’emozione di
un tifoso. Nessun dettaglio viene risparmiato, dalla
ricerca al cardiopalma dei biglietti (quasi
introvabili) per la partita, alla gioia immensa e
l’agitazione per la partenza verso quello che
sarebbe stato, per un’unica notte, il tempio del
calcio. La maestria nel raccontare, porta il lettore
a provare le stesse sensazioni del narratore,
cosicché quando si arriva nella zone dello stadio,
si arriva quasi a provare la stessa emozione che
prova lui. Ma, già al momento di entrare all’interno
dello stadio si inizia a percepire che qualcosa non
sta andando per il verso giusto, tanto che Emilio e
il suo amico riescono all’ultimo a cambiare settore,
rinunciando ai biglietti del settore Z in favore di
quelli M N O. A posteriori, una vera fortuna, che
l’autore però non rimarca e non definisce neanche
tale, perché il suo cuore è rimasto lì, sulla zolla
di prato davanti al settore Z, dove suoi
connazionali hanno perso la vita, nell’incubo che è
seguito al sogno. Pochi minuti dopo, l’inferno. I
tifosi inglesi, che occupavano la zona centrale
della curva e la parte adiacente alla tribuna
d’onore, cominciano a inveire contro i tifosi
juventini con cori e sfottò, per passare poi alla
pioggia incessante di lattine, bottiglie,
calcinacci, bastoni. Un vero e proprio assalto che
di lì a poco sarebbe sfociato in tragedia. Il
racconto di Targia è preciso, sentito e accorato, ma
mai vittimista.Mantiene una visuale, nonostante tutto,
oggettiva, senza per questo soffocare le emozioni o
farsi prevaricare da esse. Un libro consigliato
caldamente a tutti i lettori, sportivi e non. Per
chiunque voglia saperne di più attraverso il punto
di vista di chi ha vissuto la tragedia. Il consiglio
è dato soprattutto per abbattere il muro di
ignoranza che, su questa vicenda, è ancora alto. Per
andare oltre le tante, troppe parole a vanvera che
gli vengono dedicate per circostanza ogni 29 maggio.
23 marzo 2017
Fonte: Inmediarex.it
Premio Com&Te a Emilio
Targia per Quella notte all'Heysel
Assegnato il
prestigioso premio Com&Te "Comunicazione, giornalismo e
dintorni" dedicato allo sport a Emilio Targia e
Maurizio De Giovanni.
Questa la motivazione del
premio per l’opera Quella notte all’Heysel: "È un
racconto autobiografico e di una pagina fra le più
tristi in assoluto dello sport e del calcio in
particolare. Una scrittura fluida e consapevole che
consente a Emilio Targia di tracciare un vissuto
personale - diventato poi collettivo per la drammaticità
degli eventi, fatto di emozioni, paura, rabbia e
sofferenza -, equilibrato però da una ricca e puntuale
documentazione dei fatti, che ancor più avvalorano
giudizi e valutazioni pienamente condivisibili. Un
lavoro apprezzabile, ma anche una testimonianza di ciò
che lo sport non deve essere e un monito per il futuro,
soprattutto, ma non solo, per i giovani di oggi. Un
libro per non dimenticare". Il premio è stato assegnato
nell'auditorium dell'istituto Della Corte-Vanvitelli, di
Cava de' Tirreni, dalla giuria popolare degli studenti,
intitolata alla memoria del giornalista Giancarlo Siani.
10 ottobre 2016
Fonte: Sperling.it
Emilio Targia: la responsabilità della #manutenzionedimemoria
di Imma Tropiano
Se ti ritrovi a fare un giro sulla pagina social di
Emilio Targia trovi un hastag spiazzante #manutenzione
di memoria.
Una mission racchiusa in tre parole e che bastano a
trarre i contorni di quello che è "Quella notte
all’Heysel", la fatica letteraria dello scrittore
romano, con la quale Targia ricompone i frammenti di
memoria, la sua, legati a quel 29 maggio 1985. Una data
che rimanda tifosi di calcio e non solo allo Stadio
Heysel, finale Coppa dei Campioni tra Juventus e
Liverpool, quando una partita definita sogno per gli
amanti del calcio con la maiuscola entra di prepotenza
nelle pagine di cronaca e da allora è stata raccontata e
riscritta da più autori, testimoni o meno. Con un
rischio, ci dice Targia "La memoria è una faccenda
complicata. Ho ripescato, da testimone, questa storia
per ridare un po’ di luce a quello che secondo me si era
un po’ disperso".
9 settembre 2016
Fonte: Laredazione.eu
#QuellanotteallHeysel #PremioCometeGiuriaStudenti #CavadeTirreniVietrisulmare
Il tempo non ha tempo, la memoria sì. Grazie a Pasquale
Petrillo e a Silvia Lamberti per aver investito il
proprio tempo in questo splendido premio letterario,
grazie alla giuria degli studenti -non ancora nati nel
1985- che ha votato non tanto per me ma perché la
memoria dell'Heysel resti accesa. Un voto di cui più che
orgoglioso sono felice. E' stata una giornata
emozionante, non dimenticherò né i volti, né le parole.
#manutenzionedimemoria Emilio Targia
XXIX Salone Internazionale del Libro, Torino
13.05.2016
Maurizio Assalto e Guido Vaciago dialogano con Emilio Targia sul 31°anniversario
della strage allo stadio Heysel di Bruxelles. Sono
intervenuti: Emilio Targia, Guido Vaciago, Giuseppe Di
Leo (Giornalista Vaticanista di Radio Radicale).
Successo per
la presentazione di "Quella notte all'Heysel"
Si è svolta ieri pomeriggio all'aula Pucci la
presentazione del libro di Emilio Targia "Quella notte
all'Heysel". Molti i tifosi bianconeri accorsi per
ascoltare i racconti dell'autore, testimone oculare
della tragedia ed anche giornalista. L'iniziativa è
stata ideata dallo Juventus Club doc "Paulo Dybala" di
Civitavecchia. Nella prossima puntata di Sportime, in
onda alle 20.45 su Trc, andrà in onda una lunga
intervista all'autore Emilio Targia.
23 Aprile 2016
Fonte: Trcgiornale.it
Al Premio Com&Te Emilio Targia ha ricordato la notte
dell’Heysel
di Carmine Cascone
"Quello stadio poteva diventare la mia tomba, ma per
fortuna avevo il biglietto giusto, quello per un altro
settore dello stadio". Così Emilio Targia, autore di
Quella notte all’Heysel, Sperling
& Kupfer, ha raccontato
ieri sera il suo personale ricordo di quell’assurda
tragedia che vide morire trentanove tifosi italiani,
alla nutrita platea assiepata nella sala dell’Hotel
Bristol di Vietri sul Mare. L’evento è stato organizzato
dall’Associazione Comunicazione & Territorio in
collaborazione con la Proloco di Vietri sul Mare.
All’incontro sono intervenuti Pasquale Petrillo,
ideatore e curatore della rassegna letteraria nonché
direttore della rivista Ulisse online, Silvia Lamberti,
presidente dell’Associazione Comunicazione & Territorio,
il presidente della Proloco di Vietri sul Mare Cosmo di
Mauro ed il vice presidente Vittorio Mendozzi, titolare
dell’Hotel Bristol. Il 29 maggio 1985, allo stadio
Heysel di Bruxelles c’era anche Pasquale Scarlino,
presidente regionale del Centro Sportivo Italiano, che
ha portato la sua testimonianza agli studenti della
giuria popolare del Premio Com&Te. "Il mio approccio con
questo libro - ha sottolineato Emilio Targia - non
poteva essere distaccato e non lo è ancora oggi". Emilio
Targia, caporedattore a Radio Radicale, è stato
intervistato dai giornalisti Carolina Milite e Andrea De
Caro, e introdotto da Adriano Rescigno, tutti
collaboratori della rivista web Ulisse online. "Qualcosa
è cambiato negli anni e oggi una partita in uno stadio
con il calcestruzzo fatiscente non si potrebbe più
giocare. Non è cambiato, forse, almeno in Italia,
l’approccio con certi comportamenti di alcuni tifosi che
andrebbero sanzionati". L’autore è stato sollecitato dai
numerosi studenti presenti all’incontro ed ha risposto
alle loro puntuali ed articolate domande.
Vietri, giovedì 21 aprile al Premio Com&te si parla
della tragedia dell’Heysel
L’Associazione Comunicazione & Territorio invita a
partecipare al secondo salotto letterario della X
edizione del Premio e Rassegna letteraria Com&Te
Comunicazione, giornalismo e dintorni, che si terrà il
prossimo giovedì 21 aprile, alle ore 18.00, all’Hotel
Bristol di Vietri sul Mare. Ospite Emilio Targia, autore
di Quella notte all’Heysel, Sperling
& Kupfer.
Il 29 maggio 1985, allo stadio Heysel di Bruxelles, è
un pomeriggio di luce e bandiere che sembra scandire
alla perfezione il conto alla rovescia prima della
finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool.
Emilio ha diciotto anni e ce l’ha fatta: è lì, con il
biglietto per entrare allo stadio, insieme all’amico di
una vita, Giampiero. Oltre all’eccitazione e
all’entusiasmo porta con sé un piccolo registratore e
una cinepresa super 8, perché ha già deciso che da
grande farà il giornalista. Ma all’improvviso nel
settore Z la curva diventa un girone dell’inferno. Poi
il silenzio. Emilio Targia, sopravvissuto all’incubo di
quella notte, racconta ciò che ha visto, che ha sentito,
i suoi ricordi, fissati anche su una pellicola e su un
nastro magnetico. Per non dimenticare. Perché senza
memoria saremmo luci spente. Emilio Targia, romano, è
giornalista professionista dal 1997. È attualmente
caporedattore a Radio Radicale, dove conduce Set-Cinema
fuoricampo e da quindici anni il magazine domenicale
Media e dintorni. Ha scritto di sport, musica, costume e
politica per quotidiani e riviste, e per il portale di
Fastweb. Ha collaborato con emittenti radiotelevisive ed
è stato coordinatore della redazione di Satnews del
canale RaiSat. È autore di diversi libri, tra i quali Il
miglior mondiale della nostra vita (Reality Book, 2014).
Ad intervistare l’autore i giornalisti Carolina Milite e
Andrea De Caro, collaboratori della rivista web Ulisse
online.
Calcio, lo Juventus Club ricorda la tragedia
dell'Heysel
Si terrà il 22 aprile alle 18 un'interessante
iniziativa dello Juventus Club "Paulo Dybala". All'aula
Pucci sarà presentato il libro "Quella notte
all'Heysel", scritto da Emilio Targia, che, in qualità
anche di testimone oculare, racconterà la tragedia
avvenuta nel 1985 allo stadio di Bruxelles in occasione
della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e
Liverpool. Parteciperà all'iniziativa anche il
giornalista di Rai Sport Mario Mattioli. Con l'occasione
il Club Doc Civitavecchia, in collaborazione con
Vecchiasignora.com e libreria Dettagli invita tutta la
cittadinanza a partecipare.
Piccola introduzione dell'autore: Ci sono incubi che
si travestono da sogni e quando poi ti accorgi
dell'inganno è troppo tardi. E non puoi farci niente. Il
29 maggio 1985, allo stadio Heysel di Bruxelles, è un
pomeriggio di luce e bandiere che sembra scandire alla
perfezione il conto alla rovescia prima della finale di
Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, la partita
delle partite.
14 Aprile 2016
Fonte: Trcgiornale.it
Mai più ''Quella notte all'Heysel''
di Chiara Ciripicchio
Presentazione del libro di Targia allo Juve Club,
presente il giornalista Rai Mattioli
VITERBO - La strage dell’Heysel raccontata attraverso
gli occhi e le parole dello scrittore Emilio Targia. È
quello che è successo allo Juventus Club Viterbo 2012 -
Leonardo Bonucci nel pomeriggio di ieri. ''Quella notte
all’Heysel'' è un ''condensato di emozioni, fa bene
all’anima leggerlo''; per dirlo con le parole del
giornalista Rai Mario Mattioli, presente all’evento. Il
libro vuole raccontare quello che successe la sera del
29 maggio 1985, durante la finale di Coppa Campioni tra
Juventus e Liverpool disputata allo stadio Heysel di
Bruxelles. Sera in cui persero la vita 39 persone, di
cui 32 italiani. Al tempo stesso, però, vuole narrare le
emozioni e le sensazioni di Targia che, diciannovenne,
quella sera era presente allo stadio in compagnia di un
caro amico e che ha toccato con mano la drammaticità di
quei momenti. ''Bisogna continuare a parlarne ovunque e
sempre - ha dichiarato l’autore - non perché questo
possa alleviare il dolore, ma perché senza il ricordo di
quella notte, quella notte sparirebbe, sparirebbe quel
dolore e sparirebbe il significato di quel dolore.
Scomparirebbero anche i nomi di quelle persone. Questa è
una delle poche stragi italiane in cui, se non fosse per
il dramma che purtroppo attira i media, le storie si
sono un po’ perse''. Sulle motivazioni che lo hanno
spinto a scrivere questo libro, Targia ha confessato:
''Da un po’ di anni mi imbattevo in testi sull’Heysel
scritti da chi quella sera non era presente. In questi
libri, però, non vedevo quello che, se non fossi stato
lì, avrei voluto leggere. Ho quindi pensato che fosse
giusto, se non doveroso, infilare dentro qualche pagina
i miei ricordi. Dunque, ho ricostruito quella notte
parlando in prima persona e ho cercato di farne un
racconto che riuscisse a portare i lettori dentro
l’Heysel''.
A presentare l’incontro è stato il padrone di casa,
il presidente dello Juventus Club di Viterbo Paolo
Cannone, capace di introdurre l’autore e il suo libro
cogliendo l’essenza esatta del racconto: ''Un libro che
riesce a dare forma a pensieri, ricordi e suggestioni.
Emilio ha vissuto quegli attimi, quei fatti, quella
follia. Era silenzioso e attonito proprio come lo erano
molti altri. Era una partita, ma in realtà è stata una
morte in diretta. La memoria che questa sera viene
riesumata, trasmessa e comunicata è parte di noi e di
altre 39 persone''. Il volto storico di Juventus
Channel, Valeria Ciardiello, ha raccontato il proprio
ricordo della strage dell’Heysel; un ricordo di bambina,
legato alla presenza del padre in quello stadio. Ha
ricordato le immagini alla televisione e l’agitazione
della madre che non riusciva a mettersi in contatto con
il marito per avere notizie sulle sue condizioni di
salute. E alla sua voglia di capire se ''Quella notte
all’Heysel'' abbia un senso a distanza di trent’anni
dalla tragedia, Targia ha risposto: ''Sì, ha senso
perché l’obiettivo è quello di sanare una frattura della
memoria. Se si ripesca la memoria e la si rimette in
circolo si riesce anche a combattere la superficialità
di più di trent’anni. Credo che più tempo passa e più
possibilità c’è di raccogliere le menti e di ordinare a
freddo tutto quello che è stato''. Il libro è arricchito
da una prefazione dello scrittore Sandro Veronesi e da
una postfazione dell’ex giocatore bianconero Antonio
Cabrini, in campo quella tragica sera, che ha raccontato
quello che è realmente successo prima, durante e dopo la
partita e l’atmosfera che si respirava negli spogliatoi.
Le emozioni sugli spalti, invece, sono state raccontate
magistralmente da Targia che, a tal proposito, ha
dichiarato: ''All’inizio provavamo molta gioia,
arrivando allo stadio con lo stesso stato d’animo di
quando si va a una festa. Poi è subentrata la rabbia
quando abbiamo iniziato a capire che la situazione era
gestita in maniera pessima. Una volta dentro lo stadio è
iniziata la paura, lo smarrimento e l’incubo. Non
sapevamo cosa provare perché non capivamo esattamente
cosa stesse succedendo. Alla fine abbiamo provato una
grande liberazione nel riuscire a chiamare casa per
rassicurare i nostri familiari. In sostanza, un
frullatore di emozioni''. Infine spazio alle
considerazioni del giornalista Mario Mattioli e ai
racconti di tre superstiti di quella tragedia i quali,
con grande lucidità ed estrema emozione, hanno
ripercorso con la mente l’inferno e la paura vissuti
quella notte. Una tragedia che, come ha auspicato
Mattioli, speriamo non si ripeta più: ''Mi auguro che
una cosa del genere non si ripeta ma nel momento in cui
lo dico non ne sono del tutto convinto. C’è una tale
rabbia e violenza nella società attuale. Spero veramente
che non succeda di nuovo''.
12 dicembre 2015
Fonte: Viterbonews24.it
"Quella notte all’Heysel" di Emilio Targia
Heysel non è "solo" una strage di juventini: è una
pagina nera dello sport
di Felice Laudadio
Emilio ha ragione: Heysel non è più uno stadio, come
Vajont non è più una diga, Ustica non è più un’isola,
Italicus non è più un treno. Heysel è un buco nero del
calcio mondiale. Emilio Targia, quarantotto anni, è un
giornalista romano, caporedattore a Radio Radicale. Era
a Bruxelles quel 29 maggio 1985, nel tardo pomeriggio.
Non ha dimenticato ed è convinto che non si deve
dimenticare, per questo ha scritto "Quella notte
all’Heysel", un libro che va dritto al cuore, pubblicato
da Sperling & Kupfer (176 pagine, 14,90 euro) nel
trentennale di un eccidio che la guerra tra tifoserie ha
derubricato cocciutamente a disavventura solo
bianconera, morte di juventini, come se non fosse una
tragedia italiana senza precedenti (ci sono supporter
fiorentini che sfoggiano striscioni e magliette "39 di
meno" o "meno 39"). Heysel non è più uno stadio, resterà
per sempre sinonimo di strage, di un evento che non
avrebbe mai dovuto verificarsi e che sarebbe stato
facilmente evitabile. Sarebbe bastata più accortezza,
più professionalità da parte delle forze dell’ordine
belghe. Ed anche meno avidità, il dolo di chi ha venduto
ad italiani i biglietti del Settore Z dello stadio dove
si sarebbe giocata la finale della Coppa dei Campioni
europea di calcio 1985, Liverpool-Juventus. Quella curva
era destinata a ospitare i tifosi
inglesi, gli
hooligans, seminudi, resi subumani dall’alcool bevuto
come acqua, più litri di birra in corpo che neuroni in
testa. Giorni prima, il tifosissimo bianconero de Roma
Emilio Targia, appena diciottenne stentava con l’amico
Giampiero a procurarsi i tagliandi per entrare nel
vecchio impianto della capitale belga. Tutto esaurito
fin dal 2 maggio. Poi la notizia che a Bruxelles un
conoscente disponeva di due biglietti del Settore Z. Ma
ecco che da Torino un amico compie il miracolo: "in
tribuna è impossibile, ma se volete andare con gli
juventini nel Settore M-N-O, non c’è problema". Il tifo
spinge i due ragazzini verso la curva dei compagni di
fede calcistica. Forse, devono la vita alla passione per
i colori bianconeri. La tragedia l’hanno vista
dall’altra parte del campo, opposta alla curva dove
trentanove uomini, donne, ragazzi (32 italiani, 4 belgi,
2 francesi, 1 irlandese) ed altre tremila persone
vennero calpestate, schiacciate, soffocate dalla massa
dei tifosi bianconeri terrorizzati, travolti da ondate
di hooligans, incrudeliti dalla mancanza di reazione di
quella gente inerme. Tutto a cominciare dalle 19,08,
senza che la polizia belga accennasse una reazione. Solo
cinque gli agenti in curva tra i settori Z e X-Y.
Trentanove persone avevano acquistato un biglietto verde
pallido, tendente al grigio. Sembrava l’invito a una
festa, era un pass per l’inferno. Sopra c’era stampato
in francese che l’organizzazione declinava ogni
responsabilità per incidenti di qualsiasi natura che
avessero potuto determinarsi. Fin dall’arrivo in treno a
Bruxelles, la felicità sportiva di due giovani e la
certezza che tutto sarebbe andato perfettamente in una
società evoluta come quella belga, si scontra con una
realtà imprevista, specie dopo aver raggiunto il vecchio
stadio nella zona dell’Esposizione universale del 1952.
Erano sempre più sorpresi, si aspettavano ordine e
competenza, invece si rendevano conto d’essere
precipitati nel medioevo del calcio. Per non dire
dell’Heysel, costruzione Anni Trenta, vetusto, insicuro,
insufficiente, pericoloso, anche per un semplice evento
sportivo, figurarsi per quell’attesa finale europea e
con supporter avversari ingovernabili come i britannici.
Ubriachi dalla mattina, mostravano occhi spenti, vuoti,
terribili. Non vi si leggeva nemmeno l’attesa per la
partitissima cui stavano per assistere. Alle 20, ora di
Bruxelles, 400 milioni di telespettatori si misero
davanti ai teleschermi convinti di assistere a uno
spettacolo di calcio. Si trovarono collegati in diretta
con una guerra, dice Emilio. A volte, aggiunge, gli
incubi si travestono da sogni, ma sono pronti a
rivelarsi per quello che sono: orrore, dolore e per
qualcuno rimorso. Quello ce lo portiamo dentro noi
juventini che abbiamo assistito da casa al massacro
rimuovendolo dalle nostre menti a tutti i costi, contro
ogni evidenza, sordi ad ogni notizia. Sandro Veronesi,
nella prefazione, lo riconosce con coraggio: è come se
avessimo fatto finta di niente e ci fossimo voltati
dall’altra parte, ostinatamente. Noi volevamo la finale.
Volevamo che quella partita si giocasse, eravamo
arrivati tutti a quel risultato, non potevano
strapparcelo. E le squadre scesero in campo, per giocare
e prevenire disordini peggiori. Il fischio d’inizio,
previsto alle 20,15, venne dato alle 21,42. Grazie
Emilio, per il tuo libro che aiuta a capire. Quella
partita per me è finita soltanto ora, trent’anni dopo.
? Settembre 2015
Fonte: Classifica-libri.it
Recensioni letterarie: "Quella notte all'Heysel" di
Emilio Targia
30 anni dopo, la strage di Bruxelles spiegata da chi
c'era
di Carlo Calabrò
Sono passati trent'anni dalla più spaventosa strage
che abbia mai funestato il mondo del calcio, quella
dello stadio Heysel di Bruxelles. La più spaventosa non
in senso meramente numerico, ché altre tragedie in altri
impianti hanno preteso tributi anche più esorbitanti di
vite umane, bensì perché quella orribile mattanza di 39
persone colse tutti di sorpresa: è vero, la pericolosità
dei famigerati hooligans inglesi era già nota, eppure (o
forse proprio per questo, per i precedenti che avrebbero
dovuto mettere in guardia) nessuno poteva seriamente
temere che la situazione sfuggisse di mano e degenerasse
proprio durante uno dei massimi eventi calcistici
mondiali, una di quelle occasioni in cui
l'organizzazione è solitamente impeccabile,
rigorosissima, nulla viene lasciato al caso, meno che
mai l'incolumità degli spettatori in loco.
MEMORIA CONDIVISA - Sembra ieri per chi, come me,
all'epoca aveva già un'età che gli consentiva di capire,
perlomeno in parte, la portata di certi drammatici
eventi. Il ricordo è sempre vivo, ma va costantemente
alimentato, soprattutto a vantaggio delle generazioni
più giovani che, se non stimolate alla ricerca storica,
rischiano di vivere nell'ignoranza di ciò che accadde
quel 29 maggio 1985. Invece devono sapere, e l'Heysel
deve diventare memoria condivisa di un Paese intero, non
solo di chi è interessato alle cose del football. Un
buon contributo in tal senso l'hanno fornito varie opere
letterarie: penso soprattutto a "Le verità sull'Heysel:
cronaca di una strage annunciata" di Francesco Caremani,
il giornalista italiano che più si è adoperato per
tenere costantemente i riflettori accessi sui fatti di
Bruxelles, raccontando nel dettaglio anche la dolorosa
vicenda processuale che ne è seguita. Di impronta
diversa è l'ultimo libro uscito sul tema, "Quella notte
all'Heysel" di Emilio Targia, editore Sperling
& Kupfer.
DIARIO DI UN VIAGGIO E DI UN INGANNO
- E' un volume
scritto quasi di pancia eppure lucidissimo, un racconto
in presa diretta del prima, durante e dopo quel giorno
nero. Il diario di viaggio di Targia e del suo grande
amico Giampiero, due "juventini a Roma" che in quel
maggio 1985 decisero di seguire l'adorata squadra
nell'avventura fin lì più importante della sua storia,
l'ennesimo assalto alla Coppa dei Campioni, il trofeo
più ambito ma anche il più stregato, perché troppe volte
la Vecchia Signora aveva mancato l'appuntamento con la
gloria, andando incontro a delusioni anche brucianti:
come dimenticare l'imprevista sconfitta di Atene di due
anni prima contro l'Amburgo ? E' la narrazione di un
percorso crudele e menzognero, di un'ascesa al Paradiso
che si trasforma repentinamente in discesa agli inferi,
perché, come scrive l'autore, "ci sono incubi che si
travestono alla nascita: si camuffano da sogni, e quando
poi ti accorgi dell'inganno è troppo tardi e non puoi
farci niente". Sì, perché quella, per uno juventino come
lui, doveva essere "solo" la costruzione certosina di un
sogno, a partire dalla sofferta conquista della
finalissima ai danni del forte Bordeaux e dalla
conseguente, febbrile caccia al biglietto più agognato
di sempre. E poi il viaggio verso la capitale del
Belgio, nel cuore dell'Europa più civilizzata (sic!), la
birra bevuta assieme a un tifoso del Liverpool, per un
piccolo gemellaggio che sembra foriero di una serata di
festa, comunque vadano le cose sul campo; i primi timori
di fronte a un servizio d'ordine che, attorno allo
stadio, sembra manifestare imbarazzi imprevisti,
smentendo il "decisionismo verbale" sciorinato
pomposamente nei giorni precedenti dalle locali
autorità. Il sogno che volge in incubo brutalmente,
quasi all'improvviso, col belluino assalto dei teppisti
britannici agli inermi spettatori del Bloc Z. Targia
assiste allo scempio dalla curva opposta, ove si
percepisce chiaramente la gravità, ma non l'entità
abnorme del dramma che si consuma. E ci si deve affidare
solo alle voci, al tam tam che si diffonde fra i tifosi
e che dilata sempre più il numero delle vittime di quel
vero e proprio atto di guerriglia.
SOLO CHI C'ERA... - Ecco, l'essenza di questo nuovo
libro su quel maledetto Juve - Liverpool sta proprio in
questo delicatissimo passaggio: le sensazioni, la
consapevolezza dei presenti rispetto a quanto accadeva
intorno. Perché se è vero che, come detto poco sopra, la
memoria di certi eventi luttuosi deve essere condivisa,
è anche innegabile che in troppi, nel tempo, si sono
arrogati il diritto di pontificare sui fatti di quelle
ore, fatti comprensibili e interpretabili (e forse
neanche interamente) solo da chi era fisicamente
presente nel vecchio stadio belga. Lo capì subito, del
resto, un giornalista di vasta esperienza come Italo
Cucci, che sul suo Guerin Sportivo, nel numero
successivo alla strage (quello col titolo di copertina
"Olocausto"), scrisse fra le altre cose: "Tacete, voi
che non c'eravate, voi che non avete vissuto quelle ore
di paura..."; il riferimento era a chi aveva criticato,
con accenti demagogici, la decisione di giocare
ugualmente la partita: una scelta, oggi, pacificamente
accettata un po' da tutti, per le ragioni di
salvaguardia dell'ordine pubblico (e prevenzione di
ulteriori, gravi incidenti) in cui maturò.
DENTRO UNA BOLLA - Targia lo spiega bene. Lui,
Giampiero e gli altri compagni di tifo sono finiti
"dentro una bolla, in un tempo sospeso, incapaci di
decifrare con esattezza quello che è successo, quello
che sta succedendo e che potrebbe ancora succedere...".
La situazione che quella sera prese corpo all'Heysel fu
tragicamente surreale, luttuosamente contraddittoria.
Qualcosa di troppo complesso, assurdamente complesso,
per poter essere "decrittato", razionalizzato e
metabolizzato in pochi minuti dalla mente umana, anche
dalla più raffinata delle menti. Una situazione in cui
era impossibile capire quale fosse l'atteggiamento più
giusto, corretto, "morale" da assumere. C'era stata una
strage, molti ne erano pienamente consapevoli, ma erano
circondati da decine di migliaia di persone che non
sapevano, o che sapevano solo in parte. E di certo la
disputa dell'incontro, addirittura con carattere
ufficiale, non poté che aggiungere un ulteriore elemento
distorsivo, straniante: come comportarsi di fronte a una
partita di calcio che va in scena in uno stadio
cimitero, un paio di ore dopo una carneficina ? Da una
parte il sangue, i corpi inanimati, dall'altra lo sport,
massima espressione di vita: uno scenario diabolico,
quasi da impazzimento. Risposte definitive nessuno ne
potrà mai dare, ma quella di un testimone diretto come
Targia è sicuramente la più vicina alla verità: la
partita come un diversivo, per allontanare i pensieri da
quell'orrore che altrimenti avrebbe travolto lui e gli
altri, novanta minuti per provare almeno a capire ed
elaborare; e al gol di Platini, un urlo che è
espressione di disagio, impotenza. E' la testimonianza
più sincera e schietta che abbia mai letto, da parte di
chi a Bruxelles era presente: una testimonianza che
spiega molto, se non tutto, perché quando le naturali
debolezze dell'animo umano vengono messe a confronto con
eventi mostruosamente inconcepibili non c'è copione che
tenga e occorre quantomeno cercare di immedesimarsi,
anche se le esultanze dopo la rete del francese e il
tripudio della curva al fischio finale possono, ancora
oggi, far gelare il sangue nelle vene.
IL PICCOLO ANDREA - Questo è, dicevo, il cuore del
libro. Ma c'è anche il dopo: il ritorno all'Heysel la
mattina seguente, il doloroso viaggio di ritorno, e
ancora prima, poco dopo il match, il solo squarcio di
umanità in una notte da incubo, l'incontro con un volto
sconosciuto eppure caldo, amico. C'è lo struggente
ricordo della più giovane vittima di quella ferocia, il
piccolo Andrea Casula (perì a undici anni, era mio
coetaneo): le strazianti immagini del suo volto violaceo
e ferito a morte, credo oscurate dalla tv italiana ma
ben visibili in diversi documentari di produzione
estera, dovrebbero restare come monito eterno, per chi
ancora va allo stadio con intenti bellicosi e per chi
scherza sull'Heysel, con cori e striscioni osceni che
cadono spesso nell'indifferenza di un popolo
narcotizzato, abituato ad accettare ogni bruttura.
LA SCELTA
DELLO STADIO - Sullo sfondo del libro,
rimangono alcuni nodi non ancora sciolti: in primis la
scelta di una struttura inadeguata e di non eccezionale
capienza, per una finale attesissima. Un argomento a mio
parere poco approfondito, in questi trent'anni: spesso
si è parlato dell'Heysel come di un impianto fuori dal
tempo, un reperto archeologico piombato all'improvviso
nel 1985 dal nulla: era invece uno degli stadi preferiti
dalla Federazione europea di calcio, già sede, in
precedenza, di quattro finali di Coppa Campioni, tre di
Coppa Coppe e una di Uefa, nonché dell'atto conclusivo
dell'Europeo per nazioni del 1972 e di buona parte delle
gare ufficiali della Nazionale belga (l'ultima si era
disputata meno di un mese prima di quel fatidico 29
maggio, fu un Belgio - Polonia valevole per le
qualificazioni al Mondiale dell'anno dopo). Era dunque
un impianto utilizzatissimo e conosciutissimo: che
controlli furono fatti in vista di Juventus – Liverpool
? Come furono valutati i parametri di sicurezza ? Come
fu possibile non pesare adeguatamente la scarsità di vie
di fuga e lo stato di degrado in cui versavano
soprattutto le due curve ?LA COPPA DA "RESTITUIRE" - Un altro nodo è quello del
"valore" di quella Coppa. Su questo punto sono in
disaccordo con l'autore, che parla di "slogan" e di
"strumento di polemica" riferendosi alla periodiche
richieste, rivolte alla Juve, di restituire il trofeo
perché "sporco di sangue". Sono personalmente convinto
che, ancora oggi, la restituzione sarebbe un gesto di
grandissimo spessore, e anzi più passa il tempo più tale
gesto assumerebbe un valore simbolico gigantesco, come
messaggio educativo di forte impatto rivolto soprattutto
alle nuove generazioni di tifosi. Del resto, quella
partita era iniziata come gara disputata per ragioni di
ordine pubblico e fu in effetti giocata a lungo a ritmi
accademici; ancora non mi è del tutto chiaro cosa sia
accaduto, nell'intervallo, per farla diventare una gara
vera, combattuta, con tanto di consegna finale del
trofeo (ma negli spogliatoi). Trofeo che, come è ovvio e
naturale, non può rappresentare alcun motivo di vanto,
non arricchisce la bacheca, è solo una ferita
perennemente aperta per il club bianconero, per tutto il
calcio italiano, per l'umanità.
17 luglio 2015
Fonte: Notedazzurro.blogspot.it
Presentazione LIBRO
ROMA IBS+LIBRACCIO 10.06.2015
Quella notte all’Heysel, il reportage di Emilio
Targia
"Per 30 anni il dito ha indicato la luna e tutti
hanno guardato il dito". Emilio Targia, caporedattore di
Radio Radicale, racconta da sopravvissuto quella notte
del 29 maggio del 1985 in cui 39 persone persero la vita
allo stadio Heysel di Bruxelles. "La storia di quella
tragedia è stata travisata dall’odio calcistico ed è
stata letta in modo superficiale". Emilio parla della
riduzione dei fatti accaduti a un ennesimo scontro tra
anti juventini e supporter bianconeri, con un sempre
verde polemica sulle esultanze dei giocatori della
formazione torinese: "Pochi hanno sottolineato invece la
responsabilità della Uefa che ha organizzato la partita
in uno stadio che cadeva a pezzi, del Belgio che ha
schierato pochi agenti e male, e dei tifosi inglesi
violenti". Nel libro "Quella notte all’Heysel", edito da
Sperling & Kupfer, l’autore riapre il cassetto dei
ricordi: i diari scritti subito dopo l’orrore, l’audio
impresso su un registratore e le immagini della
cinepresa super 8. Aveva solo 18 anni ma già due grandi
passioni, la Juve e il giornalismo. "Le ore che hanno
preceduto l’incontro con il Liverpool, e quel che
accadde nello stadio di Bruxelles, fanno parte di me.
Vorrei fondere quelle sensazioni con i dettagli di ciò
che ho confusamente registrato. E raccontare i ricordi
dei sopravvissuti. Per restituire il dolore e il
senso
di tradimento che quella notte ci precipitò addosso".
Fare manutenzione della memoria è l’intento dichiarato
del libro. Il trentennale celebrato pochi giorni fa ha
avuto la giusta eco mediatica, l’importante però è non
dimenticare anche durante il resto dell’anno: "Voglio
occuparmi dell’Heysel dal 30 maggio al 28 dello stesso
mese dell’anno successivo, quindi da domani con ancora
più intensità". Evitare così che il termine "Heysel" nel
tempo si polverizzi, disperdendo il contenuto doloroso e
tragico di quel che evoca. Informare, ricordare,
raccontare. Provare a immergere il lettore in quel sogno
innocente di vittoria che diviene di colpo incubo.
Provare a seminare anticorpi contro le banalità e le
volgarità pronunciate in questi 30 anni da chi sa poco o
nulla di quella notte. Emilio con il suo zoom dal
settore di fronte alla curva Z ha visto quello che stava
accadendo e conferma: "La polizia era poca e mal
preparata. Io ho visto sei o sette agenti. Erano di più
all’esterno pensando che il rischio fosse fuori. La
sicurezza interna pari a zero, quindi sono entrati molti
tifosi senza biglietto ed equipaggiati di tutto punto
tra bastoni, bottiglie, pezzi di ferro, cose che
potevano prendere benissimo in un cantiere vicino allo
stadio aperto e incustodito". I tifosi juventini andati
a Bruxelles con la speranza di festeggiare trovarono una
morte orribile, travolti dalla furia degli hooligans
inglesi ubriachi, schiacciati contro le balaustre o
precipitati dalle gradinate, poco prima che iniziasse la
partita. I tifosi furono costretti ad arretrare e a
cercare altre vie di fuga, fino a provocare il crollo di
un muretto. Morti, però, anche per l’inadeguatezza
dell’Heysel e dei servizi di sicurezza. Un’ora e mezza
dopo la strage l’incontro più surreale della storia del
calcio cominciò lo stesso "per motivi di ordine
pubblico". E i bianconeri vinsero quella maledetta
coppa. Le polemiche sui festeggiamenti vengono
ridimensionate da Emilio: "Il pugno di Platini dopo il
rigore può essere interpretato anche come un gesto di
rabbia o uno sfogo, comunque un atleta si trova in una
condizione di trans agonistica. A incontro terminato la Uefa chiese ai giocatori di andare sotto la curva e
stare lì il tempo necessario per far uscire dallo stadio
gli inglesi. E sulle scalette dell’aereo alzarono la
Coppa perché furono i fotografi stessi a chiederlo.
Perché parlare di questo e non degli assassini ?". Nel
volume, oltre al racconto dettagliato, c’è un’appendice
con una rassegna stampa e alcune testimonianze. La
prefazione è firmata da Sandro Veronesi che scrive: "Io
quella sera sottovalutai quanto accadde. Ero di fronte
alla tv, mi hanno detto che parlarono di morti, ma io
forse non volli neanche capirlo". Antonio Cabrini, che
quella notte era in campo e firma invece la postfazione,
spiega che "chi oggi insulta negli stadi italiani le
vittime dell’Heysel lo fa perché è ignorante. Perché non
sa, né capisce o immagina il dolore. Quel dolore. Ma non
c’è solo il tema dell’Heysel al centro di alcuni cori o
come oggetto di alcuni striscioni. Il tema della
violenza verbale - e scritta - di alcune curve di tifosi
in Italia è tornato infatti prepotentemente sulle prime
pagine dei giornali nelle ultime settimane, dopo che
nella curva sud dello stadio Olimpico di Roma erano
stati esposti alcuni striscioni contro la mamma del
giovane tifoso napoletano ucciso prima della finale di
Coppa Italia Napoli-Fiorentina. E il problema della
violenza torna d’attualità dopo quel che è accaduto nel
derby di Torino, con il bus della Juventus preso a
sassate e l’esplosione di una bomba carta all’interno
dello stadio comunale". Segno che i provvedimenti messi
in campo negli ultimi anni da parte dei Governi non sono
stati incisivi: "Alcuni passi in avanti sono stati fatti
ma non siamo certo al livello della situazione inglese.
La tessera del tifoso non serve se non c’è la
possibilità di individuazione elettronica cosa che
funziona, al momento, solo allo Juventus Stadium".
5 giugno 2015
Fonte: Sportstory.it
NDR: Si ringrazia
fraternamente Emilio Targia che ha
autorizzato il video nella pagina
Il ricordo
La notte che Andrea morì con papà
di Stefano Caselli
"Ci sono dei morti". Chi è - o è stato - appassionato
di calcio e ha almeno 40 anni o giù di lì, non potrà mai
dimenticare quelle parole. Le pronunciò Bruno Pizzul,
poco prima delle 20, dopo una lunga pausa, con la sua
inconfondibile voce graffiata da qualche Marlboro di
troppo. Le pronunciò in diretta, su Raiuno, dal
gabbiotto dello stadio Heysel di Bruxelles la sera del
29 maggio 1985 a milioni di italiani. E la notte si
gelò. Poi i morti li vedemmo, per giorni e giorni, in tv
e sui giornali. Allora i media erano meno attenti a non
mostrare e pubblicare immagini "sensibili". Vedemmo quei
morti e per noi che cominciavamo ad amare il calcio in
quei meravigliosi (calcisticamente parlando) primi Anni
80 fu la rottura di una magia, un opprimente sipario
nero calato sul palco di emozioni che sapevano regalarti
solo l’ingresso allo stadio lungo scale di calcestruzzo
mano nella mano col papà, la visione improvvisa di un
prato
verde e scintillante davanti a spalti sottili
gremiti di gente in piedi, tra sciarpe e bandiere.
Tante. Di qualunque colore fossero. Perfino l’odore del
fumo delle sigarette - anche se sei ormai adulto e
fumatore - può riportarti con prepotenza a quei
pomeriggi di festa. L’assassinio della magia è il tema
portante di "Quella notte all’Heysel", di Emilio Targia,
uno dei numerosi libri usciti in questi giorni per
celebrare il triste anniversario dei 39 morti del
Settore Z. Emilio, giornalista di Radio Radicale, quella
notte c’era. E per puro caso (grazie alla spasmodica
ricerca dei biglietti riuscì a procurarsene due per due
distinti settori dello stadio) non entrò nel settore Z.
Scelse la curva opposta, quella del tifo "caldo"
juventino. Prima, il racconto della magia che va a
morire. La semifinale vista in tv, l’attesa per il 29
maggio, la ricerca dei biglietti, la partenza da Roma
con l’amico Giampiero, i dialetti di tutta Italia su
quel treno per Bruxelles, la città, il cammino verso lo
stadio e l’ingresso, il prato verde, il tramonto, il
mare delle bandiere, il vibrare dei cori. Tutto perfetto
per "la più bella delle partite".
POI L’INCREDIBILE. Che ancora oggi sembra difficile
raccontare e immaginare. Dalla curva opposta a quella di
Emilio un’onda rossa di hooligans, incredibilmente a
diretto contatto con i tifosi della Juventus, attacca il
settore Z. La gente fugge, impaurita, si accalca e
spinge come una marea incontrollabile fino al vicolo
cieco chiuso da un muretto fatiscente e da una
cancellata arrugginita. Muro e cancello cadranno sotto
il peso dei corpi. Chi non muore prima soffocato, morirà
calpestato. Emilio vede tutto e ci riporta dentro quello
stadio, trent’anni dopo. E poi fuori, a vagare per
Bruxelles, prima a piedi, in silenzio, poi sulla
macchina di un emigrato italiano (napoletano, dr.) che
raccoglie lui e Giampiero nella notte e che, prima di
offrire un telefono e un letto, comunica loro
l’enormità: 39 morti. Quindi il ritorno all’Heysel, un
mazzo di fiori sulle macerie sfidando la sicurezza, il
viaggio di ritorno e le prime lacrime. In treno. Due
giorni dopo. Di quelle 39 vite, Targia sceglie di
raccontarne una sola, anzi due: Andrea Casula, 11 anni e
suo padre Giovanni. Quella notte muoiono entrambi,
Andrea abbracciato a papà che tenta disperatamente di
difenderlo. Sarebbe bello che chi ancora oggi intona
cori sull’Heysel si ricordasse del volto di un bambino
di undici anni e del corpo di un padre che soffoca
insieme a lui per tentare di salvarlo. Sarebbe bello, ma
non accadrà.
Emilio Targia deve avere cominciato a elaborarlo,
questo suo libro sulla strage dell’Heysel, già il 29
maggio del 1985. Di sicuro, da allora, non è trascorso
un giorno senza che rivolgesse almeno un pensiero a
quanto è accaduto trent’anni fa nello stadio di
Bruxelles (ribattezzato nel frattempo Re Baldovino),
consentendo così alla sua memoria di mantenersi
perfettamente viva. Non solo consentendo, ma anzi
obbligandola a non appannarsi: perché ricordare, in casi
come questi, diventa un dovere civile. Targia ha
lasciato decantare dentro di sé tutti i frammenti della
sua traumatica esperienza di testimone oculare e, dopo
tre decenni, ne ha fatto scaturire un diario tanto
doloroso quanto necessario, che è al tempo stesso
rievocazione e monito: Quella notte all’Heysel (Ed.
Sperling & Kupfer, pp.176, euro 14,90). Caporedattore di
Radio Radicale, romano ma innamorato della Juventus,
Targia nel maggio del 1985 ha diciott’anni e un
desiderio sopra ogni altro: andare a Bruxelles e
assistere, la sera del 29, alla finale di Coppa dei
Campioni tra la sua Juve e il fortissimo Liverpool di
Rush, detentore del trofeo. Un’aspirazione che corona
grazie all’interessamento di un amico torinese, il quale
riesce a procurargli due posti in curva, nel settore N.
Quello di Targia è il racconto di un lento franare
nell’abisso e della progressiva presa di coscienza di
questa discesa inesorabile. Nel libro si descrivono i
tanti segnali grandi e piccoli, alcuni simili a
premonizioni, che trasmettono all’autore un’inquietudine
crescente: gruppi di hooligans del Liverpool già dal
pomeriggio girano per la città imbottiti di birra,
carenze dei belgi a livello organizzativo, servizi di
sicurezza che subito appaiono inadeguati, vari tifosi in
possesso di biglietti probabilmente falsi e altri che,
allungando venti franchi a chi dovrebbe controllare,
entrano in tribuna con un ticket di curva: "Mi sale
dentro un senso di angoscia. Leggera, ma velenosa",
scrive Targia. E poi il deflagrare del dramma.
Nell’altra curva, precisamente nel settore Z, orde di
hooligans iniziano a caricare come belve impazzite i
tifosi della Juve. Targia assiste da lontano a quelle
scene orribili, impotente, accrescendo il proprio
sgomento con l’ausilio di un binocolo. Il resto è noto:
la finale che inizia con enorme ritardo, alle 21.42, e
viene giocata per volere dell’Uefa; una partita surreale
e anomala, conclusasi con la vittoria per 1-0 della
Juve; i festeggiamenti allucinati dei giocatori
juventini. E i 39 morti, 32 dei quali italiani e, fra
questi, un undicenne di Cagliari, Andrea Casula, e il
suo papà 43enne. Anche attraverso le testimonianze di
protagonisti e sopravvissuti inserite in appendice al
volume, Targia formula la sua preghiera laica e chiede
che l’Heysel smetta di essere - come ancora oggi
assurdamente è - una tragedia di parte, una tragedia
"tifosa", per divenire lutto nazionale da vivere con
cordoglio unanime. Intanto, il prossimo 6 giugno, la
Juve disputerà contro il Barcellona la sua ottava finale
di Champions League. In caso di vittoria, non solo gli
juventini, ma l’Italia migliore saprà a chi dedicare il
trionfo.
29 maggio 2015
Fonte: Libero
Recensione del libro: "Quella notte all'Heysel" di
Emilio Targia
di Caterina Baffoni
Il 29 maggio 1985, allo stadio Heysel di Bruxelles, è
un pomeriggio di luce e bandiere che sembra scandire
alla perfezione il conto alla rovescia prima della
finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool,
la partita delle partite. Il sogno di ogni tifoso.
Emilio ha diciotto anni e ce l’ha fatta: è lì, con il
biglietto per entrare allo stadio, insieme all’amico di
una vita, Giampiero. Oltre all’eccitazione e
all’entusiasmo porta con sé un piccolo registratore e
una cinepresa super 8, perché ha già deciso che da
grande farà il giornalista. Nello stadio, tra canti e
battiti di mani, c’è una chimica speciale che assomiglia
a un incantesimo. Poi il silenzio. Emilio Targia,
sopravvissuto all’incubo di quella notte all’Heysel,
racconta ciò che ha visto, che ha sentito, i suoi
ricordi, fissati anche su una pellicola e su un nastro
magnetico, e prova a sciogliere nell’inchiostro memoria,
rabbia, dolore e paura. Oggi, Emilio Targia, giornalista professionista dal
1997, è caporedattore di Radio Radicale e membro del
Comitato Scientifico del portale "Art Wireless" e della
direzione artistica del festival "Collisioni" di Barolo,
ci sprona a leggere questo libro così coinvolgente e
sincero per un semplice motivo che sta alla base delle
175 pagine: non dimenticare. "Perché senza memoria
saremmo luci spente. Perché la memoria è un lavoro. Una
scelta. Ha bisogno di manutenzione e di amore, e questo
spetta a tutti e a ciascuno individualmente. Fatelo,
allora, quel nodo al fazzoletto". Queste le parole di
Emilio Targia, grande giornalista e tifoso, che ha fatto
il nodo per ricordare e ricordarsi "Quella notte
all’Heysel", che è diventato il titolo del suo libro,
scritto da vero giornalista, ma anche da testimone
diretto della tragedia di Bruxelles. Targia c’era, era
un tifoso con il sogno di diventare giornalista, e
l’elaborazione dei suoi ricordi scorre come un diario
personale, un fiume in piena di emozioni, quasi un
romanzo. Ma non è solo un bel libro il suo, è un libro
importante, un libro da leggere e da far leggere
soprattutto a tante generazioni di bambini. Perché
"moltissimi italiani (e molti media) si ostinano a
considerare le vittime dell’Heysel solo come "juventini"
e non come connazionali e come persone. Questo mina in
modo imperdonabile il peso reale della tragedia belga,
perché la riduce a un fatto calcistico e la relega in
una dimensione sbagliata e giusta". Lo leggeranno in
molti, purtroppo è probabile non quelli che dalle
tribune degli stadi continuano a insultare la memoria
dell’Heysel e di vittime che non erano tifosi juventini,
ma tifosi e basta. E un tifoso non deve morire in uno
stadio.
"Si sentono urla, dal settore Z. Gente che fugge. Non
c’è più nessuna bandiera. Un vociare scomposto e molto
strano, e grida, e rumori sconosciuti. Poi,
d’improvviso, solo silenzio". Si fondono così quelle
sensazioni con quei dettagli così unici che ha
confusamente registrato. L'autore vuole portarci
all'attenzione i ricordi dei sopravvissuti per
restituire il dolore e il senso di tradimento che quella
notte gli precipitarono addosso. Il libro nasce
dall’esigenza dell’autore, sopravvissuto a quella notte
di follia, di "liberare un file", perché la mente umana
a volte da sola non basta, a ricordare tutto. E
purtroppo, a volte non vuole. Si tratta di un racconto
dettagliato di quella notte, e dei giorni che la
precedettero e che la seguirono. Un racconto dedicato ad
Andrea, la vittima più giovane. Un’appendice con una
rassegna stampa e alcune testimonianze. All'interno vi
sono una prefazione di Sandro Veronesi, allora davanti
alla tv, e una postfazione di una leggenda bianconera
come Antonio Cabrini, allora in campo. La "mission" del
libro è quella di fare manutenzione di memoria, ed
evitare che il termine "Heysel" nel tempo si polverizzi,
disperdendo il contenuto doloroso e tragico di quel che
evoca. Informare, ricordare, raccontare. Provare a
immergere il lettore in quel sogno innocente di vittoria
che diviene improvvisamente un incubo. Emilio vuol
tentare anche di provare a seminare anticorpi contro le
banalità e le volgarità pronunciate in questi 30 anni da
chi sa poco o nulla di quella notte all’Heysel. Il
trentennale dalla strage di Bruxelles infatti offre una
preziosa occasione ai media per provare a ripercorrere
quelle drammatiche ore. Non dimenticare è un dovere
civile. Lo è altrettanto provare a capire cosa si
sarebbe dovuto fare in questi anni e cosa invece non è
stato fatto. Se quella "lezione" è divenuta semplice
lettera morta. E per colpa di chi. Chi non era
all’Heysel, racconta l'autore del libro, difficilmente
capisce perché quella partita si è giocata.
Difficilmente può immaginare la "bolla" in cui tutti
erano finiti, scioccati, increduli, confusi e
spaventati. Provare a capire senza giudicare, può
essere una risorsa. L’autore, che oggi è un giornalista,
può farsi strumento per tutto questo. Ricordando,
raccontando, rispondendo a qualunque domanda su quella
notte e su questi 30 anni.
"QUELLA NOTTE ALL'HEYSEL"(Emilio Targia)
Radio Radicale 26.05.2015
Lo sconforto, la rabbia e la disillusione
espresse in queste pagine sono tutte sensazioni
palpabili e dolorose, ma capaci di mantenere viva la
memoria al di là di qualsiasi ipocrita demagogia. Emilio
è come se ci prendesse per mano in questo cammino
appassionato e commovente, rendendoci partecipi di una
notte "assurda". E' altrettanto lecito sottolineare come
il tema Heysel si ricongiunge con l’attualità di queste
settimane, ed è proprio il pensiero del campione del
mondo Antonio Cabrini secondo il quale chi insulta negli
stadi italiani le vittime dell’Heysel lo fa perché è
ignorante. Perché non sa, né capisce o immagina il
dolore. Quel dolore. Ma non c’è solo il tema dell’Heysel
al centro di alcuni cori o come oggetto di alcuni
striscioni. Il tema della violenza verbale e scritta di
alcune curve di tifosi in Italia è tornato infatti
prepotentemente sulle prime pagine dei giornali nelle
ultime settimane, dopo che nella Curva Sud dello stadio
Olimpico di Roma erano stati esposti alcuni striscioni
addirittura contro la mamma del giovane tifoso
napoletano ucciso a Roma lo scorso anno prima della
finale di Coppa Italia Napoli-Fiorentina. E il problema
della violenza torna di forte attualità dopo quel che è
accaduto nel derby di Torino, con il bus della Juventus
preso a sassate e l’esplosione di una bomba carta
all’interno dello stadio comunale. Oltre ad altri
episodi spiacevoli in altre città italiane. Ecco che la
questione del rispetto, della memoria, della civiltà e
della responsabilità torna prepotentemente alla ribalta.
Occorre dibatterne subito, risalire con chiarezza alle
radici del problema e cercare di estirparne tutte le
problematiche relative a questi scempi. Si tratta di una
lettura stimolante che fa bene al cuore, scritta da un
testimone diretto, che cerca di comprendere e filtrare
ai lettori il significato dell' assurda morte di 39
persone innocenti durante una manifestazione che
dovrebbe in realtà essere la pacifica dimostrazione
della bontà e dell'innocenza della passione sportiva.
27 maggio 2015
Fonte: Tuttojuve.com
TIKI TAKA
"Trent'anni dall'Heysel"
ITALIA
UNO 26.05.2015
Heysel: 30 anni dopo, la denuncia "agenti erano tutti
in ferie"
(AGI) - Roma, 26 mag. - Da 30 anni, il 29 maggio è
una data che fa male, una data che deve essere
ricordata. Il 29 maggio 1985, 39 persone morirono allo
stadio Heysel di Bruxelles, poco prima della finale di
Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Gli inglesi
ubriachi, approfittando della mancanza di forze
dell'ordine - in ferie dopo la visita del Papa in
Belgio, è la denuncia di chi quel giorno era lì -
caricarono i supporters bianconeri che per difendersi si
ammassarono contro il parapetto del settore ospiti. La
barriera cedette e a decine precipitarono nel vuoto. Da
allora molto si è detto e scritto, spesso perdendo di
vista l'unica cosa che conta: il mantenimento della
memoria e della verità, nel rispetto delle vittime e dei
loro famigliari. Emilio Targia, giornalista testimone,
nel libro 'Quella notte all'Heysel' (Sperling
& Kupfer,
178 pagine, 14,90 euro) ripercorre lucidamente la
vicenda, raccontando quello che ha visto all'interno
dello stadio, condividendo lo sgomento, l’incredulità e
la rabbia che seguirono.
D - Heysel continua a "vivere" con noi e, spesso,
contro la pigrizia della nostra memoria. Qual è la prima
immagine che viene in mente riavvolgendo il nastro ?
R - Un padre di famiglia. Un uomo che, preso da un
attimo di follia, mi affida il figlio e tenta di
raggiungere il settore Z che avevamo di fronte. E' stato
un attimo, poi probabilmente si sarà reso conto che non
avrebbe potuto essere d'aiuto in nessun modo, ed è
tornato indietro. Ma un'altra immagine che resterà
indelebile nella memoria è il mio ritorno allo stadio il
giorno seguente. Ero andato per portare un mazzo di
fiori e mi ritrovai a camminare tra sciarpe
insanguinate, macerie e scarpe rimaste a terra.
D - Cosa ha scatenato il tutto ?
R - Non fu una sola la causa. Più che altro fu una
serie di eventi. Uno stadio obsoleto e fatiscente, un
servizio d'ordine non all'altezza e migliaia di inglesi
ubriachi pronti a "caricare" i tifosi italiani. Fu tutto
sbagliato anche la vendita dei biglietti, troppi, e
infine anche il mancato divieto di vendita di alcol.
D - Entrati allo stadio avevate avuto il sentore che
potesse accadere qualcosa ? Avevate capito la gravità
della situazione ?
R - Eravamo a conoscenza delle "turbolenze" dei
tifosi del Liverpool. Arrivando allo stadio avevamo
incontrato inglesi ubriachi, avevamo sentito parlare di
risse, ma non pensavamo che la situazione potesse
degenerare in questo modo. L'anno prima a Roma c'era
stato l'incontro con il Liverpool, in uno stadio grande
il doppio, non c'erano stati problemi e tutto era stato
gestito bene. Come avremmo potuto immaginare che i belgi
sarebbero potuti essere tanto disorganizzati ? Qualche
tempo dopo si venne a sapere che il Papa, Giovanni Paolo
II, quindici giorni prima del mach era andato in visita
a Bruxelles e per l'occasione erano stati impiegati i
corpi d'élite specializzati nell'ordine pubblico. Il
giorno dell'incontro erano tutti in ferie.
D - E le forze dell'ordine presenti allo stadio, come
intervennero ?
R - I poliziotti sul campo erano davvero pochi, io ne
contai 5 o 6. Mi dissero che molti erano impegnati fuori
dallo stadio, nessuno si rese conto che il rischio e la
situazione da tenere sotto controllo era all'interno.
Appena iniziò lo spostamento di massa, qualche italiano
riuscì a fuggire "invadendo" il campo, ma fu preso a
manganellate. Il servizio di sicurezza non era stato
nemmeno addestrato sui colori delle maglie delle due
squadre, non riuscivano a riconoscere gli hooligans dai
tifosi italiani.
D - Le autorità calcistiche decisero comunque di far
disputare la partita, è stata una scelta giusta ?
R - Assolutamente sì. Sarebbe stato un gesto folle
non far disputare la gara. Sarebbero venute a contatto
le curve e si sarebbe scatenato l'inferno.
D - Qual è il modo migliore per non dimenticare i 39
morti ?
R - Un buon esempio lo ha dato la curva della Juve
nel corso dell'ultima partita contro il Napoli, issando
uno striscione con i nomi dei 39 tifosi morti nella
tragedia. Non bisognerebbe parlare solo di numeri, ma
raccontare storie per far capire e non dimenticare. Mi
piacerebbe che il Coni, la Uefa, la Lega insomma le
autorità calcistiche organizzassero un minuto di
silenzio, anche in tutti gli stadi, domenica prossima
per il trentennale.
26 maggio 2015
Fonte: Agi.it
NDR: La fotografia di
Vincenzonicolello.it è tratta dal profilo facebook di Emilio Targia
Quella notte all’Heysel - Emilio Targia
di Mario Bonanno
Ho quasi pudore a scrivere di "Quella notte
all’Heysel" di Emilio Targia. Ho pudore perché è un
libro nero, listato a lutto. Racconta di gente che muore
a una partita di calcio. E di gente che muore a una
partita di calcio è terribile parlare, figurarsi
scriverne. Ho pudore perché la finale di Coppa dei
Campioni del 29 maggio 1985 si incista ancora tra i miei
ricordi più accesi. All’Heysel di Bruxelles la Juventus
si giocava col Liverpool il trofeo più importante della
stagione. Non ero allo stadio: ero tra quelli che
credevano di tifare alla televisione e a un certo punto
si sono trovati a guardare in faccia la morte in
diretta. Sono stato di quelli che non hanno
capito. Non
subito, non fino in fondo. Sono stato tra quelli che ha
persino esultato al rigore di Platini e non trovo
giustificazioni per quel gesto, se non nella fede cieca
per la mia squadra di calcio e nell’immaturità dei miei
vent’anni. Per quest’ultimo fatto non provo pudore,
piuttosto vergogna. "Quella notte all’Heysel" (Sperling
& Kupfer, 2015) ha una copertina agghiacciante. Una
scarpa da tennis sbavata di sangue evoca l’orrore
consumato quella notte. La cruda realtà dell’Heysel, 30
anni esatti tra una manciata di giorni. "Quella notte
all’Heysel" non è un saggio e non è un romanzo. Lo ha
scritto il giornalista Emilio Targia sul filo di ricordi
dolorosi (lui c’era all’Heysel. Del massacro della curva
Z ha udito le "voci" e assistito alle scene) ed è per
questo che "Quella notte all’Heysel" non è un saggio e
non è nemmeno un romanzo. Non-fiction, si usa scrivere
oggi. Della specie più lancinante e necessaria. Come
risulta necessario, delle volte, ricordarsi di
ricordare. La cronaca dei fatti che vorresti obliare e
sai che invece non si può e non si deve. Per cui lo
sguardo dell’autore ti inchioda e si mantiene fermo a
sua volta. Prima-durante-dopo il 29 maggio del novecentottantacinque in un libro. Stazioni
inestricabili di un’ontologia che attraversa molteplici
stati d’animo che è persino retorico elencare. Ho come
l’impressione che "Quella notte all’Heysel" deve essere
costato molto al suo autore. Un libro così non lo scrivi
a cuor leggero, un libro così lo scrivi per dovere: per
te stesso e per i morti (39) nel crollo del settore Z,
dopo la carica degli inglesi. I morti con le sciarpe dei
tuoi stessi colori: bianco e nero a un certo punto
chiazzati di rosso. "Quella notte all’Heysel" può essere
assunto, allora, come la cronaca di una tragedia sotto
molti aspetti annunciata (gli hooligan imperversano e la
polizia sta a guardare). Cento pagine e spiccioli
accorate. Con una corposa appendice che annovera le
opinioni di chi c’era. Arbitro, calciatori, dirigenti,
giornalisti. Tifosi e parenti delle vittime, legati al
filo rosso e trasversale di un dolore atroce, che non
passa mai. Prefazione e postfazione del volume sono
firmate - nell’ordine - da Sandro Veronesi e Antonio
Cabrini.
25 maggio 2015
Fonte: Sololibri.net
SPORT 2000
di Giampiero Spirito
"L'Heysel 30 anni fa..."
TV2000 16.05.2015
Un saggio per la notte dell'Heysel, affinché non si
dimentichi
L'autore Emilio Targia: è manutenzione di memoria
Roma, 16 mag. (askanews) - "Si sentono urla, dal
settore Z. Gente che fugge. Non c'è più nessuna
bandiera. Un vociare scomposto, e grida, e rumori
sconosciuti. Poi, d'improvviso, solo silenzio". Emilio
Targia il 29 maggio 1985 ha diciotto anni ed è lì,
dentro lo stadio dell'Heysel, dove la Juventus si gioca
la coppa dei campioni con il Liverpool. Ma non sarà una
partita e una finale come le altre. Perché la follia
degli hooligans porterà la morte negli spalti dei tifosi
bianconeri. "Le ore che hanno preceduto l'incontro, e
quel che accadde nello stadio di Bruxelles, fanno parte
di me - continua l'autore - Vorrei fondere quelle
sensazioni con i dettagli di ciò che ho confusamente
registrato. E raccontare i
ricordi dei sopravvissuti.
Per restituire il dolore e il senso di tradimento che
quella notte ci precipitò addosso". Nel libro, oltre al
racconto dettagliato di quella notte c'è un'appendice
con una rassegna stampa e alcune testimonianze. La
prefazione è firmata da Sandro Veronesi. Antonio
Cabrini, che quella notte era in campo, spiega che "chi
oggi insulta negli stadi italiani le vittime dell'Heysel
lo fa perché è ignorante. Perché non sa, né capisce o
immagina il dolore. Quel dolore". E la mission del
saggio edito da Sperling & Kupfer è proprio quella di
fare "manutenzione di memoria", come ripete l'autore.
"Bisogna evitare che il termine 'Heysel' nel tempo si
polverizzi, disperdendo il contenuto doloroso e tragico
di quel che evoca. Informare, ricordare, raccontare.
Provare a immergere il lettore in quel sogno innocente
di vittoria che diviene di colpo incubo. Provare a
seminare anticorpi contro le banalità e le volgarità
pronunciate in questi 30 anni da chi sa poco o nulla di
quella notte". Perché "non dimenticare è un dovere
civile". Targia, che è caporedattore di Radio Radicale,
e membro della direzione artistica del festival
"Collisioni", aggiunge: "Chi non era all'Heysel
difficilmente capisce perché quella partita si è
giocata. Difficilmente può immaginare la "bolla" in cui
tutti noi eravamo finiti, scioccati, increduli, confusi
e spaventati. Provare a capire senza giudicare, può
essere una risorsa. L'autore, che oggi è un giornalista,
può farsi strumento per tutto questo. Ricordando,
raccontando, rispondendo a qualunque domanda su quella
notte e su questi 30 anni". Targia, poi ammette: "Lo
dovevo a me stesso, lo dovevo a chi è stato meno
fortunato di me e da Bruxelles non è più tornato. E a
chi è tornato ma non è mai riuscito a raccontare, né
forse a capire, quel che vivemmo quella notte dentro a
uno stadio di cemento marcio. E poi lo dovevo alla
memoria. Perché in questi 30 anni la memoria dell'Heysel
è stata spesso sporcata, ignorata, calpestata. A volte
distorta. E quel settore Z trasformato dagli hooligans
in un sudario, è stato troppo spesso vilipeso. O
dimenticato. E' indispensabile allora valutare i danni,
svelare i colpevoli, e fare manutenzione".
16 maggio 2015
Fonte: Askanews.it
Quella notte all’Heysel
di Sebastiano Del Rosso
Appena l'arbitro sancisce la fine di
Bordeaux-Juventus, tutto il popolo bianconero scoppia in
un grido di giubilo. Sono riusciti a raggiungere la
finale di Coppa dei Campioni. Festeggiano anche
Giampiero ed Emilio, juventini doc. E il mattino dopo
sono già proiettati al 29 maggio: devono assolutamente
accaparrarsi il biglietti per la finale di Bruxelles
contro il Liverpool. Così comincia la ricerca, che è più
difficile del previsto: sono moltissime infatti le
persone che vogliono godersi dal vivo quello spettacolo
memorabile e i biglietti si stanno esaurendo. Le
richieste superano di dieci volte la capienza del
piccolo stadio dell’Heysel. Comunque, grazie all'aiuto
di alcuni
conoscenti, riescono finalmente a trovare un
tagliando per i settori M-N-O. Iniziano i preparativi
per quella che sarà una notte di festa: Emilio e
Giampiero si informano solo come due tifosi accaniti
possono fare: precedenti, statistiche e via dicendo.
Mettono anche a punto un programma per visitare la
città, che di certo sarà blindata: la settimana prima
infatti a Bruxelles è prevista la presenza del Papa e
c’è massima allerta. Sicuramente anche per la partita
sarà lo stesso. Arrivati nella capitale belga il
fatidico giorno, si accorgono che si sbagliano di
brutto... Cronaca di una tragedia annunciata: con il
senno di poi, la tragedia dell’Heysel del 29 maggio 1985
è riassumibile così. Ed Emilio Targia, giornalista di
fede juventina, non fa che confermare questa tesi. Lui
che quella notte l’ha vissuta in prima persona, che ha
visto con i suoi occhi il crollo del famigerato muro e
sentito le urla dei tifosi. Ma perché parlare di
tifoserie quando accadono queste cose ? Forse la
tragedia sarebbe stata minore se a morire fossero stati
coloro che quel pomeriggio sventolavano bandiere rosse e
non bianconere ? La morte non fa distinzione né di razza
né di religione, figuriamoci di tifo calcistico. È un
libro scritto con una rabbia sopita ma mai dimenticata,
la rabbia che ancora oggi tormenta le coscienze e ci fa
domandare come sia potuta avvenire una cosa simile. Già,
come ? A trenta anni di distanza non è del tutto chiaro.
Di chi sono le colpe principali ? Del Ministero degli
Interni che ha organizzato male la sicurezza allo stadio
? Degli hooligan del Liverpool che hanno invaso il
settore Z ? Dopo aver letto il libro viene un dubbio:
che gli ultrà siano stati lasciati appositamente soli,
per trasformarli nel capro espiatorio delle
intollerabili falle da parte della organizzazione belga.
Con il Papa tutto funzionò efficientemente, possibile
che non abbiano saputo gestire qualche migliaio di
persone dentro e fuori uno stadio ?
? maggio 2015
Fonte: Mangialibri.com
Quella notte all'Heysel
di Emilio Targia
Ci sono incubi che si travestono da sogni e quando
poi ti accorgi dell'inganno è troppo tardi. E non puoi
farci niente. Il 29 maggio 1985, allo stadio Heysel di
Bruxelles, è un pomeriggio di luce e bandiere che sembra
scandire alla perfezione il conto alla rovescia prima
della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e
Liverpool, la partita delle partite. Emilio ha diciotto
anni e ce l'ha fatta: è lì, con il biglietto per entrare
allo stadio, insieme all'amico di una vita, Giampiero.
Oltre all'eccitazione e all'entusiasmo porta con sé un
piccolo registratore e una cinepresa super 8, perché ha
già deciso che da grande farà il giornalista. Nello
stadio, tra canti e battiti di mani, c'è una chimica
speciale che assomiglia a un incantesimo. "Bastò un
click sull'interruttore a far svanire il calore di quel
sole. A precipitarci nel gelo. Mani che di colpo ora
servivano a proteggersi. Canti tramutati in urla. E
bocche spalancate, nel settore Z, come respiratori
d'emergenza. La curva, un girone dell'inferno. Poi il
silenzio". Emilio Targia, sopravvissuto all'incubo di
quella notte all'Heysel, racconta ciò che ha visto, che
ha sentito, i suoi ricordi, fissati anche su una
pellicola e su un nastro magnetico, e prova a sciogliere
nell'inchiostro memoria, rabbia, dolore e paura. Per non
dimenticare. Perché senza memoria saremmo luci spente.
12 Maggio 2015
Fonte: Sperling.it
A 30 anni dalla tragedia, un libro sulla strage
dell'Heysel
(AGI) - Roma, 11 mag. - Alla vigilia del trentesimo
anniversario della strage dell'Heysel - maggio 1985, la
finale Juventus - Liverpool dove 39 persone hanno perso
la vita, esce un libro di Emilio Targia, che è stato
testimone di quella tragedia. L'autore ripercorre
lucidamente la vicenda, raccontando quello che ha visto
all'interno dello stadio, condividendo lo sgomento,
l'incredulità e la rabbia che seguirono. "Si sentono
urla, dal settore Z. Gente che fugge. Non c'è più
nessuna bandiera. Un vociare scomposto, e grida, e
rumori sconosciuti. Poi, d'improvviso, solo silenzio".
Emilio Targia il 29 maggio 1985 ha diciotto anni ed è
lì, dentro lo stadio dell'Heysel. Sa già che "da grande"
vuole diventare giornalista e ha con sé un piccolo
registratore e una cinepresa super8. "Le ore che hanno
preceduto Juventus - Liverpool, e quel che accadde nello
stadio di Bruxelles, fanno parte di me. Vorrei fondere
quelle sensazioni con i dettagli di ciò che ho
confusamente registrato. E raccontare i ricordi dei
sopravvissuti. Per restituire il dolore e il senso di
tradimento che quella notte ci precipitò addosso".