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"Sala delle Colonne", Piazza
Palazzo di Città, Torino 29.05.2019 |
34° Anniversario della Strage dello
Stadio Heysel |
"Giornata della Memoria per le Vittime
dell'Heysel e di
ogni Manifestazione Sportiva" |
Commemorazione a Cura dell'Ass.
Culturale "Quelli di... Via
Filadelfia" |
Con il Patrocinio di Città di Torino e
Consiglio Regionale del Piemonte |
Monologo "Quella notte all'Heysel"
di Emilio Targia |
Tratto dal libro di
Emilio Targia "Quella notte all'Heysel"
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34 anni dopo, ricordata la
tragedia dell’Heysel in Comune a Torino:
"Un sogno spogliato,
violentato"
di Massimo De Marzi
Così Emilio Targia ha rivissuto
la sera del 29 maggio 1985 e il dramma avvenuto prima di
Juve-Liverpool. Beppe Franzo: "+39 per ricordare quelle vittime.
Le tragedie vanno condivise da tutti, senza distinzioni e
colori".
Era piena la Sala Colonne del Comune di
Torino nella serata di ieri. Non per una conferenza stampa, ma
per rivivere, insieme, una notte che, chi c'era quel 29 maggio
1985, non potrà più dimenticare. La tragedia dell'Heysel è stata
una delle pagine più buie e nefaste della storia del calcio. 39
vittime innocenti della follia degli hoolingans inglesi nella
curva Z dello stadio di Bruxelles, prima della finale di Coppa
dei Campioni tra Juve e Liverpool. Beppe Franzo con la sua
associazione "Quelli...di via Filadelfia" ha voluto organizzare
una serata per tenere viva la memoria di quel dramma nei
confronti delle giovani generazioni. Perché solo non
dimenticando si potrà evitare che una sciagura del genere possa
ripetersi. La serata inizia con la proiezione di un video,
immagini in super 8 dai colori sbiaditi, che riportano le
lancette a quel pomeriggio di 34 anni prima. "Ricordare per non
dimenticare", sottolinea Franzo nella sua introduzione, dopo i
ringraziamenti di rito. "E’ ora di finirla, da parte delle altre
tifoserie, pensando di attaccare la Juve tirare in ballo quelle
vittime. Troppe volte si sono visti striscioni con scritto -39:
per questo noi abbiamo deciso di scrivere +39, come è il
prefisso per chiamare l’Italia, perché quelle persone, prima che
tifosi bianconeri, erano cittadini italiani". Per fortuna,
Franzo fa notare che ci sono stati segnali incoraggianti, di
segno diverso, in questi ultimi anni, citando il progetto
bianconerogranata e i 70 angeli, per accomunare la tragedia di
Superga a quella dell’Heysel, cita in questo senso l’impegno dei
taxisti torinesi. "Speriamo che in futuro non siano più
necessarie manifestazioni come queste, perché vorrà dire che i
morti sono condivisi da tutti, senza colori e distinzioni".
Quindi la parola passa a Emilio Targia, che rilegge molte pagine
del suo libro "Quella notte all’Heysel", facendo venire i
brividi. Partendo dalla gioia dell’arrivo prima a Bruxelles e
poi allo stadio, prima che attorno alle ore 19, guardando dalla
curva opposta, si trovò a vivere in presa diretta il dramma,
assistendo a "quell’onda rossa anomala che travolse tutto nel
settore Z", prima di vederne crollare una parte. Poi le prime
notizie che arrivavano, parlando di alcuni feriti, quindi di 7
morti, successivamente di 21. La voglia di scappare via, quella
voce di capitan Scirea che fece un appello in cui invitava alla
calma e diceva "giochiamo per voi", che servì a restituire un
po’ di calma, quando tutti erano in preda alla paura e allo
spavento. E dopo il frastuono di quella sera, con le urla e le
grida di dolore, con le cariche della polizia, gli elicotteri,
il rumore delle ambulanze, mentre alle 21.42 iniziava una
partita fantasma, il giorno dopo Targia ricorda di essere
tornato allo stadio con in mano un mazzo di margherite che,
riuscendo a passare in mezzo a poliziotti e agenti, andò a
depositare in quello che restava della curva Z: "Era il sogno
spogliato, violentato: salendo e poi scendendo dai gradini, feci
attenzione a non calpestare nulla in quello che era diventato un
campo di battaglia". Solo un calcio, alla fine, ad un pezzo di
muro che era finito tra i suoi piedi. Poi vengono citati i nomi
delle 39 vittime, prima che un lunghissimo applauso e poi un
minuto di silenzio accompagnino alla fine di una serata vissuta
col groppo in gola. "Innaffiare le radici della memoria per non
dimenticare", conclude Beppe Franzo. Perché chi ha vissuto
l’Heysel lo porterà dentro per tutta la vita.
30 maggio 2019
Fonte: Torinoggi.it
L’Heysel, la Storia, la Memoria
di Emilio Targia
La bellezza del calcio. In Inghilterra,
del "Football". Ci pensavo qualche giorno fa, mentre in campo a
Liverpool tutti piangevano dopo l’impresa contro il Barcellona
in Champions League. E quell’inno fantastico, "You’ll never walk
alone", e i brividi che si respiravano nell’aria, dentro a quel
coro avvolgente. "Come si può - mi chiedevo - trasformare tutta
questa bellezza in orrore ? Come si può deragliare in modo così
volgare e violento da una simile magia ?". Come è potuto
succedere, dunque, quel pomeriggio di 34 anni fa ? Chi spense
l’interruttore di quella gioia fanciullesca per infilarci tutti
dentro a un incubo assurdo ? Chi aumentò i giri di quella
giostra fino a farci finire dentro a un frullatore impazzito ?
Sappiamo chi. Sappiamo come. Sappiamo della assurda
concatenazione di errori e negligenze che provocarono quella
strage. Quello schiaffo che interruppe la chimica di quella
magia, di quell’attesa festante dentro a un pomeriggio di luce e
di migliaia di bandiere impazienti. L’urlo di un ragazzo:
"Guardate laggiù ! Nell’altra curva ! Gli inglesi caricano !
Caricano !". Poi le notizie che rimbalzarono veloci, imprecise,
frammentarie, concitate. Mentre gli altoparlanti gracchiavano
surreali inviti alla "calma". L’unica pratica impossibile in
quella centrifuga di rabbia e paura. Altro che calmi. Eravamo
arrabbiati. Spaventati. Impotenti. E quello stadio, ormai, era
come una stanza satura di gas che poteva esplodere alla prima
scintilla. In cielo, beffardi, sfrecciavano addirittura degli
aerei militari. Un altro rumore assurdo e surreale che piombò su
di noi. I nostri pensieri angosciati rivolti alle nostre
famiglie, gli amici, ai quattrocento milioni di persone che
davanti alla tv scopriranno di essere in diretta con una guerra
e non con una finale di Coppa dei Campioni. Lo stadio era un
campo di battaglia, e sopra di noi arrivarono anche alcuni
elicotteri. Dei Puma bianchi e rossi. "Il muretto non c’è più, è
crollato ! È crollato !" L’urlo disperato di una ragazza ci
spinse a guardare nuovamente verso il settore Z. Era vero, il
muretto non c’era più. Cristo santo. Saranno caduti di sotto ?
Magari si sono salvati proprio grazie al crollo. O erano troppo
in alto per sopravvivere ? Saranno caduti uno sull’altro ? Si
moltiplicavano le domande, e
come al solito, nessuno poteva
risponderci. Non in quell’attimo, non lì. Angoscia senza
risposta. L’odore di bruciato nell’aria infettava le narici.
Irritava la gola. Poi quel sussurro che passò di bocca in bocca,
e quando arrivò fu come un pugno nello stomaco: "sono morti in 7
in quella calca". "No sono 20, forse 21…". O forse sono di più.
O forse non era vero. Nessuna certezza. Ma era qualcosa che ti
cambiava il respiro, il battito del cuore. Come se il braccio di
una gru ti agganciasse e ti tenesse sospeso per un attimo sopra
lo stadio, costringendoti ad astrarre per capire, per
comprendere, per salvarti. Un attimo soltanto, poi la gru ti
molla e ti ributta giù, in quell’incubo, senza riguardo.
Intanto, gli altoparlanti dello stadio continuavano a diffondere
messaggi personali: "Francesco Rossi comunica al cugino Daniele
di aspettarlo di fronte all’ingresso tribune". E così via.
Lentamente, il prato sembrò svuotarsi. Confusamente. In
sottofondo, urla, cori, elicotteri. E gli zoccoli dei cavalli
sulla pista di atletica. Alle 21.30 su tutto quel rumore di
fondo, così estraneo a un campo di calcio, si appoggiò come un
abbraccio la voce di Gaetano Scirea, il capitano della Juventus.
Arrivò chiara e dolce, nonostante il riverbero metallico
dell’amplificazione: "La partita verrà giocata per consentire
alle forze dell’ordine di organizzare l’evacuazione del terreno.
State calmi, non rispondete alle provocazioni. Giochiamo per
voi". Dio. Finalmente una voce. Qualcuno che ci parlò, che si
rivolse a noi per dirci qualcosa, qualunque cosa. Eravamo tutti
prigionieri dentro a una specie di bolla. Si accesero i
riflettori, il prato sgombro. Sgombro ma non libero. Circondato,
piuttosto. Da centinaia di poliziotti in assetto antisommossa.
Almeno mille, o duemila, se non di più. Avevamo forse sognato ?
Galleggiavamo su qualcosa che non capivamo. Ci guardavamo negli
occhi l’uno con l’altro, in preda alle domande e allo
smarrimento. Cercavamo un linguaggio comune. Un appiglio. Come
congelati dentro quello stadio che ormai era lontano da noi,
lontano da tutto. Zombies che camminavano sulle macerie di un
sogno. Eravamo allo stadio Heysel, ma anche altrove. In un
non-luogo privo di risposte certe. Guardammo la partita come
attraverso un vetro. Le immagini sfocate, l’audio attutito. Il
tempo rallentato. Tuttavia, tentammo ugualmente di agganciare il
nostro sguardo al pallone che rotolava, di farci
catturare e
"stordire" da quella partita. Ne avevamo un disperato bisogno,
per metabolizzare qualcosa che era parecchio più grande di noi,
e che rischiava di travolgerci. Che ci aveva già travolto e
risucchiato. In cima al settore M della nostra curva, un bengala
rosso illuminò lo striscione dello Juventus Club Torino, che non
era stato rimosso come gli altri. Una illusione di normalità.
Dopo la partita, fecero uscire prima i tifosi inglesi, con
grande celerità. Continuammo a fissare i riflettori dell’Heysel,
il campo verde ormai vuoto e il rosso ocra della pista di
atletica, del tutto inghiottita dagli stivali dell’esercito
belga, che occupava ogni corsia. Dopo pochi minuti non c’era più
nessuno nel settore degli inglesi. Il bloc Z restava intanto
muto e deserto, immerso nel suo dolore assurdo e innocente.
Oggi. Oggi occorre preservare la memoria di quella notte.
Proteggerla dalle imprecisioni, dalle infiltrazioni, dalle
approssimazioni. Una volta, per ricordarsi qualcosa di
importante, si faceva un nodo al fazzoletto. Non c’era il bip di
un telefonino, ma un semplice nodo di stoffa. Per la scrittrice
americana Barbara Kingsolver "la memoria è una faccenda
complicata, è imparentata con la verità ma non è la sua
gemella". A me piace pensare che si possa imbrigliare il destino
di questa frase. Se non sovvertirlo. E che nel caso dell’Heysel
la memoria possa diventare almeno sorella della verità. Possa
provare a far immaginare il dolore, quel dolore di cui nessuno
parla mai. Occorre educare alla memoria. E occorre fare
manutenzione. A me piace pensare alla manutenzione della memoria
come ad un lavoro in cui sporcarsi le mani quotidianamente, tra
grasso e bulloni, e viti e colla e chiodi e vernice. Fino a
quando, un bel giorno, chissà, nell’ennesima discussione al bar
o sui social su quel 29 maggio, la smetteranno di rivolgersi a
noi con le solite frasi fatte, e cominceranno a chiederci,
finalmente, di raccontare loro la vera storia dell’Heysel. E la
storia di Nino, di Andrea, di Francesco, di Giuseppina, di
Roberto, di Loris…
29 maggio 2019
Fonte: Juventibus.com
Heysel: Appendino "ferita mai
dimenticata"
Sindaca Torino "Un dovere il
ricordo e il rispetto delle vittime".
TORINO, 29 MAG - "Una ferita mai
dimenticata dai tifosi di tutto il mondo. Un dovere il ricordo e
il rispetto delle vittime". Lo sindaca di Torino, Chiara
Appendino, ricorda così, su Twitter, il 34esimo anniversario
sulla tragedia dell'Heysel.
29 Maggio 2019
Fonte: Lagazzettadelmezzogiorno.it
La Mole Antonelliana si
illumina per ricordare le 39 vittime dell’Heysel
di Gianluca Oddenino
Iniziative speciali a Torino e
in tutta Italia per il 34° anniversario della tragedia allo
stadio di Bruxelles, prima di Juventus-Liverpool, che sconvolse
il calcio. Anche i tifosi del Toro omaggiano i caduti.
TORINO - Ricordare e onorare. Sono
passati 34 anni dalla tragedia dell’Heysel, dove morirono 39
tifosi bianconeri prima della finale di Coppa dei Campioni a
Bruxelles tra Juventus e Liverpool, ma il tempo non cancella le
ferite di quel terribile 29 maggio 1985. Anzi, la memoria è
sempre più forte e viva. Da Reggio Emilia a Meda, passando da
Cherasco, oggi si celebra la "Giornata della Memoria per le
Vittime dell’Heysel e di ogni manifestazione sportiva". Il
momento clou si terrà stasera a Torino, quando la Mole
Antonelliana sarà colorata di bianconero e con il logo "+39
Rispetto" per ricordare chi perse la vita in quella maledetta
notte per una partita di calcio. L’evento, organizzato
dall’Associazione "Quelli di … Via Filadelfia", prevede anche la
lettura del monologo di Emilio Targia tratto dal libro "Quella
notte all’Heysel": appuntamento alle ore 21 nella Sala delle
Colonne del Comune di Torino in piazza Palazzo di Città. Non
mancheranno i fiori ai vari monumenti sparsi in Italia, oltre
che fuori l’ex stadio belga: a Torino l’appuntamento è nella
piazzetta compresa tra lungo Dora Agrigento e strada del Fortino
tra i numeri civici 36 e 38, dove l’anno scorso è stato
inaugurato il monumento (NDR: Targa d’intitolazione della
Piazzetta) alle "Vittime dell’Heysel". Ci sarà anche il ricordo
della Juventus, virtuale e reale, mentre Giovanni Trapattoni sul
suo profilo Twitter ha già ricordato le 39 vittime juventine con
un messaggio sentito. Domenica scorsa, invece, i tifosi del Toro
avevano onorato la memoria bianconera allo stadio Grande Torino
con lo striscione "+ 39 Rispetto" esposto durante la partita con
la Lazio ed ora esposto al Museo del Torino e della Leggenda
Granata. Un omaggio che vale doppio, a maggior ragione dopo lo
striscione "Onore ai caduti di Superga" esposto allo Stadium
dalla curva ultrà della Juve durante il derby del 3 maggio.
29 maggio 2019
Fonte: Lastampa.it
JUVE / LA RICORRENZA
Ora l'Heysel deve unire e non
dividere
di Guido Vaciago
A 34 anni dalla tragedia in cui
morirono 39 persone sono tante le iniziative per non
dimenticare: affinché le vittime non siano solo tifosi della
Juve ma appartengano a tutti quelli che amano il calcio.
MEMORIA E RISPETTO. Il 29 maggio è
sempre una buona occasione per fare il tagliando alla memoria,
una piccola ma necessaria manutenzione della coscienza nella
data della tragedia dell’Heysel. Sono passati 34 anni dal quel
mercoledì nero del 1985, quando a Bruxelles morirono 39 persone
nello stadio che ospitava la finale di Coppa dei Campioni fra
Juventus e Liverpool; dimenticarle o trascurarne il ricordo non
è meno grave della criminale demenza di chi ancora le insulta
negli stadi. Ma forse si può fare di più, andare oltre nel
pensare quella notte, metabolizzando ogni volta il dolore; si
può iniziare a parlare delle vittime senza indicarle come tifosi
della Juventus, ma semplicemente come tifosi o appassionati di
calcio, per comprendere fino in fondo che l’Heysel è una
tragedia di tutti quelli che amano questo sport, che l’Heysel è
un buco nero che ha inghiottito una parte dell’innocenza di un
popolo più ampio e globale. Sarebbe un altro passo avanti, uno
dei molti che per fortuna sono stati fatti da allora perché se
l’Heysel diventasse finalmente di tutti e non solo dei tifosi
juventini, non solo si combatterebbe meglio l’aberrazione di chi
sfrutta quelle morti per insultare, ma si capirebbe che anche
nella tragedia il calcio e lo sport sono fatti per unire e non
per dividere, per solidarizzare e non per ghettizzare. Questa
sera alle ore 21 nella Sala delle Colonne del Comune di Torino,
ve ne sarà un’eccellente occasione grazie all’Associazione
"Quelli di via Filadelfia" di Beppe Franzo che, con il
patrocinio del Comune, organizza una serata con il giornalista
Emilio Targia, autore del libro "Quella notte all’Heysel" (tutto
potrà essere seguito in streaming sul sito di Radio Radicale ed
è solo una delle tante iniziative che sono state indette in
tutta Italia già dai giorni scorsi e che si svolgeranno anche
nei prossimi, come il Torneo di calcio per i bambini dello
Juventus Club Meda). Questa sera Targia terrà un monologo tratto
dal suo libro e ne seguirà un dibattito con i presenti in sala.
E una piccola scheggia di memoria impreziosirà la serata, perché
verrà proiettato un momento di una presentazione del libro nel
2015. Ospite, in quell’occasione, era Felice Pulici, l’ex
portiere della Lazio e dell’Ascoli, che nulla c’entrava con la
tragedia del 1985 se non per il fatto di essere uno sportivo
sensibile, un uomo intelligente e una persona degna. Pulici non
conosce i dettagli della tragedia, li ha appresi dal libro, che
lo ha commosso. Quel giorno vuole leggere uno dei passaggi più
devastanti, quello in cui nell’inferno della Curva Z, muoiono il
piccolo Andrea Casula e il padre Giovanni, partiti da Cagliari
per assistere insieme alla partita, una gita da sogno fra padre
e figlio. Pulici legge con trasporto, si commuove più volte,
piange, ma riesce a finire. Non sa che quella ragazza tra il
pubblico, anche lei visibilmente commossa, è la sorella di
Andrea. Oggi quelle immagini commuovono ancora di più al
pensiero che lo scorso dicembre è mancato anche Pulici. Ma quel
momento rimane e verrà rivissuto questa sera, proiettato insieme
ad altre immagini girate proprio da Targia quel tragico 29
maggio con la sua telecamera Super8. E quel momento sarà
importante per chi vorrà capire l’universalità della tragedia
dell’Heysel che, a 34 anni di distanza, deve diventare un
ricordo comune per il mondo del calcio. Come ha già iniziato a
fare domenica scorsa, quando è comparso un fiore meraviglioso
allo stadio Grande Torino sotto forma di bandiera granata con la
scritta "+39 rispetto". L’iniziativa è stata voluta dal Museo
del Grande Torino e della memoria granata, cui va un plauso, e
sembra il proseguimento di un bel dialogo iniziato con lo
striscione per i caduti di Superga apparso, in occasione del
derby, all’Allianz Stadium. Se non vogliamo altri Heysel e se
vogliamo un futuro più sano e salutare per il nostro calcio
questa è l’unica strada possibile: memoria e rispetto. Sempre.
29 maggio 2019
Fonte: Tuttosport
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