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Cinema e Heysel
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Appuntamento a Liverpool
Marco Tullio Giordana 1988
     
Proč ? (perché ?)
Karel Smyczek 1987

Appuntamento a Liverpool

di Marco Tullio Giordana (1988)

"Appuntamento a Liverpool", con Isabella Ferrari, John Steiner, Valeria Ciangottini, Nigel Court, Ugo Conti, Roberto Lena, Marne Maitland. Regia di Marco Tullio Giordana. Durata: 1:30. Italia, 1988.

Caterina vive a Cremona con la madre le sue normali giornate di lavoratrice ventenne, cercando di dimenticare il dramma della morte del padre, avvenuta sotto i suoi occhi tre anni prima, nello stadio di Bruxelles, a causa dei tumulti provocati dai tifosi inglesi, durante la partita Liverpool - Juventus, tumulti finiti in una strage. Ma un ispettore di polizia inglese, ossessivamente determinato a individuare e consegnare alla giustizia tutti i responsabili di quell'eccidio, riconvoca la ragazza come testimone oculare, essendo emersi nuovi elementi, che consentono di riaprire l'istruttoria. Caterina, pur riluttante, è costretta a rivedere al rallentatore le tragiche sequenze di quei terribili momenti: scopre così, inorridita, l'assassino del padre, ma non lascia trapelare la violenta emozione. Decisa a farsi giustizia da sé, lascia il lavoro e la madre e parte per Liverpool, alla ricerca del responsabile. Dopo paurose avventure nella città sconosciuta e sfuggendo all'implacabile ispettore che la tallona, riesce finalmente a trovare il giovane assassino.

Fonte: Comingsoon.it

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ALCUNE RECENSIONI SUL FILM

NDR: Saladellamemoriaheysel.it non avendo alcuna finalità di critica cinematografica ha scelto di non pubblicare tutte quante le recensioni disponibili in rete sul film di Marco Tullio Giordana, ma soltanto alcune che possano rendere effettivamente l'idea del film, il quale a noi interessa soltanto dal punto vista morale e psicologico. Se proprio devo esprimere un giudizio, accantonando la parrucca di certi soloni intellettualoidi da strapazzo, a me è piaciuto moltissimo e ringrazio Giordana per averlo sofferto, scritto e diretto così ed Isabella Ferrari, la protagonista, per averlo recitato con estrema sensibilità e qualità. Ritengo sia stato il film che le ha cambiato la vita professionale e ce l'ha donata negli anni a seguire in tutta la sua intensità attoriale. Domenico Laudadio 

Prime film: Appuntamento a Liverpool

La giustiziera e i sentimenti

Con Isabella Ferrari, regia di Giordana

APPUNTAMENTO A Liverpool di Marco Tullio Giordana, con Isabella Ferrari, Nigel Court, John Steiner, Valeria Ciangottini. Produzione italiana. Drammatico. Cinema Charlie Chaplin di Torino.

Un italiano muore, massacrato da un tifoso inglese, durante la tragica partita di calcio Juventus-Liverpool giocata allo stadio Heysel di Bruxelles il 29 maggio 1985. Sua figlia, Isabella Ferrari, che era con lui, non può dimenticare né accettare. Tre anni dopo non sa liberarsi da quell'orrore, resta perduta in una depressione profonda: misantropia, inerzia, conflitti con la madre infermiera Valeria Ciangottini, disattenzione nel negozio di jeans in cui lavora a Cremona, culto ossessivo del padre morto. A ricordare la costringe anche il poliziotto inglese John Steiner, deciso "per coerenza morale a individuare e punire tutti i responsabili delle trentanove uccisioni avvenute durante quella partita: guardando le fotografie sottopostele dal poliziotto, la ragazza riconosce l'uccisore del padre. Non parla, non lo denuncia. Va a Liverpool per ucciderlo. Nella ricerca segnata da incontri allarmanti e dalla sorveglianza del poliziotto inglese che l'ha seguita, scopre la città degradata, desolata, violenta. Trova l'uccisore, Nigel Court, un tassista che "ha gli occhi di chi aspetta soltanto di morire". Gli parla, lo pedina. Lo aspetta davanti a casa sua, immagina come lo ucciderà, lo vede uscire con la figlia piccola per mano, anche lui padre: e rinuncia a farsi pure lei portatrice di morte o di prigionia. Il film, nello stile non realistico ma romantico-nero e mitizzante di Giordana, non è riuscito: storia mal congegnata, dialoghi stonati, personaggi secondari incongrui, Isabella Ferrari, senza più i lunghi capelli biondi che erano il suo emblema di star dei fast-movies, per la prima volta in un ruolo drammatico, supera bene la prova: è intensa, contenuta, sensibile. I.T.

15 ottobre 1988

Fonte: La Stampa

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Violenza arrivederci e vendetta a Liverpool

di Alberto Crespi

Il film più controverso della Mostra è Italiano. O piace, o lo si odia a morte, a giudicare dalle violente reazioni del pubblico. In questi casi è giusto schierarti, e noi ci schieriamo: Appuntamento a Liverpool, di Marco Tullio Giordana, ci è piaciuto. E Isabella Ferrari (il cui nome nei titoli, alla proiezione per la stampa, è stato stupidamente fischiato) è bravissima. Una scoperta.

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI. VENEZIA - Liberiamo subito il campo da un equivoco. Appuntamento a Liverpool è l’ormai famoso film che prende spunto dalla strage dell’Heysel, la notte di quel tragico Juve-Liverpool, finale di Coppa dei Campioni. Ma non è un film sull’Heysel e soprattutto non è un documentario sul calcio. L'Heysel è solo un'immagine dei gradoni di cemento che s’inondano di sangue. E’ un incubo sepolto nella mente di Caterina, una ragazza che all’Heysel c’era, stava insieme al padre, l’ha visto morire nel parapiglia scatenato dalla violenza degli hooligan. Quel padre che lei amava teneramente e che per farla addormentare con un sorriso le leggeva una poesia di Sandro Penna in cui si parla di "merda secca". "Quella poesia", (Ndr: Amore, gioventù, liete parole, cosa splende su voi e vi dissecca ? Resta un odore come merda secca lungo le siepi cariche di sole) per me è il cuore del film - dice Giordana - per come mescola parole "basse" e parole alte e perché mi sembra un canto tenerissimo sulla fine della gioventù, delle speranze. Volevo usarla già in "Maledetti vi amerò". Per me il film è tutto nella prima e nell'ultima inquadratura buia, con quella poesia letta fuori campo. Quello che c'è in mezzo è un percorso, che serve prima di tutto allo spettatore. Il percorso dunque, è quello di Caterina. Una ragazza che tre anni dopo la tragedia vive solo nel ricordo del padre. Con la mamma parla poco, con le amiche inventa scuse per non andare alle feste. Lavora come commessa. Vegeta, più che vivere. Finché, un giorno, accadono due cose. Prima Caterina rimette a nuova vita la macchina sportiva del padre e il suo ricordo ritorna ancora più potente (e su quell’auto tutto, a cominciare da quel portachiavi della Juve, le richiama alla mente l’Heysel) Poi, dall’Inghilterra, arriva un commissario. La interroga. Le mostra nuovi filmati, nuove foto, vuole la sua testimonianza. E’ una di quelle foto è nota anche a noi. Quel volto l'abbiamo già visto, negli incubi di Caterina. E’ lui. Ma Caterina non lo denuncia. Dentro di sé, ha deciso partirà per Liverpool, lo troverà, gliela farà pagare. Come tanti western (e di tanto in tanto nella costruzione della trama, sembra davvero un western), "Appuntamento a Liverpool" è la storia di una vendetta. Non vi diremo se alla fine Caterina uccide o no (anche se siamo convinti che proprio il finale abbia urtato il pubblico qui a Venezia) Il film è da oggi nelle sale scopritelo voi. Possiamo solo dirvi che ci è sembrato uno scavo efficace in un personaggio femminile, costretto dal mondo ad azzerare la propria vitalità, rifugiarsi nella violenza. E’ un film amaro, quello di Giordana, un film in cui, appunto, il mondo, (gli adulti, la legge, le istituzioni) non da risposte al dolore. "Per me - dice il regista - è la storia di una donna che rischia di perdere l'anima, ed è un modo per mostrare come sia impossibile elaborare il lutto, sia all'interno che all’esterno. Si può solo interiorizzarlo, fissarlo in un ricordo. Nessuno ti aiuta". "Appuntamento a Liverpool" ha un altro elemento che, diciamolo, aveva suscitato perplessità, ed è rimasto, forse, poco gradito al pubblico un po’ snob della Mostra. II film è, in tutto e per tutto, Isabella Ferrari.  È in scena dall’inizio alla fine come Ornella Muti In "Codice privato" di Maselli. Ed è altrettanto brava. Una scoperta. Merita un applauso anche per come è stata ferma due anni, quando avrebbe potuto scatenarsi in varietà tv e Sapore di mare capitolo 30 o 40, in attesa di un ruolo da attrice vera. Giordana l'ha scelta dopo un provino in cui l'ha fatta solo muovere, senza farle dire una battuta. E lei, nel film, è convincente soprattutto nei silenzi, nel modo in cui riesce a "portare" le battute altrui. E a Caterina, è arrivata proprio da sola "ho visto la tragedia dell’Heysel in tv, come tutti. Ma non credo sia un film su quella partita, e del resto nella mia vita non ho mai provato, fortunatamente, un dolore così forte. Non ho voluto parlare con i parenti delle vittime. Non volevo né sfruttarli, né disturbarli. Ho cercato il dolore dentro di me, nella solitudine. Prima di iniziare le riprese mi sono isolata per due mesi e quando sono arrivata sul set, ero Caterina. Girare il film è stato più facile che prepararlo. Un po' perché (ed è una fortuna che capita raramente) essendo quasi sempre in scena da sola, avevo il regista tutto per me. Un po' perché interpretare dei personaggi così belli è più facile che fare dei film stupidi. Ho lavorato in film in cui non si sapeva nemmeno cosa stessimo facendo. Qui, ogni cosa aveva un suo perché. Ed è stato tutto più semplice.

3 settembre 1988

Fonte: L’Unità

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 Quando lo sport è strage

di Piero Perona 

DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA - Una vergogna dello sport e del fanatismo, cioè i 39 morti dell'Heysel di Bruxelles in occasione della finale di Coppa Campioni dell'85, viene allusa e rievocata oggi alla Mostra dal film Appuntamento a Liverpool. Il regista Marco Tullio Giordana non si sofferma sullo scontro assurdo germinato dall'onesta rivalità tra la Juventus e il Liverpool. In 99 minuti non si vede mai né una maglia bianconera né una maglia dei Reds, il discorso parte da un fatto preciso e si allarga con intenzione: "Vorrei tornare a guardare una partita con gli occhi di un bambino" spera Giordana con timidezza. Partiamo dal presente, dove in una città del Nord che assomiglia a Cremona la giovane Caterina non riesce a dimenticare che il padre le fu ucciso sotto gli occhi. Sono passati tre anni, nessuno più considera l'orrore e chi si arrischia a farlo passa per nevrotico. Soltanto un leale commissario inglese esamina e riesamina la registrazione della serata. Un nuovo documento lo porta a riaprire l'inchiesta. Finalmente Caterina riconosce un volto acceso dall'odio. Si scuote dall'apatia e parte alla volta dell'Inghilterra per uccidere di persona chi l'ha privata dell'amore di suo padre. Qui il commissario esorcizza la sua vendicatività chiedendole di riconoscere l'assassino per mandarlo in carcere. Caterina, distrutta, esita e piange. Come una bambina che si sente privare del giocattolo da rompere, un giocattolo che è uomo e anch'egli padre, punta la pistola contro il nemico. Lasciamo al rispetto della suspense il diritto di censura sul finale. Di sicuro la forzatura impressa al carattere del commissario impersonato da John Steiner provocherà malumori in sala, né più né meno che ora nella sezione Venezia Orizzonti. Marco Tullio Giordana si difenderà dicendo che i mezzi toni non sono sempre necessari alla dignità della scrittura (consideriamo pura e fuori gioco la limitatezza delle espressioni di Isabella Ferrari, impegnata con buona volontà in una parte drammatica). Forse a soli tre anni di distanza dal lutto non si ha ancora la forza di illuderlo per ambire alla tragedia greca. Nel film, per una scelta stilistica, sono evitati i riferimenti cronistici tali da scatenare inopportuni campanilismi. Di Juventus quindi non si parla mai, al massimo vediamo un portachiavi smaltato in bianco e nero. Piacerà, non piacerà, questa rinuncia al racconto diretto ?

2 settembre 1988

Fonte: Stampa Sera

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Isabella metamorfosi d'una bionda selvaggia

di Lietta Tornabuoni

VENEZIA - Metamorfosi di due Isabelle bionde: quella italiana cambia ruolo e personalità, mentre a quella francese tagliano la testa. Isabella Ferrari, star bella dei fast-movies, fenomeno di divismo precoce ("a diciassette anni i ragazzini per strada mi assediavano chiamandomi Selvaggia, col nome della protagonista di Sapore di mare"), a ventitré anni ha sacrificato i famosi lunghi capelli d'oro, e con una corta zazzera bruna recita in Appuntamento a Liverpool di Marco Tullio Giordana il suo primo personaggio drammatico: una ragazza il cui padre molto amato è stato ucciso da un tifoso inglese quel 29 maggio 1985 della finale di Coppa dei Campioni, Juventus-Liverpool, e del massacro nello stadio Heysel di Bruxelles; una ragazza che non può accettare né dimenticare, che va a Liverpool per uccidere l'uccisore, che rifiuta alla fine di farsi portatrice di morte o di prigionia. Se il film, aperto e chiuso da versi struggenti di Sandro Penna ("Amore, gioventù, vane parole...") è discutibile, Isabella Ferrari supera bene la prova: è sensibile, accorata, contenuta e intensa. "Giordana mi ha aiutato, è un bravissimo direttore di attori", dice. Lei non sperava quasi più nella metamorfosi: "Essendo io famosa, i registi neppure volevano vedermi: verso gli attori del cinema commerciale i pregiudizi sono di ferro e di marmo. Cambiare genere è quasi impossibile. Nei fast-movies, quando appoggi il comico sei la bella ragazza vestita da Aiala, nessuno ti chiede di far niente, nessuno ti dirige: invece io adoro venir guidata, manipolata". Al "primo vero ruolo" s'è preparata a modo suo: "Dovevo riuscire a esprimere un dolore che non ho mai provato. Ho smesso la mia solita vita; restando molto sola: adesso sono sfidanzatissima, ed è una fortuna perché stare con un uomo ti brucia tante di quelle energie. Faccio vita da single nella prima casa mia che abbia mai posseduto, un attico romano di novanta metri quadrati ai Parioli, tutto bianco e pizzi". Ha smesso due anni fa di fare film popolari: "Due anni di fermo, di silenzio. Stavo malissimo: dimagrita, esaurita, imbottita di Ansiolin, perdevo cinquecento capelli al giorno e non sapevo cosa avrei fatto". Sta male anche a Venezia: "Ho paura. Tutte le altre volte nei film neppure mi guardavo, tanto mi facevo orrore. Non rinnego niente, però io non mi piacevo. Stavolta è in gioco la mia più grande speranza: entrare in un cinema diverso".

2 settembre 1988

Fonte: La Stampa

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L’ idea fissa di Caterina

"Appuntamento a Liverpool": viaggio nel tunnel che non finisce mai. Il dark side di Isabella Ferrari in Osti.

"Appuntamento a Liverpool", con Isabella Ferrari, John Steiner, Valeria Ciangottini, Nigel Court, Ugo Conti. Regia di Marco Tullio Giordana. Durata: 1:30. Italia, 1988. Un dialogo al buio tra un giovane papà e la sua bambina che fa i capricci prima di dormire. La piccola insiste: vuole che il babbo le reciti ancora una volta una poesia che la fa tanto ridere. Il papà acconsente, a patto che la bimba poi faccia la nanna. E’ il ricordo che perseguita Caterina, l’ex bambina in questione. Il ricordo della voce del padre, morto sulla gradinata dello stadio Heysel il 29 maggio 1985, nell’immane macello che precedette la funesta finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool. Inizia così questa sorta di film-veritè, uscito a tre anni dalla tragedia. La vicenda: Caterina viene convocata in questura due anni dopo da un ispettore inglese incaricato delle indagini. Ci sono novità: alcuni hooligans identificati grazie ai filmati sono stati rintracciati, e Caterina è chiamata a riconoscerli. Ma dopo avere mentalmente identificato il colpevole della morte del padre (che ricorda bene, dato che all’ Heysel c’era anche lei) Caterina finge di non riconoscerlo tra le foto a lei sottoposte in questura. Ha un’ idea fissa: andare a Liverpool e uccidere l’ hooligan. Dopo mille peripezie se lo troverà davanti, mentre esce di casa a passeggio con la sua figlioletta, che somiglia tanto a Caterina da piccola, in un finale memorabile. Marco Tullio Giordana ha girato questo film nel 1988, quando un po’ tutti stavano tentando faticosamente di uscire dal tunnel dell’ Heysel e dei suoi morti, mentre i familiari delle vittime lanciavano accuse a tutti, Juventus inclusa. E’ quindi lodevole avere ricordato quanto accaduto, anche in un film con tanti difetti (come l’ estrema lentezza e la poca credibilità di parte della sceneggiatura). Isabella Ferrari, a noi meglio nota come signora Osti (fu ex moglie del genio visionario di Stone Island), è piuttosto convincente, mentre l’ hooligan liverpudlian è un’ ottima scelta. La vicenda si dipana un po’ a strappi, ma pur sempre al di sopra del livello medio dei film dell’ epoca, il che non è un risultato da poco. Confessione a lato: a metà film mi sono chiesto più volte: "Ma chi è l’ autore delle bellissime musiche ?". Risposta: Mahler e Wagner, fra gli altri. Bella forza. Abbiamo in programma alcuni approfondimenti in merito alla tragedia di Bruxelles, e certamente non è questa la rubrica adatta all’ argomento. Resta un plauso per l’ intenzione del film, che con l’ aiuto di alcune immagini amatoriali effettuate sul luogo del disastro si pone a metà strada tra fiction e realtà. Giordana privilegerà quest’ ultima in futuro, con film come "Pasolini, un delitto italiano" (1995), per poi crollare in vista dell’ arrivo, con il prolisso e pluripremiato "La Meglio Gioventù". Che proprio in quanto super premiato, dimostra che aveva ragione lui e non io. Ho iniziato queste righe citando un dialogo al buio. E forse è proprio il buio a sintetizzare bene la sensazione che rimane addosso ripensando alla sera del 29 maggio 1985. Per questo sembrano ancora più appropriati i laconici versi di Sandro Penna, che la bambina a inizio film trovava così buffi. E che Caterina, ex bambina ormai cresciuta, ripete alla fine: "Amore, gioventù, liete parole/ cosa splende su voi e vi dissecca ? Resta un odore come merda secca lungo le siepi cariche di sole".

19 agosto 2010

Fonte: Settimanasportiva.it

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L’ idea fissa di Caterina

di Claudio Cinus

Un ricordo diventa una persona vera, un'immagine tenuta per anni nella mente si tramuta in carne, e le certezze di ciò che si era creduto possibile si scontrano con le circostanze di una realtà diversa e inaspettata. Appuntamento a Liverpool, quarto lavoro di Marco Tullio Giordana, parte proprio da un ricordo, doloroso e incancellabile, che ha origine nella tragica sera del 1985 quando, prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, morirono 39 tifosi italiani. Isabella Ferrari interpreta la figlia di una delle vittime, giovane donna presente quella sera, sopravvissuta eppure segnata dall'esperienza che ha vissuto. Il film, significativamente, comincia con un volto insanguinato, vuoto, "bestiale", quello dell'assassino, la cui memoria si è fissata indelebile nei sogni notturni della protagonista con un aspetto mefistofelico e inquietante. La trama del film, poi, si dipana in maniera persino troppo banale: un poliziotto inglese, che a distanza di anni ancora cerca gli hooligans colpevoli, le mostra delle foto, tra le quali lei riconosce l'assassino del padre, ma non lo denuncia e preferisce partire per Liverpool alla ricerca di un'improbabile vendetta personale. Se la storia non convince, anche perché i personaggi sembrano solo abbozzati, l'aspetto davvero interessante della pellicola sta proprio nell'evoluzione che assume, nella mente della protagonista, l'immagine che la tormenta da anni. Quello che era diventato un incubo, capace nel suo aspetto di turbarla, recupera un'identità precisa nel momento in cui la donna riconosce in una foto l'uomo che ha ucciso il padre sotto i suoi occhi. Per lei, è la prova che esiste un collegamento tra la figura che abita la sua mente e il mondo che la circonda. Ma è solo quando vede l'uomo a Liverpool, tranquillamente seduto in un pub come una persona qualunque, che riesce finalmente a liberarsi dalla paura e a decidersi per l'azione, per la vendetta. Come se le servisse una prova perché in lei si scatenasse la necessità di porre rimedio alla sua angoscia. Quando l'hooligan ricompare, è nella stanza di un commissariato. A dividere la Ferrari e l'uomo che ha cambiato la sua vita, c'è solo un vetro, e una parola, quella che le basterebbe dire per farlo arrestare. L'uomo ha l'aspetto ambiguo di un innocente che non comprende il motivo per cui è stato arrestato, ma che in realtà nasconde un passato macchiato da un atto atroce. Quel contatto ravvicinato, ma non fisico, dopo anni di pensieri e paure tenute solo dentro la propria testa, spingono la donna a non eseguire il riconoscimento. Crede, probabilmente, che il modo migliore per liberarsi di ciò che la tormenta sia affrontarlo direttamente, tramutando il viso pieno di sangue di un assassino in quello, altrettanto insanguinato, di una vittima. Arriva così il momento dell'incontro, a rendere finalmente tangibile una persona che per anni era stata solo un'icona di morte nell'immaginazione della protagonista. Su un taxi guidato dall'hooligan, con una pistola in mano, la Ferrari attende il momento buono per riscrivere la sua storia personale, ma non riconosce più ciò che l'ha perseguitata per anni, nell'espressione di un uomo che sembra in tutto e per tutto normale, quasi gentile. Esita, trova il coraggio, ma la pistola fa cilecca. La decisione, tuttavia, è stata presa, basta trovare il momento giusto. Che si presenta fuori dalla casa dell'uomo. Tra il desiderio di porre fine a un'ossessione e la scoperta di una nuova verità passa solo un istante, quello in cui una bambina segue l'uomo, suo padre, e lo prende per mano. L'orrore, introdotto nel suo tessuto sociale e familiare, perde improvvisamente il suo aspetto violento, bestiale. La donna capisce che il suo gesto estremo, anziché cancellare i suoi fantasmi, li avrebbe semplicemente instillati nella mente della bambina, sua evidente proiezione. Si chiude così il cerchio, un film cominciato con uno sguardo allucinato finisce con uno sguardo innocente. Gli incubi forse ritorneranno, ma con la consapevolezza che sono nati in un giorno lontano e che non spariranno cambiando il futuro, specie se il futuro è quello di qualcun altro.

20 giugno 2006

Fonte: Effettonotteonline.com

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Maledetti vi odierò

di Anna Maria Mori

ROMA - Signore, fai che ingiustizia sia commessa per la prima volta da un debole: il senso, emozione da cui nasce il film di Marco Tullio Giordana "Appuntamento a Liverpool" sono tutti in questa preghiera. La pronuncia Isabella Ferrari nel ruolo di Caterina, la protagonista: nelle immagini ha come inquadratura quella della Cattedrale di Liverpool lasciata scoperchiata come la vollero le bombe nella seconda guerra mondiale, a ricordo, appunto, di quelle bombe, e a monito contro tutte le guerre. La storia del film è quella di un orfana della tragedia del 29 maggio 1985 nello stadio Heysel di Bruxelles, quando, durante la finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool scoppiò una guerra tra tifosi, che si concluse con una strage: ventinove (N.D.R. 39) morti, e un enorme numero di feriti. Marco Tullio Giordana immagina che uno dei morti sia il papà di Caterina, una creatura bionda che conserva negli occhi e sul viso i tratti di un adolescenza non ancora del tutto dimenticata: Caterina torna a casa senza il padre, con il quale era partita come per una festa, e conservando nel cuore, e negli incubi notturni, immagine tremenda dell'hooligan che lo ha finito, in un lago di sangue, a colpi di bottiglia rotta. Scrive, il regista, raccontando il suo film: Caterina vive a Cremona, una madre ancora giovane, una famiglia della piccola borghesia... Caterina non protesta, non accusa... Un ispettore, che è ancora alla ricerca dei colpevoli, le sottopone alcune foto. In mezzo a loro, la ragazza scopre il suo assassino, e tace. Torna in Inghilterra, cerca l'assassino allo stadio, nei pubs, nei club dei supporters. Finalmente lo trova... Due miliardi di costo. Un produttore, Claudio Bonivento (quello di Blues metropolitano e di Soldati), che Giordana ringrazia con particolare calore: Crede in un cinema, non oso dire di contenuti, ma che comunque si ostina a non contentarsi del divagare di moda, e che vuol esprimere un giudizio su quello che ci succede intorno... Una partecipazione di Rete Italia. Riprese a Cremona. E a Liverpool: Quasi in segreto, per non far trapelare sulla stampa inglese la notizia del film e dei suoi contenuti. Ma non ci siamo riusciti. Ed è arrivata da noi una delegazione, durante le riprese, diffidando la produzione a metter mai più piede a Liverpool, e promettendo ritorsioni contro gli inglesi che lavoravano nel film... Come se il nostro fosse un film anti-inglese, e non, com' è, un film contro la violenza. Il soggetto è di Marco Tullio Giordana, che ha scritto la sceneggiatura con Leone Colonna e Luciano Manuzzi.ROMA - Signore, fai che ingiustizia sia commessa per la prima volta da un debole: il senso, emozione da cui nasce il film di Marco Tullio Giordana "Appuntamento a Liverpool" sono tutti in questa preghiera. La pronuncia Isabella Ferrari nel ruolo di Caterina, la protagonista: nelle immagini ha come inquadratura quella della Cattedrale di Liverpool lasciata scoperchiata come la vollero le bombe nella seconda guerra mondiale, a ricordo, appunto, di quelle bombe, e a monito contro tutte le guerre. La storia del film è quella di un orfana della tragedia del 29 maggio 1985 nello stadio Heysel di Bruxelles, quando, durante la finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool scoppiò una guerra tra tifosi, che si concluse con una strage: ventinove (N.D.R. 39) morti, e un enorme numero di feriti. Marco Tullio Giordana immagina che uno dei morti sia il papà di Caterina, una creatura bionda che conserva negli occhi e sul viso i tratti di un adolescenza non ancora del tutto dimenticata: Caterina torna a casa senza il padre, con il quale era partita come per una festa, e conservando nel cuore, e negli incubi notturni, immagine tremenda dell'hooligan che lo ha finito, in un lago di sangue, a colpi di bottiglia rotta. Scrive, il regista, raccontando il suo film: Caterina vive a Cremona, una madre ancora giovane, una famiglia della piccola borghesia... Caterina non protesta, non accusa... Un ispettore, che è ancora alla ricerca dei colpevoli, le sottopone alcune foto. In mezzo a loro, la ragazza scopre il suo assassino, e tace. Torna in Inghilterra, cerca l'assassino allo stadio, nei pubs, nei club dei supporters. Finalmente lo trova... Due miliardi di costo. Un produttore, Claudio Bonivento (quello di Blues metropolitano e di Soldati), che Giordana ringrazia con particolare calore: Crede in un cinema, non oso dire di contenuti, ma che comunque si ostina a non contentarsi del divagare di moda, e che vuol esprimere un giudizio su quello che ci succede intorno... Una partecipazione di Rete Italia. Riprese a Cremona. E a Liverpool: Quasi in segreto, per non far trapelare sulla stampa inglese la notizia del film e dei suoi contenuti. Ma non ci siamo riusciti. Ed è arrivata da noi una delegazione, durante le riprese, diffidando la produzione a metter mai più piede a Liverpool, e promettendo ritorsioni contro gli inglesi che lavoravano nel film... Come se il nostro fosse un film anti-inglese, e non, com' è, un film contro la violenza. Il soggetto è di Marco Tullio Giordana, che ha scritto la sceneggiatura con Leone Colonna e Luciano Manuzzi. Sullo schermo, nel ruolo della protagonista chiusa nel suo dolore e nel suo desiderio di vendetta, Isabella Ferrari, ex bionda-tinta di Sapore di mare e di Chewingum, alla scoperta dell'intrigo di pensieri e sentimenti che si possono meglio nascondere sotto i capelli quasi castani e i vestiti cupamente eleganti di una ragazza di provincia dotata di soldi e buon gusto: L'ho scelta spiega Giordana perché volevo una persona molto interna, ferita, non un tipo di bellezza esplosiva. E la Ferrari, durante il provino, era così straordinariamente in parte, che non ho avuto un attimo di esitazione. Nel ruolo della madre, Valeria Ciangottini: Di lei, mi ha colpito, come dire ? ...L'umiltà... Mi piaceva che i personaggi italiani del film fossero profondamente offesi e rassegnati. Tutti, tranne Caterina. L'origine del film: Io non sono particolarmente tifoso racconta Giordana ma la sera del 29 maggio dell' 85 ero anche io davanti alla tv. E alla tv, in diretta, ho visto le immagini mostruose della strage: nello stadio di Bruxelles, oltre alle ventinove vittime (N.D.R. trentanove), ce n'era una trentesima, ed era il mito di Olimpia... Stavo preparando il mio film su Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, e in più stavo anche preparando un altro film da girare in Sud America. Ma quell'immagine dello stadio, dal momento in cui l'ho vista, ha continuato a lavorarmi dentro: sull'orrore che avevo visto alla televisione, piombavano, via via, notizie, non meno mostruose, ed erano quelle dei ventisei hooligans incriminati ma lasciati a piede libero, delle famiglie delle vittime che ricevevano risarcimenti risibili, del velo di silenzio che si voleva far calare su tutta la vicenda. Capivo che si voleva far passare l'idea che la violenza sia uno scotto da pagare, e al quale bisogna in qualche modo adeguarsi. Mi è cresciuta dentro l'indignazione. E in questa indignazione ho sentito che c'era l'energia necessaria a fare un film: quella che ti spinge a lavori che altrimenti non faresti, prima di tutto quello di cercare i soldi necessari a produrre... Prima fu "Maledetti vi amerò", poi il discusso "La caduta degli angeli ribelli", dopo ancora il televisivo "Notti e nebbie da Castellaneta". Marco Tullio Giordana, raccontando il suo lavoro, anche quello di adesso che vedremo alla Mostra di Venezia nella sezione Orizzonti e, poi, sugli schermi nel prossimo settembre, dice: "Ho sempre cercato di fare in qualche modo testimonianza sui tempi che viviamo, sulla crisi di questo nostro Paese...

Non mi somiglia il cinema fatto semplicemente come mestiere: due o tre film all'anno, tanto per esercitarsi e perché quello è il mio lavoro. E' una posizione rispettabile, vorrei anche che mi appartenesse. Ma non è così: io non riesco a scrivere una storia se non tengo per qualcuno contro qualcun altro, e se non mi sento spinto a schierarmi... Ho bisogno di una posizione passionale. Solo questo mi dà soddisfazione: sia pure nell'estrema rarefazione dei film che faccio, mi piace ripensare a quelle cinque o sei cose che ho firmato, provando nostalgia o tenerezza, e non indifferenza". In un cinema, il nostro in particolare, che in questi ultimi anni si è affannato ad evadere da qualsiasi sia pur vago riferimento alla realtà e ai problemi dell'oggi, Marco Tullio Giordana ha il coraggio di dire: "Il cinema, secondo me, ha un suo statuto non scritto, ed è quello che vuole che si misuri col presente... Io mi sono formato negli anni che Capanna ha definito formidabili nel titolo del suo libro sul 68. Non sono un barricadero. Ma mi piace pensare che di tutta quella esperienza mi sia rimasta una vigilanza sulla realtà... Insomma non mi piace la rimozione nella quale siamo immersi. Che non ha a che vedere con gli anni Cinquanta: che avevano, a differenza dei nostri, una loro eleganza fatta di innocenza... Oggi è peggio. Di più bello, rispetto al 68 nel quale mi sono formato, c'è che il nostro tempo ha una gioia del vivere che alla mia giovinezza, cresciuta nel culto della cupezza, mancava". Appuntamento a Liverpool pronuncia, rispetto al passato cinematografico di Giordana, in particolare a "La caduta degli angeli ribelli", un atto di pentimento: "Niente cinefilia visibile, nessun narcisismo, nessuna voluttà di citazioni... Ho capito a mie spese che questo tipo di cose, messe in rapporto ad argomenti come il terrorismo o le vittime di una strage, sono fuori posto. E così ho adottato un modo di girare molto rosselliniano. Ho fatto mia la lezione secondo la quale, di un film, la gente guarda e ricorda soprattutto gli attori. Mi sono concentrato su di loro". Marco Tullio Giordana, trentasette anni, padre di un adolescente di quattordici, di nome Alice, alla quale dedico questo film, è sinceramente emozionato: "...Io ho perso mio padre a otto anni. Conosco molto bene, quindi, i sentimenti che racconto in Appuntamento a Liverpool: quelli della mia protagonista che vede morire suo padre. La porto dentro di me, quella frase di Borges che accompagna Caterina sullo schermo: Ora so che la morte di mio padre è l'unica cosa veramente successa nella mia vita, l'unica che continuerà a succedere all'infinito".Marco Tullio Giordana, raccontando il suo lavoro, anche quello di adesso che vedremo alla Mostra di Venezia nella sezione Orizzonti e, poi, sugli schermi nel prossimo settembre, dice: "Ho sempre cercato di fare in qualche modo testimonianza sui tempi che viviamo, sulla crisi di questo nostro Paese... Non mi somiglia il cinema fatto semplicemente come mestiere: due o tre film all'anno, tanto per esercitarsi e perché quello è il mio lavoro. E' una posizione rispettabile, vorrei anche che mi appartenesse. Ma non è così: io non riesco a scrivere una storia se non tengo per qualcuno contro qualcun altro, e se non mi sento spinto a schierarmi... Ho bisogno di una posizione passionale. Solo questo mi dà soddisfazione: sia pure nell'estrema rarefazione dei film che faccio, mi piace ripensare a quelle cinque o sei cose che ho firmato, provando nostalgia o tenerezza, e non indifferenza". In un cinema, il nostro in particolare, che in questi ultimi anni si è affannato ad evadere da qualsiasi sia pur vago riferimento alla realtà e ai problemi dell'oggi, Marco Tullio Giordana ha il coraggio di dire: "Il cinema, secondo me, ha un suo statuto non scritto, ed è quello che vuole che si misuri col presente... Io mi sono formato negli anni che Capanna ha definito formidabili nel titolo del suo libro sul 68. Non sono un barricadero. Ma mi piace pensare che di tutta quella esperienza mi sia rimasta una vigilanza sulla realtà... Insomma non mi piace la rimozione nella quale siamo immersi. Che non ha a che vedere con gli anni Cinquanta: che avevano, a differenza dei nostri, una loro eleganza fatta di innocenza... Oggi è peggio. Di più bello, rispetto al 68 nel quale mi sono formato, c'è che il nostro tempo ha una gioia del vivere che alla mia giovinezza, cresciuta nel culto della cupezza, mancava". Appuntamento a Liverpool pronuncia, rispetto al passato cinematografico di Giordana, in particolare a "La caduta degli angeli ribelli", un atto di pentimento: "Niente cinefilia visibile, nessun narcisismo, nessuna voluttà di citazioni... Ho capito a mie spese che questo tipo di cose, messe in rapporto ad argomenti come il terrorismo o le vittime di una strage, sono fuori posto. E così ho adottato un modo di girare molto rosselliniano. Ho fatto mia la lezione secondo la quale, di un film, la gente guarda e ricorda soprattutto gli attori. Mi sono concentrato su di loro". Marco Tullio Giordana, trentasette anni, padre di un adolescente di quattordici, di nome Alice, alla quale dedico questo film, è sinceramente emozionato: "...Io ho perso mio padre a otto anni. Conosco molto bene, quindi, i sentimenti che racconto in Appuntamento a Liverpool: quelli della mia protagonista che vede morire suo padre. La porto dentro di me, quella frase di Borges che accompagna Caterina sullo schermo: Ora so che la morte di mio padre è l'unica cosa veramente successa nella mia vita, l'unica che continuerà a succedere all'infinito".

1 agosto 1988

Fonte: La Repubblica

Cinema e Heysel  

Caccia al tifoso assassino

di Fulvia Caprara

Marco Tullio Giordana gira a Liverpool "Caterina", film che prende le mosse dalla tragedia di Heysel. L'avventura di una ragazza che cerca un tifoso inglese per ucciderlo. Dice il regista: "Mi interessa descrivere, partendo dalla cronaca, quello che succede dentro una persona che soffre".

DAL NOSTRO INVIATO LIVERPOOL - Per riaprire il discorso su una vergogna indimenticabile, ricordare, far discutere, sollecitare le coscienze che hanno rimosso. Marco Tullio Giordana, regista dei "disagi" generazionali, della disgregata società contemporanea, da "Maledetti vi amerò" a "La caduta degli angeli ribelli", gira in questi giorni in Inghilterra, a Liverpool, un film che prende le mosse dalla tragedia avvenuta nel maggio dell'85 sugli spalti dello stadio Heysel di Bruxelles, poco prima dell'inizio della finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool. Vi persero la vita trentanove persone; numerosi furono i feriti; tremendo lo choc per tutti quelli che in Italia come in Inghilterra, come in altri Paesi del mondo, si erano seduti davanti al televisore con l'intenzione di godersi una bella partita e si trovarono invece ad assistere alla diretta di un dramma. "Anche io ero davanti alla tv quella sera, - racconta Giordana - le immagini della carneficina mi si sono stampate nella mente; per mesi sono stato male ripensandoci. E' una ferita grave rimasta aperta, sia per noi italiani, sia per gli inglesi; una vicenda molto triste in cui tutti fanno una brutta figura, i tifosi come gli incapaci poliziotti belgi". La storia di quella tragedia è rivissuta minuto per minuto, nel film di Giordana, da Caterina (Isabella Ferrari), una ragazza italiana che nello stadio di Bruxelles assiste all'assassinio del padre e decide di vendicarsi. Il percorso di questa vendetta la porta da Cremona, la città di provincia in cui vive, a Liverpool, la città di provincia in cui vive l'assassino: un giovane tassista solitario, senza amici, senza desideri. "Nei miei film c'è sempre stato un protagonista assoluto, un personaggio guida della storia; mi interessa soprattutto descrivere, partendo dai fatti della cronaca, quello che succede dentro una persona che soffre. Le reazioni di fronte al dolore, al lutto, al bisogno di vendetta, alla solidarietà manifestata dagli altri. Prodotto da Claudio Bonivento per la Numero Uno International in collaborazione con Rete Italia, Caterina (questo il titolo definitivo del film, dopo un primo Gioventù poi giudicato inadatto a rendere il senso della pellicola), costa un miliardo e 200 milioni e sarà pronto in primavera. Accanto a un'Isabella Ferrari completamente trasformata, per la prima volta protagonista assoluta in un ruolo sofferto e impegnativo, recitano Nigel Court, l'assassino, e Valeria Ciangottini, la madre della ragazza. Marco Tullio Giordana ha scritto insieme con Leone Colonna e Luciano Manuzzi il soggetto e la sceneggiatura del film e ha inserito tra i fotogrammi della pellicola brani dei filmati sulla tragedia. Le riprese inglesi sono avvenute in un clima di gran segretezza: a Liverpool, tra nebbie, pioggia sottile e vento tagliente, la troupe italiana è stata ben attenta a non diffondere la notizia che si stava girando un film sulla tifoseria hooligan. Giordana ha girato scene sul lungofiume popolato di gabbiani, tra gli enormi dock rossicci che testimoniano l'antica vivacità di quel porto che fino ai primi dell'800 era uno dei più importanti d'Europa; e ha anche catturato in qualche immagine lo spirito della leggenda Beatles, le vestigia di quell'irripetibile fenomeno musicale che ha coinvolto la città in una tempesta di popolarità. Di Liverpool, che oggi non possiede più il suo museo di cimeli dei quattro baronetti, venduto agli americani, si vedranno però la statua ad Eleanor Rigby, ispiratrice della canzone famosissima. Dice Giordana: "Prima di girare ho raccolto un'ampia documentazione, prendendo contatti con le famiglie che hanno subito i lutti. Bisogna anche parlare delle promesse non mantenute; degli aiuti economici che non sono arrivati; del fatto che i giocatori dello star system calcistico vengono ingaggiati a suon di cifre esorbitanti, mentre ai familiari delle vittime si sono fatti i conti in tasca, prima di elargire gli indennizzi. E bisogna anche dire che la nascita dei club ultras, in Italia, come in Inghilterra, viene tollerata e anzi, sotto sotto, stimolata perché coinvolge pesanti interessi economici.

19 gennaio 1988

Fonte: La Stampa

Cinema e Heysel  

Isabella d'autore

di Fulvia Caprara

LIVERPOOL - Ha rinunciato ai capelli lunghi e biondissimi in favore di un taglio vagamente infantile che la fa somigliare a una piccola Giovanna d'Arco immolata sul fronte dell'impegno. Ora è castana; veste abiti semplicissimi dai colori smorti; da mesi ha rinunciato alle stravaganze, non ha più fatto le ore piccole in discoteca; ha trascorso il tempo libero leggendo i libri e vedendo i film che Marco Tullio Giordana le ha consigliato con dolce fermezza. Isabella Ferrari, 23 anni, nata a Piacenza, si sente, nei panni di Caterina, "profondamente maturata". "Ho vissuto in tutti questi anni nell'attesa di un ruolo così. Giordana mi ha fatto capire come si fa un film; come si vive una parte; che cos'è un'illuminazione, quel momento di verità in cui si diventa il personaggio. Ora aspetto con terrore la fine di questa esperienza, il "dopo" adesso sarà davvero difficile". Vincitrice quindicenne del Concorso Miss Teen Agers, apparsa in tv per la prima volta nel programma televisivo "Sotto le stelle" e poi divenuta protagonista di successo della serie dei film vacanzieri da Sapore di mare a Chewingum, la Ferrari racconta quanto è stata difficile l'operazione di riciclaggio. "La prima cosa da fare era scomparire dalle pagine dei rotocalchi rosa che pubblicano foto vecchie dì anni spacciandole per flash scattati qualche sera prima; poi bisognava non accettare le solite proposte, e in questo mi ha aiutato il produttore Bonivento che non mi ha fatto lavorare per qualche tempo, nonostante io fossi legata a lui da un contratto". Così, dopo aver anche rifiutato il ruolo di Francesca Dellera nel Capriccio di Brass, la Ferrari è arrivata purissima alla meta del film d'autore, senza implicazioni erotiche: "Ora voglio fare solo buon cinema e con il personaggio di Caterina spero di riuscire a catturare l'anima di chi mi vedrà sul grande schermo".

19 gennaio 1988

Fonte: La Stampa

Cinema e Heysel

Proč ? (Perché ?)

di Karel Smyczek (1987)

 Proč ? (Perché ?) di Karel Smyczek

Un gruppo di tifosi dello Sparta Praga in trasferta dopo aver devastato un treno al ritorno in città trova un imponente schieramento di polizia che li arresta quasi tutti mettendoli sotto processo e su questo episodio è incentrata l’intera trama del film che si svolge come un flash-back partendo proprio dall’aula di tribunale e assumendo quasi le caratteristiche di un documentario. Tra le scene degli interrogatori, i tradimenti di chi farà i nomi dei responsabili e la ricostruzione delle devastazioni, emergono le situazioni di disagio sociale, economico e familiare che affliggono molti ragazzi del gruppo e spicca il tentativo del regista di trovare una spiegazione sulle ragioni di tanto accanito vandalismo con finte interviste a psicologi, datori di lavoro e gente della strada. Dal punto di vista dell’azione e della sceneggiatura la pellicola non è nulla di eccezionale, anzi a tratti si perde un po’ il filo temporale degli eventi, ma ha il pregio di non eccedere in moralismo ed alla fine il risultato è forse meno banale di quello che potrebbe sembrare. Inoltre in questi nostri tempi di diffide e condanne per il minimo sgarro durante le trasferte, le pene piuttosto pesanti che i protagonisti del film si vedranno infliggere suonano sinistramente familiari ed attuali !

9 settembre 2014

Fonte: Footballa45giri.it

Cinema e Heysel

Il tifo violento nel calcio ceco

di Alessio Marchetti e Maurizio Marcellino

Giugno 1985: nell’allora Cecoslovacchia, alcune centinaia di tifosi dello Sparta Praga ritornano sconfitti dalla trasferta a Banská Bystrica. Il treno sul quale viaggiano viene distrutto e una dipendente delle Ferrovie viene tenuta in ostaggio e minacciata di morte, rischiando di essere lanciata dal convoglio in corsa. A viaggio concluso, la polizia opera diversi arresti e qualche tempo dopo i giudici emettono una serie di condanne da sei mesi a due anni di carcere. Fu quello, quattro anni prima della Rivoluzione di velluto, il primo grave episodio di tifo violento nell’ambiente calcistico ceco. Provocò tale turbamento che il regista Karel Smyczek nel 1987 decise di farne un film - "Proč" (Perché?) - nel quale apparve anche un giovane Daniel Landa nel ruolo di skinhead. Una pellicola che assume quasi le caratteristiche di un documentario, tra le scene degli interrogatori e la ricostruzione delle devastazioni, e che fa emergere le situazioni di disagio sociale, economico e familiare nelle quali versavano molti ragazzi del gruppo. Fu comunque quell’episodio a indicare per la prima volta, anche in questo paese, la tendenza ai comportamenti violenti da parte di alcune frange del tifo calcistico. Nell’ottobre del 1989, a pochi giorni dalla caduta del regime, un altro episodio eclatante, quando i sostenitori del Banik Ostrava attaccarono quelli della Dinamo Kiev, col bilancio finale di quattro ucraini gravemente feriti e 15 tifosi arrestati. Ormai era chiaro: i gruppi di violenti erano riusciti ad organizzarsi, a unirsi e a riconoscersi in slogan, bandiere e striscioni. E anche i cechi avevano cominciarono a conoscere per la prima volta gli hooligans e la violenza associata al football. Il fenomeno si aggrava dopo l’89. Con la caduta del regime comunista e la perdita di molti di quei valori ai quali i cechi erano stati portati a credere, lo stato di disorientamento e la crisi d’identità si riversa sulle tifoserie, composte soprattutto da giovani ancora più confusi dai cambiamenti economico e sociali. È quello il periodo in cui il tifo comincia a rivestirsi di connotazioni politiche. Non è un caso che nel 2004 sia nata anche in Repubblica ceca una unità speciale anti - hooligans della polizia. Le forze dell’ordine avevano ormai capito come queste passioni calcistiche avrebbero potuto essere lo sfogo di sottoculture nazionaliste e radicali, principalmente di estrema destra vicine al movimento skinhead.

 

Nell’estate del 2008 gli ultras dello Sparta Praga si fecero notare per alcune manifestazioni, in nome del panslavismo, a favore del leader politico serbo Radovan Karadžić, all’epoca appena arrestato, e del generale Ratko Mladić, entrambi accusati di genocidio e crimini contro l’umanità. La scritta "Mladić e Karadžić tenete duro" campeggiò su uno striscione esposto durante la gara contro il Mlada Bolesav. Ed ancora: "Impossibile dividere gli slavi: morte all’Ue". Inevitabile che il successivo doppio confronto di Coppa Uefa tra Sparta Praga e i croati della Dinamo Zagabria si trasformasse in una vera e propria guerra; a Praga i croati, decisi a vendicare l’affronto pro - Karadžić, seminarono il terrore, con un bilancio di oltre 50 arresti. Rimanendo entro i confini nazionali cechi, la più temibile è tradizionalmente la rivalità fra lo Sparta Praga e il Banik Ostrava. I loro confronti richiamano sempre la presenza di centinaia di poliziotti in assetto antisommossa. E’ vero che, se confrontato con quanto avviene in altri paesi d’Europa, il fenomeno del tifo violento in Repubblica ceca continua ad avere una portata abbastanza ridotta, bisogna però ammettere che sarebbe sbagliato minimizzarne l’entità e i rischi futuri. Tifo fa spesso rima con razzismo. Oltre agli incidenti, dentro e fuori lo stadio, un altro fenomeno preoccupante in crescendo in questi ultimi anni in Repubblica Ceca è quello del razzismo. In particolare, l’odiosa pratica di prendere di mira i giocatori di colore, con frequenti casi di offese a sfondo razziale nei confronti di giocatore dalla pelle scura. Capita a Praga, ma capita soprattutto in provincia e nelle città dell’estremo est, come Ostrava e Olomouc. Dal primo giocatore nero a scendere nelle arene calcistiche ceche negli anni 1990, Kennedy Chihuri, giocatore dello Zimbabwe nelle fila del Vitkoria Zizkov, fino ad arrivare ai giorni nostri, a Theo Gebre Selassie, 24enne difensore, primo calciatore di colore a vestire la maglia della nazionale. Selassie, di madre ceca e padre etiope, è nato a Třebíč e gioca per lo Slovan Liberec, città dove vive tuttora. Theo ha fatto il suo debutto con la maglia della nazionale ceca il 4 giugno 2011 contro il Perù. Anche lui ha dovuto umiliazioni a sfondo razziale, come lo scorso anno, quando il settore più caldo della tifoseria spartista gli ha gridato epiteti di tutti i generi e fatto l’odioso verso della scimmia. Va però detto che, da alcuni anni anche lo Sparta Praga schiera giocatori africani: attualmente il solo Leonard Kweuke, dopo che Bony Wilfried è stato venduto al Vitesse. Potrebbe però essere il segnale della volontà di questa società di contrastare le frange più razziste del suo tifo.

   

A non passare inosservata è anche la frequenza con la quale negli stadi cechi si sollevano cori di insulti contro la minoranza rom che vive nel paese. Il frastuono dell’Hard Bass a pochi mesi da Euro 2012. Contiguo al tifo calcistico più violento è il fenomeno "Hard Bass" un genere musicale che spesso fa da colonna sonora ai raduni neonazisti. Si tratta di musica techno dal ritmo veloce ed estremo, che fa da contesto a danze frenetiche quasi sempre in luoghi pubblici (piazze, centri commerciali, persino all`interno di chiese e luoghi di culto). Il fenomeno è nato in Olanda affermandosi successivamente in Russia e, recentemente, ha preso piede in tutti i paesi dell’ex blocco sovietico, purtroppo anche in Repubblica ceca. Succede a Praga, a Ostrava, a Zlin, soprattutto dove sono attive organizzazioni estremistiche e hooligan calcistici, che in più di una occasione si sono fatti notare per episodi di violenza e razzismo. Filmati su Youtube mostrano bande di giovani mascherati e incappucciati che, stereo in spalla e volume al massimo, mettono in scena spettacoli tribali, con la simulazione di risse gigantesche, davanti a passanti sbigottiti e agenti di polizia indecisi sul da farsi, tanto più che la violenza spesso è solo mimata. Secondo alcuni osservatori, c’è il pericolo è che queste danze collettive, con le quali gli estremisti si mettono in mostra, vengano sottovalutate e passino per ragazzate.  Con l’ulteriore rischio che l’Hard Bass possa diventare la colonna sonora dei prossimi campionati Europei di calcio. Euro 2012 si terrà infatti in due paesi cuore dell’Est: Polonia e Ucraina. Fra le squadre partecipanti vi saranno anche Russia e Croazia, con al seguito le loro tifoserie notoriamente calde. È innegabile che vi sia qualche preoccupazione sul tasto ordine pubblico. Tra violenza, razzismo, nazionalismo e il ritorno prepotente di rivendicazioni di carattere panslavico, i timori sono più che giustificati. L’augurio è che gli hooligans cechi non decidano di dare il proprio contributo.

29 marzo 2012

Fonte: Italianbusinesscenter.cz

Cinema e Heysel  

Al Festival del cinema sportivo anteprima del film di Smyczek sulle aberrazioni del calcio

Bruxelles, violenza senza "perché"

di Bruno Perucca

Un gruppo di ragazzi, tifosi dello Slavia, ha visto la tragedia allo stadio Heysel in tv e un anno dopo si abbandona a bravate, bevute, oscenità su un treno - L'opera provoca sgomento, ma non dà spiegazioni - Alla fine della proiezione, un dibattito con Paolo Valenti, Gilberto Evangelisti, Antonio Ricchieri vicepresidente della Federcalcio, Luciano Nizzola presidente della Lega, e Dino Zoff.

TORINO - Un'orgia di violenza, tifosa sul treno da Bratislava a Praga (o viceversa, non importa) protagonisti casuali i fans dello Slavia. Un'ora di bravate, di bevute, di oscenità con stacchi (gli altri ventisei minuti di proiezione) sul processo ai pochi dei teppisti fermati dalla polizia alla stazione d'arrivo, sulle famiglie dalle quali escono questi ragazzi senza freni e senza motivazioni, sulle condanne. E' il tema che propone "Perché", film del cecoslovacco Karel Smyczek presentato ieri, pomeriggio e sera, al Romano nel quadro del 43° Festival internazionale del cinema sportivo. A Smyczek si dovrebbe chiedere perché l'ha fatto. I motivi, insomma. Il nostro interrogativo non è rivolto alla qualità, sia chiaro, pur se l'impressione è stata di un fumettone ad effetti pesanti. Il Perché sulle violenze tifose nel film rimane senza risposta (e non poteva darne il dibattito serale che ha fatto seguito alla proiezione). Se a Smyczek bastava riproporre il problema, lo ha fatto sicuramente e con abbondanza di birra, di botte e di vandalismi. Un certo sgomento lo provoca, senza dubbio. Forse non eravamo spettatori adatti, dopo aver visto dal vivo la tragedia (trentanove, i morti) del 29 maggio '85 allo stadio Heysel, le orribili minacce "Bianconeri, ricordate Bruxelles" scritte sui muri dello stadio della Juve, aver partecipato a tante tavole rotonde alla fine delle quali si finiva per sentire che "la violenza per la violenza è frutto dei tempi". Il treno di Praga non parte da un altro Heysel, né vi arriva. E' la ricostruzione, con fantasie contorte, di quanto è accaduto sui treni inglesi degli hooligans, o sui traghetti che li portavano in Olanda, in Danimarca. L'esasperazione di fattacci isolati accaduti nell'Est Europa e anche in Italia. I teppisti dello Slavia hanno come grido di battaglia "Bruxelles, Bruxelles !" ed il più piccolo di loro, al magistrato, confessa: "Sì, quel fatto l'ho visto alla tv". Se la notte dell'Heysel è stata la molla solo per alcune delle successive pazzie, allora il film mette paura. Anche perché i tentativi di spiegazione dei motivi sono appena accennati e comunque già detti, e non solo per la violenza tifosa: genitori divisi, matrimoni prematuri, disoccupazione, precedenti penali. La commozione di Maria, una delle ragazzine terribili nella notte in treno, quando in attesa del processo sente al telefono il padre (che ha ormai un'altra famiglia) il quale finalmente si interessa a lei, è solo un maldestro raggio di luce. Alla fine le condanne, quindi il dibattito. Con i televisivi Paolo Valenti e Gilberto Evangelisti, Antonio Ricchieri vicepresidente della Federcalcio, Luciano Nizzola presidente della Lega, e Zoff. Anche loro già protagonisti di tante discussioni sul tema. Il film li aveva colpiti, un richiamo al tema. Educazione dei giovani, stadi sicuri, controlli, le medicine contro la violenza. Nessuno, e neppure "Perché", offre soluzioni. Sarebbero già state colte. Zoff a caldo, alla fine della proiezione: "Si rimane colpiti, non si sa cosa dire. La violenza gratuita e immotivata, posto che possa avere motivi, lascia indifesi".

15 aprile 1988

Fonte: La Stampa

Cinema e Heysel

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