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Carlo Ricci
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Intervista a Carlo Ricci
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Tifoso F.C. Juventus

(Nel Settore Z allo Stadio Heysel il 29.05.1985
)

Dall'Heysel fino a Cardiff per tifare Juventus

indossando la maglia del Grande Torino

di Giorgio Capodaglio

Un'idea bella e commovente quella di Carlo Ricci, tifoso bianconero sopravvissuto alla tragedia dell'Heysel, che sarà a Cardiff con la maglia del Grande Torino e la sciarpa del Comitato Per Non Dimenticare Heysel: "Voglio lanciare un messaggio, bisogna smetterla con cori beceri che non rispettano i morti".

Da Tivoli, in Provincia di Roma, dove lavora come pediatra, fino a Cardiff per sostenere la Juventus con la maglia del Grande Torino e al collo la sciarpa del "Comitato Per Non Dimenticare Heysel Reggio Emilia". È ciò che farà Carlo Ricci, tifoso bianconero, sopravvissuto alla tragedia dell’Heysel. La sua è una storia commovente, quella di chi ha sempre amato la Juventus, imbarcandosi in numerosi viaggi al seguito della fede bianconera, fino alla finale di Coppa Campioni del 29 maggio 1985, giorno di quel maledetto Juventus-Liverpool. Una tragedia vissuta in prima persona, perché Carlo era insieme al figlio, allora quindicenne, nel settore Z dello stadio belga, era finito anch’egli nella calca, aveva rischiato di restare schiacciato e successivamente aveva vissuto lunghi momenti di panico alla ricerca del figlio, per fortuna ritrovato. Per trent'anni non è riuscito a mettere più piede allo stadio, per poi tornare, spinto dal figlio, nella passata stagione. Appena entrato allo Stadium, la passione è esplosa nuovamente, forse anche più forte di prima, per la voglia di recuperare gli anni persi. Non solo l’abbonamento al campionato, ma anche diverse trasferte nel centro Italia. Quando gioca la vecchia signora Carlo Ricci è una presenza fissa sugli spalti. A togliergli la serenità dello spettacolo sportivo, però, ci hanno pensato in questi due anni i tanti cori beceri che ha sentito in tanti stadi, quelli da parte delle tifoserie anti juventine sulle vittime dell’Heysel, ma anche degli stessi "tifosi" bianconeri sulla tragedia di Superga. Troppo per lui, che ha voluto così raccontare la sua storia a Torinosportiva e lanciare così un forte messaggio.

Ciao Carlo, hai deciso di andare alla finale di Cardiff con la maglia del Grande Torino. Cosa ti ha spinto a farlo ?

"L’ho annunciato in occasione della commemorazione sulla tragedia dell'Heysel, che si è svolta come ogni anno a Reggio Emilia - città natale di Claudio Zavaroni, ultima vittima identificata di questa immane tragedia - davanti al monumento donato da uno scultore belga alla città reggiana. Zavaroni era un ragazzo ventottenne, appassionato di fotografia, partito per l’evento insieme al gruppo di juventini reggiani, anche se non aveva il cuore bianconero, soltanto per fare fotografie. Sono stato molto felice che la mia iniziativa abbia ricevuto il pieno appoggio di Domenico Beccaria, presidente del Museo del Grande Torino, che da anni lotta affinché si ponga fine alla parte più becera del tifo e le tifoserie torinesi, ma non solo, rispettino i morti. Non a caso, ogni anno, lui ci raggiunge a Reggio Emilia per la commemorazione. Io sono intervenuto dopo di lui, mi ero scritto il discorso già in treno, non sono capace a parlare a braccio come Domenico. Ho così annunciato che andrò a Cardiff con la maglia del Grande Torino e la sciarpa che commemora le vittime dell’Heysel, perché vorrei mandare un segnale, nel mio piccolo, far capire che bisogna rispettare le vittime altrui, essere uniti di fronte a certi drammi. Io sono tornato a seguire la Juventus non soltanto nelle gare interne, ma anche nelle trasferte più vicine a casa mia, e ovunque sento cori sulle vittime dell’Heysel e tifoserie che si presentano con bandiere del Liverpool per provocare. Allo Juventus Stadium, poi, ci sono anche i nostri di tifosi, che tirano fuori quei cori orribili su Superga. Insopportabile. Sentivo che dovevo fare qualcosa e questo è il mio modo per dire "basta".

Proprio pochi giorni fa, in una radio bolognese, qualcuno si è augurato un incidente aereo della Juventus.

"Incredibile, non potevo crederci quando l’ho saputo. Ecco perché voglio fare questo gesto simbolico, andare a Cardiff con maglia del Grande Torino e sciarpa del "Comitato Per Non Dimenticare Heysel", dove sono elencate tutte le vittime e vi è il disegno del monumento di Reggio Emilia. Il bianco e nero della Juventus sarà dentro di me. Io non riesco proprio a reggere certi cori beceri, tanto che quando vengono cantati dai nostri tifosi, mi vergogno. Ho 74 anni e amo questo sport, a me piace lo stadio e il bel gioco, al punto che spesso, nonostante le vittorie, ho discusso con altri tifosi della Juventus, perché mi sono lamentato del gioco della nostra squadra e mi hanno tutti risposto di andare a vedere il Napoli. Però, la svolta del 4-2-3-1, con squadra più offensiva è bella da vedere, che ci ha portato in finale, mi ha dato ragione".

Arriviamo a quella maledetta sera del 29 maggio 1985.

"Piango ogni volta che ne parlo, anche quando al Teatro Ghione ho visto il bellissimo monologo di David Gramiccioli, che ha sottolineato tutte le colpe avute dalla Uefa in quell’occasione, senza che nessuno di loro abbia poi pagato per l’accaduto. Vorrei evitare di raccontare quanto accaduto quel giorno, ma ogni volta lo faccio nella speranza che mi passi il dolore che ho dentro, ma non se ne va. All’epoca quelle tribune avevano questa sorta di transenne e noi ci eravamo messi dietro una di esse, perché così non avremmo rischiato di essere impallati da nessuno durante la partita. Poi arrivarono le cariche degli hooligans e in quel momento persi la mano di mio figlio. Eravamo tutti stretti, da dietro spingevano, crollò il muro e finimmo come effetto domino uno sopra l’altro. Non potevo muovermi, perché ero pressato da chi stava sopra di me, usciva soltanto la testa. Per fortuna, facendo sport, ero abbastanza forte e riuscii in qualche modo a muovermi, poi piano piano uno dopo l’altro ci liberammo. Avevo capito che tante persone erano morte e iniziai a cercare disperatamente mio figlio, facendo avanti e indietro. Il tempo divenne quasi indefinito, non so se avrò cercato un’ora o anche di più. Nella disperazione andai anche a cercarlo tra le persone che avevano perso la vita. Sono momenti che non riesco a togliermi dalla testa, ci penso praticamente tutti i giorni. A un certo punto, tra le vittime vidi un ragazzo vestito come mio figlio, con jeans e camicia bianca, che aveva anche i capelli scuri proprio come lui, ormai morto, piegato su due gradini. Andai lì e con delicatezza sollevai la sua testa per capire se fosse mio figlio. Lo feci tre volte, non era Fabio. È stata una cosa durissima, non ho mai conosciuto la famiglia di quel ragazzo e sinceramente avrei anche paura di farlo, sarebbe troppo dura per me, perché mi sembra in qualche modo di avergli mancato di rispetto (la voce è rotta dall’emozione ndr)".

Poi sei riuscito a trovare tuo figlio: immagino il sollievo.

"Lo ritrovai seduto sull’angolo di una panchina, con le ginocchia sollevate e la testa tra esse. In quel momento ci abbracciammo forte, non so per quanto tempo, ancora una volta era indefinito. Fu un momento lunghissimo, ci stringemmo tanto forte da farci male. Non gli ho mai chiesto come abbia fatto a salvarsi, non parliamo mai di questo e nemmeno mi interessa, l’importante è che ce l’abbia fatta. Ricordo soltanto che in quel momento, mio figlio mi disse: "papà non lasciamoci più".

Dopo quella finale non sei più andato allo stadio per 30 anni.

"No, ma non perché fossi schifato dal calcio. Ho continuato sempre a seguirlo in tv e tifare Juventus, amando soprattutto quella di Lippi, che giocava secondo me un grande calcio. Non sono però più riuscito a stare in luoghi affollati. Non ho più partecipato a un comizio politico, ma nemmeno sono andato in Piazza San Pietro dal Papa, cosa che in precedenza facevo spesso. Ho sempre avuto paura delle possibili conseguenze, se fosse accaduto qualcosa all’improvviso. Oggi mi è un po’ passata, ma non ancora completamente. Per fortuna allo Juventus Stadium posso entrare cinque minuti prima dell'inizio della partita e ho il mio seggiolino".

Quando hai deciso di tornare ?

"È stato mio figlio a convincermi. Lui ha mantenuto la passione per la Juventus e per tanto tempo ha provato a convincermi ad andare con lui. Fabio, grazie al suo carattere, è riuscito a digerire meglio di me quanto accadde quella notte, così ha continuato a seguire la Juve allo stadio. Nel 1996, grazie a una mia amicizia personale con un ex arbitro, sono riuscito a trovare il biglietto per la finale con l’Ajax, ma non me la sono sentita di andare e ho lasciato il mio biglietto a mio figlio. Non ho mai temuto che potesse avere problemi allo stadio, perché se l’era cavata meglio di me in quell’occasione. Io, invece, non me la sono sentita di andare nemmeno due anni fa a Berlino, anche se avevo già ceduto di fronte alla sua insistenza in occasione di Juventus-Olympiakos di Champions della stessa stagione. Appena messo piede allo stadio, però, è tornata tutta la passione, mi sono subito sentito a casa e già nella passata stagione ho visto quindici-sedici partite, per poi farmi l’abbonamento quest’anno".

A proposito, sei nato a Roma e tifi Juventus: come mai ?

"Mio papà era un grande romanista e nei primi anni cinquanta mi portò all’Olimpico per vedere un Roma-Juventus. Sulla carta avrei dovuto tifare per i giallorossi, invece mi innamorai subito delle maglie bianconere. Eravamo seduti su una delle vecchie panchine di legno della Tribuna Tevere, segnò la Juventus e mi alzai in piedi esultando. Da dietro un tifoso romanista mi diede anche un calcio nel sedere, ma mio papà, una persona molto tranquilla, lo riprese senza andare però oltre le righe. In quel momento decisi che non avrei più lasciato i colori bianco e neri, tanto che anni dopo andai anche a Belgrado per vedere la storica finale contro l’Ajax e ad Atene per quella contro l’Amburgo, prima della terza finale contro il Liverpool. Anche dopo l’Heysel ho sempre seguito con passione la Juventus, mi piaceva tantissimo la squadra di Lippi, ma a farmi innamorare ancora di più ci hanno pensato personaggi come Buffon, Nedved e Del Piero, che sono rimasti con noi anche in Serie B. Ora, sto raccogliendo, da tifoso, i frutti di tanta perseveranza e sto recuperando il tempo perso".

Tua moglie non è arrabbiata perché vai allo stadio così spesso ?

"No (ride ndr), semmai è arrabbiata perché quando torno a casa la domenica sera, mi lamento sempre per come abbiamo giocato. A me non interessa soltanto vincere, ritengo sia importante anche giocare un bel calcio. Ovviamente, ogni volta, mia moglie mi chiede cosa ci vado a fare, se non sono contento nemmeno quando vinciamo".

Grazie Carlo, esempio di quello che deve essere il tifo, sperando che molti ti capiscano e quei maledetti cori, cantati in tanti stadi, finalmente spariscano.

31 maggio 2017

Fonte: Torinosportiva.it
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