Domenica di
violenza
di Corrado Sannucci
TRAGEDIA allo
stadio Monigo alla fine della partita
tra Treviso e Cagliari: c’è stato un
contatto tra le tifoserie, una
sassaiola, una carica della polizia e
alla fine è rimasto per terra Fabio Di
Maio, 32 anni, un tifoso storico dei
tempi in cui il Treviso era ancora
nell’Interregionale, amico dei
giocatori, una figura conosciuta in
città. E ritorna il ricordo di Vincenzo
Spagnolo, il genoano accoltellato nel
gennaio '95 o di Nazzareno Filippini,
l’ascolano morto negli scontri con gli
ultrà interisti nell’88, le storie
italiane delle domeniche allo stadio,
quando dal nulla appare la violenza e la
morte. Gli incidenti sono cominciati
all’uscita, nella zona opposta al
piazzale delle biglietterie, tra le
curve e i popolari. Il Cagliari aveva
vinto, il gruppo dei tifosi sardi
festeggiava, non più di una trentina. Si
sono ritrovati contro un gruppo di ultrà
del Treviso, sono partiti gli insulti e
poi qualche sasso, è intervenuta la
polizia per separarli, c’è stata qualche
carica, nella fuga Di Maio si è accodato
al gruppo dei suoi compagni di tifo, un
centinaio, che tentava di disperdersi.
Secondo le testimonianze di altri
spettatori, non era in prima fila negli
incidenti, ma ha seguito il movimento di
tutti. Improvvisamente si è accasciato
al suolo, in un momento in cui la
tensione tra le due tifoserie si era
anche un po' alleggerita. Il giovane è
stato attorniato da alcuni amici, che
hanno chiesto aiuto e telefonato al 118
dell’Ospedale. Nell’attesa che
l’ambulanza arrivasse è stato soccorso
da due agenti e da un medico che era
andato ad assistere la partita, che
hanno tentato un massaggio cardiaco
sull’asfalto. Il referto medico del
nosocomio trevigiano parla di morte
improvvisa, quasi sicuramente un
infarto. Fabio Di Maio aveva leggere
abrasioni sul palmo della mano e ad un
ginocchio che facevano pensare a una
colluttazione, il sospetto era che la
morte potesse essere la conseguenza di
un pestaggio, da parte dei tifosi
avversari o della polizia. Ma il
questore di Treviso, Armando Zingales,
riportando le osservazioni dei medici,
le ha descritte come ferite dovute alla
caduta, al momento del malore. "Non c’è
niente che faccia pensare a un evento
traumatico", dice il referto. Ma i
tifosi e la stessa società parlano di un
ritardo nell’arrivo dell’ambulanza.
Fabio Di Maio era di Dosson di Casier,
un paese a pochi chilometri a sud di
Treviso ma ora viveva con la compagna
nel quartiere di Santa Maria del Sile.
Non era conosciuto come un ultrà
particolarmente acceso ma lo scorso anno
aveva subito un’interdizione dallo
stadio per sette mesi. Frequentava un
club del centro e poi qualcuno dei tanti
bar dove parlare di calcio (o di rugby)
è un’occasione per un giro di "ombre",
di bicchieri di vino. Questa era una
delle prime partite cui assisteva in
questa stagione, la prima del Treviso in
serie B. Lavorava come magazziniere in
una ditta di confezioni. Il padre è
molto conosciuto perché gestisce
l’edicola all’interno dell’ospedale Ca' Foncello. Sembra che Di Maio avesse una
storia personale di cardiopatia, i
medici dell’ospedale hanno parlato
addirittura di una miocardiopatia
cronica. Nonostante questo, Di Maio era
molto attivo e non solo nello sport
visto ma anche in quello praticato,
essendo anche un istruttore di nuoto
allo Sporting Club Zambon. La sua morte
ricorda quella di Antonio De Falchi, un
diciottenne tifoso della Roma, morto
all’esterno di San Siro nel giugno '89,
per una crisi cardiaca, dopo
un’aggressione degli ultrà milanisti. Ma
in questo caso sembra che il contatto
con gli ultrà cagliaritani neanche ci
sia stato. Il questore Zingales ha
denunciato il degenerare di una
tifoseria tranquilla che negli ultimi
tempi, specialmente in occasione dei
derby con Venezia e Verona, ha dato il
via a incidenti. (Ha collaborato Andrea
Passerini)
2 febbraio 1998
Fonte: La
Repubblica
Dopo la partita
vinta dal Cagliari uno spettatore paga
per episodi di violenza
Treviso, tragedia
fuori dallo stadio
Muore per infarto
un giovane coinvolto negli scontri
di Guglielmo Longhi
Si chiamava Fabio
Di Maio e aveva 32 anni. Soffriva di
miocardite dilatativa. Sostenitore del
Treviso si è trovato nella mischia fuori
dallo stadio. È stato portato troppo
tardi al pronto soccorso perché l'unica
ambulanza in servizio era stata
utilizzata per il portiere Mondini.
DAL NOSTRO INVIATO
TREVISO - Il parcheggio che si sta
svuotando, gli insulti, i sassi, la
polizia che interviene. E la tragedia:
un tifoso si accascia a terra, stroncato
da un malore. Ucciso dallo spavento,
ucciso anche dalla fatalità perché
l'ambulanza che avrebbe potuto salvarlo
non c'era: stava portando in ospedale il
portiere del Treviso, Mondini. Accade al
termine di una partita che non aveva
suscitato grande tensione. Certo, la
delusione per la sconfitta della squadra
di Bellotto, anche la rabbia per un
rigore non concesso nel finale della
gara possono avere acceso gli animi. Ma
nessuno poteva immaginare cosa sarebbe
successo fuori dallo stadio. Sono le
16.30 quando gli ultras si fronteggiano:
da una parte circa un centinaio del
Treviso (gruppi nati di recente, con la
promozione in serie B e che in parte
sono passati, per osmosi, dalla
polisportiva Benetton, il basket in
particolare), dall'altra una trentina
del Cagliari che stavano per andare alla
stazione a prendere l'autobus (nel
Veneto ci sono cinque club rossoblù, uno
dei quali ha sede proprio a Treviso). I
tifosi si trovano subito di fronte, nel
parcheggio dello stadio: gli ospiti, ha
fatto notare la polizia, non erano
scortati perché in gran parte erano
arrivati in città con mezzi propri.
Volano subito gli insulti, gli ultras
del Treviso cominciano a lanciare i
sassi. Gli agenti, una ventina,
intervengono, fanno alcune cariche e si
mettono in mezzo ai due gruppi. Il
cuscino umano regge, la tensione si sta
alleggerendo. Ma proprio in quel momento
avviene la tragedia: Fabio Di Maio, 32
anni, cade a terra. Un altro tifoso, un
medico, lo soccorre, insieme a un agente
che tenta di fargli il massaggio
cardiaco. Qualcuno urla di chiamare
l'ambulanza, ma l'ambulanza in servizio
allo stadio non c'è: sta correndo
all'ospedale Ca' Foncello con Luca
Mondini. Il portiere del Vicenza ha
avuto una profonda ferita alla tempia
(dopo un brutto intervento di Silva) che
richiederà sei punti di sutura. I
soccorsi per Di Maio arrivano dopo un
quarto d'ora, forse più, i pareri sono
discordi. Comunque troppi. Si capisce
subito cosa sta accadendo, il maledetto
parcheggio resta deserto. Arriva
l'ambulanza, finalmente: una corsa di
dieci minuti, ma per il giovane non c'è
più nulla da fare. Soffriva di
miocardite dilatativa, in pratica un
invecchiamento precoce del cuore che
permette comunque di svolgere una vita
normale. Il giovane, da alcuni mesi
abitante con la fidanzata a S. Maria del
Sile, un quartiere di Treviso, faceva
l'insegnante di nuoto nel centro
sportivo Zambon. Una vita normale,
appunto, con la grande passione per il
Treviso. Seguiva la squadra ovunque, in
casa e fuori, in B come nelle serie
minori. La prepotente salita dei
biancazzurri aveva contagiato lui, e
tutta la curva. I club si erano
moltiplicati, l'entusiasmo pure. Troppo,
forse. Tre anni fa era stato coinvolto
in altri incidenti e sembra che avesse
avuto il divieto di seguire tutte le
manifestazioni sportive. Ma la
circostanza non è confermata dalla
Questura. Che, invece, ricorda gli
episodi di tensione avvenuti nelle
partite contro il Venezia e contro il
Verona e chiarisce con esattezza la
dinamica dei fatti di ieri: il giovane,
da tempo in cura per la miocardite, è
stato stroncato da un infarto. Sul corpo
sono state trovate tracce di
escoriazioni ed ecchimosi al braccio e
alla gamba destra, segni della caduta
sull'asfalto dopo il malore. La
sassaiola provoca anche due feriti fra i
tifosi del Treviso, che vengono medicati
alla testa e subito dimessi. Nell'atrio
del pronto soccorso, restano la rabbia e
lo strazio di parenti e amici. Il padre
di Di Maio, Rosario, è tra i primi ad
arrivare: abita in provincia, a Dosson
di Casier e, ironia del destino, lavora
nell'edicola dell'ospedale. Il cognato
della vittima, che vuole restare
anonimo, si lamenta dell'eccessivo
ritardo con il quale sono arrivati i
soccorsi: "Bastavano dieci minuti in
meno di attesa e probabilmente Fabio si
sarebbe salvato". Qualcuno fra i tifosi
mugugna, chiede spiegazioni agli agenti,
non lancia accuse ma non sa arrendersi.
"Abbiamo fatto il possibile", dicono e
ripetono i funzionari della polizia,
negando con forza la voce che girava
subito dopo gli incidenti: gli agenti
avrebbero pensato soprattutto a dividere
i due gruppi più che a soccorrere il
giovane. È vero il contrario, come
testimoniato da alcuni: sono stati gli
stessi agenti a prestare le prime cure a
Di Maio, a chiamare e poi aspettare
un'ambulanza che sarebbe arrivata troppo
tardi. Ma l'amarezza resta. Lo si
capisce ascoltando le parole del
vicepresidente del Treviso, Paolo
Bisetto: "Non riusciamo a capire perché
dentro lo stadio non succede mai niente
e fuori sì". Alla domanda cerca di
rispondere, indirettamente, il Lisipo,
il libero sindacato di polizia secondo
il quale "le spese per garantire la
sicurezza negli stadi dovrebbero essere
coperte dalle società calcistiche ed
inoltre sarebbe opportuno che le partite
più calde si svolgessero in luoghi
diversi da quelli in cui le squadre sono espressione".
2 febbraio 1998
Fonte: La Gazzetta
dello Sport
Domenica violenta
in B: al Bentegodi contusi e feriti, la
partita con la Salernitana sospesa per 6
minuti
Scontri a Verona,
tifoso muore d'infarto a Treviso
E' un giovane
cardiopatico coinvolto in una rissa tra
ultras veneti e cagliaritani
Domenica violenta
nel calcio, in serie B. Gravi incidenti
a Verona per Verona-Salernitana e
scaramucce fra tifosi locali e del
Cagliari a Treviso, dove un tifoso,
cardiopatico, si è accasciato ed è morto
per infarto. A Treviso gli incidenti si
sono accesi tra una ventina di tifosi
cagliaritani e quelli locali all'uscita
dello stadio dopo l'1-0 a favore dei
sardi: è iniziato un lancio di sassi che
ha provocato il ferimento di due persone
medicate al pronto soccorso con alcuni
punti di sutura al cuoio capelluto. Per
sedare i tafferugli è intervenuta la
polizia. Gli agenti si sono frapposti
tra i due gruppi. Tra i trevigiani,
circa un centinaio, c'era anche Fabio Di
Maio, 32 anni, di Dosson di Casier (Tv).
Figlio del gestore dell'edicola interna
all'ospedale Cà Foncello di Treviso,
conviveva da qualche tempo con la
compagna nel quartiere trevigiano di
Santa Maria del Sile, ed era istruttore
di nuoto e ginnastica in un centro
sportivo privato cittadino. In passato
il giovane era già stato coinvolto in
disordini del genere, e nel '95 gli era
stato temporaneamente vietato l'accesso
agli stadi. Di Maio, che pur stando nel
gruppo degli ultras non era in prima
linea, si è accasciato a terra in un
momento in cui tra le due tifoserie la
tensione si era già alleggerita. Il
giovane è stato attorniato da alcuni
amici, che hanno chiesto aiuto e
telefonato al 118 dell'Ospedale. In
attesa dell'ambulanza è stato soccorso
da due agenti e da un medico che era
andato alla partita. A quanto si è
appreso, Di Maio era conosciuto come
cardiopatico ed era sottoposto a terapia
farmacologica. Trasportato in ospedale
si è spento nel reparto di rianimazione.
Secondo quanto dichiarato dal questore
Armando Zingales, Di Maio è morto per
infarto del miocardio. Un esame sul
corpo non avrebbe evidenziato alcun
segno di contusione, a parte leggere
abrasioni a una mano e ad un ginocchio
per la caduta sull'asfalto. Tra le prime
reazioni alla sua morte, quelle di vari
tifosi trevigiani e di alcuni
rappresentanti del vertice della società
calcistica, secondo i quali l'ambulanza
sarebbe giunta all'esterno dello stadio
con ritardo. Critiche anche
all'organizzazione del servizio
d'ordine, insufficiente a gestire le
tensioni tra i tifosi. Il questore ha
però sottolineato come i comportamenti
degli ultras trevigiani siano
ultimamente degenerati... (Omissis) (r.
s.)
2 febbraio 1998
Fonte: La Stampa
IL DRAMMA / Gli
amici accusano la polizia: "L’hanno
picchiato". Ma il referto medico parla
di decesso per infarto, la vittima era
un cardiopatico.
Follia ultrà:
domenica di sangue a Treviso
di Alessandro
Russello
E' giallo sulla
morte di un tifoso negli incidenti alla
fine della partita contro il Cagliari.
La vittima aveva 32 anni e tornava allo
stadio dopo 7 mesi per una diffida.
TREVISO - Una
sassaiola, la polizia che fa cordone e
carica, tifosi che scappano e cadono, si
rialzano, continuano a correre. Lui no.
Lui rimane a terra. Nessuna
manganellata, nessun colpo ricevuto.
L'ha tradito il cuore, cuore di
cardiopatico di un ragazzo che durante
la settimana faceva il magazziniere
part-time e l'istruttore di nuoto e alla
domenica l'ultrà allo stadio. Lo
tenevano su le pastiglie, ma ieri il
farmaco salvavita non è servito. Fabio
Di Maio, 32 anni, un pezzo di ragazzo
con i colori biancocelesti nel cuore e
una diffida per rissa alle spalle, si è
accasciato a terra nel parcheggio dello
stadio, il "Monigo", poco dopo la fine
della partita Treviso-Cagliari, una
delle gare clou del campionato di serie
B. Una partita particolarmente sentita
per Fabio, che proprio ieri rientrava
allo stadio dopo un'assenza di sette
mesi legata a una diffida ricevuta lo
scorso campionato in seguito a dei
tafferugli. Tafferugli che stavolta
hanno segnato il suo destino. A
innescare gli scontri, con una sassaiola
diretta contro i sardi, a quanto
riferisce la Questura, sono stati i
tifosi locali. Dalle file degli ultras
biancocelesti sono volati sassi e
bottiglie contro gli avversari. Due
ragazzi sono stati colpiti alla testa e
i sardi hanno reagito. Ne è nata una
rissa. E la polizia ha caricato. Mentre
gli agenti cercavano di allontanare i
ragazzi, Fabio Di Maio si è accasciato
sull'asfalto. In un primo momento il
tam-tam della tifoseria trevigiana ha
fatto arrivare la notizia della "morte
di un tifoso manganellato dalla
polizia", ma il questore, dopo aver
ricevuto il referto del medico legale,
ha spiegato: "Fabio Di Maio - ha detto
Armando Zingales - è morto di infarto:
sul suo corpo vi sono solo due
escoriazioni, una ad una mano e l'altra
ad un ginocchio, entrambe dalla parte
dalla quale è' caduto. I nostri agenti
non lo hanno toccato, sono stati fra i
primi a soccorrerlo quando alla fine del
parapiglia si sono accorti che era
rimasto a terra". Una versione ufficiale
avallata dalla telefonata di una ragazza
al quotidiano La Tribuna di Treviso a
tarda sera. Si chiama Daniela Schiavon
ed è l'unica testimone oculare che
finora sia uscita allo scoperto. "Quando
sono uscita dallo stadio c'erano già una
trentina di cagliaritani e la polizia
aveva caricato - ha raccontato - c’è
stata anche una sassaiola, ma in quel
momento la situazione era tranquilla. Mi
sono voltata un attimo e ho visto il
ragazzo cadere a terra: eravamo ben
lontani dal cordone di poliziotti,
almeno cinquanta metri. Subito qualcuno
ha gridato: "Si è sentito male".
L'ambulanza però ci ha impiegato più di
venti minuti ad arrivare. Incredibile".
Ma quella legata ai tempi dei soccorsi
non è la sola polemica. Il Treviso,
attraverso il suo vicepresidente Paolo
Bisetto, ha stigmatizzato il fatto che
lo stadio Monigo sia l'unico in Italia
dove i tifosi vengono fatti sfollare
assieme e dalla stessa uscita. Di Maio,
che lavorava come magazziniere in una
ditta di tessuti e come istruttore in un
club del centro, viveva a Dosson di
Casier, alle porte della città. Era
andato allo stadio con un gruppo di
amici. Novanta minuti di tifo, poi la
delusione per la sconfitta. Una
delusione che ha portato i tifosi agli
scontri.
2 febbraio 1998
Fonte: il Corriere
della Sera
Calcio. Polemiche
all'indomani della tragedia
Poteva essere
salvato il tifoso morto dopo la partita
Treviso-Cagliari ?
di Fiammetta
Cupellaro
TREVISO - Il giorno
dopo la morte di Fabio Di Maio, il
tifoso trentaduenne stroncato da un
infarto all'uscita dello stadio di
Treviso, è stato il momento delle
polemiche, degli incontri tra il club e
le forze dell'ordine. Ma anche delle
interrogazioni parlamentari e del dolore
dei parenti del ragazzo che vogliono
capire se Fabio, soccorso in tempo, si
sarebbe potuto salvare. Appurato che il
giovane è morto per un infarto e non è
stato malmenato, è proprio sul tempo
impiegato dall'ambulanza per giungere
allo stadio che si sono incentrate le
polemiche. I testimoni hanno parlato di
venti minuti. Fabio, cardiopatico grave,
è dunque morto in attesa dell'ambulanza
mentre intorno le due tifoserie, quella
trevigiana e cagliaritana, si
fronteggiavano picchiandosi e
lanciandosi sassi. Una scena surreale. I
disordini sono scoppiati all'uscita
mentre i tifosi locali si stavano
dirigendo verso lo spogliatoio
dell'arbitro. A quel punto i due gruppi
- che sarebbero dovuti uscire dallo
stadio totalmente divisi - si sono
invece incontrati. Sono intervenuti i
poliziotti per separarli, c'è stata
anche qualche carica. E ieri, Paolo
Bisetto vice presidente del Treviso
calcio, insieme a un rappresentante
della tifoseria, Edoardo Paggiaro, amico
di Fabio Di Maio, hanno incontrato il
questore Armando Zingales. "Insieme
abbiamo fatto il punto della situazione
- ha detto il dirigente del club
biancoceleste - abbiamo capito che non
c'è stata negligenza da parte delle
forze dell'ordine. Nessuno dei tifosi è
stato malmenato e con il questore
abbiamo parlato del futuro. In che modo
poter evitare altri disordini". Il dieci
per cento delle risorse delle forze
d'ordine pubblico se ne va rubato dai
tifosi, temperanti o intemperanti che
siano. Ogni domenica, masse di
carabinieri e poliziotti devono far da
balia o da castigamatti a bande di
ultras con la voglia di trasgressione.
Ci sarà mai una soluzione ? Si sbilancia
il colonnello Nicolò Gebbia, comandante
provinciale dei Carabinieri di Treviso:
"Riduciamo al minimo i controlli,
costringiamo società e tifosi
all'autoregolamentazione. Ad ogni
partita di calcio mandiamo cinque agenti
e stop". Ma come ? Sarebbe un
massacro... "Probabilmente no -
pianifica il colonnello - perché al
minimo accenno di violenza scatterebbero
sanzioni esemplari. E non solo per i
responsabili, ma per le società. Per
esempio: revoca dell'autorizzazione
all'agibilità dello stadio, per motivi
di ordine pubblico: sa cosa vuol dire ?
Che non entrano spettatori. Nessun
incasso". Insomma, violenza uguale zero
lire. "E siccome - continua Gebbia - il
calcio è una delle industrie nazionali
più produttive, non sarebbe possibile.
Sarebbero le stesse società, pena la
sopravvivenza, a mettere la museruola ai
violenti". Pare fin troppo semplice... E
in ogni caso ci vorrebbero questori in
grado di vietare, per esempio, un derby
Roma-Lazio: immaginarsi le pressioni.
"C'è un ministro dell'Interno che ha
altissimo senso dello Stato e non si
tira indietro: la mia è un'idea che
potrebbe funzionare". Napolitano si
troverà sul tavolo, stamani, anche altre
proposte. Come quella del deputato
leghista Donato Manfroi: "Per evitare la
violenza, niente incontri tra squadre
settentrionali e meridionali, e
organizziamo i campionati di A e B in
gironi regionali". L'Unione sindacale di
Polizia suggerisce l'istituzione di un
numero verde anti teppisti.
3 febbraio 1998
Fonte: Il Tirreno
Qui il calcio non
uccide
di Alessandro
Tommasi
TREVISO - Allora
era questo il grande calcio: l’arbitro
che sbaglia e poi sbaglia ancora, la
curva che s'arrabbia, la partita che
finisce con la vittoria degli altri, gli
ultrà che allora cercano di fare quella
che loro chiamano giustizia - e se non è
con l’arbitro, è con gli ultrà
dell’altra sponda: e dunque interviene
la polizia, volano sassi, parte un
pugno, parte un calcio. E all’improvviso
uno muore. Così, zac, fulminato
sull’asfalto: Fabio Di Maio, 32 anni.
Morto. Sì, era questo il grande calcio
che il Treviso ha cercato con tre
promozioni filate, un anno via l’altro,
dal nulla delle domeniche inseguite sui
campi della provincia fino alla serie B.
E adesso che l’ha avuto, fa niente se
Fabio domenica è morto perché il cuore
che aveva malato s'è all’improvviso
spento, fa niente se è crollato a 60
metri dal punto in cui la polizia (con
vigore, è l’abitudine) separava gli
ultrà di casa da quelli del Cagliari, ed
era solo e stava tranquillamente
camminando, fa niente se non è morto di
calcio ma di un male che si chiama
miocardite dilatativa. E che avrebbe
potuto ucciderlo due ore prima, o mentre
era seduto, in casa, davanti alla tv.
Perché la città del rugby, del volley,
del basket, la città che ha vinto e
vince in Formula uno e nel motomondiale,
fa presto a fare le somme. Il totale ?
Scontatissimo: "Solo nel calcio
succedono "ste robe qui". Eppure: mica è
vero, ricorda Paolo Bisetto,
vicepresidente del Treviso calcio.
"Quando la squadra di basket era in A2,
il derby con Mestre aveva un epilogo
immancabile: la rissa fuori dal
palasport tra le due tifoserie". Se è
per questo, già in passato il calcio
aveva dato problemi, e quando in questa
stagione il Verona e il Venezia sono
venuti a giocare qui la polizia ha avuto
da lavorare più del solito. E Di Maio
allo stadio era tornato da poco, da
quando gli era scaduta la diffida, sette
mesi di sospensione beccati dal giudice
per rissa sugli spalti. Ma è oggi, non
prima, che la città si sente come se le
avessero appena trafugato la verginità.
Nuda, ferita e anche imbarazzata. E il
sindaco, Giancarlo Gentilini, ha
equamente richiamato tutti: questura,
ospedale, dirigenti del Treviso. Perché
una fatalità, il cuore di Fabio che si
ferma proprio lì e in quel momento, più
un’altra fatalità, l’ambulanza che si è
allontanata dallo stadio per portare un
giocatore ferito in ospedale, hanno
fatto la tragedia. E la tragedia ha
insegnato che dopo la terza promozione
di fila che ti ha portato in serie B non
puoi più avere uno stadio in cui le
tifoserie - quella di casa, quella che
arriva da fuori - si mischiano; né una
sola ambulanza che staziona in zona
sperando di risultare inutile; né un
solo attimo di tregua e di rilassamento,
perché magari hai pensato: i tifosi del
Cagliari vivono quasi tutti qui, intorno
a Treviso: non accadrà niente. Perché
questo è successo domenica, e così la
storia della morte di Di Maio è stata
ricostruita ieri mattina dal questore
Zingales, che ha chiamato i
rappresentanti degli ultrà del Treviso e
il vicepresidente Bisetto, e a loro l’ha
raccontata. E le voci che giravano
subito dopo la partita: Fabio lo ha
ucciso una manganellata, un colpo di
calcio di fucile picchiatogli sulla
schiena ? Svanite, soffiate via già dal
primo esame autoptico, dal racconto di
chi ha visto perché era lì. E
l’ambulanza - che gli agenti che hanno
subito chiamato - ha fatto fatica a
risalire la corrente di chi lasciava lo
stadio, ha perso tempo, troppo: un
quarto d'ora e addio, Fabio è morto. E
adesso, vicepresidente ? "Adesso
continuiamo con la nostra strategia:
vogliamo che il calcio sia uno sport
cittadino, preferiamo avere una sola
famiglia in tribuna piuttosto che cento
tifosi violenti". Pausa. "Certo, se poi
ti viene un arbitro come quello di
domenica... C'era Casarin che a ogni
fischio si metteva le mani nei capelli:
due rigori ci ha negato, due, mica
uno... Come lo chiamerebbe lei tutto
questo ?". Grande calcio, che domande.
3 febbraio 1998
Fonte: La
Repubblica
Polemiche a Treviso
dopo la morte di Fabio Di Maio, ex ultrà
che non poteva più cercare emozioni
Il cuore malato non
ha retto alla paura
Il sindaco: poca
prevenzione
di Alessandro
Baschieri
Poteva morire in
qualsiasi momento: "Anche guardando la
televisione", hanno spiegato i medici.
Sicuramente è vero. Perché quello di
Fabio Di Maio non era solo un cuore
matto, era un cuore malato:
miocardiopatia dilatativa, in molti casi
l'unica speranza di salvezza è il
trapianto e forse lui ci aveva anche
pensato, quando saliva le scale e doveva
fermarsi ansimando. Poteva morire
d'infarto in qualsiasi momento, Fabio,
però è morto per l'emozione, per la
paura, per l'ansia di mettersi in salvo.
Perché troppo spesso dopo le partite di
calcio vengono le sassaiole, gli
scontri, le cariche della polizia.
Sembra che impazziscano tutti. Sembra di
essere in guerra. Fabio aveva 32 anni,
era di Dosson di Casier, un paese a Sud
di Treviso, ma ora viveva con la
fidanzata nel quartiere di Santa Maria
del Siile. Sapeva che la sua vita era
appesa a un filo, ma cercava di non
pensare alla spada di Damocle che aveva
sulla testa: faceva il magazziniere e
anche l'istruttore di nuoto, nel club "T. C. Zambon" di Treviso. Era un ultrà:
e si era anche preso, per aver
partecipato a tafferugli, una punizione
esemplare, per sette mesi aveva avuto la
proibizione di andare allo stadio. Ma
poi aveva messo la testa a posto,
giurano gli amici. D'altra parte, chi ha
il cuore in quello stato non può andarsi
a procurare emozioni extra. Sarebbe una
pazzia. Vorrebbe dire cercare il
suicidio. Quattro anni fa il Treviso era
ancora una squadra di dilettanti: non
c'era tifo organizzato, alla partita
andavano in media meno di 500 persone.
Adesso ci sono gli ultrà e può bastare
una scintilla, come quasi in ogni città,
a provocare la guerra. Le tifoserie di
Treviso e Cagliari, domenica, hanno
lasciato lo stadio contemporaneamente,
anche se da uscite diverse. In un
parcheggio, lo scontro: prima gli
sfottò, poi gli insulti, infine una
sassaiola e le cariche della polizia. Un
film già visto troppe volte. E pochi si
sono accorti che, a qualche decina di
metri di distanza, un giovanotto con i
capelli ricci si è accasciato al suolo.
Infarto. Un quarto d'ora, venti minuti
lunghi come una vita. Fabio è a terra,
lo soccorrono due agenti e un medico, ma
ci vuole l'ambulanza, maledizione: e
invece tarda, tarda troppo, chissà
perché (poi si capirà perché: quella che
stazionava nei pressi dello stadio aveva
portato in ospedale il portiere Luca Mondini, colpito da una scarpata sulla
fronte). Ecco, finalmente Fabio viene
portato via. Ma è già troppo tardi.
Muore in rianimazione. Collasso
cardiocircolatorio. Si sparge la voce
che un poliziotto lo abbia colpito con
una manganellata e che Fabio, cadendo,
abbia picchiato la testa. Ma non è vero:
ha solo leggere ecchimosi al braccio e
al ginocchio, se l'è procurate quando è
crollato giù, quando il suo cuore non ha
più retto. E ora, su questa morte
assurda, infuriano le polemiche. Perché
i soccorsi hanno tardato tanto ? Perché
l'ambulanza dello stadio era già
impegnata, si è detto. Ma per il vicino
ippodromo, ad esempio, le ambulanze a
disposizione sono due: una per i
fantini, l'altra per gli spettatori. E i
rischi di incidenti, si sa, sono
maggiori negli stadi, o nelle vicinanze,
che negli ippodromi. E poi: perché le
tifoserie sono state fatte uscire
contemporaneamente ? Chi ha avuto questa
bella pensata ? "Sono convinto ha
commentato il sindaco Gentilini - che se
i preposti all'ordine pubblico avessero
misurato con più realismo la
"temperatura" che era salita sulle
gradinate, forse avrebbero dovuto
ricorrere ad interventi di prevenzione
per impedire il contatto tra le due
tifoserie al termine della partita". Il
Treviso, quasi sicuramente, intitolerà a
Fabio la curva Sud del nuovo stadio
Tenni. Un bel gesto, per un ex ultrà col
cuore malato.
3 febbraio 1998
Fonte: La Stampa
Treviso, fiori e
una scritta: "Perdonaci"
di Guglielmo Longhi
Negli oggetti
lasciati da un'anonima tifosa nel
parcheggio dello stadio c'è tutto lo
sconforto per la morte di Di Maio.
Giocatori attoniti: "Per noi era un
amico". Il sindaco critico con le forze
dell'ordine.
DAL NOSTRO INVIATO
TREVISO - Un mazzo di margherite
bianche, una scritta ("Perdonaci"). C'è
tutto nel biglietto lasciato da
un'anonima tifosa nel parcheggio dello
stadio Monigo: rabbia, dolore, senso di
colpa. Il giorno dopo la tragedia,
Treviso trova solo mezze risposte.
Perché Fabio Di Maio è morto ? Certo, un
infarto. Ma poteva salvarsi ? I soccorsi
sono arrivati tardi ? La polizia l'ha
chiarito già domenica sera e ribadito
ieri: non abbiamo responsabilità
di
nessun tipo, è stata una morte naturale.
I tifosi sono increduli, e con loro i
giocatori: Di Maio lo conoscevano un po'
tutti. Voci, dubbi, certezze e la
sensazione che su Treviso sia caduto
qualcosa di troppo grande. Il
vicepresidente della società Paolo
Bisetto rivendica con forza la diversità
di Treviso e del Treviso: "Abbiamo
un'immagine da salvare, perché questo
episodio rischia di fare danni
incalcolabili. I nostri tifosi non sono
esagitati, ma forse qualcuno ha perso la
testa. L'arbitraggio non c'entra, sia
chiaro, anche se non ci è stato
favorevole". Le critiche di domenica
vengono sfumate: "Con la polizia c'è
sempre stata collaborazione, anche gli
agenti sono stati sorpresi da quanto è
accaduto. Ci sarà qualcosa da rivedere:
è troppo rischioso fare uscire
contemporaneamente le due tifoserie". Il
futuro, cioè il Tenni, il vecchio stadio
rinnovato dal Comune (4.5 miliardi di
spesa). Dovrebbe riaprire il 15 febbraio
per Treviso - Reggina: il parcheggio è
stato costruito, le tribune ampliate, la
capienza raddoppiata (da 5 a 10 mila).
Ma restano le incognite, perché il Tenni
è in pieno centro e offre vie di fuga
minori rispetto al Monigo. "Proprio
domani (oggi per chi legge, ndr) faremo
un sopralluogo con i dirigenti del
Treviso e i tecnici del Comune", spiega
il questore, Armando Zingales. Che non
nasconde il fastidio per quanto è
successo. Mostra la fotocopia del
referto medico: "Si parla di morte
improvvisa, non ci sono state lesioni,
soltanto una leggera abrasione sul
ginocchio e sulla mano destra. L'ha
confermato anche l'esame esterno del
corpo del giovane, lo confermerà
l'autopsia. Una tragedia che non può
essere collegata ai fatti di violenza,
perché Di Maio è caduto a 50 metri dagli
agenti e non c'è stato contatto fisico
tra i tifosi, a parte il lancio di sassi
finito quando siamo intervenuti". Il
sindaco di Treviso, Giancarlo Gentilini,
non ha avuto parole di totale consenso
con l'operato delle forse dell'ordine.
"Sono convinto - ha affermato il primo
cittadino trevigiano - che se i preposti
all'ordine pubblico avessero misurato
con più realismo la "temperatura" che
era salita sulle gradinate, forse
avrebbero dovuto ricorrere a interventi
di prevenzione per impedire il contatto
tra le due tifoserie al termine della
partita". Perché gli ultras si sono
subito mischiati nel parcheggio dello
stadio ? "Non potevamo scortare i
cagliaritani - risponde il questore -
perché erano arrivati con i mezzi
propri. In ogni caso erano in servizio
80 agenti, un numero adeguato". Anche i
giocatori del Treviso hanno accusato il
colpo della tragedia. Il centrocampista
De Poli parla a nome dei compagni:
"Fabio era un amico, mi ha invitato a
cena due settimane fa dopo la partita.
Lo facevamo spesso, venivano anche
Boscolo e Bonavina. Ci siamo conosciuti
sei anni fa, quando eravamo
nell'Interregionale". E la diffida ad
entrare nello stadio ? "Un'esagerazione
- afferma Paggiaro, leader del club
Treviso Fbc, cui apparteneva Di Maio:
accadde tre anni fa in C2 dopo la gara
col Giorgione. Lui aveva cercato di
dividere un gruppo di tifosi ed era
stato identificato dagli agenti in
borghese della Digos. Ma non era uno
scalmanato".
3 febbraio 1998
Fonte: La Gazzetta
dello Sport
Ieri i funerali del
tifoso trevigiano c'era anche il Treviso
al completo
TREVISO - Si sono
svolti ieri pomeriggio nella chiesa di
Sant'Ambrogio di Fiera, i funerali di
Fabio Di Maio, il tifoso di 32 anni
deceduto domenica sera, al termine della
gara con il Cagliari, per un attacco
cardiaco. Di Maio era cardiopatico, e
quindi i sanitari gli avevano più volte
consigliato di evitare forti emozioni,
ma la sua incrollabile passione per i
colori biancocelesti è stata più forte.
La piccola chiesa non è riuscita a
contenere la folla che si è data
appuntamento per l'ultimo saluto a
questo giovane, che aveva saputo crearsi
un incredibile numero di amici. Anche il
calcio Treviso era presente con tutti i
giocatori, l'allenatore Bellotto, il
vicepresidente Paolo Bisetto e il
direttore generale Gastone Marchi,
avevano conosciuto e apprezzato le doti
umane di Fabio, e hanno voluto
accompagnarlo anche nell'ultimo viaggio.
(g. z.)
6 febbraio 1998
Fonte: La Gazzetta
dello Sport
Morte Di Maio:
indagati Barcè e Marchi
TREVISO - "La cosa
ci amareggia, anche se è un atto dovuto:
comunque siamo tranquilli e sereni,
convinti di aver osservato quanto di
nostra competenza". È il commento del
direttore generale del Treviso, Gastone
Marchi che, insieme al presidente Renzo Barcè, ha ricevuto un avviso di garanzia
per omicidio colposo per la morte di
Fabio Di Maio, 32 anni, di Dosson di
Casier (Treviso), il tifoso della
squadra biancoceleste morto per un
infarto l’11 febbraio '98 durante i
tafferugli scoppiati all’esterno dello
stadio di Monigo dopo la partita con il
Cagliari (terminata 0-1). "Non abbiamo
nulla da temere - sostiene Marchi -
siamo già stati interrogati dal
magistrato - aggiunge il dirigente - e
abbiamo già fornito tutte le risposte,
spiegando di aver rispettato quanto
previsto dalla commissione provinciale
per i pubblici spettacoli, presieduta
dal prefetto". Le informazioni di
garanzia, secondo l’ipotesi d' accusa,
sono da collegare a eventuali
responsabilità per le misure di
sicurezza. Nessuna responsabilità invece
per i medici dell’ospedale, che
avrebbero inviato i soccorsi in modo
tempestivo: l’ambulanza arrivò nel giro
di 6-7 minuti. Il problema è se erano
previste o meno una o più ambulanze
fuori dello stadio e a chi spettasse
assicurarne la presenza.
31 marzo 1999
Fonte: La Gazzetta
dello Sport
L'ambulanza arrivò tardi
Treviso, presidente a giudizio per la
morte di un tifoso
TREVISO
- Il pm di Treviso, Francesca Torri, ha
citato a giudizio il presidente del
Treviso Calcio, Renato Barcè: ipotizza
l'accusa di omicidio colposo
nell'inchiesta sulla morte di un tifoso.
Fabio Di Maio, 32 anni, venne colto da
malore dopo l’incontro di serie B del 1
febbraio '98 fra la squadra locale e il
Cagliari. All'uscita dello stadio di
Monigo, le tifoserie di Treviso e
Cagliari vennero a contatto, con lanci
di sassi e le forze dell'ordine
caricarono. Di Maio, pur non essendo
coinvolto negli incidenti,
improvvisamente si accasciò.
L'autoambulanza, secondo le
testimonianze, sarebbe arrivata in
ritardo, mentre un'altra ambulanza era
impegnata a trasportare al pronto
soccorso un calciatore del Treviso
infortunatosi. Dall'inchiesta è emerso
che una convenzione tra la società
calcistica e il Comune di Treviso
prevedeva che la prima fosse
responsabile sia dell'ordine pubblico,
sia della sicurezza, compreso il
servizio ambulanze. Udienza il 20
giugno.
4
maggio 2000
Fonte:
La Stampa
Tifoso morto nel
'98: a giudizio presidente Treviso
TREVISO - Il m
Francesca Torri ha citato a giudizio il
presidente del Treviso Renzo Barcè per
l’ipotesi di accusa di omicidio colposo
nell’ambito dell’inchiesta sulla morte
di un tifoso veneto, Fabio Di Maio, 32
anni, colto da malore dopo
Treviso-Cagliari dell’1 febbraio '98.
All’uscita dello stadio di Monigo
(Treviso), le opposte tifoserie erano
venute a contatto, con un reciproco
lancio di sassi. A quel punto, le forze
dell’ordine erano intervenute con una
carica. Di Maio, pur non essendo stato
coinvolto direttamente negli incidenti,
improvvisamente si era sentito male,
accasciandosi al suolo. L’ambulanza,
secondo numerose testimonianze, sarebbe
arrivata in ritardo, mentre un altro
mezzo era impegnato nel trasporto di un
giocatore del Treviso infortunatosi.
Dall’inchiesta è emerso che in occasione
della partita una convenzione tra la
società calcistica e il Comune prevedeva
che la prima fosse responsabile sia
dell’ordine pubblico sia della
sicurezza, comprensiva del servizio di
autoambulanze. Da qui, il coinvolgimento
del presidente Barcè. L’udienza si
svolgerà il 20 giugno… (Omissis)
4 maggio 2000
Fonte: La Gazzetta
dello Sport
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