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La folla schiacciata durante la partita

La calca a Torino dopo la finale: venti minuti di panico. "È stata una bravata"

di Marco Imarisio

Alla fine è stato un gioco da ragazzi. Su una colonna esterna dei portici c’è l’impronta insanguinata di una mano, e con i rivoli qualcuno ci ha scritto "No". Ognuno si porterà scritto sulla pelle il ricordo peggiore, c’è solo da scegliere. Quello di Sara Campi, studentessa universitaria arrivata da Milano con il fidanzato e l’Intercity delle 20, l’ultimo treno, è il buco al centro della bocca, laddove c’erano i suoi incisivi. Non sa chi è stato, ma da ieri notte sa che ci sono momenti dove ognuno per sé, dove l’umanità si fa più rarefatta e i ragazzi mettono le mani negli zaini abbandonati dai loro compagni in fuga da un nemico immaginario. "Pugni e gomitate selvagge come il colpo che mi ha fatto saltare i denti. La gente correva verso i varchi e per guadagnare un metro picchiava e strattonava chi aveva davanti e dietro, gente con la quale fino a pochi minuti prima stava abbracciata".

IL GIORNO DOPO TORINO SI SCOPRE PIÙ VULNERABILE - Il giorno dopo Torino si scopre più vulnerabile, ferita in senso letterale e fisico, forse anche un poco più brutta, perché in piazza San Carlo, che di questa città è il cuore sono successe tante cose brutte, al punto che neppure la pioggia notturna e le doppie pulizie sono riuscite a lavarle via. Le cronache degli eventi non dovrebbero mai superare un certo tasso di emoglobina, ma ieri mattina era davvero difficile ignorare gli schizzi di sangue sui muri, i kleenex e persino le pagine del giornale gratuito distribuito in piazza intrisi di rosso e accartocciati. E negli interstizi dei sanpietrini, vetri, cocci di vetro ovunque, al punto che delle 1.527 persone che hanno ricevuto cure ospedaliere almeno 8-900, secondo i calcoli empirici fatti al Pronto soccorso delle Molinette, che ha fatto da centro di smistamento verso gli altri ospedali cittadini e piemontesi, perché alle cinque del mattino a Torino non c’erano più letti e personale a sufficienza, presentano ferite da taglio curate con punti di sutura. E tutto questo disvelamento, questa paura inutile neppure temperata dalla consapevolezza che poteva andare davvero molto peggio, per una bravata, uno scherzo imbecille che ha scatenato 20 minuti di panico e ha reso la scorsa notte un futuro caso di scuola sulla psicosi da terrorismo. Non è neppure così importante chi ne è stato l’autore, la sua identità. Sappiamo che c’è un prima calmo e silenzioso a causa della sconfitta incombente della Juventus e un dopo che comincia alle 22.25, subito dopo il terzo gol del Real Madrid. Il fermo immagine è su un gruppo nella parte di piazza dove la folla si fa più rarefatta, verso piazza Castello, a sessanta metri dal megaschermo, davanti al ristorante che porta il nome del monumento tutelare, il Caval ‘d Brons.

C’È UN RAGAZZO A PETTO NUDO - C’è un ragazzo a petto nudo con uno zaino nero sulle spalle. Intorno a lui si crea il vuoto, la gente corre in avanti, corre dappertutto tranne che verso di lui. Il ragazzo alza le mani, potrebbe sembrare la posa di un kamikaze o invece il tentativo di voler fermare l’onda, quasi a voler dire non è quello che credete, non abbiamo fatto niente. Le testimonianze riferiscono che il suo amico avrebbe accompagnato un suo gesto, un suono, con l’urlo "è un attentato". I due giovani sono entrambi lombardi, uno di loro ha una segnalazione per tafferugli da curva. Sono stati riconosciuti da un filmato. Sono entrati in questura alle 14. Ne sono usciti dopo dieci ore di testimonianza confusa, a volte contraddittoria, dove si sono spinti ad ammettere che c’è stato un momento "di confusione" dove qualcuno, comunque non loro, "avrebbe fatto una stupidata". Ma comunque liberi, finora, e pare neppure inseguiti da una denuncia per procurato allarme. La bravata è l’unica spiegazione. Non ci sono altre concause. Lo scoppio dei petardi non risulta in alcuna traccia sonora della serata, se c’è stato si tratta di piccoli botti, grandi qual tanto che basta per scuotere il subconscio e far emergere la grande paura collettiva di questi anni. La folla si è mossa a sciame, sul lato a sinistra dello schermo, per poi passargli davanti allargandosi, attraversando la piazza in una fuga collettiva che si è conclusa sulle vetrine del dehor del Caffè San Carlo, su quelle dell’antica drogheria Paissa, abbattendo la ringhiera di ferro della scalinata che porta al parcheggio sotterraneo, l’unico fragore percepito, e guardando quei due metri di vuoto che finiscono sui gradini di cemento viene in mente un’altra tragica finale di Coppa dei Campioni, e l’esistenza dei miracoli.

LA SINDACA - La fortuna non esime dalla ricerca delle responsabilità, anche se al momento non si intravedono volontari disposti a farsene carico. Al mattino, in un fugace incontro con la stampa insieme alla sindaca Chiara Appendino e al questore Angelo Sanna, il prefetto Renato Saccone ha elogiato i controlli di sicurezza antiterrorismo in una città "che vive di ansia" e ha provato "un’ondata di panico la cui gestione è stata resa difficile da una situazione internazionale che certo non aiuta". Ci sarebbe qualche piccolo dettaglio da spiegare, come la gestione dell’ordine pubblico, dei controlli nei sei varchi della piazza, poi divenuti benedette vie di fuga nel momento più difficile, e soprattutto la presenza di tutto quel vetro e quindi di tanto alcol.

LA CROCE ROSSA ERA GIÀ INTERVENUTA - Alle 19.30, un’ora prima dell’inizio della partita, la Croce rossa era già intervenuta dodici volte per prelevare spettatori completamente ubriachi. I bar di piazza San Carlo e delle vie circostanti erano aperti e servivano qualunque bevanda. Dai varchi passavano venditori abusivi con i loro frigoriferi a tracolla. I fatti sono questi. L’ordinanza promulgata il primo giugno dal Comune avente per oggetto "l’allestimento maxischermi finale Champions" si limita a disciplinare la circolazione stradale, senza fare cenno al divieto vigente per analoghi assembramenti sulla vendita di alcolici. In assenza di altre indicazioni, ribattono dal Comune, resta valida l’ordinanza del 2010 che "vieta dalle sei ore precedenti l’evento sino alle tre successive al termine dello stesso la somministrazione e la vendita di bevande in vetro o lattine". Un’altra nota dell’amministrazione comunale precisa che il soggetto organizzatore è Turismo Torino, una partecipata, che si è limitata a replicare le regole di ingaggio della finale contro il Barcellona, quando "non c’era alcun provvedimento di ulteriore limitazione della vendita di vetro e metallo". La questura tace in via ufficiale e fa sapere in via ufficiosa della carenza di vigili urbani e del Fuoco in piazza San Carlo. La concordia istituzionale fatica ad andare di pari passo con l’enormità del pericolo che ha sfiorato Torino. Ci sono troppe convenienze e cattive coscienze, quando ci sarebbe invece da riflettere e molto, sulla gestione di certi eventi. A Londra c’erano morti e feriti per un attentato. A Torino ci si è fatti molto male per la paura di un attentato. Il tempo che stiamo vivendo è qui. Tra i vetri e il sangue di piazza San Carlo.

4 giugno 2017

Fonte: Corriere.it

© Fotografia: Sky.it

La notte del panico di Torino: cosa è successo

e come hanno reagito i servizi di emergenza ?

Un evento comunale organizzato con pochi giorni di anticipo, ha messo a dura prova tutto il sistema dell’emergenza, che però ha avuto una reazione che potrebbe diventare da manuale e portare novità nell’organizzazione degli eventi. Scopriamo cosa è successo davvero in Piazza San Carlo a Torino dopo la generazione del panico assoluto.

TORINO - Se la cronaca dei momenti di panico e delirio a Torino, in Piazza San Carlo, ha già coperto a 360 gradi ogni situazione e i numeri sono già chiari, mancano i dati sul come è stato organizzato l’evento e sul come è stata data una risposta immediata, quasi anti-terroristica, da parte del sistema di emergenza-urgenza di Torino. Durante la terribile notte del 3 giugno, per la finale di Champions League in Piazza San Carlo, abbiamo appurato che non è stata fatta alcuna concertazione tecnica con i servizi di emergenza piemontesi. Perché ad oggi è questo che prevede la normativa: se l’evento è "comunale" non è necessario avere l’autorizzazione o confrontarsi con nessuna struttura di sicurezza. Ad oggi non è neppure obbligatorio informare il 118 di un evento come quello organizzato a Torino, cosa che comunque l’amministrazione locale ha fatto due giorni prima della finale. La responsabilità organizzativa dell’evento in Piazza San Carlo quindi è stata tutta del Comune di Torino e per gestire l’evento, in piazza erano presenti due medici, squadre di soccorritori a piedi, un PMA e due ambulanze. L’afflusso stimato di persone all’inizio della partita è stato di circa 30.000 tifosi della Juventus. Per cercare di fare luce sulla risposta del sistema di emergenza all’evento dopo lo scatenarsi del panico, abbiamo intervistato telefonicamente il direttore sanitario del 118 di Torino, il dottor Ciriaco Persichilli, che - dalle testimonianze raccolte e dai numeri dei trattamenti effettuati in circa 4 ore - può giustamente dirsi orgoglioso dei suoi medici, dei suoi infermieri e dei soccorritori volontari della città.

"Da un punto di vista tecnico, un evento come quello di Piazza San Carlo aveva una copertura adeguata, anche se non era assicurata da un servizio pubblico ma da una gestione privata. Questo evento si può paragonare all’organizzazione sanitaria che viene effettuata per una partita di calcio di serie A. Più che il numero dei soccorritori presenti durante l’evento, è da valutare la reazione successiva al fatto che si è verificato, una reazione che non era nemmeno prevedibile".

L’eventualità ordinaria quindi era gestibile, ma quando un fatto non ancora chiarito ha generato un panico massimo in una folla molto grande, il servizio è diventato drammatico.

"Anche in un rave, per esempio, ci sono rischi elevati e ci sono un determinato numero di soccorritori. Però quando scatta qualcosa di grave e ci si trova a dover gestire 1.500 feriti medicati in itinere, diventa complesso per chiunque gestire la cosa. Noi abbiamo attivato la centrale di maxi-emergenza perché appena si è generato il tutto abbiamo attivato i mezzi reperibili, la centrale con me e il capo-sala a coordinare, abbiamo inviato il medico coordinatore, abbiamo attivato tutte le medicalizzate sul territorio e fatte convogliare in zona, con loro ci siamo rapportati alle autorità e alle forze dell’ordine. Abbiamo attivato i mezzi pubblici per l’evacuazione e la gestione dei feriti più lievi. Tutti gli ospedali dell’area sono stati attivati con il circondario di Torino. La risposta è stata immediata e grande da parte del mondo del volontariato. I nostri medici hanno fatto interventi rapidi sui codici maggiori, i due più gravi che hanno avuto grande evidenza mediatica, sono casi che hanno avuto un approccio rapido e immediato. Poi abbiamo lavorato sugli ospedali periferici di Moncalieri, Chieri, Chivasso dove abbiamo appunto mandato i codici più lievi. Le strutture cittadine sono state preservate perché abbiamo capito subito che sarebbero stati costretti a gestire l’ondata dei feriti che da soli, a piedi o in auto, avrebbero cercato di raggiungere un posto sanitario. Le Molinette e il CTO quindi non sono stati usati da noi, se non per l’evento traumatico maggiore. Ci siamo riservati gli ospedali centrali di Torino perché sono i DEA di secondo livello più importanti. Li abbiamo preservati dai codici verdi in caso di codici maggiori. Per fortuna i codici erano quasi tutti verdi. Per il 118 abbiamo avuto a disposizione i mezzi pubblici con gli autisti e quindi, oltre ai pulmini delle varie associazioni, ci sono stati anche dei mezzi grandi per portare in ospedale feriti in elevate quantità, senza impegnare mezzi sanitari che potevano essere utilizzati in altro modo. Va poi detto che le associazioni cittadine hanno messo a disposizione le sedi associative. Tutte le associazioni vanno ringraziate. Croce Verde in Piazza San Carlo e Croce Rossa in Piazza Castello hanno messo a disposizione le sedi e possiamo dire che sono stati PMA ulteriori. Loro hanno potuto fare questo sempre coordinandoci con noi, hanno dato grande supporto logistico ma tutte le associazioni sono state ottime e tutti hanno lavorato tantissimo. Medici, infermieri e volontari hanno fatto tantissimo in condizioni davvero complesse. Vanno poi ringraziati anche quelli che erano fra la folla e si sono messi a disposizione subito".

L’evento di Piazza San Carlo sarà però una lezione anche per il futuro.

"Abbiamo percepito che i soccorritori si sono resi conto dell’enormità dell’evento. In due ore e mezzo l’evento si è risolto. C’è stato grande assembramento nei punti di medicazione, abbiamo gestito due eventi maggiori: un arresto cardiaco e un trauma da schiacciamento. Quando però hai 40 e più persone che ti chiedono aiuto e devi gestire un codice rosso, credo ci sia da levarsi il cappello davanti alle capacità di chi è intervenuto. Questa è stata una gestione che ci fa riflettere tanto, perché alle 22.20 è accaduto Torino, mentre alle 22.08 è accaduto l’attacco al London Bridge. Qui avevamo 30.000 persone che scappavano con 1.500 feriti trattati subito. Ad oggi non è la bomba che fa paura e che deve fare paura, è anche il panico. Va messo in conto nella gestione delle maxi-emergenze e degli eventi in sé".

Questo tipo di incidenti devono quindi far sviluppare strumenti nuovi o più completi per la gestione degli eventi. È abbastanza chiaro che gli assembramenti di massa non possono essere cambiati, ma le risposte e le tipologie di preparazione dovrebbero essere studiati in modo diverso. Da questo punto di vista bisogna ricordare che gli eventi regionali devono avere l’applicazione del protocollo Mauer, mentre oggi questa dotazione minimale non è richiesta per gli eventi comunali. Una mancanza normativa che andrà sicuramente affrontata nei prossimi mesi, perché se è cambiato il modo di radunarsi delle persone, sono anche cambiati i pericoli che si possono affrontare. E va - drammaticamente - pensato anche un sistema per gestire il panico o limitarlo nella sua diffusione.

4 giugno 2017

Fonte: Emergency-live.com

© Fotografia: Messaggero.it

I baristi intorno a piazza San Carlo: "Anche

noi vendevamo vetro, il divieto non c’era"

di Miriam Massone e Fabrizio Assandri

Polemiche per la libertà d’azione concessa agli abusivi: "Nessuno li ha fermati".

TORINO - "Non vendo più birra in vetro da oltre un anno, per scelta": Andrea Brigante, store manager di John Toast, sotto i portici di piazza Cln, la mecca del food break presa d’assalto sabato sera dai tifosi terrorizzati, è tra i (pochi) commercianti che ha optato per il "fai da te".  In mancanza di un’ordinanza che proibisse le bottigliette ha attinto "al buon senso: dalle 16 non ho più utilizzato neanche i bicchieri di vetro, ma solo quelli di plastica: ne avevo presi 2 mila". Ha abolito anche i vassoi, dischi di legno, che rischierebbero di trasformarsi in frisbee assassini nelle mani sbagliate: "Servivamo i panini dentro i cartoni del take away". E la Menabrea solo alla spina.  Al Caffè San Carlo invece hanno trovato un compromesso: "Bottigliette di Carslberg in plastica - dice Vito Strazzella, il proprietario - il problema è che gli abusivi le vendevano in vetro, tranquillamente, in piazza". Come sempre: è il rassegnato mood, da queste parti. "Ci battiamo da anni per bloccare il fenomeno" conferma Maria Luisa Coppa, presidente Ascom. Con risultati scarsi: "Risolvono il problema, e la settimana dopo siamo da capo: sabato mattina ho chiamato io stessa l’amministrazione e i vigili per segnalare venditori non autorizzati di bibite e panini, persino due camion, che poi si sono allontanati".  A Enzo Fazzolari, titolare del bar Flora in piazza Vittorio, i vigili invece hanno risposto "che sapevano del problema, ma non avevano personale e mezzi per intervenire". Sicché gli abusivi, arrivati per spillare 5 euro agli assettati per una Becks, hanno potuto muoversi senza ansia, anche in piazza con i loro carrelli della spesa imbottiti di bottigliette, "mentre a me hanno dato due multe in 23 ore perché la musica era troppo alta" - dice Fazzolari. Anche Roberto Bettonte, presidente associazione locali di piazza Vittorio, aveva lanciato l’sos: "Solo pochi giorni fa, nell’incontro con l’assessore Sacco. Noi, comunque, versiamo quasi sempre le bibite nei bicchieri di plastica, anche nelle serate normali". Eppure il punto non sarebbe questo, secondo Coppa: "Proibire ai baristi il vetro sarebbe come se togliessimo l’appendice a tutti perché uno ha l’appendicite. L’obiettivo dev’essere bloccare gli abusivi, e imporre regole uguali per tutti". I "sani", tuttavia, erano anche disposti al sacrificio, fedeli al principio che "prevenire è meglio che curare": "Con eventi del genere, una circolare che vietasse l’alcol e il vetro in tutto il centro e in tutto il giorno me la sarei aspettata" - dice Silvana Rizzo, del nuovo bar in piazza Cln 221: "Da me svuotavano le bottiglie d’acqua per metterci la birra, poi ho segnalato anch’io un ambulante non in regola, proprio in via Giolitti". Sarebbe d’accordo anche Gianni Corgiolu, del bar Zucca (che la notte del terrore ha medicato decine di ragazzi: "Come un padre farebbe con i propri figli"), a uno stop al vetro legato alle grandi manifestazioni: "Assieme a controlli più severi". Insomma, per chi sta dietro il bancone la gestione va ripensata: "Ok fermare gli abusivi, ma servono anche bagni pubblici: noi abbiamo dovuto impiegare personale solo per sorvegliare le code" dice Noris Strazzella, del Caffè San Carlo, e presidente Epat (associazione pubblici esercizi). Il San Carlo era tra i pochi aperti. I vicini del Caffè Torino hanno chiuso alle 18 (segnalato perché tardavano a smantellare il dehors, ma dal Caffè negano di aver ricevuto denunce): "Due anni fa, per la finale di Berlino, c’era stato lo stesso caos. Questi eventi non vanno fatti in piazza San Carlo" è la soluzione estrema di Federico Alì.

6 giugno 2017

Fonte: Lastampa.it (Testo © Fotografia)

"La faccia dell’amore nel caos di Piazza San Carlo"

di Antonella Boralevi

Una folla che si muove tutta insieme spinta dal terrore è un carro armato. Stritola chiunque si trovi sul suo percorso. Lo travolge. Lo schiaccia. Lo dicono con chiarezza i 1527 feriti del caos di Piazza San Carlo, a Torino. I deboli soccombono. In coma e in pericolo di vita ci sono tre donne, Erika Poietti e Francesca Marino, 38 e 26 anni, una signora di 63, e c’è ancora il bambino Kevin, anni 7. Non c’è per fortuna Agnese. Era arrivata da Pavia per tifare Juve. È giovane, è forte. Ma sarebbe morta, se il coraggio di un altro non l’avesse salvata. Lo ha scritto su Twitter: vuole ritrovare quel ragazzo con i baffi e il pizzetto scuro che ha riconosciuto in un video. Quel ragazzo che ha fermato il carro armato micidiale della folla e ha protetto la vita di una sconosciuta, mettendo a rischio la sua. Nel video, questo eroe ragazzo ha gli occhi sgranati, ma vuoti, come spenti dall’orrore che ha visto. Deve essere stata la decisione di un secondo: scappare o proteggere. Rischiare la vita per un altro o salvarsi. Un secondo, forse meno, per scegliere la priorità. Testa che bolle, gambe che corrono, adrenalina a mille, paura, terrore. Questo ragazzo si è fermato. Ha smesso di correre. Ha scelto di proteggere la creatura più debole che aveva accanto, di cui non sapeva nulla. Allo stesso modo, durante la strage del London Bridge, un uomo ha protetto, con il suo skate board, dal coltello dei terroristi assassini, una donna sconosciuta, ed è morto al suo posto. Si chiamava Ignacio Echeverria, aveva 38 anni. Difendere chi si ama è un istinto. Ma difendere uno sconosciuto è perfino di più, io credo. Significa mettere in pratica quello che in tanti diciamo, senza assumerci rischi: chiunque è mio fratello.

7 giugno 2017

Fonte: Lastampa.it

L’amarezza dell’imprenditore unico indagato per il disastro di Torino:

"Mi intimarono di smontare il déhors ma era impossibile. Poi ho soccorso i feriti"

di Ignazio Dessì

Vito Strazzella proprietario del Caffè San Carlo è l’unico ad aver ricevuto un avviso di garanzia. In questa intervista spiega cosa è successo e ricorda i momenti terribili di quel 3 giugno.

La vicenda di Vito Strazzella, proprietario del Caffè San Carlo nell’omonima piazza di Torino, sembra - a sentire l'interessato - affondare nel paradosso, collocarsi nelle linee grigie della burocrazia o - se si vuole - nel "surreale". L’imprenditore è per ora l’unico indagato per i fatti del tragico sabato di Juve-Real di Champions in cui sono rimaste ferite 1.527 persone ed una donna, Erika Pioletti, è morta in seguito ai danni fisici riportati. Il proprietario del prestigioso locale si dice amareggiato. "Mi hanno dato il premio e rimango basito", sospira al telefono confessando di non riuscire a darsi pace per quell’avviso di garanzia ricevuto nei giorni scorsi. Poi il suo ricordo torna al 3 giugno quando, verso le tre e mezza del pomeriggio, due vigili municipali lo invitano a "smontare il déhors (lo spazio esterno del pubblico esercizio)". In quel momento la piazza "era già mezza piena, me l’avessero detto almeno il giorno prima avrei lavorato di notte, ma a quell’ora era veramente impossibile farlo", spiega Strazzella.

"IMPOSSIBILE RIMUOVERLO" - L’uomo racconta di essersi attaccato al telefono ma "non c’era nessuna società disposta a intervenire in tempi così rapidi. Inoltre - spiega ancora - il déhors si trova lì da 20 anni e non è mai stato spostato. Per farlo ci sarebbe voluto l’intervento di un camion o comunque di un mezzo pesante. Ho provato a contattare qualche autorimessa ma non ho trovato nessuno. E faccio presente che ci vogliono 3 persone almeno per togliere in sicurezza gli ombrelloni". Quando fa notare di essere impossibilitato a rimuovere una simile struttura però il proprietario del Caffè San Carlo si sente rispondere che "ne avrebbe risposto in sede penale". "Ho provato anche a trasferire qualcosa sotto i portici - racconta - ma mi son reso conto che era solo un ingombro in più e non avrebbe risolto il problema". Poi "è successo quel che è successo". E "ci siamo adoperati per aiutare tutti quelli che potevamo", dice spiegando di aver utilizzato il déhors per ospitare una cinquantina di persone che avevano bisogno di soccorso. "C’erano feriti e mamme che urlavano e ci passavano i figli affinché li salvassimo. Io e i miei dipendenti ci siamo prodigati, abbiamo distribuito bottiglie d’acqua e adagiato sui divanetti i ragazzi in difficoltà in attesa delle ambulanze".

"HO FATTO SOLO IL MIO DOVERE DI CITTADINO" - Strazzella sostiene di aver fatto solo il suo dovere di cittadino, insieme ai dipendenti. In ogni caso "tutto quello che potevamo fare". Anche per questo l’avviso di garanzia non gli va giù, gli brucia, gli sembra una cosa ingiusta, una sorta di beffa. Certo la procura fa ciò che deve, ma allo stato attuale procede contro ignoti, per cui l’unico finito veramente sotto la lente giudiziaria, in realtà, è lui. "Come se fosse stato tra gli artefici del caos e non uno dei pochi ad aver cercato, nella confusione generale, di arginare quel delirio", ha scritto il Giornale. Anche se va ricordato che l’indagine contro ignoti, per lesioni personali plurime, coordinata dai pm Vincenzo Pacileo e Antonio Rinaudo, va avanti.

LA PIAZZA SAN CARLO DOPO I FATTI DEL 3 GIUGNO - Strazzella e i suoi dipendenti del resto si sarebbero dati da fare anche prima dell’inizio della trasmissione della partita sul maxi schermo, consentendo a tantissime persone di utilizzare i bagni del Caffè e distribuendo solo "bevande in contenitori di plastica, pur in assenza di un divieto specifico". In realtà "siamo stati tra i pochi a fare prevenzione in città", sostiene al telefono. L’imprenditore torinese avrebbe insomma fatto "tutto il possibile". È stato "impossibile invece, in quelle condizioni e col poco tempo a disposizione, smontare il déhors", e Strazzella lo ribadisce con convinzione. "Si tratta di più di 200 sedie, 50 tavolini e 9 ombrelloni ancorati a terra e avrebbero dovuto informarmi prima non all’ultimo minuto", insiste. Ma la procura non la pensa allo stesso modo, ed ora il titolare del San Carlo è indagato per violazione dell'articolo 650 del codice penale, ovvero per "inosservanza dei provvedimenti dell'autorità". Lui, dal canto suo, si rivolge di cuore alle istituzioni pubbliche. "Vorrei solo dire che questa triste vicenda, anche dopo aver saputo della signora venuta a mancare, impone a tutti di mettersi una mano sulla coscienza, a partire dal Prefetto, dal Questore e dal Sindaco per finire con chiunque sia addetto all’attività preventiva, e per il futuro provvedere per tempo alla prevenzione, sulla base dei numeri, predisponendo le precauzioni dovute, gli avvisi e le misure e non solo facendo le pulci a persone come me".

16 giugno 2017

Fonte: Notizie.tiscali.it (Testo © Fotografia)

Torino, la catena degli errori nella notte di piazza San Carlo

di Andrea Rossi

Dai varchi di accesso messi in ritardo al parcheggio sotterraneo usati dai venditori abusivi per far arrivare gli alcolici: gli atti ufficiali della Commissione d’inchiesta.

TORINO - Undici riunioni per i fuochi d’artificio di San Giovanni. Tre per allestire piazza San Carlo per la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid, davanti a 40 mila tifosi assiepati dalle 8 del mattino. La differenza, forse, è qui: ordine maniacale contro caos; una piazza in cui non entra uno spillo contro una distesa di vetri. Alla fine, 1526 feriti e un morto: Erika Pioletti, 38 anni, schiacciata dalla folla in fuga. Il 3 giugno 2017 ha trasformato il modo di vivere gli eventi. Su piazza San Carlo sta indagando la Procura di Torino, ma l’ha fatto anche il Comune con una commissione speciale: nove consiglieri (cinque del M5S, quattro delle minoranze), guidati da un esponente del Pd, Enzo Lavolta. Un mese di lavoro e 17 persone ascoltate: la sindaca Appendino e chi ha avuto ruoli operativi. Ieri la commissione si è sciolta. Il segreto sugli atti è caduto. Centinaia di pagine in cui emergono lacune, omissioni, pericoli sottovalutati. La cronaca di un disastro. La notte di Torino.

1 - I BUCHI DELL'ORGANIZZAZIONE - La prima volta che la Città parla della questione dei maxischermi risale all’interlocuzione con la Juventus per la festa dello scudetto", spiega la sindaca Appendino. Si voleva allestire un maxischermo in piazza Castello il 21 maggio e mantenerlo fino al 3 giugno. Ma la Juve perde a Roma e addio festa scudetto. Il 26 maggio il club comunica al Comune - con una mail inviata dal dirigente Alberto Pairetto - le sue regole d’ingaggio. "C’era la disponibilità a farsi carico dal punto di vista economico, ma non dal punto di vista organizzativo", conferma la sindaca. Il 26 maggio si svolge la prima riunione. "È stata convocata da me su mandato del sindaco", dice il capo di gabinetto Paolo Giordana. Vi partecipano undici persone in rappresentanza di Comune, Vigili e Questura. Si decide di affidare l’evento a Turismo Torino, ente del Comune che si occupa di promozione turistica. "Banalmente la Città non può farsi fare un preventivo da… quindi bisognava trovare qualcun altro che lo facesse…", spiega Chiara Bobbio, funzionaria del gabinetto del sindaco. Chi indica Turismo Torino ? "Gli uffici", risponde Giordana. Alla riunione ci sono due funzionari: Mauro Agaliati, dirigente del Suolo pubblico, e Chiara Bobbio. Agaliati: "Le decisioni non possiamo prenderle né io né la mia collega Bobbio. Chi prende delle decisioni, è il dottor Giordana". Il capo di gabinetto ci tiene però a delimitare il suo ruolo: "Io non ho alcun tipo di... Come dire, competenza formale, non firmo nessun tipo di atto, non assumo decisioni. Il mio ruolo è... Come dire, di coordinamento, di trasmissione di quella che è l’istanza politica agli uffici". Appendino viene informata: "È chiaro che ero consapevole che stavamo lavorando con Turismo Torino... Certo che ero d’accordo". Turismo Torino riceve l’incarico ma la Città non si defila, anzi. Dà indicazioni. "Non è che quando il Comune affida l’organizzazione si sfila totalmente, se ne disinteressa", dice Paolo Lubbia, direttore del gabinetto della sindaca. Alla prima riunione, nell’ufficio di Giordana, sono presenti un commissario e un ispettore della Questura, Martina Torta e Gioacchino Lopresti. "Se devo essere sincero sono stato colpito dall’atteggiamento della Questura", dice Mauro Agaliati, dirigente del Comune. "Mi è sembrato più una partecipazione della serie: "Raccogliamo informazioni e poi vi diciamo".

2 - LA GESTIONE DELL’EVENTO - Alla riunione successiva lo scenario cambia. "La Questura, tramite Lopresti, ci dice: "La piazza deve essere chiusa per filtrare l’ingresso", ricorda Agaliati. "E questo contrastava con quello che è avvenuto in genere". La decisione sorprende tutti: "Io ho fatto tantissime cose in piazza, quindi più o meno so due cose…", dice Chiara Bobbio, funzionaria del gabinetto del sindaco. "Prima di Capodanno nessuno ci aveva mai detto di mettere i varchi. Sostanzialmente, c’erano quattro varchi, ma non così strutturati con le transenne, com’è successo invece il 3 giugno. Quando hanno detto di chiudere la piazza, tutti abbiamo un po’… Cioè non so io, per esempio, penso non sia una cosa geniale... L’architetto era un po’ preoccupato, perché ovviamente cambia la natura dell’evento... Ma la Questura vince su tutto". Piazza chiusa, dunque. Ma non subito: "La Questura ha chiuso a piazza semi piena. Io ero lì, i varchi sono stati sono stati messi alle due e mezza, i ragazzi erano lì dalle 8 del mattino", dice Bobbio. E dal mattino i funzionari di Comune e Turismo Torino chiamavano la Questura per chiedere di venire a piazzare i varchi. Quando scoppia il caos, la folla travolge e abbatte le transenne fuggendo. "Nella fuga si sono portati via le transenne. Molte persone si erano incastrate. Qualcuno aveva fratture", racconta Maurizio Rafaiani, presidente del nucleo provinciale di Protezione civile dei carabinieri. Il vertice del 31 maggio è l’unica e ultima volta in cui si parla di ordine pubblico. A chi gli chiede se ci siano stati incontri specifici di coordinamento tra le forze di polizia il comandante vicario dei vigili Ivo Berti risponde di no.

3 - I VARCHI E LE BOTTIGLIE DI VETRO - Una volta piazzati, i varchi di accesso gestiti da polizia e carabinieri funzionano: "Ho visto aprire gli zaini. A mia figlia hanno fatto aprire la bottiglietta dell’acqua", rivela Claudio Spinoglio, vigile urbano e funzionario della Protezione civile. Non passa nulla. Eppure nel mezzo della piazza girano carretti pieni di bottiglie. Quel mattino la commissione di vigilanza della Prefettura ha effettuato un sopralluogo in piazza San Carlo. Ha autorizzato la manifestazione a patto che siano rispettate 19 prescrizioni. Il documento viene consegnato a mano a Danilo Bessone, funzionario di Turismo Torino. Andrebbe notificato al Comune e da qui, a tutti quelli che lavorano all’organizzazione. In Comune però non arriva nulla. Tra le 19 prescrizioni ce ne sono due che si riveleranno decisive. Punto 4: "Eventuali esercizi di somministrazione di alimenti e bevande devono essere regolarmente autorizzati". Punto 18: "Gli accessi al parcheggio sotterraneo siano presidiati". Gli abusivi si rivelano da subito un problema serio: "Mi hanno riferito che alcuni si erano posizionati già nella notte", dice Marco Sgarbi, vice-comandante dei vigili, il dirigente di turno quel giorno. I vigili li multano per divieto di sosta. Rimuoverli ? "Impossibile. Non abbiamo carri attrezzi adatti". I mezzi restano dietro piazza San Carlo. Proprio dove il comandante vicario dei vigili Berti voleva evitare che si piazzassero. "Quando ho sentito parlare di trovare una sistemazione per i furgoni delle équipe televisive, a me è venuto spontaneo dire: "Potremmo farli piazzare in piazza Cln, perché questo sarebbe di sicuro un impedimento al posizionamento di furgoni di paninari abusivi"". Nessuno lo ascolta. Alle tre del pomeriggio la presidente dell’Ascom Maria Luisa Coppa chiama l’assessore Alberto Sacco, che è a Cardiff, con il figlio, "ospite di un parente che lavora per la Juventus". "Mi ha segnalato che c’era questo problema degli abusivi. Le ho detto che avrei visto la sindaca e gliene avrei parlato. Appendino mi ha detto: "Ho presente la questione, stiamo cercando di risolverla. I vigili stanno facendo quel che possono". Chi avverte i vigili ? "Da Cardiff non ho ricevuto alcuna telefonata", risponde il comandante vicario Berti. E così il vice Sgarbi, che però riceve "un sms da Giordana che mi riferiva che c’erano abusivi e bisognava fare qualcosa". Sgarbi va in piazza. "Ci siamo limitati a sanzionare. Interventi repressivi come i sequestri potevano causare problemi seri di ordine pubblico". Trentaquattro abusivi vengono identificati e lasciati andare. Ancora Sgarbi: "C’erano bacinelle all’interno della piazza, che era già mezza piena. Ma la nostra attività si svolgeva prevalentemente al di fuori". I vigili si occupavano dei furgoni, che non potevano rimuovere, ma non dei carretti. Federico Lucchesi della Protezione Civile assicura di aver notato almeno cinque venditori aggirarsi dentro la piazza con delle vasche. Ma in piazza si accedeva soltanto dai varchi presidiati da polizia e carabinieri. O forse no.

4 - IL PARCHEGGIO SOTTERRANEO - Quintali di vetro sono entrati da sotto terra. Lo spiega Maurizio Rafaiani della Protezione Civile: "Il garage era il punto debole. Nessuno l’ha controllato. Solo a metà serata si sono resi conto che venivano da sotto. A quel punto la frittata era fatta". Il garage è il parcheggio sotterraneo che, stando al punto 18 delle prescrizioni della commissione di vigilanza, doveva essere presidiato. Non toccava ai vigili, assicura Sgarbi. Dice la dirigente del Comune Chiara Bobbio: "Dentro la commissione di vigilanza c’era una persona della Questura, credo che abbia chiamato più volte Lopresti per capire che cosa intendevano fare del parcheggio". Alla fine nessuno controlla. E gli abusivi trovano la strada giusta: entrano e risalgono dalle scale nel mezzo di piazza San Carlo. Dove nessuno li blocca. Federico Lucchesi, della Protezione Civile: "Ho visto un venditore dire a due poliziotti in piazza: "È la quinta volta che mi chiedete i documenti".

5 - LE MANCANZE DEL COMUNE - Manca un coordinamento, di pubblica sicurezza ma anche politico. A livello di deleghe all’epoca tutto è in capo alla sindaca Appendino: eventi e sicurezza. La sindaca non si occupa dell’organizzazione, come è normale che sia. Chi lo fa al posto suo ? Sicuramente Paolo Giordana, il capo di gabinetto. Sul fronte sicurezza la situazione è più complessa. La sindaca ha ingaggiato come consulente (gratuito) l’ex comandante dei vigili Alberto Gregnanini. Il quale partecipa a una riunione. "La mia è stata una presenza marginale". Sembra, in effetti, così, ma non al nuovo comandante vicario dei vigili Ivo Berti: "Gregnanini non è raro che esprima delle indicazioni. Ho sempre ritenuto, come gli altri... Che fosse un tramite della sindaca". Il giorno della finale Appendino è a Cardiff. Il vicesindaco Montanari è in vacanza, i due assessori cui tocca coprire le deleghe della sindaca quando è assente non sono stati allertati. "Dal punto di vista politico non c’era un assessore delegato ad essere presente", conferma la sindaca. Tocca ai funzionari. Giordana si tiene in stretto contatto con Appendino. I vigili invece sembrano abbandonati a se stessi. "Non ho parlato con nessuno", dichiara Berti. Lo chiama Giordana la mattina del 4 giugno per convocarlo in Prefettura. Non è l’unico cortocircuito. La sindaca chiede una relazione ai vigili, che legge la settimana successiva in Consiglio comunale. Berti la racconta così: "Mi è stato chiesto di fornire elementi dettagliati, perché altri redigessero, cioè… Facessero il punto della situazione. Poi ho appreso dai giornali che mi era stata chiesta una relazione e io l’ho predisposta".

6 - NIENTE DOMENICA ECOLOGICA - Domenica 4 giugno ci sarebbe la domenica ecologica: auto ferme dalle 10 alle 18. All’1.24 di notte, sui social network, Appendino annulla tutto. I vigili, precettati per controllare il traffico, vengono informati alcune ore dopo. Il direttore del settore Ambiente Paolo Camera lo scopre addirittura il mattino seguente dal sito del Comune. Toccherebbe a lui scrivere l’ordinanza di revoca. "Né io né altri funzionari abbiamo adottato alcun atto e non mi risulta che ci siano atti che abbiano disposto questa revoca". La domenica ecologica sarebbe stata annullata via Facebook.

22 luglio 2017

Fonte: Lastampa.it

© Fotografie: Messaggero.it - Ilgiornale.it

Il capo della security su piazza San Carlo

"Ecco come la fretta ha causato il disastro"

di Gabriele Guccione

Dietro il disastro di piazza San Carlo non ci sono soltanto lacune, sottovalutazioni, errori da principianti: c'è anche la fretta, la troppa fretta con cui è stata preparata la proiezione all'aperto della finale di Champions League. "Per l'esperienza che ho, non si riesce ad organizzare una manifestazione del genere nell'arco di tre o quattro giorni, non è fattibile" - sostiene davanti alla commissione d'indagine del Comune uno che di eventi se ne intende: Antonio Rinaldi, capo della security privata chiamata da Turismo Torino per sorvegliare la piazza durante la finale Juventus-Real Madrid. "Ci volevano almeno 15 giorni" sottolinea, senza che nessuno glielo domandi espressamente, l'amministratore delegato della Hydra Service durante l'audizione del 7 luglio. Ma tutto quel tempo, evidentemente, non c'era. "Noi - racconta Rinaldi - siamo stati contattati da Turismo Torino il 29 maggio, perché avevamo fatto lo stesso servizio di sicurezza nel 2015, per la finale Juventus-Barcellona". All'inizio l'ente del turismo, incaricato dal Comune di organizzare la proiezione in piazza, richiede la presenza di 16 incaricati. "Poi hanno aumentato a 20 e allo stesso tempo - testimonia il capo della security - ci hanno chiesto di anticipare l'entrata in servizio alle 16". Rinaldi racconta anche che gli organizzatori richiederanno anche, dopo le indicazioni che arrivano dalla questura, "di fare un servizio con i metal detector agli ingressi": ma "noi gli abbiamo risposto che non eravamo in grado". Tuttavia l'organizzazione dell'evento va avanti lo stesso, fino al tragico epilogo: 1.526 feriti e la morte di Erika Proietti dopo dodici giorni di agonia. La volta precedente le cose erano state fatte con più calma. "L'organizzazione era avvenuta molto prima, perché due anni fa c'era già una predisposizione, un festival" attesta Rinaldi, rispondendo ai commissari che gli chiedono un confronto con l'edizione del 2015. "Questa volta - racconta il referente del servizio di sicurezza - c'era poco e niente: un palco e una struttura che teneva su l'unico schermo, per giunta più piccolo rispetto a due anni fa". Con il risultato che, anziché "spezzare la pressione delle persone", "la sera del 3 giugno erano tutti lì davanti, per cercare di vedere la partita". Ma le differenze non finiscono qui. Un esempio: le transenne. "Per proteggere il monumento - chiarisce Rinaldi - sono state montate semplici transenne, che con un minimo movimento... L'abbiamo visto, si sono tutte rotte: erano tutte da prendere e buttare". Nel 2015 invece il cavallo di bronzo era stato circondato da "strutture tubolari ricoperte di laminato" anche per impedire alla folla di montare sulla statua. Questa volta, no.

25 luglio 2017

Fonte: La Repubblica

Zaini, mazzi di chiavi, telefoni: bruciati gli

oggetti perduti nella notte di piazza San Carlo

di Miriam Massone

Migliaia di pezzi ritrovati dopo la tragica calca di Torino non sono mai stati reclamati e sono finiti nell’inceneritore.

TORINO - Sono finiti come nelle peggiori delle fiabe: bruciati. Sciolti nel termovalorizzatore, alla periferia di Torino. Gli oggetti - scarpe, felpe, sciarpe, zaini, marsupi - lasciati a terra, tra un mare di cocci e scie di sangue, come in un campo di battaglia, dopo la tragedia di piazza San Carlo, il 3 giugno, hanno smesso, così, di raccontare storie, rievocare fughe, ricordare il panico, riaccendere rumori di ossa rotte e urla. Sono rimasti mesi nei depositi allestiti apposta in città, come nei casi di calamità naturale, in attesa che i legittimi proprietari venissero a recuperare sneaker spaiate o t-shirt squarciate. Ma alla fine nessuno - o, comunque, una percentuale irrisoria - si è mai fatto vivo. "Sembrava il raccolto di un terremoto", dicono dall’Amiat, l’azienda torinese che ha gestito la pulizia del day after: in sede hanno steso un grande telo di 8 metri per 8 per adagiarci sopra la montagna di oggetti smarriti: "Il 70 per cento è rimasto lì, a terra: è venuto soltanto qualche torinese a cercare maglie e borse, altri non sono riusciti a ritrovare le loro cose". All’ufficio oggetti rinvenuti del Comune (una media di 14 mila registrazioni l’anno), dove sono poi confluiti tutti i reperti rimasti non appena superata l’emergenza della prima ora, si è ripetuta la stessa scena, forse ancora peggio: "Non si è visto praticamente nessuno per giorni - conferma Roberto Mangiardi, il direttore dell’area Commercio, che gestisce il servizio - così dopo qualche mese si è deciso di smaltirli, era materiale molto sporco, deteriorato che non poteva restare a lungo in deposito". È stato poi necessario bonificare anche i locali. K-way, canotte, sandali, sono tornati quindi all’Amiat, e da lì al termovalorizzatore del Gerbido per esser eliminati come rifiuti indifferenziati qualsiasi.  Eppure si è cercato in tutti i modi di restituirli, mostrando una delicatezza andata ben oltre burocrazia e protocollo: aperture straordinarie dei depositi e degli uffici comunali, addetti gentili come psicologi dopo un disastro aereo, quando si presentava qualcuno allo sportello, ore a smistare scatoloni di merce rinvenuta, avvisi on line, tam tam mediatico. Caserme e questure hanno messo a disposizione personale ad hoc per gestire i 300 oggetti finiti solo lì, per lo più chiavi e documenti. Sono arrivati a contare 26 sacchi pieni di "roba". Soltanto le carte d’identità sono state riconsegnate, una dopo l'altra, a mano per chi abitava in zona, oppure spedite, anche agli stranieri. La maggior parte dei documenti apparteneva a ragazzi provenienti dalla Lombardia.  Ma borse, scarpe e maglie sono un’altra storia. Rientrano negli "oggetti personali non di valore", economico di certo, ma affettivo ? Forse è proprio questo il punto: "Sono ricordi, forti: la reazione di chi li ha persi in quella notte è quindi assolutamente normale - spiega Alessandro Zennaro, direttore del dipartimento di psicologia dell’Università di Torino - rievocano un trauma che non si vuole rivivere". Ma c’è anche una ragione più profonda: "La mente si protegge e mette quegli oggetti, legati a un episodio tanto drammatico, nell’oblio, li distrugge". Rifiutare le scarpe per rimuovere piazza San Carlo, insomma, almeno nella testa: "Esatto, a meno che non si soffra di disturbo post traumatico da stress: in questo caso invece l’evento viene riproposto di continuo".  Si vive imprigionati in un incubo, una reazione che secondo Zennaro è compatibile con quanto vissuto a Torino durante la finale di Champions: "È stata un’emergenza oggettiva, ma influisce sempre anche una componente di valutazione soggettiva". Cioè, non sono solo guerre e terremoti a choccarci. "Semplifico, con un esempio: se uno ha paura dei ragni e si sveglia una notte con un ragno sul petto, subisce un trauma ugualmente". Questo spiegherebbe come mai non ha cercato di riottenere quanto perso nemmeno chi da quella sera è uscito, tutto sommato e almeno fisicamente, indenne. C’erano 30 mila persone, sono rimasti feriti in 1526 (oltre ad Erika Pioletti, 38 anni, morta dopo 12 giorni d’agonia), ovvero molti meno del numero di oggetti abbandonati nel delirio e mai recuperati. La volontà di girare pagina, alla fine, è quindi prevalsa, persino sull’istinto di tenersi sopra la credenza la sneaker-cimelio di una notte comunque passata alla storia.

14 gennaio 2018

Fonte: Lastampa.it

© Fotografia: Targatocn.it

I sopravvissuti di piazza San Carlo e una notte insonne

di Antonella Boralevi

Stanotte ho acceso la televisione e ho visto una donna con i capelli color rame e un vestito fucsia che piangeva. Si sforzava di non piangere. Si puliva il viso con la mano. Ma singhiozzava. A un certo punto ha alzato il palmo verso la telecamera per dire basta. Diceva che non riesce a superare il dolore e il terrore. Diceva che pensava di essere stata sfortunata, ma, dopo, ha capito che invece è stata fortunata. Perché non è morta. Ho visto un ragazzo che guardava verso un cielo che non c’era. E diceva che ancora, ogni giorno, pensa a come sia potuta morire la ragazza che è morta dopo due mesi di coma, calpestata dalla folla. Diceva: "Potrei essere stato io a passarle sopra, io che non mi sono fermato, io che non l’ho aiutata". Era disperato. Ho visto un uomo grande e grosso che ha piegato la testa come se fosse stata di carta e ha detto "Non posso parlarne" e intanto la schiena si scuoteva di singhiozzi. E poi ho visto un viso dolcissimo di donna. Un sorriso dolcissimo. Un paio di occhiali. Sul suo collo, un collare di aghi e flebo. Una voce flebile, affaticata. Diceva "Passeggiavo con mio marito e ci è piombata addosso la folla. Ho provato a rialzarmi, ma sentivo tutti i piedi sopra di me. Allora mi sono lasciata andare. Ho pensato: muoio". Il marito accanto a lei è scoppiato a piangere e ha detto "quando ci siamo rivisti, è stato bellissimo". Ho visto una ragazza che è stata travolta dalla folla e ha perso le scarpe. "La piazza era coperta di vetri rotti, senza scarpe sarei morta. Ne ho trovate due, diverse. Le ho messe. Ho corso. Ancora, ogni giorno, penso di chi erano e se si sono salvati". Poi le Iene hanno mostrato la mail con la quale il Comune di Torino ha dato alla società di Eventi Torino Turismo l’incarico. Cinque giorni prima della partita. Poi ho visto un certo Salvadori che organizza concerti come quelli oceanici di Vasco Rossi. Ha spiegato che servono mesi per organizzare un evento da 30.000 persone. Che servono 250 addetti alla sicurezza. Che ogni metro quadro devono starci 2 persone massimo, per Legge. Che metà dello spazio deve restare libero e vuoto. Ha detto "la colpa è dell’organizzatore". Gli addetti alla sicurezza erano 20 e tutti sotto il palco, ha detto uno degli organizzatori a viso coperto e voce alterata. E poi ho visto il sindaco di Torino Chiara Appendino. Che era assessore alla sicurezza e ai grandi eventi. Usciva dal portone di casa sua in bicicletta. La bici serve a dire ai torinesi "sono come voi". Ma quando l’inviato delle Iene l’ha fermata e le ha chiesto di parlare da sindaco ai suoi concittadini della tragedia di piazza San Carlo, Appendino ha dato la seguente risposta "c’è una indagine in corso". Una risposta lontana dai suoi concittadini quanto Urano. Una risposta priva di coinvolgimento. Nemmeno mille biciclette potrebbero far sentire vicina ai torinesi il sindaco, secondo me, dopo una risposta così. Stanotte, il terrore che abita dopo un anno la vita delle 30 mila persone che erano a piazza San Carlo non mi ha fatto dormire. Il viso pallido di Marisa Amato non mi ha fatto dormire. La tragedia di Erika Pioletti, morta schiacciata a 38 anni, non mi ha fatto dormire. 1500 feriti sono un numero. Venti facce che raccontano sono Persone. Così mi domando: avranno visto il servizio delle Iene, al Comune di Torino ? Avranno dormito, stanotte ?

19 aprile 2018

Fonte: Lastampa.it (Testo © Fotografia)

 
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