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TORINO 2017
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Torino 3.06.2017 Tragedia Piazza San Carlo Banda dello Spray
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LE INDAGINI DELLA MAGISTRATURA: LA GANG

LA SVOLTA - Aprile 2018: erano trapelate indiscrezioni già da qualche settimana, ora i fatti sono acclarati. La causa scatenante quelle ondate di ressa nel terrore in piazza San Carlo fu l’azione criminosa di una banda di nordafricani dedita alle rapine usando la tecnica dello spruzzo di una sostanza urticante al peperoncino in luoghi affollati. Il gruppo di delinquenti si è mischiato alla folla dei tifosi attendendo il momento giusto per colpire, seminando il panico generalizzato per razziare indisturbati portafogli e telefonini alle persone intorno, zaini, borse e giacche abbandonati nella fuga repentina. Una tecnica consolidata e abituale, ripetuta anche negli ultimi mesi a Torino e provincia. Come in occasione del Kappa Futurfestival al Parco Dora. Il 30 settembre 2017, al concerto di Elisa per l’inaugurazione delle "Officine Grandi Riparazioni", una signora si sentì male e fu soccorsa dall’ambulanza. Gli organizzatori decisero di interrompere il concerto e l’evacuazione della struttura proprio a causa della nebulizzazione di tantissimo spray urticante. Altre rapine in ottobre durante il "Reload Music Festival" al Lingotto e nel mese di gennaio in una discoteca di Verona (Dorian Gray) dove il panico e la fuga incontrollata causarono lesioni a sei persone. Era successo anche nei negozi della catena Mediaworld di via Nizza e di corso Giulio Cesare nello stesso mese a Torino (11 e 18 gennaio). Il 21 in un negozio di Modena, giorni dopo al "Mantova Outlet Village". Si sospettano azioni analoghe anche in altri paesi del nord Italia ed europei: Olanda (17 febbraio Concerto di Kendrik Lamar) e, poi, Belgio, Francia, Germania. Sempre mirando a luoghi affollati per sfruttare la calca, preferibilmente concerti e centri commerciali.

OPERAZIONE "CHILI PEPPER" - Gli investigatori della Digos identificano i rapinatori, maggiorenni e di origine marocchina, ma con cittadinanza italiana, tranne 3 con il permesso di soggiorno e un cittadino egiziano. Costituiscono un affiatato team, specializzato e senza scrupoli in questa tecnica pericolosa. Sono marcati a vista da molto tempo dalla polizia, sospettati per attività di ricettazione e traditi da alcune intercettazioni telefoniche avviate per un’altra indagine dove menzionano una collanina d’oro, rubata in piazza, per un valore di centinaia di euro. In dieci sono indagati dalle autorità giudiziarie nella specifica inchiesta, sei restano in carcere per la custodia cautelare, uno ai domiciliari, gli altri tre hanno l’obbligo di firma in Questura. Due di questi, ai quali sono contestati proprio i reati in Piazza San Carlo, sono posti in stato di fermo e confessano. L’età media dei membri della banda oscilla fra i 18 e i 20 anni. Sfrontati, pensando di essere impunibili. Quattro su dieci erano presenti in piazza quel 3 giugno a Torino: Sohaib Bouimadaghen, Hamza Belghzi, Mohammed Machmachi e Aymene Es Sabihi. Il capo del sodalizio è il ventenne Sohaib Bouimadaghen (detto "Budino") di Cirié, classe 1998, cittadino italiano residente a Torino, il primo a confessare, subito e al primo interrogatorio notturno. Ha anche spifferato ai Pm nomi e cognomi dei complici della gang.  A suo carico moltissime pagine d’intercettazioni. A tradirlo un messaggio su whatsapp del 2 aprile in cui scrive: "Sai il casino che è successo l'estate scorsa, quando c'era la Juve ? Stavo per andare alla polizia e dire che ero stato io. Te lo giuro, mi sento una merda… Un peso troppo grosso... Quello della Juve... Non ho più voglia di fare queste cose". Tono del pentimento che contrasta radicalmente con quanto scritto da lui su facebook il giorno dopo la rapina di piazza San Carlo: "Una ringhiera vi ha messo in ginocchio… Avete calpestato bambini e donne per un petardo, ve ne accorgete solo quando vi tocca la pelle. C'è chi si alza senza la propria famiglia, sotto le macerie di una casa distrutta, senza né acqua né cibo, contro le più grandi forze mondiali". Ancora qualche giorno dopo: "Troppo debole sto spray ahahahaha". Usanza dei rapinatori era quella di pubblicare sui social le immagini della refurtiva dopo i colpi messi a segno: orologi, braccialetti, pendenti, gioielli, cellulari. Lo spray serviva a immobilizzare le vittime prima di rapinarle, in particolare delle catenine d’oro. Sarà proprio questo il materiale ritrovato nelle perquisizioni dei loro appartamenti. Per tutti l’accusa di rapina e furto, ma per Sohaib, Mohammed, Hamza e Aymene si aggiunge la contestazione dei reati più gravi di omicidio preterintenzionale (a causa della morte di Erika Pioletti) e di lesioni aggravate nei confronti di oltre 300 persone. Purtroppo il 3 giugno 2017 l’azione miserabile di pochi si è innestata diabolicamente nell’approssimativa disorganizzazione di troppi. Negli atti del fermo di "Budino" la Procura non esita a definire questo disastro "evitabile", poiché "se l’indagato Bouimadaghen non avesse perpetrato le rapine con il gas urticante certamente non si sarebbero creati e diffusi l’allarme e il panico tra gli spettatori. Al contempo, se gli addetti alla sicurezza avessero approntato e predisposto misure idonee a salvaguardare l’ordinato svolgimento dell’evento la condotta delittuosa dell’indagato non avrebbe comportato l’esito infausto". Un riferimento inequivocabile allo sbarramento delle vie di fuga transennate. Prima e dopo, in altri luoghi, la gang aveva colpito, causando disordini e fastidi, mai una mezza strage.

LE REAZIONI - La notizia è accolta con molto sdegno nel paese, anche dalla classe politica si levano strali. Il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli afferma che "gli arrestati rispondano di terrorismo e tentata strage, non di rapina". Notizia che non allevia il dolore dei familiari di Erika Pioletti: "Gli arresti ? Lo apprendo ora da voi ma non cambia nulla. Per noi non cambia nulla… Erika, purtroppo, non ce la restituisce più nessuno. A giugno saremo a Torino, con i genitori di Erika, per la posa di una targa ricordo". Amara considerazione dello zio della vittima, Angelo Rossi. Soddisfatto, invece, Nicola Menardo, il legale (Studio Grande Stevens) di famiglia di Marisa Amato e Vincenzo D’Ingeo, feriti gravemente quella sera: "Alla Procura va il merito di aver chiuso in tempi brevi un'indagine su una vicenda così complessa. Le condizioni della donna sono stabili. Non ci sono miglioramenti rispetto alla tetraplegia. Il marito ha avuto lesioni polmonari e addominali che ora stanno rientrando, ma è ancora molto provato. Oggi abbiamo depositato un'istanza di accesso agli atti per capire le responsabilità dei singoli soggetti coinvolti e ipotizzare le prime richieste risarcitorie". Molto più caustico l'avvocato Stefano Gubernati, assistente legale di tre feriti: "La notizia degli arresti è positiva, ma rimane il fatto che il 3 giugno la gestione di piazza San Carlo non è stata ottimale. La Procura ha compiuto un'indagine molto accurata, ora c'è da capire se gli attori coinvolti abbiano delle responsabilità".  Esultano anche i vertici della Polizia per il successo delle indagini. Segretario nazionale dell’Associazione Nazionale Funzionari (Enzo Marco Letizia) e segretario generale del Siap (Giuseppe Tiani) quasi in coro: "Per noi è motivo di orgoglio che le donne e gli uomini della Questura di Torino abbiano individuato il gruppo di balordi che ha trasformato una festa sportiva in orrore. Le indagini mostrano che la paura fu innescata da un’azione criminale nella folla, quindi il panico non si auto-innescò ma fu l’effetto domino dell’uso scellerato di spray urticante per commettere una rapina. La polizia e la procura torinese hanno con successo fatto luce sulle cause che hanno determinato 1.500 feriti e la morte di una donna, risolvendo un mistero che ha impressionato tutto il Paese". È stato il commissariato di Barriera Nizza, in seguito ad una perquisizione a carico di 4 componenti della banda dopo un furto in un centro commerciale, a ricostruire un collegamento con i fatti di Piazza San Carlo. Inchiesta condivisa ed ampliata da Digos e Squadra Mobile di Torino che ha ricostruito dalle celle telefoniche la presenza di alcuni di loro la sera del 3 giugno 2017 in piazza. Giungono anche i complimenti del procuratore generale del Piemonte, Francesco Saluzzo, al Questore Francesco Messina ed ai colleghi della Procura di Torino: "Non conosco i dettagli dell'operazione ma da quel che ho potuto capire mi pare che si sia trattato di un lavoro investigativo straordinario. Un'indagine complessa e condotta in modo molto intelligente". Commenta il procuratore capo Armando Spataro: "Con tale condotta hanno determinato la nota situazione di panico che ha generato oltre 1500 feriti e la morte di Erika Pioletti". Poi annuncia il termine delle inchieste: "Siamo arrivati alla conclusione dei due filoni d’indagine. È stata un’inchiesta eseguita in tempi molto veloci, nonostante qualche quotidiano abbia detto il contrario. Poco più di otto mesi. I risultati, la cui bontà verrà valutata dai giudici, sono frutto di un lavoro di squadra tra gruppi specializzati. Intendo manifestare il mio assoluto apprezzamento per l'atteggiamento manifestato da tutti gli indagati fra cui la sindaca Chiara Appendino. Un rispetto istituzionale che dimostra come ci sia la volontà di difendersi nel processo e non dal processo".

LA PERIZIA - A sostegno della tesi di colpevolezza della banda dei giovinastri inquisiti giungono i risultati delle analisi di laboratorio effettuate sui campioni dei 4 indumenti raccolti e conservati dalla Polizia Scientifica. Rilevate tracce di "capsaicina" e "diidrocapsaicina" su un cappellino da baseball, elementi caratteristici dell’estratto di peperoncino usato negli spray urticanti per difesa personale in libera vendita. Confermate, quindi, con prova le testimonianze di quanti quella sera avvertirono improvvisamente bruciore agli occhi. Consegnata anche la perizia della consulenza psicologica sulle reazioni della folla rispetto al panico generale.

UDIENZA DI CONVALIDA - Nell’udienza di convalida degli arresti il Gip Stefano Vitelli conferma il fermo per i "predoni al peperoncino", derubricando il capo d’imputazione più grave di Sohaib Bouimadaghen e Mohammed Machmachi. Non si tratta più di "omicidio preterintenzionale" ma di "morte come conseguenza di altro delitto" con l’aggravante di "rapina pluriaggravata" e lesioni. Si legge nel testo fra le motivazioni anche del "pericolo di recidiva e di fuga" nonché di una "notevolissima pericolosità sociale". Ascoltata per ora la difesa che riteneva "l'evento morte non voluto e non previsto". Secondo i legali, Foti, Cullari e Cargnino: "A nostro avviso c'era una contraddizione. Se le lesioni agli oltre trecento feriti erano state valutate come conseguenze colpose, quindi non volute, anche l'evento morte, in quanto conseguenza di un altro delitto, avrebbe dovuto essere considerato non voluto e non previsto". Nell’ordinanza per gli imputati resta la "gravissima colpa" di aver "causato le prime condizioni perché si realizzassero le gigantesche e plurime ondate di panico (certo in quelle dimensioni e portate non volute), che hanno causato così tanti feriti fra gli spettatori presenti in piazza quella sera e anche la morte di una di questi". Decade, quindi, un nesso conseguenziale fra il decesso della giovane di Domodossola e l’azione al fine di rapina, in altro punto, peraltro, della piazza. A sostegno il Gip conferma: "non vi è alcun dubbio che gli indagati hanno cercato, come per prassi, manifestazioni affollate per lavorare e utilizzato, secondo un sistema rodato ed efficacissimo, lo spray al fine di distrarre le vittime degli strappi e al fine di creare confusione tra la gente intorno". L’azione specifica del 3.06.2017 ha "costituito la causa iniziale di un movimento disordinato e incontrollato che ha portato alla fine, magari in presenza di eventi intermedi, quale il forte rumore della rottura di una ringhiera: ma sul punto sono necessari approfondimenti, al panico diffuso… All’evento lesivo finale avrebbe contribuito secondo l’ipotesi accusatoria una responsabilità da accertare da parte di chi organizzò l’evento che non avrebbe garantito le condizioni per un deflusso in sicurezza. Deflusso improvviso e massivo che doveva essere previsto". Come detto, quattro su dieci sono coinvolti secondo la magistratura nella rapina di Piazza San Carlo. Ricercato un quinto elemento, segnalato proprio dagli altri giovani che hanno dichiarato al Gip di "sentirsi in colpa per essere stati la causa iniziale del panico". La banda potrebbe essere anche più numerosa. È proprio Sohaib a insinuare un dubbio negli inquirenti: "Non siamo mica i soli a fare queste cose. Pochi minuti dopo il vuoto che si è creato quando noi abbiamo spruzzato lo spray e la gente ha iniziato a fuggire, dall’altra parte della piazza si è creata la stessa situazione e io credo che anche lì sia accaduto che qualcuno si faceva le catenine, ma noi non c’entravamo nulla". Che fossero presenti in piazza i Pm lo sapevano da febbraio in base all’interrogatorio di un loro conoscente che li aveva incontrati lo stesso giorno e a cui dissero che "sarebbero andati in piazza la sera per lavorare, ovvero fare rapine". Confermato anche dall’altro compare di "Budino", Mohammed Machmachi: "Durante la partita ci siamo mossi in continuazione per fare collane… Io e Sohaib simulavamo di filmare la partita con le braccia alzate per coprire Hamza che prendeva la collana. Sohaib, poiché la situazione era tranquilla e quindi c’era il rischio di essere scoperti, ha spruzzato il peperoncino e Hamza ha strappato la collana. Sohaib per provocare casino spruzzò lo spray a terra in maniera che il gas salendo provocasse lo spostamento delle persone". Inevitabile anche per Hamza Belghazi, 20 anni, nato in Marocco ma cittadino italiano, la notifica in carcere della misura cautelare per la rapina. A difenderlo gli avvocati Testa e Anetrini. Nega, invece, la sua partecipazione alle rapine di quella serata, Aymene Es Sabihi, 19 anni, nato in Marocco e residente a Torino, interrogato in carcere a Cuneo. Ammette di aver commesso con la banda altri colpi, non in quella occasione: "Con piazza San Carlo non c'entro nulla. Sono arrivato dopo la partita". Intanto, il Tribunale del Riesame in una ordinanza ha confermato che potranno essere processati in Italia anche per i reati compiuti a Rotterdam, Francoforte, Amsterdam e Berlino. In tutto si ipotizzano 45 casi complessivi di rapina o "furto con strappo" per i predoni italo-marocchini, consumati fra Italia ed Estero. Sulla base di una ricostruzione dei magistrati che si è avvalsa anche della confessione di alcuni indagati. Una pratica ormai consueta e rodata in altre città e gruppi criminosi d’Italia, tale da far pensare ai Pm di contestare a tutti, anche per il futuro, direttamente il reato di "associazione a delinquere". Nel contesto dal Tribunale del Riesame viene rifiutata ai loro legali la richiesta degli arresti domiciliari per il rischio di fuga in paesi che non concederebbero l’estradizione.

IL RICORSO DEI PM - Non restano assolutamente convinti i sostituti procuratori di Torino (Emilio Gatti, Roberto Sparagna e Paolo Scafi) del parere contrario formulato dal Giudice per le Indagini Preliminari a riguardo dell’accusa di "omicidio preterintenzionale". Il Gip non ha ritenuto che la morte di Erika fosse direttamente conseguente alle rapine con il gas urticante sia per tempi che per luogo, ma presentano ricorso al Tribunale del Riesame contro la definizione del reato come "morte in conseguenza di altro reato" riavvalendosi della tesi avvalorata al momento dell’arresto che sosteranno fino al processo. Sull’argomento scrivono i pm: "L’omicidio preterintenzionale viene contestato in quanto, oltre alle lesioni cagionate alle persone attinte direttamente dall’azione dello spray urticante e a quelle riportate da terze persone che sono state travolte dalla folla che fuggiva per il panico scatenato dall’uso della spray al peperoncino, si è verificata la morte della Pioletti… Se poi ci si volesse spingere fino alla disamina dell’elemento soggettivo, non si può negare che per i due correi fosse prevedibile che, seminando il panico in una piazza sovraffollata, qualcuno - non necessariamente le persone attinte dallo spray - potesse restare gravemente ferito o addirittura morire". Mentre prosegue la disputa "giurisprudenziale" interna alla giustizia è proprio lo stesso Gip Vitelli a confermare il carcere per gli arrestati ai quali sarebbero scaduti i termini di custodia cautelare per i fatti di Piazza San Carlo, ma restano dentro per gli altri reati.

IL QUINTO COMPLICE - L’indagine non si è accontentata dei dieci (7 in carcere) giovani della banda. Si cercano un quinto componente del gruppo in azione in piazza San Carlo e i canali dei ricettatori della refurtiva. Sohaib "Budino", il capobanda, si è detto "triste, dispiaciuto, preoccupato" davanti ai Pm che lo descrivono "molto spaventato" e ne hanno secretato il verbale dell’interrogatorio. Il ragazzo avrebbe dovuto diplomarsi fra qualche mese. Certamente con la sua collaborazione si è allargato di più il raggio dell’inchiesta. "Nell’interrogatorio è stato collaborativo, ma nei limiti delle sue responsabilità" afferma l’avvocato Emanuela Cullari alla Stampa. "Lo spray l’ho spruzzato io" aveva detto subito, ammettendo di essere il possessore della bomboletta al peperoncino e di averlo nebulizzato "nell’angolo Sud della piazza a ridosso dello schermo". La banda agiva in branco, oppure divisa o in attività solitaria, ma tutti sapevano l’esito dei colpi degli altri, pronti a coprirsi vicendevolmente. Il filo conduttore tra le centinaia di messaggi WhatsApp scambiati con i telefonini e sui loro profili social. La refurtiva era scambiata con denaro contante da reinvestire in viaggi e vestiti di marca. Una gang affiatata di giovanissimi delinquenti nata in periferia, bullizzando e rapinando i coetanei fino alla formazione di una vera e propria associazione a delinquere con questa escalation di furti in ogni dove, ma facendo uso della stessa infame tecnica. Con tanto di autocompiacimento il giorno dopo, riscontrabile nella messaggistica social dove appaiono anche articoli di giornale riferiti alle loro "gesta". "Dove andiamo noi succede sempre casino" è la didascalia ad una di queste. Anche il giorno successivo ai fatti tragici della piazza avevano postato un video della fuga per le vie del centro. Il 27 luglio 2018 la Squadra Mobile della Polizia preleva in casa e arresta il quinto complice della banda e lo annuncia sul proprio profilo twitter. Il giovane è un marocchino, residente a Torino, diciotto anni, all’epoca dei fatti era minorenne. Per questa ragione la sua cattura è stata richiesta dalla procura dei minori. Pendono su di lui tutti i capi di accusa degli altri: "omicidio preterintenzionale", "concorso in rapina", "lesioni aggravate" e "lesioni come conseguenza di altro reato". Lo avrebbero tirato dentro proprio i suoi "amici". Ciò nonostante, farà leva proprio sulla sua giovane età, davanti ai Pm Sparagna e Scafi ed al Gip del Tribunale dei Minori, sostenendo la sua innocenza: "Ero lì quella sera ma non ho mai fatto parte della banda dello spray". Lo ribadisce alla stampa anche il suo legale Raffaele Folino che proverà a tirarlo fuori dal "Ferrante Aporti" dove è detenuto per misura cautelare, "così da consentirgli di frequentare l’ultimo anno di scuola". Una indagine anche fortunata se vogliamo, non sarebbero bastate le indubbie capacità degli investigatori per riposizionare le tessere del mosaico e delineare il quadro accusatorio se "Budino" e gli altri non avessero stupidamente parlato al telefono dei colpi messi a segno quella sera e del metodo come loro "marchio di fabbrica".

BUDINO e i 60 LADRONI - Sono gli stessi arrestati a dichiararlo, come ad esempio in un interrogatorio Hamza Belghazi, sprezzante: "Siamo in tanti, siamo decine… Cosa credete, che ci siamo solo noi di piazza San Carlo ?". Un esercito di rapinatori che usano il metodo più in voga per agire velocemente nel caos sfruttando il panico. Circa una sessantina di elementi si alternavano nei ladrocini ripetuti. Un fascicolo di 400 pagine che la sezione Antirapine della Questura consegna ai magistrati con i nomi e cognomi anche di tanti minorenni. L’etnia in comune, nordafricani di prima o seconda generazione. L’inchiesta a detta dei pm Sparagna e Scafi "è sostanzialmente giunta a definizione con le confessioni". Si avvicina per tutti l’invio dell’avviso di chiusura indagini che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio. Ma il processo per i cinque di Piazza San Carlo avrà un fardello molto più pesante del furto: l’accusa di "omicidio preterintenzionale" ora che il Tribunale del Riesame ha assodato che "devono rispondere della morte di Erika Pioletti come se la stessa fosse stata la diretta destinataria dell’offesa". Per gli altri della gang "soltanto" quella di rapina, furto e ricettazione. Inutile il tentativo delle difese di contestare la custodia cautelare. I ragazzi restano tutti in cella. In dubbio soltanto il ricorso del 4 settembre 2018 proprio sull’accusa di omicidio sulla quale la stessa Cassazione dovrà esprimersi che a giudizio dei penalisti è "non sostenibile in assoluto per i fatti in questione". Il perno della difesa sarà proprio nella dimostrazione che il panico non dipese dal peperoncino, ma da un boato, due minuti più tardi dello spruzzo, come testimoniato da centinaia di testimoni. Intanto il capo, Sohaib Bouimadaghen, come di tradizione nei celeri percorsi di pentimento in carcere, esterna le sue emozioni in una lettera inviata a La Stampa: "Ammetto di aver fatto errori… È irreale pensare che il mio spruzzo di spray indirizzato verso il suolo a distanza di 10 minuti possa aver scatenato il panico. Per quanto mi riguarda sono certo che quel fenomeno sia potuto accadere solamente a seguito del botto udito in piazza". Ammette "di aver messo a segno le rapine in mezza Europa compresa quella di Piazza San Carlo del 3 giugno 2017… Per noia, per gioco… Era facile e c’era rischio zero…". Dice di essersi "ritrovato per gioco in un giro di furti… Per nostra fortuna nessuno ci aveva mai presi prima di quella notte, ma ora posso dire che è stata una sfortuna. Se ci avessero fermato ci avrebbero aperto gli occhi, perché siamo molto giovani e abbiamo bisogno di qualcuno che ci mostri la strada… In cella ho pensato al suicidio… I brutti pensieri che affollavano la cella… Solo grazie alla fede e alle lettere degli amici… Ho capito che farmi del male non avrebbe aiutato a far emergere la verità e cioè che non c’entro nulla col mostro che è stato dipinto. Avrei solo dato ulteriore dolore alla mia famiglia e alle persone che mi vogliono bene".

LA PERIZIA VIDEO - Decisiva per la Polizia Scientifica la sincronizzazione dei filmati con gli eventi in corso in piazza San Carlo. Allo scopo sono stati utilizzati i video degli impianti di videosorveglianza, delle telecamere dei negozi, le registrazioni amatoriali fatte con i cellulari, le riprese delle troupe televisive e anche la telecronaca della partita. Un lavoro maniacale al fotogramma messo a disposizione della magistratura insieme al corredo delle altre perizie concluse. 3288 reperti a disposizione fra cui le immagini drammatiche (sgranate e in bianco e nero) che inquadrano la giovane vittima, Erika Pioletti, trasportata a braccia nell’androne al civico 182 dove è stata rianimata 40 minuti prima dell’arrivo dell’ambulanza. Nella relazione tecnica gli esperti scrivono: "Il moto degli spettatori si origina alle ore 22:12:08 nel quadrante anteriore sinistro della piazza, intersezione con via Giolitti, e prosegue con direzione e intensità variabili fino alle ore 22:23:45 attraverso tre diverse fasi. Quando la distanza tra i corpi è annullata dal numero eccessivo di persone, un movimento non intenzionale di una di loro può generare un'onda improvvisa che trasforma la folla in una trappola mortale, sovrapponibile a quel che succede a una mandria di animali spaventati. Nella prima fase gli spettatori sono coinvolti in un movimento ordinato come se fossero una cosa sola, che li spinge ad allontanarsi in modo concentrico dal punto di origine dell'evento, creando un arco uniforme che si stende idealmente dal bar Mokita a via Alfieri. Il moto diventa entropico passando a un movimento stop and go che si è propagato come un'onda lungo la direzione dello spostamento. In alcune aree della piazza le persone sono costrette a muoversi in spazi più ristretti addensandosi caoticamente. In altre aree la folla scappa seguendo percorsi obbligati come ad esempio nelle vie laterali. Gruppi di persone hanno iniziato a muoversi casualmente in tutte le direzioni in un fenomeno scientificamente definito turbolenza della folla, come accade durante un incendio: le persone si comportano come membri di un gruppo, spesso esitando nella fuga per assicurarsi che i propri cari li seguano per poi tornare indietro a recuperare gli effetti personali".

"OMICIDIO PRETERINTENZIONALE" - In dicembre anche la Cassazione boccia il ricorso di "Budino" e conferma che è corretta da parte della Procura l’ipotesi accusatoria del reato di "omicidio preterintenzionale" per il quintetto di rapinatori della "banda dello spray al peperoncino" il 3 giugno 2017 in piazza San Carlo. Un altro punto a favore dell’accusa, dopo la conferma della custodia cautelare per gli inquisiti. Parere anche influenzato dalla recente disgrazia nella discoteca di Corinaldo, in provincia di Ancona, dove un altro tentativo di rapina con la stessa tecnica dello spray causò la fuga, la ressa e la morte di sei persone, di cui cinque minorenni.  Nelle motivazioni della quinta sezione penale della Cassazione si legge che c’è un "nesso eziologico, tra l’impiego dello spray al peperoncino, ai danni di taluni degli spettatori, e il primo spostamento di folla… A sua volta, un allontanamento a raggiera delle persone, collocate nelle vicinanze, per il timore di restare vittime di un attentato terroristico, con l’intento evidente di porsi in salvo, da una minaccia imminente e sconosciuta". Qualche mese dopo nelle motivazioni della sentenza spiegheranno: "Quando viene commessa una rapina che abbia come sviluppo non voluto la morte di una persona, viene senz’altro integrato il presupposto del delitto di cui all’articolo 584 del codice penale. La morte di Erika Pioletti è in progressione criminosa con la violenza esercitata per impossessarsi del bene altrui… Nessun dubbio, la condotta del ricorrente di impiegare una bomboletta spray al peperoncino rientrasse nella nozione di violenza". Anzi, si rincara la dose, perché andrebbe applicata l’"aberratio ictus plurilesiva": un istituto secondo il quale nel caso si colpisca un'altra persona (Erika Pioletti) oltre la vittima designata (vittima del furto) il codice penale prevede che "il reo risponda del reato più grave con un aumento di pena fino alla metà". Commenta uno dei legali dei giovani, Guido Anetrini: "Si tratta certamente di un punto a nostro sfavore", ma in processi come questi ci sono continui aggiornamenti".

RINVIO A GIUDIZIO - Tutto è ormai pronto per il processo. Mancano alcuni passaggi formali. Qualche giorno prima di Natale la Procura chiede il rinvio a giudizio per quattro dei cinque componenti della gang che rapinò i tifosi in Piazza San Carlo e spruzzò la sostanza urticante con le conseguenze drammatiche ormai note in ogni aspetto. Per il quinto componente, all’epoca minorenne, il caso è seguito dalla Procura Minorile. Sono gli unici imputabili per i fatti di quella sera, perché ne è stata accertata la presenza in loco. Non è ancora stato deciso se il procedimento nei loro confronti venga accorpato all’altro processo per la Sindaca, Questore e altri funzionari, amministratori e organizzatori della manifestazione. Definitivo legalmente il bilancio complessivo dei feriti: 1.693.

LA LETTERINA DI NATALE - Dopo il capo, un altro membro della banda, recluso nel carcere minorile "Ferrante Aporti" dal mese di luglio, pensa di affidare il suo pentimento alla carta da lettera. Si tratta del più piccolo fra tutti, all’epoca diciasettenne, Aymen H. che scrive: "Scrivo a te… A te che quella maledetta sera eri lì a tifare per la tua squadra del cuore ed è assurdo come un momento che sarebbe dovuto essere di gioia si sia trasformato in un incubo. A te, piccola stella, che eri insieme ai tuoi genitori e ti sei ritrovato in una bolgia di persone… Non basterebbero tutte le scuse di questo mondo per farsi perdonare le conseguenze causate quella sera, non doveva andare così, ed è incredibile come la vita sappia essere così cattiva. Io, seppur con un ruolo marginale sono colpevole e di conseguenza mi sento addosso un peso sulla coscienza enorme. Ci è voluto un po' affinché io capissi la gravità e le mie responsabilità, dopo ciò è stato difficilissimo convivere con essa. Con il passare dei giorni, delle sere, a pensare e ripensare a quegli interminabili attimi di terrore e alle tante vittime… A pensare a chi purtroppo non c'è più… Al dolore causato ai parenti… Fa male. Trovar difficoltà nel guardar negli occhi i propri genitori fa male perché la delusione causatagli è troppo grande e di certo non sono questi i valori che mi hanno trasmesso. Sono consapevole che le scuse tramite una lettera serviranno a ben poco, non rimetteranno a posto le cose, ma penso che possa essere un primo grande passo per riuscire un domani a reinserirmi con dignità nella società, con una grande "x" segnata sulla schiena affinché in futuro io non possa mai più sbagliare".

IL 1° PROCESSO DELLA MAGISTRATURA: IL RITO ABBREVIATO

IL PROCEDIMENTO - Nei primi mesi dell’anno si stabilisce luogo e data ufficiale del processo per i 4 "giovinastri" della "banda dello spray": Torino, 25 marzo 2019. Come un macigno, l’accusa di "omicidio preterintenzionale" per la morte della domese Erika Pioletti si è amplificata per il decesso della signora Marisa Amato. Ferita gravemente (era rimasta tetraplegica) insieme al marito Vincenzo D’Ingeo si era aggravata per complicanze polmonari alla fine di gennaio. Gli imputati Sohaib Boumadaghen, Hamza Belghazi, Es Sahibi Aymene e Mohammed Machmachi hanno scelto il rito abbreviato, una modalità più rapida che prevede il giudizio "secco" sulla base dei documenti dell’indagine preliminare e senza che interferiscano le audizioni di testimoni. Previsto uno sconto di un terzo della pena nel caso di condanna. Con questa scelta, ufficializzata dai legali al gup Maria Francesca Abenavoli, il procedimento avrà tempi brevi e non sarà riunificato al processo dell’Appendino e degli altri 14 imputati che certamente inizierà a sentenze di questo già emesse in primo grado.

L’ACCUSA - Nell’aula 37, al piano terra del tribunale di Torino, il giorno prestabilito si parte subito con la requisitoria dei sostituti procuratori Roberto Sparagna e Paolo Scafi. I capi d’accusa prevedono "omicidio preterintenzionale" per le morti di Erika Pioletti e Marisa Amato, "rapina aggravata", lesioni personali volontarie e furto (per tre su quattro). La richiesta dei pm è una condanna a 14 anni di detenzione per gli imputati: Sohaib Bouimadaghen detto Budino, 21 anni, Hamza Belghazi, 20 anni, Aymene Es Sahibi, 22 anni, e Mohammed Machmachi, 21 anni arrestati nel mese di aprile 2018. Per la precisione l’accusa ha chiesto la somma totale scaturita calcolando un giorno di carcere per ciascun ferito e cinque per ognuna delle persone aggredite dallo spray al peperoncino. Il commento dell’avvocato di "Budino" (Basilio Foti) è piccato: "Condanne di questo tipo sembrano rispondere più alle aspettative mediatiche che ai reali accadimenti sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo".

IL PATTEGGIAMENTO - Mentre si avvicina la sentenza di primo grado per i reati più gravi dei quattro maghrebini di Piazza San Carlo, nel procedimento parallelo tutti i 10 accusati di 13 rapine e 29 furti commessi durante concerti ed eventi in Italia e nel resto d’Europa hanno patteggiato in udienza preliminare pene che partono da un minimo di un anno ad un massimo di quattro e otto mesi. Alcuni degli imputati "hanno chiesto scusa sostenendo di essere pentiti, di volere cambiare vita e riprendere gli studi".

LA DIFESA - Nel processo dei 4 accusati di "omicidio preterintenzionale" la parola passa alla difesa. Basilio Foti, difensore di Sohaib Bouimadaghen, sostiene: "Lo spray è riconoscibile, lo vedi e lo senti. Lo respiri, perché è nell’aria. E se dà fastidio, ci si sposta senza fuggire. Quella sera i quattro giovani rapinatori erano lì per rubare, desideravano provocare un minimo di distrazione tra i tifosi e non certamente il caos. Tant’è che anche loro hanno lasciato la piazza nel momento in cui è esploso il panico… Non dobbiamo confondere la gravità della tragedia con la solidità degli elementi d’accusa. Qui non è stato nemmeno dimostrato che quella sera in piazza non fossero in azione altri gruppetti di rapinatori: anzi, è assai probabile che ce ne fossero. Budino e i suoi amici non erano gli unici armati di spray. I nostri assistiti hanno sempre detto che il fenomeno delle rapine con lo spray è molto diffuso e che quella sera non erano l’unica banda presente in piazza. Per cui non è assolutamente detto che siano stati loro a provocare la fuga del pubblico. In ogni caso, non è possibile tracciare un collegamento diretto tra i decessi delle due donne e la condotta dei nostri assistiti". Considerando che "quella era epoca di attentati veri in giro per il mondo e il timore di un’azione terroristica era fondato" al termine degli interventi i legali chiedono l’assoluzione dall’omicidio preterintenzionale per non aver commesso il fatto o la derubricazione in omicidio colposo".

LA SENTENZA - Il 17 di maggio 2019 arriva la sentenza che riconosce tutti gli imputati colpevoli di rapina, furto, lesioni e soprattutto di omicidio preterintenzionale: Sohaib Boumadaghen, Hamza Belghazi e Mohammed Machmachi (età: 21, 20 e 21) condannati a 10 anni, 4 mesi e 20 giorni di reclusione, Es Sahibi Aymene (età: 22) a 10 anni, 3 mesi e 24 giorni, perché partecipante a meno furti. Maria Francesca Abenavoli, accogliendo la richiesta dei pm, emette una nuova misura cautelare per scongiurare il pericolo di fuga fino al nuovo processo.  Resteranno detenuti nelle carceri "Lorusso" e "Cutugno" di Torino. Fidanzate e sorelle degli imputati, alla lettura della sentenza piangono assieme ai quattro componenti della banda che esclamano: "Vorremmo riavvolgere il nastro della nostra vita". Reazione prevedibile delle difese che annunciano il ricorso in appello. Più polemico l’avvocato Foti che rilascia una dichiarazione all'AdnKronos: "Mi aspettavo qualcosa di diverso e di meglio e rimango convinto della nostra ricostruzione dei fatti: non ci fu la rapina all'origine della tragedia. Nessuno può negare la gravità di quanto successo quella sera in piazza, ma gli atti devono essere volontari e consapevoli per essere valutati in maniera piena perché gli automatismi non fanno mai giustizia. In ogni caso, mai come in questa vicenda è necessario aspettare di leggere le motivazioni della sentenza per capire il perché della decisione del giudice. Poi faremo appello. Questa non è giustizia. Non è giustizia perché non ci può essere alcun nesso tra lo spray e la morte di Erika Pioletti e Marisa Amato, che furono travolte a centinaia di metri di distanza. Questi ragazzi non solo non volevano la morte di nessuno, ma nemmeno l’avevano prevista. Questa decisione è la risposta a un’ansia che non ha nulla a che vedere con la giustizia". Una cosa è certa, comunque la reazione della gente dopo le ripetute dello spray al peperoncino in aria fu scomposta e si allargò a macchia d’olio. Non ci fu soltanto il bruciore degli occhi e in gola degli spettatori investiti dalle zaffate, Il panico sopraggiunse di conseguenza, propagandosi per suggestione, ma soprattutto sulla base di un’azione reale di causa-effetto. Alla soddisfazione per l’accoglimento della loro tesi da parte dei Pm Scafi e Sparagna si aggiunge il plauso dell’avvocato Daniele Folino, legale del fidanzato di Erika: "È positivo che ci sia stato un riconoscimento della gravità di ciò che è accaduto e che si sia risaliti al fatto scatenante del panico. Ne sono lieto. Le omissioni e le negligenze che hanno determinato gli eventi sono piuttosto macroscopiche ed evidenti. Siamo in attesa di capire se arriverà una proposta di risarcimento, che, ad oggi, non c’è stata". Polemico sui social Francesco Amato, fratello di Marisa, l’altra vittima: "Tra un anno saranno fuori". Rimangono in silenzio, invece, le due famiglie delle vittime, conservando l’atteggiamento riservato e dignitoso tenuto sin dal principio della vicenda. Sarà certamente l’altro troncone del processo che contesta l’organizzazione della manifestazione nei suoi attori principali a detenere quel potenziale gravido di responsabilità civili e penali oggetto di serrati duelli fra pubblico ministero e difese degli eccellenti rinviati a giudizio. E sullo sfondo le faticose trattative per gli indennizzi alle parti civili dalle compagnie assicuratrici del Comune e dell'ente Turismo. 32 le "persone offese" già in accordo con il Comune di Torino (tramite le assicurazioni Unipol e Reale Mutua) per il risarcimento, altre 23, in fase molto avanzata, prossima alla firma. Appuntamento a giugno per l’avvio del procedimento, impantanato ancora nell’udienza preliminare, che vedrà coinvolti la sindaca Chiara Appendino, il questore al tempo, Angelo Sanna, il viceprefetto Roberto Dosio più altri dodici imputati.

LA QUINTA SENTENZA - Non si fa attendere la giustizia anche per il quinto detenuto (Aymen H) giudicato dal Tribunale dei Minori, essendo minorenne all’epoca dei fatti. La condanna è decisamente più lieve: 3 anni di lavori socialmente utili, poiché non fece uso dello spray nel contesto delle rapine. Processo sospeso, accogliendo una richiesta di messa alla prova del suo legale, Raffaele Folino.

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA - Ad agosto è possibile per le difese e la stampa accedere alle motivazioni della sentenza di primo grado emessa dal Gup Maria Francesca Abenavoli in ottantotto pagine. Colpevoli anche di omicidio preterintenzionale "perché è acclarato che gli imputati sapessero perfettamente che la diffusione dello spray avrebbe creato scompiglio e movimenti incontrollabili della folla… Si sono dati allegramente alla fuga pubblicando la propria immagine mostrandosi orgogliosi della propria bravata: ciò dimostra senza ombra di dubbio che la calca, la caduta fossero stati messi in conto". Lo spray venne spruzzato scientemente "verso il basso per diffonderne in modo più ampio l’effetto lesivo" si legge nel testo e nonostante i media avessero dato ampio risalto alle tragiche conseguenze di quello spruzzo di gas, "hanno tranquillamente continuato a delinquere con le medesime modalità in luoghi affollati". Emerse fra le indiscrezioni trapelate che i soggetti cercarono maldestramente d’imbastire un racconto comune dei fatti, scambiando alcuni messaggi sui muri delle celle del tribunale dove attendevano di essere interrogati. Il giudice si è avvalso della perizia video della Scientifica, scoprendo che il rumore segnalato dagli imputati viene dopo la prima ondata di panico. Ha anche appurato che non ci fossero altre bande simili ("rapinatori genovesi") in azione quella sera. Per quanto riguarda la tesi difensiva sulle disfunzioni organizzative, reale causa degli esiti tragici della manifestazione, il giudice ha specificato che "l’eventuale responsabilità colposa degli organizzatori quand’anche accertata non potrebbe in alcun modo escludere la responsabilità degli attuali imputati per aver innescato la sequenza causale che ha cagionato la morte di Erika Pioletti, Marisa Amato e innumerevoli casi di lesioni".

RICHIESTA DI APPELLO - L’avvocato Basilio Foti, difensore di 2 fra i 4 magrebini condannati in primo grado a 10 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio preterintenzionale (lesioni, rapina e furto) presenta il ricorso in appello, sostenendo la singolare tesi per la quale in piazza ci fossero anche alcuni ultras juventini in dissidio con il club per la distribuzione dei biglietti della finale e con l’intento premeditato di provocare disordini. In virtù di tali "circostanze che non sono state adeguatamente approfondite" la morte delle due donne ed il ferimento di oltre 1600 persone sarebbero pertanto, a suo dire, il risultato di una serie di "concause". Ricorrono in appello anche gli altri legali.

IL 2° PROCESSO DELLA MAGISTRATURA: L'APPELLO

PROCESSO DI APPELLO - Alla riapertura dell’attività giudiziaria in tribunale, sospesa alcuni mesi per il Covid 19, nel processo di appello il procuratore generale Elena Daloiso chiede la conferma della condanna a 10 anni di carcere per i componenti della banda dello spray. Sostiene che "gli imputati volevano cagionare lesioni, il panico ha travolto le persone, le ha ferite e ne ha ucciso due. Dalla rapina alla morte non c'è nessuna interruzione, è un unico filo. Erika Pioletti e Marisa Amato sono morte perché gli imputati hanno commesso la rapina, c'era la volontà di ledere i presenti con lo spray. Ci sono persone che non avranno più coraggio di entrare neppure in un cinema, assistere a un concerto, andare in qualsiasi luogo in cui ci sia un assembramento di persone".

IL PENTIMENTO - "Ho voluto scrivere queste parole per chiedere perdono alle famiglie delle vittime e a tutti i feriti. Mi dispiace per tutto ciò che è successo. Non è mai stata mia intenzione causare il panico nella folla né tanto meno la morte di due persone. Lo sbaglio più grande della mia giovane vita è stato commettere furti e rapine: agivo con leggerezza, senza pensare alle conseguenze e solo ora mi rendo conto della gravità dei miei atti. Sono errori che non intendo commettere mai più perché ho capito che la vita è bella e va vissuta nel rispetto di me stesso e degli altri e nell’onestà più assoluta. Dopo questi due anni di carcere, in cui ho avuto modo di riflettere tanto, mi sento veramente pronto e forte per dare una svolta definitiva alla mia vita. Con la delinquenza ho chiuso per sempre". Così scrive Hamza Belghazi, uno dei quattro processati in appello, in una lettera consegnata ai giudici. Il giovane marocchino, difeso dall’avvocato Antonio Testa, si era ammalato di coronavirus, guarendo. Si è iscritto alla Scuola Superiore Giulio (Servizi per la Sanità e l’Assistenza Sociale) e ne va fiero. Concludendo il suo messaggio di pentimento scrive: "A breve avrò l’esame di maturità. Anche lo studio mi sta insegnando ad usare bene la mia intelligenza, a sviluppare nuovi punti di vista sulle cose. Purtroppo non posso cambiare quello che è successo, ma sono cambiato io. Sono molto pentito e dispiaciuto per tutto l’accaduto".

"VITA NOVA" - La "nuova vita" per i ragazzi condannati ha inizio in penitenziario secondo la nota filosofia del recupero sociale. Sport, istruzione, un mestiere da imparare. Queste le vie indicate per poter ricominciare sulla strada maestra dei giusti. C’è chi impara a fare il sarto, chi studia per il diploma, chi si è dato al rugby, chi diventerà un barbiere. Sohaib Boumadaghen (detto Budino) a 21 anni offre un saggio della sua neo saggezza, parlando dal carcere di Biella in video conferenza con l’aula 6 del Palagiustizia di Torino, durante il processo per omicidio preterintenzionale di 2° grado, davanti al presidente Fabrizio Pasi e alla prima sezione della Corte d’Assise d’Appello: "Sono un uomo cambiato. Quel giorno abbiamo fatto una cavolata, ma non potevamo immaginare ciò che poi è accaduto". E poi racconta alla corte della sua nuova occupazione in carcere: "Faccio il sarto... Sto imparando… Sono cambiato, sto cercando di riprendere in mano la mia vita". Questo è il nuovo mondo di "Budino": fra gli aghi, le stoffe e i fili colorati del laboratorio di cucito dove produce mascherine contro la pandemia. Nei monitor dell’aula si alternano anche le immagini che riprendono i volti degli altri imputati: Sahibi Aymene (20 anni) e Mohammed Machmachi (21). Assente all’appello, invece, Hamza Belghazi, agli arresti domiciliari poiché risultato positivo al Covid-19 un mese prima: ha problemi di connessione da casa. Alle scuse del primo loro complice si aggiungono dal carcere di Torino quelle di Sahibi: "Abbiamo sbagliato, non volevamo fare del male a nessuno". Studia e legge tanto, ma la sua grande passione per lo sport trova sfogo allenandosi con "La Drola", squadra professionistica di rugby dell’istituto penitenziario che milita in serie C nel campionato regionale. Mohammed, invece, ha preferito restare in silenzio. Durante la detenzione studia preparandosi alla maturità con un istituto privato di recupero scolastico e lavora come barbiere.

LA CONFERMA - Venerdì 17 Luglio 2020, la Corte d’Assise di Appello ha confermato la sentenza di 1° grado con la condanna a dieci anni di reclusione, non applicando alcuno sconto sulle pene, come atteso dalla difesa. Queste le dichiarazioni a caldo dei legali dei giovani imputati: "Speravo in qualcosa di meglio. Ci voleva più coraggio. Leggeremo le motivazioni e faremo ricorso in cassazione (Avv. Basilio Foti)". "Ritengo che gli elementi portati nel giudizio di appello fossero tali da poter dimostrare una ricostruzione diversa dei fatti in termini di responsabilità (Avv. Laura Cargnino)". "Leggeremo le motivazioni e vedremo se confermano quelle del primo grado. Cambiare la sentenza di primo grado avrebbe richiesto uno sforzo motivazionale impegnativo: si sarebbe dovuto riqualificare il reato da omicidio preterintenzionale a omicidio colposo (Avv. Antonio Testa)".

Fonti: Ansa.it - Adnkronos.com - Lastampa.it - Blastingnews.com - Torino.corriere.it - Quotidiano.net - Cronacaqui.it - Tuttosport.com - Poliziadistato.it - Gazzetta.it - Huffingtonpost.it - Avvenire.it - Ilfattoquotidiano.it - Torino.repubblica.it - ilgiornale.it - lospiffero.com - Ilmattino.it - Torinoggi.it - Notizie.tiscali.it - Globalist.it - Tpi.it - Torinotoday.it - Fanpage.it - Nuovasocieta.it - Ilrestodelcarlino.it - Quotidianopiemontese.it - Giornaledibrescia.it - Ilmessaggero.it - Ilmanifesto.it

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