
A 25 anni dall'Heysel
La vedova Gonnelli invitata dalla Juventus
TORINO - Domani, 25 anni fa. Una serata
tragica, quella del 29 maggio 1985 sugli spalti dello stadio Heysel
di Bruxelles. Settore Z. Poco prima della finale di Coppa
dei Campioni Juventus-Liverpool scontri tra le tifoserie con la
polizia belga non certo all'altezza della situazione, così come
l'impianto: 39 tifosi morti in quella ressa. Tutti juventini. Nel
triste bilancio anche quattro toscani, uno di Ponsacco: Giancarlo
Gonnelli, neppure 50enne, che aveva portato la figlia Carla a quella
sfida; lei rimase in coma e si salvò anche per l'intervento di un
giovanottone di Liverpool, John Welsh. Domani la commemorazione,
a Torino, organizzata dalla società bianconera. Invitata anche la
vedova Gonnelli, Rosalina: ore 10 in sede bianconera, quindi Messa
nella vicina chiesa Santa Madre di Dio. Presenti i giocatori bianconeri,
i vertici della società e Michel Platini, ora presidente Uefa. Rosalina
Gonnelli ha detto che non andrà alla cerimonia, pur ringraziando
la Juve per averla invitata e per il ricordo verso il marito deceduto. Anche
il Liverpool ha ricordato le vittime dell'Heysel: ad Anfield Road
è stata organizzata una cerimonia durante la quale è stata scoperta
una targa che resterà all'interno dello stadio per ricordare per
sempre i 39 morti. Presenti i dirigenti del Liverpool e alcuni giocatori
di allora (Kenny Dalglish, Sammy Lee e capitan Phil Neal). Per la
Juventus hanno partecipato Gianluca Pessotto e Sergio Brio, che
il 29 maggio 1985 era in campo.
p.fa.
28 maggio 2010
Fonte: Iltirreno.gelocal.it
© Fotografia:
Comune.ponsacco.pi.it
Giancarlo Gonnelli, padre
e figlia
Rosalina: "Lei in coma. E su mio
marito dicevano: te l'hanno pagato morto"
"Non ho accettato la sua morte perché non
l'ho vissuta - ricorda Rosalina Vannini di Ponsacco. Ogni tanto
vado al cimitero, ma per me è sempre qui, l'ho sognato anche la
notte scorsa". Giancarlo all'Heysel c'era andato con la figlia Carla,
lui è morto, lei è tornata da quella strage e da un coma, salvata
da mani inglesi, ma una parte di sé è rimasta per sempre nella curva
Z insieme all'adorato babbo. "Finché ci sarà memoria, i 39 angeli
di Bruxelles vivranno con noi. E allora grazie a tutti coloro che
fanno e hanno fatto qualcosa perché in tutti questi anni non si
spegnesse". Come gli altri familiari, Rosalina parla con forza e
dignità, come se tutta la cattiveria ingoiata per anni fosse stata
digerita: "Mi hanno detto che m'avevano pagato il marito morto,
che la macchina (che avevo anche prima) me l'ero comprata con quei
soldi. Nessuno sa cosa ha significato andare avanti senza Giancarlo
e con tutti i problemi che ha avuto Carla". La quale, dell'Heysel,
non vuole ancora parlare.
27 maggio 2010
Fonte: La Stampa
© Fotografie:
Saladellamemoriaheysel.it
Una ragazza di Ponsacco scampò
alla tragedia grazie a un tifoso inglese, ma suo padre morì
E quella notte Carla fu salvata
da John
di Paolo Falconi
PONSACCO - Nella notte d'inferno e di morte
dell'inadeguato stadio di Bruxelles c'è anche spazio per un gesto
di estrema solidarietà mettendo da parte i colori del tifo. La provincia
di Pisa contò in quella sera diversi feriti più o meno gravi, ma
soprattutto un morto: Giancarlo Gonnelli, un bidello di Ponsacco
neppure cinquantenne. Aveva promesso alla figlia Carla un regalo
se la loro Juventus fosse andata in finale dell'allora Coppa dei
Campioni. Giancarlo
restò vittima su quegli spalti ridotti in poltiglia, la figlia Carla
cadde in coma, trasportata prima nel vicino ospedale della capitale
belga poi al Lotti di Pontedera. Ma a tirarla fuori da quel girone
dantesco dell'Heysel fu un ragazzone inglese, della difficile periferia
di Liverpool, John Welsh. Saltò quella rete da pollaio che avrebbe
dovuto separare le tifoserie bianconere e dei reds anglosassoni,
si mise a dare una mano ai soccorritori e salvò da quella melma
umana Carla Gonnelli, allora 18enne.
Poi avrebbe detto che fu attirato da una mano con un anellino
al dito che faceva capolino da quell'ammasso di corpi: la salvezza
della ragazza ponsacchina si chiamava John. Si ritrovarono davanti
alle telecamere del Tg2 col giornalista Alberto Castagna a fare
il conduttore di un abbraccio che rompeva qualsiasi difficoltà di
schieramento calcistico e di lingua.
Qualche mese dopo quel tragico 29 maggio 1985, la famiglia
Gonnelli fu invitata da un gruppo di inglesi di Southport (un po'
la Viareggio di Liverpool) che avevano raccolto una somma per un
soggiorno per far vedere come la gente della contea del Merseyside
non fosse tutta da detestare. Inviti arrivarono anche dal Liverpool
Fc con il presidente di allora a stringere la mano, foto ricordo
con i giocatori e pranzi all'Anfield con posate d'argento.
Peccato però che, visto anche di recente, nel museo a fianco
alla Kop (la curva degli ultras dei reds) non ci sia un accenno
a quella tragedia che segnò peraltro uno spartiacque con la violenza
degli hoolingans sia sui campi inglesi che su quelli europei. Loro,
i sudditi della regina, hanno debellato la violenza sugli spalti,
da queste parti non proprio; c'è voluto il tributo, è vero, 39 morti
tra cui Giancarlo Gonnelli di Ponsacco, Giuseppina Conti di Rigutino
e Roberto Lorentini di Arezzo.
30 aprile 2010
Fonte: Iltirreno.gelocal.it
© Fotografia:
L'Unità
Sopravvissuta all'Heysel: il tifo
cancellato dalla morte
FIRENZE - Quella finale di Coppa dei campioni
doveva essere un regalo per il suo 18° compleanno. Doppio: allo
stadio per vedere la Juventus e il battesimo del volo, destinazione
Bruxelles. Da quel viaggio tornò dopo quattro giorni di coma. E
da sola. Il padre era morto, schiacciato sotto decine di corpi,
vittima della furia degli hooligans. Dopo 20 anni, di nuovo alla
vigilia di Liverpool-Juventus, di quello che accadde all'Heysel,
Carla Gonnelli ha ricordi vaghi. La mente ha preferito stendere
un velo: "Non credo che guarderò la partita. Non per rifiuto, però.
Non me ne frega niente, dopo tanto tempo sarà una gara come un'altra.
Da allora è tutto diverso: squadre, atmosfera, stadio, tifosi".
Già, i tifosi. Furono quelli inglesi a mettere in moto una tragedia
che costò la vita a 39 persone. Fra queste, Giancarlo Gonnelli,
il padre di Carla. Lei oggi è sposata, vive a Lari (Pisa) ed è impiegata
in una scuola. "Per me Liverpool-Juventus potrebbe essere giocata
anche tutti i giorni. Non mi dà emozioni. Quello che successe all'epoca
non dipese dalle
squadre, ma da una banda di delinquenti. Liverpool-Juventus
o Roma-Inter, oggi è la stessa cosa". I tifosi inglesi le portarono
via il padre, ma uno di loro la salvò. Si chiama John Welsh. Intravide Carla, sepolta sotto un cumulo di persone e la scambiò per la moglie.
La credeva morta, poi si accorse che respirava ancora. La corsa
all'ospedale, il coma, il ritorno in Italia, "arrivai il giorno
dopo il funerale di babbo", ricorda Carla. L'ha rivisto John, anni
dopo. "Di quella maledetta partita ho rimosso quasi tutto - racconta
Carla - ricordo solo l'ingresso allo stadio, la rete che ci divideva
dai tifosi inglesi, una rete da pollaio. I primi scontri, poi il
niente. Ciò che so, me lo hanno raccontato". Carla segue sempre
la Juve, "meno di quanto faccia mio marito, però. Lui è un tifoso
acceso. Guarderà anche la partita con il Liverpool. E magari un'occhiata
ce la do anch'io. Se capita. Ma senza troppa passione".
4 aprile 2005
Fonte: Il Piccolo
© Fotografie:
La Gazzetta dello Sport -
L'Unità
Torna all’Heysel un anno dopo la
tragedia
PONSACCO - Carla Gonnelli torna, dopo un
anno, a Bruxelles, nello stadio dove morì il padre e dove rimase
gravemente ferita. La diciottenne di Ponsacco, infatti, il 29 maggio
di un anno fa era nella curva "Z" dello stadio Heysel di Bruxelles
per assistere alla finalissima della Coppa dei Campioni, Juventus-Liverpool.
Nel corso dei drammatici incidenti che avvennero prima della partita
morì il padre di Carla, Giancarlo Gonnelli, mentre la ragazza rimase
gravemente ferita e fu salvata grazie all’intervento di un tifoso
inglese, John Welsh. Ieri Carla è partita per Bruxelles insieme
con la madre Rosalina, ospite del quotidiano inglese "Today".
20 maggio 1986
Fonte: L’Unità
©
Fotografia:
GETTY IMAGES (Not for commercial use)

L'angelo
di Liverpool ricorda la drammatica sera
e come salvò una ragazza dall'inferno
di Bruxelles
di Gianni Ranieri
ROMA - Nel caldo pomeriggio romano, mentre
la città riprende faticosamente i suoi ritmi arruffati, scende dal
cielo di Fiumicino l'angelo di Liverpool. E' un angelo in jeans
e maglia, alto un metro e ottanta, un angelo disoccupato con la
faccia di un ragazzo qualsiasi. Suo padre ha un pub che illanguidisce
nella spenta culla dei Beatles: cerca di venderlo, e il giovanotto
in jeans cerca lavoro per dar da mangiare alla moglie e ai due figli,
John di tre anni e Maria di due. Disavvezzi ad accogliere gli angeli,
i romani non sono accorsi al richiamo di questo raro interprete
della bontà. Non scrosciano gli applausi con i quali si accolgono
in questo aeroporto gli assi del calcio. John Welsh preso in consegna
dagli uomini della televisione, è ripartito per Pisa dove in serata
avrebbe incontrato Carla Gonnelli la ragazza che lui salvò nella
tragica sera dell'Heysel. Richard Welsh, suo zio, falegname anch'egli,
disoccupato, non è con lui. La Televisione ha offerto un solo biglietto
di viaggio benché il nome di Richard si unisca a quello di John
nella vicenda di amore e di generosità che brilla nel buio di Bruxelles.
John Welsh non è un oratore, l'improvvisa celebrità, il titolo di
eroe che i giornali italiani gli hanno conferito non distoglie da
una sobrietà un po' attonita e impaurita. Rammentare una storia
che gli si ripete nei sogni come un tenace tormento, gli pesa. Si
rivede nell'atto di afferrare con disperazione le braccia che si
levano dai mucchi di feriti e balbetta frasi sommesse. Il ricordo
della ragazza gli addolcisce un'espressione dura, da duro ragazzo
di periferia che non immagineremmo nel ruolo del salvatore. "Quando
l'ho sollevata e l'ho stretta a me, sentivo che stringevo una sorella.
Sentivo che sarei morto con lei se non fossi
riuscito a
conservarle
la vita, e la mia pena era che avrei voluto essere d'aiuto a tutti,
e intorno a me c'era un... Disegna con le mani un groviglio, non
ha le parole per descrivere una scena in cui la sorte lo ha collocato
quale interprete buono, di fulminee sequenze d'un film dell'orrore.
"Ho sentito un grido, tra tante grida. Un grido vicino e ho cercato
pieno di angoscia. Da un ammasso di corpi spuntava un braccio, dritto,
immobile con le dita spalancate. Ho tirato gridando anch'io. Ho
visto un viso di donna, la bocca circondata da un alone bianco di
polvere. Ho
pulito la bocca con la mano. Sono riuscito ad estrarla
da quella catasta, le ho aperto le labbra, le ho fatto la respirazione
artificiale. Si è ripresa, ma tremava, rantolava, chiedevo aiuto,
non c'era nessuno che potesse aiutarmi, non lì, lì non c'erano barelle,
sono corso a cercare una barella, sono tornato dove lei giaceva,
l'ho tirata su, le dicevo non morire, non morire, Mary, la chiamavo
Mary come mia moglie". John Welsh riesce a raggiungere una tenda
della Croce Rossa. Arriva finalmente un'ambulanza. Comincia un allucinante
tragitto verso l'ospedale, fra il traffico che si aggruma intorno
allo stadio e lui che ripete "non morire, non morire". E all'ospedale
la ragazza viene stesa a terra e John che vuole far capire a un
medico che lo guarda stupito di cosa sta succedendo allo stadio,
cade in ginocchio piangendo. "Sono ritornato all'Heysel, ho ritrovato
Richard, aveva perso tutto, la sua macchina fotografica, i documenti,
era scalzo. Ci siamo abbracciati, abbiamo ripreso a vagare tra i
feriti, i cadaveri, abbiamo riconosciuto tra i morti un amico italiano
con il quale avevamo serenamente trascorso le ore prima della partita,
aveva una sciarpa con i colori del Liverpool al collo. Abbiamo visto
un padre che baciava e accarezzava la fronte della figlia morta".
Gli uomini della televisione gelosi del loro ospite prezioso mettono
fretta. E John ripete: "Vicino a quel muro si aggrappavano alle
mie gambe, alle gambe di Richard e non veniva nessuno a soccorrere,
la polizia prendeva a manganellate quelli che cercavano di avvicinarsi.
Eravamo soli". Una cronaca mesta, senza retorica. Domanda più a
se stesso che a noi: "Saranno vivi i ragazzi che abbiamo sottratto
al crollo di quel muro ?". E' la domanda che ha tante volte rivolto
alla moglie al ritorno a Liverpool, che ha rivolto al padre, che
rivolge a tutti coloro che gli chiedono di raccontare la notte di
Bruxelles. John è stanco, confuso. Stretto nel drappello degli accompagnatori
passa tra la folla dell'aeroporto, s'avvia alla vettura che lo condurrà
a Pisa. Poi andrà a Torino e dopo Torino lo attende una vacanza
a Rimini. L'angelo disoccupato di Liverpool soggiornerà in una camera
del Grand Hotel, farà i bagni, sarà festeggiato e onorato. Aspetterà
la prima notte senza sogni o con un sogno che finalmente non lo
ricollochi nella curva della morte. John Welsh, ventisette anni,
per la prima volta al seguito del Liverpool il 29 maggio, ha un
desiderio: incontrare il Papa al termine della sua visita in Italia.
La moglie e i figli lo raggiungeranno lunedì a Torino. "Ai familiari
delle vittime, se li vedessi, non saprei che cosa dire, resterei
muto col desiderio che comprendessero che mi scuso. Scusatemi, scusateci.
Vi chiediamo perdono".
15 giugno 1985
Fonte: Stampa Sera
© Fotografie:
L'Unità
"Dopo tanto dolore finalmente una
luce"
PONSACCO - "L'avevo sentita urlare sotto
un mucchio di corpi. Aveva il naso e gli occhi sporchi di terra.
L' ho tirata fuori da lì e le ho fatto la respirazione bocca a bocca.
Quando sono stato sicuro che fosse ancora viva ho trascinato Carla
verso un' autoambulanza: sono andato con lei all' ospedale". E'
arrivato ieri mattina all' aeroporto di Fiumicino: 27 anni, i capelli
tagliati cortissimi, una maglietta celeste ed un paio di jeans.
John Welsh, il tifoso del Liverpool che il 29 maggio all' Heysel
Stadium, ha salvato la vita a otto italiani rimasti feriti negli
incidenti si è incontrato ieri sera a Ponsacco con Laura Gonnelli,
sopravvissuta miracolosamente a quella lunga e terribile notte.
Si sono abbracciati davanti alle telecamere della televisione. Lui
le ha dato una rosa, un bacio su una guancia, ed una carezza. Si
sono seduti su un divano e John ha cominciato a ricordare quei momenti.
La calca, la paura delle
persone. "Ho visto mucchi di gente morta.
Dicevo a tutti di andare indietro; ma parlavo inglese, nessuno mi
capiva. Ho aiutato otto persone: le ho tirate fuori da lì una dopo
l' altra. Poi non ce l' ho fatta più. Ho accompagnato Carla all'
ospedale. Volevo tornare dai miei amici, ma la ragazza si agitava,
muoveva le braccia, le gambe. Ed allora sono salito anch' io sull'
autoambulanza: l' ho accompagnata fino all' ospedale. Erano tutti
sdraiati in terra, un inferno. Ho aiutato un dottore a mettere la
flebo a Carla: la tenevo per le gambe e per le braccia. Prima di
andare via ho preso la sciarpa della Juve che avevo al collo e l'
ho gettata sul letto. Con quella le hanno legato i piedi". Carla
Gonnelli invece non può ricordare. Che il padre fosse morto glielo
avevano detto soltanto due giorni dopo quando si risvegliò dal coma
all' ospedale Uvb di Jette. "Non so nulla. Ricordo solo la fuga,
gli incidenti con gli inglesi. Mio padre non l' ho visto più, non
ho visto più nessuno di quelli che conoscevo". Ha sorriso per la
prima volta dopo tanti giorni. "Finalmente è un giorno felice per
me. Grazie, ti debbo la vita". John Welsh abita a Liverpool, al
numero (omissis) di Wellington Road, quartiere di Dingle. Ha un
piccolo pub, il "Prince of Wales" che però sta per chiudere. La
birra non si vende, il padre lo ha messo in liquidazione. Sposato,
con due figli, tra pochi giorni si troverà senza un lavoro. A Bruxelles
era andato insieme allo zio Richard, 25 anni: anche lui si è prodigato
per aiutare le centinaia di feriti del settore Z. "Vorrei incontrare
- ha proseguito John - alcune di quelle persone che ho visto lì
due settimane fa. Sono cattolico, mi piacerebbe anche vedere il
papa". Parla senza troppa voglia, portandosi continuamente il palmo
della mano sulla fronte. "Non sto bene, sono quindici giorni che
non dormo, prendo tranquillanti, ma non servono a nulla. Quando
mi vedo in mezzo alla folla mi vengono i brividi, non posso più
stare in mezzo alla gente. Quando sono tornato a Liverpool sono
stato preso da una crisi di nervi. Mia moglie ha dovuto chiamare
un dottore perché si era messa paura". Lo zio di John, Richard verrà
in Italia lunedì, portando con se anche la moglie ed i figli del
nipote. Si uniranno alla delegazione del comune di Liverpool, composta
da autorità civili, militari, religiose, sociali e sportive, che
andrà a far visita a Torino. Da giovedì tutta la famiglia Welsh
si concederà una settimana di vacanza sulle spiagge di Rimini.
15 giugno 1985
Fonte: La Repubblica
©
Fotografia:
GETTY IMAGES (Not for commercial use)

Migliora la ragazza che ha perso
il padre
PISA - Carla Gonnelli, la ragazza di 18
anni di Ponsacco, rimasta gravemente ferita negli incidenti dello
stadio va leggermente migliorando. Ricoverata nell'ospedale di "Azvub"
della capitale belga, la giovane che era in coma per lo schiacciamento
della cassa toracica, è stata messa in un polmone d'acciaio e questo
sembra l'abbia salvata. Con un aereo messo a disposizione dei familiari
delle vittime dal nostro governo, l'hanno raggiunta la mamma Rosalina
e il fidanzato Stefano. Carla non sapeva ancora che suo padre Giancarlo
era morto.
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
© Fotografie:
L'Unità -
Saladellamemoriaheysel.it -
Iltirreno.gelocal.it
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