1985
Segni e Piccoli Gesti della Memoria
2023 |
"La rivalità
calcistica ci divide, la morte ci livella, il dolore
ci unisce...
Onore alle
vittime dell'Heysel"
Domenico
Beccaria
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Chi inizia e chi finisce
di Domenico Beccaria
Ero a casa, con mio padre e
attendevamo di assistere alla finale di Coppa dei Campioni,
come si chiamava allora, che si disputava allo stadio Heysel
di Bruxelles, tra la Juventus e il Liverpool.
Sono
passati trentatré anni ma sembra ieri. Le immagini un po'
sfocate in bianco e nero che arrivavano dal Belgio e
riempivano d’orrore i televisori ed i cuori di tutti gli
italiani, non si possono cancellare dalla mente di chi le ha
viste. Ero a casa, con mio padre e attendevamo di assistere
alla finale di Coppa dei Campioni, come si chiamava allora,
che si disputava allo stadio Heysel di Bruxelles, tra la
Juventus e il Liverpool. Mio padre, granatissimo ma vecchio
stampo, aveva lo spirito nazionalista che lo portava a
simpatizzare sempre e comunque per il concorrente italiano
che disputava il successo allo straniero. Io, altrettanto
granata, ma moderno, ero apertamente schierato per i rossi
britannici, perché per quanto nazionalista potessi essere,
ero disposto a fare eccezione se a rappresentare il
tricolore erano loro, gli acerrimi rivali cittadini. Ma
quella sera era destino che lo sport passasse in secondo
piano rispetto alla tragedia umana che si stava consumando
attorno a quel fatiscente impianto, che sarebbe stato
indegno anche dei combattimenti tra gladiatori dell'antica
Roma, non solo di una finale europea di fine Novecento. Non
eravamo preparati a una cosa così. Nessuno lo era. I corpi
ammassati uno addosso all'altro, a bramare un soffio d'aria
e un centimetro di spazio, che potevano significare la
differenza tra la vita e la morte. Qualcuno giaceva esanime
a terra, con un amico o un parente che cercava di dargli
conforto. Qualcun altro invece era riverso al suolo per
sempre, la fragile fiammella che era in lui spenta per
sempre. Un padre che piange la figlia è l'immagine che
cristallizza tutto questo orrore e lo sintetizza al meglio.
Chilometri su chilometri, fatica, sacrificio, ma anche gioia
e speranza, travolti da un'insensata carica di bestie
ubriache di birra e di sangue. Non voglio stare qui ora a
cercare le responsabilità, che appaiono fin troppo chiare
agli occhi di chiunque. La storia, anche se non i tribunali,
hanno detto a chiare lettere chi e dove ha sbagliato, tanto
che da quel giorno si è innescato un lento ma inesorabile
processo, che ha portato agli stadi moderni e "sicuri" di
oggi. Ma un paio di considerazioni lasciatemele fare.
L'unica cosa che ha lasciato più allibiti della tragedia è
stato che, alla faccia di tutto e tutti, si sia disputata
una partita di calcio e si sia consegnata e, ahimè, da parte
di molti, anche festeggiata una coppa. Ordine pubblico, si
disse allora e si ripete oggi. Sarà, ma a posteriori si
sarebbe potuto, anzi dovuto, dichiarare nulla la finale, non
aggiudicando il trofeo e contestualmente devolvere, primo ma
doveroso risarcimento, l'intero incasso della serata,
biglietti, diritti tv e quant'altro, alle vittime e alle
famiglie. La seconda considerazione va all'uso infame e
carognesco della tragedia e del dolore, messo in campo in
molti stadi italiani, per deridere e offendere gli avversari
bianconeri. E noi granata, mettiamoci pure una mano sulla
coscienza, la nostra parte l'abbiamo fatta, senza tirarci
troppo indietro. Non ci pareva vero, dopo trentasei anni di
areoplanini e di cori su Superga, di poterci prendere una
rivincita sugli odiati nemici, che per ferirci e offenderci
non avevano esitato ad oltraggiare la memoria degli
Immortali. E anche di Meroni e Ferrini. Ora toccava a noi,
avevamo il coltello dalla parte del manico e la ferita che
sanguinava era la loro. Stolti e miopi, non ci siamo resi
conto che due cose sbagliate non ne facevano una giusta. Ci
sono voluti anni di sedimentazione delle scorie, di
metabolizzazione del dolore reciproco, di maturazione umana,
per arrivare a capire tutto questo. Non smetterò mai di
ringraziare gli amici, sì, amici bianconeri Domenico
Laudadio, Francesco Caremani, Beppe Franzo, Iuliana Bodnari,
Rossano Garlassi, Nereo Ferlat e Fabrizio Landini e mi scuso
per tutti gli altri che non riesco a citare qui, con i quali
abbiamo dato inizio e poi proseguito in questo cammino di
conoscenza, poi di comprensione e infine di redenzione. Con
loro siamo cresciuti insieme, stimolandoci un l'altro a
tirare fuori il nostro lato migliore e a diffonderlo a
tutti. La mostra "Settanta Angeli in un unico Cielo -
Superga ed Heysel tragedie sorelle", realizzata con il mio
"Fratellino - Direttore" Giampaolo Muliari in collaborazione
col duo Laudadio e Caremani, ha avuto una gestazione
tribolata, con mille discussioni se la gente fosse pronta a
capire oppure no. Ma bisognava farla, erano in settanta, da
lassù, a chiedercelo e con loro c'era tutto il buon senso
del mondo, quello cui bisognerebbe attingere a piene mani
prima di aprire bocca o muovere le mani. Oggi quella mostra
è diventata itinerante e credo che molti passi avanti siano
stati fatti da entrambe le parti, ma molti ce ne sono ancora
da fare, insieme, e pur mantenendo intatte le rispettive
identità e differenze, come la leale competizione agonistica
sportiva prevede. Ma li faremo tutti, fino all'ultimo.
Perché non conta chi ha avuto la vigliaccheria di iniziare
ad offendere, ma chi avrà il coraggio di finirla.
29 maggio 2018
Fonte: Torinoggi.it
©
Disegni:
Free Graphics
© Fotografie: Ass. "Quelli di... Via Filadelfia"
- Domenico Beccaria
"Uomini di buona volontà"
di Gianluigi Buffon
In una bella giornata post
vittoria, il mio pensiero va ai cugini del Toro, ai loro
tifosi e a quei gloriosi giocatori che hanno reso orgogliosa
la nazione intera e il popolo granata. Onore a voi campioni
del Grande Torino, in eterno, e siano perdonati coloro che
si macchiano di atti inqualificabili, come deridervi o
mancarvi di rispetto ancor oggi che sono passati quasi 70
anni. I morti sono morti e non rompono i coglioni a nessuno.
Vanno lasciati in pace e vanno rispettati, fossero anche i
nemici ed i rivali più acerrimi che uno possa avere. Perché
i morti hanno mogli, figli e nipoti e dar loro una seconda
atroce sofferenza, oltre quella che hanno già patito, è
disumano. W la rivalità... W lo sfottò… W il campanilismo… W
la sportività... W la vita nella pienezza dei suoi
sentimenti, alcuni nobili, altri magari un po' meno. Ma
quando si scrivono frasi indecorose o inopportuni
striscioni, probabilmente senza piena consapevolezza, si è
più morti dei morti. Mi provoca ribrezzo e rabbia sentire
torturare ancor oggi i nostri 39 angeli dell'Heysel: non
macchiamoci delle stesse colpe. Siamo uomini. Dobbiamo
distinguerci se vogliamo seminare qualcosa di duraturo e
costruttivo per l'umanità che arranca. Non accontentiamoci
d'essere mediocri e vili solo per rifarci di uno sgarbo
subito. In certe situazioni è meglio essere vittime che
carnefici perché i carnefici saranno condannati dalla vita a
strisciare nell'inferno della loro vacua esistenza. Le
vittime patiranno il male subito, ma poi capiranno che
essere diversi dai propri aguzzini darà forza e sicurezza
per affondare la vita su valori autentici e per farsi
portatori di bellezza, coscienza, rispetto, lealtà, senza
precludere nulla alla competizione o rivalità. Tifosi della
Juve, mi rivolgo a voi perché so di potermelo permettere
dopo tutto quello che abbiamo condiviso insieme. Tifosi
della Juve, fatemi essere veramente orgoglioso di voi perché
se pensiamo e crediamo davvero che lo stile Juve rappresenti
e indichi dei valori meritevoli ed assoluti che ci
caratterizzano, non è concepibile profanare e violare la
sensibilità di chi ha sofferto e soffre ancora: non
insudiciamo affetti, sentimenti e ricordi. Un abbraccio a
chi crede che, anche e soprattutto nello sport, sia
necessario essere uomini di buona volontà. Ora, domani, sempre e per sempre #FinoAllaFine
!!!
4 maggio 2017
Fonte: Gianluigi Buffon (Testo © Fotografie)
© Fotografia: Ass.
"Quelli di... Via Filadelfia"
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