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29 maggio 2017:
"La voce del
cronista Bruno Pizzul è rimasta impressa nelle
orecchie di chi, come me, quella maledetta sera era
in attesa della finale. E sì, perché sono passati 32
anni, ma sembra ieri. L'attesa e la speranza che
crescevano di ora in ora, spezzate da quelle
immagini strazianti di corpi ormai abbandonati al
loro destino. 29 maggio 1985, come non tornare con
la memoria a quanto di peggio lo sport potesse
offrire. Laddove la competizione, il sudore per la
maglia, la gioia di un gol, dovevano prevalere,
furono l'orrore, la tragedia e la morte, a prendere
il sopravvento. E noi non possiamo, non dobbiamo
dimenticare. Perché pur nella sofferenza, l'essere
vicini ai nostri 39 Angeli è l'unica maniera per
tenere lontani tutti gli sciacalli che ancora oggi
non perdono occasione per mostrare la loro idiozia.
Un pensiero, il mio pensiero, e un ricordo
indelebile per tutti i nostri cari. Oggi, e per
sempre, rispetto per le vittime dell'Heysel, e per
tutte quelle morti assurde, che non hanno colore e
non hanno squadre".
Fabrizio Landini (Nipote di Giovacchino e Consigliere Associazione fra i Familiari delle Vittime
dell'Heysel) |
Onorando i nostri morti
Halloween non ci appartiene. Sarà una moda
simil-americana, che puzza lontano un miglio di business; sarà una
pagliacciata da scuola materna, per scimmiottare laicamente quanto
di più cristiano c’è nel ricordo dei propri morti; in nessun caso
fa parte delle nostre tradizioni. A meno che qualcuno vada spiegando
chi era Guy Fawkes alle moltitudini di "italioti" avvezzi alle americanate.
C’è il derby che incombe e non parrà vero a certuni di accomunare
le streghe di Halloween con la sconfitta di una squadra o dell’altra.
A pareggio acquisito, si parlerà di zucche e di dolcetti. Per JUWELCOME,
nulla di tutto questo. Per noi contano ancora le giornate dedicate
alla visita dei cimiteri, al rendere onore a coloro che, come si
dice tra gli alpini, "sono andati avanti". E per restare in casa
juventina, nulla di più sentito e doloroso che rendere un saluto
a chi da una finale di Coppa dei Campioni non ha fatto ritorno.
Giovacchino Landini, unico torinese che è caduto sotto la furia
degli Hooligans, in una tiepida serata di maggio, allo stadio Heysel,
ha ricevuto la visita di un redattore del nostro magazine. Non uno
qualsiasi, ma Nereo Ferlat, un compagno di sventura nella curva
Z, più fortunato di Giovacchino o forse solo non presente nell’elenco,
sul libro del destino. Anche questo è 1° novembre, giorno in cui
la Juventus ha visto la luce: dare un senso all’eterna rincorsa
tra vita e morte, sacro e profano, frivolezza ed austerità. Valori,
in altre parole, che se ne fanno un baffo di zucche e streghette,
di dolcetti e scherzetti. Saremo banali o noiosi, ma siamo fatti
così. "One penny for the old Guy" (T.S. Eliot)
31 ottobre 2015
Fonte: Juwelcome.it
© Fotografie:
Civitatis.com
- Arte.it
Oggi è il 30° anniversario della
strage
dell'Heysel, morirono 32 italiani,
5 toscani
di Massimo Stefanini
32 morti italiani, 5 toscani, uno di
Capannori. La strage dello stadio Heysel a Bruxelles, (il nome
deriva dal quartiere della capitale belga) compie oggi, 29
maggio, tre decenni. In quella maledetta sera del 1985 era in
programma la finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il
Liverpool. La furia degli hooligan inglesi fa crollare un
settore del fatiscente impianto, la sicurezza è inesistente.
Nella calca rimane anche Giovacchino Landini, all’epoca
cinquantenne che era partito proprio dal capoluogo della Piana
lucchese per recarsi a lavorare a Torino, dove aveva messo su
una trattoria in via Spotorno. A Capannori il tifo per la
Vecchia Signora è radicato, ancora oggi c’è uno dei club più
organizzati d’Italia. Il destino spesso ha un ruolo
determinante. Landini, tra il ristorante e la famiglia, non
aveva tempo per le trasferte. Amava i suoi idoli, da Cabrini a
Tardelli, da Paolo Rossi al mitico Platini, ma andava ad
ammirarli solo al Comunale, che all’epoca, prima del "Delle
Alpi" e dello "Stadium" attuale era la casa di Madama. Stavolta
però, per vedere la sua squadra del cuore alzare per la prima
volta la Coppa dalle grandi orecchie, aveva deciso di affrontare
il viaggio. Un uomo tranquillo, non iscritto a nessun club
ufficiale. Sin da ragazzo a Capannori aveva manifestato la sua
passione per il calcio e per la società più titolata d’Italia.
Ritornava nel suo paese natio ogni tanto, quando il lavoro
glielo permetteva. Giovacchino partì per partecipare ad una
festa, lasciò a casa la moglie Carola e i figli, Monica e Andrea
che all’epoca aveva 15 anni: "Ti porterò un ricordo" gli aveva
detto il padre. Il biglietto gli era costato 50 mila lire perché
quelli più economici erano esauriti. Quindi Landini era finito
per caso in quello spicchio dello stadio, isolato dal suo
gruppo, proprio perché aveva un tagliando diverso. La famiglia
seppe degli scontri dalla Tv, meravigliandosi di come la gente
andasse a festeggiare senza rispetto per i morti e i feriti.
Come non ricordare anche il dottor Lorentini di Arezzo che si
era messo in salvo ma la sua generosità lo fece tornare indietro
per soccorrere un bambino e questo gli fu fatale.
29 Maggio 2015
Fonte: Radiobrunotoscana.it
© Fotografia:
Dovealucca.it
La moglie di Giovacchino Landini
"Vedova dello stadio" parte civile
al processo
La
vedova di Giovacchino Landini, uno dei tifosi torinesi della Juventus
ucciso dalla furia dei teppisti inglesi nello stadio di Bruxelles,
ha deciso di costituirsi parte civile nel procedimento giudiziario
che la magistratura belga ha aperto contro gli organizzatori della
manifestazione ed i responsabili materiali del massacro che sarà
possibile identificare. Carolina Bandiera vedova Landini ha incaricato
questa mattina l'avvocato Aldo Perla di muovere tutti i passi necessari
per tutelare i propri interessi e dei suoi due figli minorenni,
Andrea e Monica. Il legale ha annunciato d'aver già preso contatto
con un collega belga e che si recherà quanto prima in Belgio. L'avvocato
Perla ha inoltre fatto sapere che rinuncia ad ogni richiesta a titolo
d'onorario. Giovacchino Landini, un tranquillo padre di famiglia
con un ristorante in via Genova, non aveva mai seguito la sua squadra
in una trasferta all'estero ed aveva deciso di unirsi in via eccezionale
agli altri tifosi per l'importanza della posta in palio nella finalissima
di Bruxelles.
6 giugno 1985
Fonte: Stampa Sera (Testo
© Fotografia)
Le indagini torinesi sul
massacro di una settimana fa a Bruxelles
L'autopsia conferma: i 2 tifosi
sono morti soffocati nella calca
I familiari di Landini si costituiranno
parte civile - Parla un tifoso ferito a sassate
Si costituiranno parte civile i parenti
di Giovacchino Landini, il ristoratore torinese morto una
settimana fa nell'inferno di Bruxelles. Toccherà al legale della
famiglia stabilire se seguire l'esempio di alcuni avvocati
romani, che hanno già chiesto al procuratore del Re di
incriminare per omicidio colposo plurimo il ministro degli
Interni, il capo della polizia belga e i dirigenti dell'Uefa, o
se limitarsi a un'azione contro i tifosi inglesi. Andranno poi
anche chiarite eventuali responsabilità di chi ha distribuito a
tifosi italiani, attraverso canali ufficiali, biglietti del
"settore Z, nella curva riservata agli inglesi. Autopsie - Ieri
mattina, all'Istituto di medicina legale, il prof. Baima Bollone
ha eseguito le autopsie di Giovacchino Landini e Domenico Russo.
Presenti il sostituto procuratore Marabotto e il dottor Luca
della Procura, è stata compiuta un'analisi assai difficile per
le cattive condizioni delle salme, non ricomposte né rivestite
dalla competente autorità belga. La perizia ha confermato che la
morte è sopravvenuta per soffocamento e schiacciamento. Lo
scomparso di Moncalieri - Resta, intanto, misteriosa la sorte di
Marco Manfredi, l'autista dell'ospedale Santa Croce di
Moncalieri scomparso nel nulla durante la partita. Fra oggi e
domani torneranno a Bruxelles la moglie Rosita, la cognata
Daniela Binelli e alcuni zii e cugini: hanno intenzione di
battere palmo a palmo la città. Una tipografia di Moncalieri ha
stampato la notte scorsa centinaia di volantini con la
fotografia dello scomparso e i suoi dati anagrafici: verranno
distribuiti a taxisti, poliziotti e ai connazionali che vivono
in Belgio. La speranza è quella di trovare una traccia "anche se
la collaborazione delle autorità belghe - puntualizzano i
famigliari - è stata molto scarsa. Ci hanno impedito di
controllare se Marco fosse fra i morti o i feriti. Oltre
all'appello della televisione non ci è stato possibile ottenere
molto. Abbiamo la sensazione che anche la polizia non prenda sul
serio il nostro caso". I Manfredi hanno protestato contro
l'operato del nostro ministero degli Esteri "che deve rivolgere
una ferma richiesta al governo belga perché le ricerche vengano
svolte con serietà". Una mano concreta è stata loro offerta
"soltanto dal comitato di accoglienza formato dai nostri
connazionali: sono stati tutti magnifici". Incidenti - Ancora
episodi di intolleranza e di teppismo la scorsa notte in pieno
centro. L'ufficio commerciale britannico di corso Massimo
d'Azeglio 60, la sede della British Airways, in via Arsenale 14,
e il Consolato belga, in via Dellaia, sono stati presi d'assalto
da gruppi di facinorosi. Su muri scritte cariche di odio:
"Vendicheremo i nostri morti", "inglesi bastardi vi ammazzeremo
tutti", "inglesi animali". Dei teppisti nessuna traccia.
Indagini - Dopo aver presenziato all'autopsia delle salme il
dottor Marabotto ha proseguito, nel pomeriggio, i confronti per
accertare l'identità degli ultras juventini coinvolti negli
incidenti. Sarebbero stati raccolti elementi per compiere altre
due identificazioni che si aggiungono alle sei dei giorni
scorsi. I Landini - I famigliari di Giovacchino Landini sono
stati ieri a La Stampa per ringraziare, attraverso le colonne
del giornale, le tante persone che hanno condiviso il loro
dolore, "Soprattutto il Comune di Torino - ha sottolineato la
moglie - che ci è stato affettuosamente vicino". "Una sassata in
fronte. Mi è rimasta una bolla d'aria nel cervello". Pietro De
Ambrogio, 54 anni, via (omissis), dipendente della Regione,
senza alzare la voce parla del massacro al quale lui e la figlia
Alessandra, di 18 anni, sono scampati. Un volo Lufthansa,
partito da Bruxelles alle 18,30, li ha portati a Caselle alle
22,30 di lunedì. Oltre alla moglie, Margherita, c'era ad
aspettare un'ambulanza: subito al Cto. L'equipe neurochirurgica
ha permesso a De Ambrogio di tornare a casa: "Ma faremo altri
controlli costanti, vedremo le cartelle cliniche". De Ambrogio e
la figlia rievocano i disordini: "Siamo allo stadio da un'ora
partono lanci di petardi e pietre. Una mi colpisce in fronte,
continuano gli assalti, c'è il fuggi fuggi. Tenendoci per non
essere divisi, ci trasciniamo verso il basso: dall'altra parte
ci avrebbero schiacciati". Fuggono sul campo. Uomini della Croce
Rossa ("meritano elogi enormi") li portano in infermeria: "C'era
una decina di feriti, un bimbo aveva perso i genitori". Le prime
medicazioni, poi il ricovero in ospedale ("assistenza
perfetta"). Alessandra: "In ospedale non potevo rimanere, non
ricordavo il nome dell'albergo. Mi hanno ospitata due infermiere
di origine italiana".
5 giugno 1985
Fonte: La Stampa (Testo
© Fotografia)
 Stamane si svolgono i funerali
di Domenico Russo di Moncalieri; lascia la moglie di 24 anni, incinta
di 5 mesi
Ultimo addio alle vittime di Bruxelles,
uccise dal fanatismo
Grande commozione, sabato, al
rito funebre di Giovacchino Landini - Monsignor Franco Peradotto:
"Bisogna stabilire fino a che punto l'agonismo sia accettabile"
- Un toccante messaggio di pace, di fratellanza e di
riconciliazione del vescovo di Liverpool.
Si
svolgono questa mattina i funerali di Domenico Russo, il tifoso
juventino di Moncalieri, rimasto ucciso nel massacro di
Bruxelles prima dell'inizio della partita di finalissima per la
Coppa dei Campioni. La salma, in una bara scura avvolta dal
tricolore, è rimasta nel salotto della casa di famiglia in via
Deledda 17 e da qui parte alle 9. La Messa in chiesa celebrata
dal parroco e poi la tumulazione al cimitero. Alla cerimonia ci
saranno tifosi juventini, delegazioni dei club bianconeri,
dirigenti e giocatori, le autorità a cominciare dal sindaco. E
centinaia di persone: le stesse che, sabato sera, sotto la
pioggia, hanno atteso il piccolo corteo di auto dietro il carro
funebre in arrivo. Grande pietà e grande tristezza. Domenico
Russo era uno sportivo che non perdeva una partita della sua
squadra del cuore, ma che, a sua volta, giocava a calcio e
faceva parte di una equipe di ping-pong. Lascia la moglie
Tiziana Fecchio, 24 anni, incinta di cinque mesi, che dapprima
si è aggrappata a un filo di speranza augurandosi che il
Domenico Russo morto fosse soltanto un omonimo del marito. Poi è
rimasta impietrita dal dolore: due notti senza dormire,
sostenuta da tranquillanti e da un'infinita tristezza che le
spezza il cuore. Ci sono stati attimi di grande commozione
mentre si celebrava il rito funebre per l'altro torinese rimasto
ucciso in Belgio: Giovacchino Landini, 50 anni, titolare di un
ristorante in via Spotorno, sposato, padre di due figli. La
Messa è stata celebrata nella chiesa di Santa Monica, dal
parroco don Michele Donadio, ma l'omelia è stata pronunciata da
monsignor Franco Peradotto. Poche parole. La tragedia di
Bruxelles porta angoscia, lacrime e pietà ma deve insegnare
qualche cosa: "bisogna rivedere i criteri con i quali si esprime
il tifo per una squadra e stabilire fino a che punto l'agonismo
sia accettabile". E' stato letto un messaggio del vescovo di
Liverpool che ha scritto parole di pace, di fratellanza e di
riconciliazione. Un migliaio di persone ha assistito al rito.
Durante la cerimonia grande silenzio appena rotto dai singhiozzi
dei familiari. Un lungo applauso quando la bara è comparsa sulla
porta della chiesa.
3 giugno 1985
Fonte: Stampa Sera
© Fotografie:
Museotorino.it - Mediterranews.org
L'ultimo saluti ai morti con un
vessillo bianconero
L'ha sventolato un ragazzo al passaggio
della salma di Giovacchino Landini - Il sindaco Cardetti e il presidente
della Juve Boniperti ai funerali.
Giovacchino Landini è tornato a Torino
ieri, alle 16,30. Chiuso in una bara di legno scuro, ha ricevuto
il saluto della città al casello di Settimo dell'autostrada
Milano-Torino: una pattuglia di vigili urbani motociclisti l'ha
scortato prima presso la sede dell'impresa delle pompe funebri,
poi alla parrocchia di Santa Monica, in via Spotorno, a due
passi da casa sua. La corsa del corteo nel traffico della città
non è passata inosservata. Il carro funebre offriva a tutti la
vista della bara avvolta nel tricolore. Il lampeggiare delle
auto di scorta e il rombare dei motociclisti ha fatto intuire a
tutti che quel corpo "veniva da Bruxelles". Così qualcuno ha
accennato in corso Novara a un timido applauso. Un ragazzo,
davanti alla Gran Madre, ha sventolato un vessillo bianconero
che, chissà come, aveva in quell'istante in mano. In via Vado
angolo via Spotorno, a poche decine di metri dal ristorante del
Landini, il rito funebre davanti a un migliaio di persone, l'ha
celebrato il parroco don Michele Donadio, mentre l'omelia è
stata tenuta da monsignor Franco Peradotto che ha portato il
messaggio di pace dell'arcivescovo di Liverpool. "E' però
necessario - ha aggiunto - rivedere i criteri con i quali si
esprime il tifo per una squadra e stabilire anche fino a quando
l'agonismo sia accettabile". Al rito hanno partecipato il
sindaco Cardetti, l'onorevole Bodrato, il presidente bianconero
Boniperti e delegazioni delle squadre minori di Torino e
Juventus. Il clima di assoluta mestizia è stato rotto solo alla
fine da un applauso. Tutto il quartiere si è raccolto intorno
alla famiglia Landini.
2 giugno 1985
Fonte: La Stampa
© Fotografia:
Ebay.it
Alle 18
i funerali di Giovacchino Landini
Tornati a casa i due torinesi
uccisi a Bruxelles
Erano partiti in pullman, allegri e in
numerosa compagnia, verso una giornata di festa: comunque si
fosse conclusa la partita fra Juventus e Liverpool, il viaggio a
Bruxelles sarebbe stato ugualmente una piccola avventura, da
ricordare con qualche regalino acquistato in Belgio e con la
solita raffica di cartoline. Sono tornati con un mezzo "di
lusso", l'aereo, ma chiusi dentro una bara: e di fronte
all'assurdità delle loro e delle altre morti, tante, troppe, non
c'è spiegazione che tenga, non c'è ricerca di responsabilità e
punizione di colpevoli che possa attenuare il dolore, la rabbia.
Le salme di Giovacchino Landini e Domenico Russo sono state
rimpatriate stamane su un aereo dell'Aeronautica militare
atterrato a Linate con a bordo anche altri feretri, diretti in
località diverse dell'Italia Settentrionale. Da Milano le due
vittime torinesi sono state portate a Torino in furgoni funebri:
i funerali si svolgeranno oggi alle 18 per il ristoratore
cinquantenne di via Spotorno nella chiesa di Santa Monica (in
via Cortemilia angolo via Tirone), presenti il sindaco Giorgio
Cardetti
e il gonfalone della città, e lunedì mattina alle 9 per
l'elettricista ventiseienne di Moncalieri. I due non si
conoscevano: in comune avevano una grande passione sportiva per
la squadra del cuore e i biglietti di quel maledetto settore Z
dello stadio Heysel che il destino ha voluto attribuire loro.
Landini in un modo che non può non fare ancora più male,
pensando a quella infinitesimale curva della sorte che ha spento
la sua vita. L'uomo, sposato con due figli, era infatti partito
martedì sera da piazza Castello, su uno dei trenta pullman
organizzati dal Juventus Club dì via Bogino, con un biglietto
verde dei settori M-N-O, ma a Bruxelles ha incontrato dei
conoscenti che avevano posti nella zona Z: "E' venuto da me nel
piazzale dei pullman - spiega il presidente del club, Piercarlo
Perruquet - e mi ha chiesto di cambiargli il tagliando, per
stare con loro. Il biglietto grigio del settore Z gliel'ho dato
io". Era uno dei venti tagliandi circa ricevuti dal
vicepresidente dell'Anderlecht Club: forse si sarebbe dovuto
pensare al pericolo di mandare dei tifosi juventini in una zona
in precedenza appositamente riservata a una fascia "neutrale" di
spettatori belgi, ma l'errore (se di errore si tratta, dopotutto
è assurdo che si debba affrontare uno spettacolo, in un Paese
cosiddetto civile, con le cautele necessarie in caso di
guerriglia urbana) appare commesso sicuramente in buona fede. I
due fratelli di Domenico Russo partiti ieri mattina per
Bruxelles hanno avuto la conferma definitiva della sua morte
quando si sono trovati davanti alla salma: fino all'ultimo i
familiari del giovane di Moncalieri (sposato da quattro anni,
sua moglie attende un bimbo) non avevano rinunciato alla
speranza, per labile che fosse. Un'omonimia e il fatto che il
giovane apparisse vivo in una drammatica fotografia pubblicata
dai giornali avevano sostenuto a lungo il rifiuto della realtà:
"Non volevamo crederci, non era possibile che il Domenico Russo
sull'elenco delle vittime fosse proprio lui. E all'inizio dal
Belgio ci hanno detto che era solo ferito, non hanno avuto il
coraggio di dirci subito la verità". Ieri sera, all'arrivo a
Caselle del C130 che riportava a Torino due feriti (uno è
Alberto Moschella, con un braccio spezzato, cui è stato
assicurato tutto l'aiuto necessario) e un primo gruppo di
parenti delle vittime, era presente anche il sindaco Cardetti.
Non ha voluto turbarli ancora di più, in un momento già
abbastanza sofferto: solo poche parole di solidarietà, di
conforto, prima che parenti e amici sottraessero quei visi
contratti dal dolore, ma anche da una sorda rabbia,
all'inevitabile raffica di flash dei fotografi, alle domande dei
giornalisti e ai riflettori della televisione. Incredibile
infine la totale scomparsa (ne parliamo a parte) di un altro
tifoso di Moncalieri, Marco Manfredi, 40 anni, che sembra
svanito nel nulla, da quando è entrato nello stadio mercoledì.
m.sp.
1 giugno 1985
Fonte: La Stampa
© Fotografia: L'Unità
Questa mattina da Caselle un velivolo
militare con i parenti delle vittime
Un aereo carico di dolore è partito
per Bruxelles
A bordo i congiunti di Domenico
Russo e Giovacchino Landini e molti che vogliono visitare i loro
cari negli ospedali della capitale belga. Due corpi ancora senza
nome.
Con un aereo militare è partito stamane
da Caselle per Bruxelles un gruppo di parenti di tifosi
juventini rimasti coinvolti nella tragedia dello stadio Heysel.
Per due di loro (Salvatore Russo, fratello del ventiseienne
Domenico, e un fratello di Giovacchino Landini, 50 anni), un
viaggio senza speranza, una triste necessità: si recano infatti
nella capitale belga per il riconoscimento ufficiale dei
cadaveri dei loro congiunti, la cui identificazione è purtroppo
ormai certa. I parenti di Russo, elettricista, sposato da
quattro anni (la moglie Tiziana è in attesa d'un figlio), si
sono illusi fino all'ultimo che quel nome sull'elenco delle
vittime non fosse quello del "loro" Domenico: a vedere la
partita era andato infatti anche un omonimo, l'ex assessore
comunale "scissionista" dal pli, e per alcune ore la coincidenza
è servita a cullare la speranza. Poi la terribile conferma (due
fratelli del giovane l'hanno avuta in questura, dopo aver
riconosciuto Domenico su una drammatica fotografia pubblicata da
"Stampa Sera" ieri), che è stata tenuta per qualche tempo
nascosta dal fratello minore Salvatore, il primo ad averla
intuita ma che non aveva il coraggio di rivelare la verità, in
particolare alla cognata. La moglie di Landini, Carola Bandiera,
e i figli Monica e Andrea, hanno invece appreso quasi subito,
alle due della notte fra mercoledì e giovedì, che il destino
aveva loro portato via in modo così assurdo e feroce il marito e
padre. Un destino che ha accomunato anche in un altro commovente
modo Domenico Russo e Giovacchino Landini: entrambi infatti si
recavano per la prima volta a seguire la squadra del cuore fuori
Torino, il desiderio di vedere la Juventus conquistare
finalmente la Coppa Campioni era stato troppo forte. Le altre
persone che si sono imbarcate sull'aereo militare sono parenti
di feriti ancora ricoverati negli ospedali belgi, dove restano
ancora diverse persone in coma e anche due corpi senza vita ai
quali non è stato possibile dare un nome.
31 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
© Fotografie:
Wikipedia.org - Stampa Sera
"Un uomo pacifico,
vittima della violenza"
di Ezio Mascarino
La moglie e il figlio parlano di
Giovacchino Landini, il torinese morto nella bolgia di Bruxelles
- "Porterò fortuna alla Juve" - Il biglietto da un bagarino: 50
mila lire.
Giovacchino Landini, 50 anni, voleva
proprio esserci a Bruxelles: "La Juve insegue da anni quella
coppa dannata, io le porterò fortuna". Era sì tifoso, ma la
squadre del cuore l'aveva sempre vista solo al Comunale: la
famiglia (due figli) e il lavoro (aveva una trattoria in via
Spotorno 33) non gli lasciavano molto tempo libero. Ma questa
volta non voleva mancare: "Ci vado". Ha dovuto ricorrere a un
bagarino per il biglietto: 50 mila lire. Martedì sera, partendo
in pullman da piazza Castello, aveva detto ad Andrea, il figlio,
15 anni: "Tu aiuta la mamma, mi raccomando. Ti porterò il
biglietto, lo terrai come ricordo". Cinquantamila lire per
morire. Quel biglietto lo ha portato, nel vecchio stadio Heysel,
in un settore occupato da una minoranza di italiani e da una
folta rappresentanza di Liverpool. Li divideva una leggera
transenna: quando sono scoppiati gli incidenti è rimasto
soffocato nella calca, schiacciato come decine di altre persone,
sepolte sotto i corpi e le macerie. La moglie, Carola Bandiera,
ripete piangendo: "E' colpa mia, non dovevo lasciarlo andare".
L'altra sera era ai fornelli della trattoria: "Per radio ho
saputo che stava accadendo qualcosa di grave. Si parlava di
scontri, di feriti. Ho avuto un presentimento. Poi le immagini
per televisione. Tutti a rincuorarmi: stai tranquilla, a
Giovacchino non è accaduto nulla. E io a farmi forza, sorridere
ai clienti, far finta che le immagini che arrivavano da
Bruxelles appartenessero a un mondo inesistente". Nella notte,
la notizia: "Fuori, per le vie della città, cori di clacson,
sventolio di bandiere, caroselli di auto. Io da due ore tentavo
inutilmente di comporre i numeri che la televisione trasmetteva,
per avere notizie di mio marito. Ma come hanno fatto a
dimenticare, per una vittoria, quelle immagini, quel massacro,
quei morti ?". Andrea, il figlio, ricorda: "Papà aveva deciso di
andare a Bruxelles una decina di giorni fa, e si è rivolto al
Juventus club di via Bogino. Era tardi, in un primo tempo non
c'erano più biglietti. Poi quell'offerta, 50 mila invece di 10
mila, oltre il viaggio in pullman. Ecco perché è finito in quel
settore praticamente isolato dal resto della comitiva". La
moglie si interroga: "Perché la polizia non è intervenuta ?
Sugli spalti si picchiavano, bastoni e spranghe di ferro. Mio
marito era là. Ma, ne sono certa, ha cercato di calmare gli
animi. Ha sempre detestato la violenza". Giovacchino Landini,
immigrato vent'anni fa da un paesino presso Lucca, voleva vedere
giocare la sua squadra fuori casa, tornare ai suoi fornelli,
alla sua trattoria e mostrare ai clienti, agli amici, quel
biglietto. Per dire: "C'ero anch'io".
31 maggio 1985
Fonte: La Stampa (Testo
© Fotografia)
Lo strazio
dei famigliari di Domenico Russo
Due morti accertati ma
di altri tifosi non si sa nulla
Da Bruxelles non sono tornati in due a
Torino: Giovacchino Landini, 50 anni, titolare di una trattoria
toscana in via Spotorno 33 alla barriera di Nizza, abitazione in
via (omissis), e Domenico Russo, 26 anni, un elettricista di
Moncalieri, dove abitava in via (omissis). Entrambi sono tra le
liste ufficiali dei morti; le salme non si sa ancora quando
arriveranno. Due famiglie sconvolte dal dolore, per un dramma
senza senso, brutale, crudele, imprevedibile. Prima del
rimpatrio dei corpi (con aerei militari italiani) devono essere
fatte le autopsie di tutte le vittime, quindi ci vorrà ancora
qualche giorno. Giovacchino Landini, originario di Capannori in
provincia di Lucca, aveva sempre solo frequentato lo Stadio
Comunale torinese; tra il lavoro e la famiglia - la moglie
Carola Bandiera e due figli, Monica di 22 anni e Andrea di 15 -
non aveva tempo e soldi per seguire le trasferte. Lo dipingono
come un tifoso tranquillo, di indole pacifica, non iscritto al
Club Juventus; tuttavia frequentava il circolo di via Bogino.
Per una volta tanto aveva invece deciso di seguire
da
vicino la mitica partita della Coppa dei Campioni. Il biglietto
gli era costato 50 mila lire al mercato nero, dato che gli
ingressi normali da diecimila lire erano esauriti. "Ti porterò
indietro il biglietto - aveva detto al figlio Andrea di 15 anni
- lo terrai per ricordo". La moglie si dispera: "è colpa mia,
non dovevo lasciarlo partire. Stavo lavorando nel locale la
sera
del disastro e ho cominciato a sentire notizie di scontri e
disordini per radio. Poi ho visto anche la televisione e mi
sentivo morire. I clienti mi rincuoravano, tutti dicevano vedrai
che a Giovacchino non è capitato niente. Io mi facevo forza,
sorridevo ai clienti, ma avevo un presentimento". "Papà è finito
in quel settore, isolato dal suo gruppo proprio perché non aveva
trovato il biglietto per tempo: "Quella sera ho cercato per due
ore di telefonare a Bruxelles - aggiunge la moglie - ai numeri
che diceva la televisione, ma ho trovato sempre occupato. E la
gente a Torino ? Come hanno fatto quelli che sono andati in giro
di notte con le bandiere e a suonare i claxon, a dimenticarsi
dei morti e dei feriti ? Sul massacro continuano ad arrivare
testimonianze; molti telefonano al giornale raccontando la
propria esperienza, sempre tragica, allucinante. Arnalda Girani,
57 anni, di Scopello in Valsesia telefona: "Ho visto con i miei
occhi degli inglesi che hanno aggredito un poveretto che vendeva
maglie e bandiere della Juve, e gli hanno rubato la roba, poi
sono entrati nel settore degli italiani travestiti da juventini.
Noi abbiamo denunciato il fatto subito alla polizia che non ha
mosso un dito. Bisogna dirle queste cose. Alla fine gli inglesi
se ne sono andati via con cinque pullman e nessuno gli ha detto
niente". A Moncalieri, nella casa di Domenico Russo, si stenta
ancora a credere alla notizia della morte; la moglie del
giovane, Tiziana, incinta di sette mesi, non vuole accettare la
verità. Tra l'altro ci sono state lunghe ore di incertezze,
informazioni incomplete e non controllate prima di avere la
verità. Uno dei fratelli, Salvatore, è stato informato dai carabinieri, ma tutti in famiglia hanno sperato ancora, che si
trattasse di un errore, che Domenico tornasse a casa. Russo si
era sposato quattro anni fa; lavorava come elettricista in una
piccola azienda. "Non era mai andato all'estero in vita sua -
racconta il fratello Salvatore - e neanche in altre parti
d'Italia. Solo una volta era andato a Cremona a vedere la Roma.
Era da tanto, che sognava di andare a vedere la finale della
coppa dei campioni. Finalmente era riuscito. E' partito martedì
sera col suo amico Alberto "che è rimasto ferito a un braccio. E
non è più tornato. Adesso c'è il problema di andare fino a
Bruxelles". La tragedia comunque non è ancora finita; parecchi
degli spettatori presenti allo stadio Heysel, non sono ancora
tornati a casa e le famiglie sono col cuore in gola perché non
hanno avuto notizie, né sanno con precisione a chi rivolgersi.
Nella capitale belga, non è ancora tutto finito, il grande caos
non si è ancora ricomposto, alcune vittime non sono ancora state
identificate, né è da escludere che qualcuno sia vagante chissà
dove in stato di choc.
31 maggio 1985
Fonte: Stampa Sera
© Fotografia:
Adriano Lazzarini
"Era la prima volta che seguiva
la Juve"
Il torinese morto sugli spalti
di Bruxelles era titolare di una trattoria in via Spotorno. Moglie
e figli hanno appreso la notizia alle 2.
Nel condominio dove abitava era
apprezzato da tutti Giovacchino Landini, 50 anni a novembre, ha
pagato con la vita il suo tifo per la Juventus: è morto a
Bruxelles, forse travolto nel crollo del "settore Z". La notizia
in via Genova (omissis) piano, nell'alloggio dove abitava con la
moglie Carola Bandiera e i figli Andrea, 15 anni e Monica, 22, è
stata portata dal cronista poco prima delle 2 di, stamane.
Nell'alloggio, in un palazzo abbastanza recente, nessuno
dormiva. "E' tutta la notte - dice la moglie fra i singhiozzi -
che tento di telefonare ai numeri forniti dalla tv. Invano,
sempre occupato. Un incubo". E la figlia Monica: "Perché proprio
lui ? Non si era mai mosso da Torino. Ma questa volta non
c'erano stati santi, voleva vedere la Juve". Giovacchino Landini
era molto conosciuto nella
zona di via Genova, era il titolare della trattoria Toscana di
via Spotorno 33. Gli volevano bene tutti, aveva sempre il
sorriso sulle labbra, parlava sovente di sport, della sua
Juventus, una passione che aveva contratto nei numerosi anni di
permanenza a Torino, dove era arrivato da Capannori, patria di
tanti gestori di ristoranti della nostra città. Quando è
partito, lunedì, poco prima delle 20 - ricordano i familiari -
era tanto contento. Il viaggio era organizzato dal Club di via
Bogino, al quale pur non essendo iscritto, si sentiva vicino per
fede bianconera. "Adesso non lo vedremo più", affermano fra le
lacrime moglie e figli. E mentre smarriti chiedono informazioni,
arrivano altri giornalisti, confermano purtroppo la luttuosa
notizia. Arriva la televisione, il condominio si sveglia, gli
inquilini si affacciano alle porte. Domandano che cosa sia
accaduto. Quando sanno, commentano: "Era tanto appassionato
della Juventus". Fra le notizie vi è anche quella di un aereo
privato con otto persone a bordo, che, arrivate nella capitale
belga e saputo della "guerriglia" in atto hanno preferito vedere
la partita in televisione. Pier Carlo Perruquet, presidente
dello Juventus club, è riuscito a telefonare in via Bogino da
Bruxelles alle 22.45. Parole drammatiche: "Non dovrebbero
esserci morti tra quelli partiti con noi (una ventina di
pullman, due charter). Terribile: è successo di tutto qui". Poi
dure accuse: "Le colpe sono del servizio d'ordine inesistente.
In campo ci aggredivano e nessuno interveniva". Dalle 21 in poi
i telefoni della segreteria dello Juventus club di via Bogino,
non hanno smesso un attimo di trillare. "Si sa qualcosa da
Bruxelles ? Chi sono i morti ?". Non si è saputo cosa rispondere
fino a notte inoltrata, quando si è avuta la sicurezza
dell'unico nome certo di Torino. I parenti dei tifosi sono
arrivati in massa al termine della partita. Dopo decine di
tentativi la titolare di un'agenzia di viaggi è riuscita a
mettersi in contatto con l'ospedale militare di Bruxelles, dove
si trovano le vittime. Sui tavoli della segreteria è stata
compilata una lunga lista di persone partite, che veniva letta
al personale dell'ospedale.
30 maggio 1985
Fonte: La Stampa
© Fotografia:
Nicola Di Fazio
Giovacchino Landini, titolare di
una trattoria, era la prima volta che seguiva la Juve.
Ha
saputo del marito morto sugli spalti a Bruxelles
mentre i tifosi impazziti festeggiavano
in centro
Una notte di disperazione in via Genova
(omissis). Da una parte la notizia che Giovacchino Landini era
morto durante gli incidenti di Bruxelles travolto da una folla
scalmanata di tifosi e dall'altra l'eco dei clacson di altri
tifosi che, come se niente fosse, credevano di poter festeggiare
ugualmente la vittoria della loro squadra. "Per tutta la notte -
racconta la moglie Carola Bandiera - ho cercato di telefonare ai
numeri dati dalla televisione. Inutile. Davano occupato. E a
ogni tentativo l'angoscia che cresceva con una sorta di
presentimento. La notizia che non c'era più nulla da fare l'ha
portata un giornalista, pochi minuti prima delle 2 di notte, il
palazzo si è svegliato, i vicini di casa si sono affollati sul
pianerottolo per portare la loro solidarietà e chiedere se
potevano essere utili in qualche cosa. Ma cosa ? I primi
comunicati dal Belgio e le successive conferme hanno chiuso gli
spiragli di speranza. Giovacchino Landini, 50 anni, titolare
della trattoria "Toscana" di via Spotorno 33, è rimasto
coinvolto negli incidenti allo stadio di Bruxelles. La moglie in
via Spotorno ha appreso la notizia questa notte alle 2. La
figlia Monica: "Perché proprio lui ? Non si era mai mosso da
Torino, ma questa volta non ci sono stati santi,
voleva a tutti i costi vedere la finalissima". Aveva
trovato un posto nel settore "Z":
quello dei tifosi italiani ma
accanto agli inglesi di Liverpool. E' rimasto travolto dalla
folla che, prima dell'inizio della partita, ha abbattuto le
transenne. Le impalcature hanno ceduto e centinaia di tifosi sono precipitati facendo un volo di parecchi metri. I soccorsi
sono arrivati in ritardo: quando hanno potuto farsi largo fra
gente e macerie. Per troppi non c'è stato più nulla da fare. Il
bilancio ha le proporzioni di un massacro: decine di morti e
decine di feriti. Per tanti le condizioni sono disperate.
Landini era arrivato in Piemonte da Capannori (provincia di
Lucca) e aveva cominciato a lavorare come ristoratore. Nel suo
locale aveva sempre la battuta pronta. I vicini di casa e i suoi
clienti in trattoria lo apprezzavano proprio per la sua
allegria. A Torino, anno dopo anno, aveva cominciato a tifare
per la Juventus: all'inizio in modo abbastanza tiepido ma, con
il tempo, con maggiore convinzione. Anche se non era iscritto
frequentava il club dei tifosi bianconeri di via Bogino e con
loro è partito per vedere la partita di Bruxelles. Spesso
parlava di sport: il lunedì c'era da commentare la partita della
domenica precedente. Però non aveva mai seguito la squadra:
guardava i suoi beniamini alla televisione ma non si era mai
mosso di casa per andare allo stadio. Adesso è il tempo dei
rimpianti. Aveva due figli: Monica 22 anni e Andrea di 15. "Non
si era mai mosso da Torino - dice la ragazza - Niente: da
nessuna parte. Questa volta invece aveva voluto andare a tutti i
costi. Non ci sono stati santi: voleva vedere la Juventus". Non
tornerà più. "Lunedì - ricordano i familiari - quando è partito
era contento come un bambino".
30 maggio 1985
Fonte: La Stampa Sera
(Testo
© Fotografia)
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