Heysel, la memoria tradita
di Roberto Galtieri
Quarant’anni dopo la strage, tra assenze, errori e
retorica sbagliata, una commemorazione che dimentica il
senso vero del ricordo.
Quella sera la redazione non mi aveva chiesto il solito
articolo di colore. L’evento sarebbe stato seguito dai
colleghi della redazione sportiva: si trattava della
finale di coppa tra due squadre: Juventus e Liverpool.
Eppure pensando a quanto successo, un articolo su quanto
accadeva fuori dello stadio, prima della partita sarebbe
stato utile; utile a capire i prodromi di quello che
sarebbe accaduto di lì a poco. La Grand Place, la
splendida piazza seicentesca di Bruxelles, era diventata
un bivacco di barbari: seduti per terra, sdraiati a
gruppi attorno a casse di birra. Anche il meteo ci aveva
messo lo zampino nella tragedia: non era la solita
giornata senza luce, uggiosa e piovosa: era una rara
giornata di caldo afoso, quel giorno. La scusa ideale
per riempirsi di birra con la scusa di rinfrescarsi. Gli
hooligans britannici arrivarono allo stadio già
ubriachi, spinti dalla polizia fuori dai due soli luoghi
simboli del centro della città allora noiosa e beghina.
La polizia era dunque fuori e lontana dallo stadio. Uno
stadio fatiscente, non adatto ad un incontro di tale
importanza, tanto da dover essere poi chiuso per anni e
completamente ristrutturato. Il nome dello stadio
dell’Heysel, fisicamente vicino all’Atomium, il
monumento modernista dell’expo universale del 1950,
gettò, come l’expo quarantacinque anni prima a causa del
villaggio umano congolese, discredito sul Paese
dell’allora re Baldovino. Una curva dello stadio con i
suoi tre settori era stata interamente destinata ai
tifosi juventini, quella opposta era divisa in due
parti: i settori Y e X agli inglesi, la parte Z agli
italiani. A dividere le due, come si usa oggi dire,
tifoserie, c’era un’esile bassa rete e un altrettanto
esile gruppo di poliziotti. Da una parte persone
ubriache che provarono a fare il "take an hand" (prendi
la curva), dall’altra i sostenitori della Juventus. Il
movimento degli hooligan fu rapido mentre i poliziotti
restavano a guardare la carica dei britannici contro i
presunti nemici. Altri poliziotti ostacolarono la fuga
degli italiani verso il campo manganellandoli, del resto
gli italiani fino a qualche anno prima erano coloro i
quali a cui era stato fatto divieto di entrata in molti
bar del Belgio, e con loro era fatto divieto di entrata
anche ai cani, orrenda equiparazione.
La fuga degli spettatori
italiani dalla carica degli scatenati hooligans era
l’unica possibilità, ma come abbiamo visto non c’era
nessuna via di fuga. Nelle curve dello stadio non
c’erano settori separati fisicamente, scappare
significava scontrarsi con la polizia e con il muretto
di bordo campo. Cerano troppe persone, accalcate, tutte
insieme, quindi si produsse una spinta enorme delle
genti in fuga dalla carica dei barbari. Furono tutti
schiacciati contro il muretto delimitante la curva verso
il campo di gioco; questo crollò sull’azione della
calca. Morirono in 39, tutti asfissiati perché
schiacciati contro il muretto o perché calpestati dopo
il suo crollo. Il più piccolo, tra le vittime, aveva 11
anni. Oltre 600 furono i feriti. Una strage. La strage
dell’Heysel. Era il 29 maggio del 1985. Iniziò quindi
l’orrore: la polizia e il responsabile UEFA del Belgio
decisero di far giocare comunque la partita; alcuni
giocatori della squadra torinese ebbero dubbi se giocare
all’ombra di tale strage. Altri, al termine della gara,
festeggiarono la vittoria, in particolare Platini.
Invece il compagno di squadra, il polacco Boniek, fu
contrario a giocare e poi condannò pubblicamente i
festeggiamenti della vittoria, giocatore della Juventus.
Tanto fu contrario che, disgustato, lasciò il club per
un’altra squadra di calcio italiana
(NdR: una
interpretazione del tutto soggettiva del caso).
Ovviamente si aprì un’indagine, al termine della quale,
dopo 18 mesi, la giudice belga Marina Coppieters
pubblicò un dossier. Questo concluse che la colpa
sarebbe dovuta ricadere esclusivamente sui tifosi del
Liverpool. Nessuna denuncia sulle evidenti
responsabilità della polizia belga. Menzionare il
processo penale intentato contro hooligan britannici, e
i responsabili della polizia, ci obbligherebbe al
racconto di una farsa. Qualche mese con la condizionale
ad alcuni hooligans del Liverpool, nulla contro i
responsabili dell’inefficienza della sicurezza e della
polizia.
Dopo quaranta anni, il 29
maggio 2025 si è svolta la commemorazione dei tragici
fatti che portano alla strage. Erano presenti alcuni
famigliari dei deceduti, il borgomastro di Bruxelles
Philippe Close, e i notabili della Juventus insieme ad
un gruppo di esagitati supporter bianconeri. Troppe però
le note stonate nella commemorazione della tragedia di
quattro decenni prima che hanno trasformato un doveroso
atto di memoria in un brutto momento di falso
raccoglimento. Non c’era nessun rappresentante della
società calcistica del Liverpool. Senso di colpa ?
Negligenza ? La lapide con i nomi delle 39 persone morte
asfissiate non era stata restaurata e non tutti i nomi
sono attualmente leggibili
(Ndr: gravissima, ma purtroppo ripetitiva
negligenza). All’interno dello
stadio, nel luogo dove avvenne il dramma era stato steso
uno striscione con una scritta non solo sconveniente ma
anche sbagliatissima: "onore ai caduti dell’Heysel"; un
concetto che svela l’ideologia di chi pensa che un campo
di calcio sia un campo di battaglia. Gli spettatori di
una partita di calcio, di quella partita di calcio di
quaranta anni fa erano all’Heysel per divertirsi non per
combattere, non si sa quale guerra. Sottintendendo che
l’avversario è un nemico e dunque non di sport si parla
ma di chissà quale scontro tra orde barbare. Una
commemorazione che avrebbe potuto e dovuto essere di
ulteriore monito e condanna alla violenza negli stadi è
annegata, alla fine, nello squallore. Trentadue italiani
partirono per una festa e non fecero ritorno: le loro
bandiere si trasformarono in lenzuola da lutto. Quel
giorno, la follia degli ultras e l’inerzia delle
istituzioni si fusero in un disastro che il calcio non
ha mai davvero espulso. All’Heysel il calcio morì
schiacciato sotto i crolli di un muro, sotto
l’indifferenza, sotto l’idea malata di rivalità
assoluta. Lo stadio che doveva ospitare una finale
diventò una fossa: l’Europa vide il volto peggiore della
sua passione. Heysel non fu solo una tragedia sportiva:
fu la sconfitta di un'intera civiltà che aveva
dimenticato il confine tra tifo e violenza. A Bruxelles,
il calcio si trasformò in tragedia: sugli spalti
dell’Heysel, morirono sogni, innocenza e trentadue
(NdR: 39)
vite.
Fonte:
Meer.com © 11 agosto 2025
Fotografie:
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