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Quel giorno perduto
all’Heysel
di Simone Morichini
C’è un "prima" e un "dopo" in
ogni cosa. Ma esiste anche un "mentre", il momento in
cui avviene un qualcosa che cambierà per sempre le cose.
Quel "mentre" era un mercoledì, il 29 maggio 1985. Allo
Stadio Heysel, a Bruxelles, si sfidavano Juventus e
Liverpool per la finale di Coppa dei Campioni e quel che
è successo è noto a tutti. A distanza di oltre
trent’anni da quei tragici eventi, Anthony Cartwright e
Gian Luca Favetto hanno realizzato un libro a quattro
mani (Il giorno perduto, 66thand2nd, 2015) dove il
ricordo e il dolore per le vittime si mescolano
sapientemente con la narrazione delle vite dei
protagonisti. A Newport vive Christy, un ragazzo inglese
che stenta a trovare un lavoro stabile che gli consenta
non solo di vivere dignitosamente ma anche una
realizzazione umana e sociale. Il suo stesso soprannome,
Monk (il Monaco), è sintomatico di una condizione
esistenziale segnata dalla solitudine, dalle difficoltà
familiari e riscattata, solo in parte, quando si trova
nel KOP, la curva dei tifosi del Liverpool. Il viaggio
verso Bruxelles diventa così l’inconscio desiderio di
vivere un’esperienza differente dalla quotidianità
dell’Inghilterra guidata da Margaret Thatcher, da un
senso di fuga e dalla voglia di provare sensazioni
diverse. Da Breglio, invece, a bordo di una vecchia
Renault 4 partono quattro amici, tifosi della Juventus.
Sono Domenico Dezzotti, detto Mich, studente del
Politecnico di Torino, Angelo Peraglie, impiegato alla
Olivetti, Charlie, operaio edile ed infine Mario
Morello, soprannominato Miranda, commesso in un negozio.
Sono quattro ragazzi legati dalla passione per il
calcetto e per l’ammirazione di Gianni Koetting, giovane
promessa della Vecchia Signora e proveniente dalle loro
parti. Per questi quattro ragazzi, il viaggio verso
Bruxelles è il momento giusto per capire cosa fare delle
loro vite, confrontare le loro esperienze e manifestare
le loro aspettative esistenziali. E lungo la strada per
la capitale belga, i veri protagonisti diventano così il
viaggio e l’attesa. Il viaggio perché è l’occasione
giusta per cercare di chiudere una fase della vita e
aprirne un’altra; l’attesa perché, mentre l’inglese e
gli italiani sono sulla strada per raggiungere
Bruxelles, si palesa chiaramente la speranza di una vita
migliore per tutti loro. E proprio fuori dallo stadio,
in quei convulsi momenti segnati dalla violenza e dalla
morte, Christy e Mich, l’inglese e l’italiano, si
sfiorano con i loro sguardi in un momento sospeso nel
tempo, vite così lontane eppure così vicine. E sullo
sfondo, scorre la tragedia dell’Heysel: i trentanove
morti, gli oltre seicento feriti e lo svolgimento
surreale della partita. Tutto come in un film a cui
assistiamo impotenti, quel "mentre" in cui cambia la
storia del calcio e la vita di tante persone: "Il vuoto
è arresto del mondo, del suo clamore, dei colori, gli
odori, il caos. Abbatte il muro del suono e scardina il
tempo. Gli attimi non sono più attimi. L’orrore è muto e
mette fuori uso gli orologi". Il giorno perduto è un
romanzo che entra immediatamente nel cuore di un lettore
per via della sua semplicità e del suo modo di
raccontare la semplice quotidianità di persone normali.
È la vita di giovani uomini che vedevano in questa
partita la possibilità di dare un senso di svolta alle
proprie esistenze, di sentirsi parte di un qualcosa di
più grande. Com’è stato sottolineato da diverse parti,
non è un libro sul calcio ma sulla vita, l’attesa e il
viaggio come esperienza che segna indelebilmente
l’esistenza e dalla quale, volenti e nolenti, si torna
cambiati. E come gli stessi autori scrivono, "ogni volta
che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì
ricomincia la storia del calcio".
18 ottobre 2017
Fonte: Oasport.it
Con Anthony Cartwright a Cagliari
Il giorno perduto, tra le macerie dello stadio Heysel
di Andrea Mameli
Non so per gli altri, ma per me la presenza di
Anthony Cartwright a Cagliari è una cosa importante.
Avrò l'onore di intervistare un autore inglese
pluripremiato. The Afterglow, il suo romanzo d'esordio,
nel 2004 ha vinto il Betty Trask Award e nel 2010
Heartland (pubblicato nel 2009) è stato selezionato tra
i finalisti del Commonwealth Writers’ Award. E avrò il
piacere, quel sottile piacere che si prova nel porre
domande a lungo meditate, di chiedergli come si scrive
un romanzo "a quatto mani". Già perché "Il giorno
perduto. Racconto di un viaggio all’Heysel" (66thand2nd)
l'ha scritto insieme a Gian Luca Favetto. E a me questa
cosa di scrivere un libro a più mani e soprattutto a più
teste sinceramente mette un pochino di ansia. Ho provato
a immaginarmi Cartwright che manda un pezzo di
libro a Favetto e poi Favetto che manda un pezzo di libro a
Cartwright e poi i due si confrontano sulla piega che
stanno prendendo e poi uno prende a scrivere come
l'altro o forse no. Non lo so, è una cosa che sovrasta
la mia immaginazione, voglio proprio chiederlo a
Cartwright come si fa a scrivere in due, due storie
convergenti, perché sono due storie che convergono. Mi
piace l'idea di chiederlo all'autore (o almeno a uno dei
due autori). Anche se poi non è detto che riuscirò a
capire la risposta, e non perché la domanda sarà in
italiano e la risposta in inglese: più che altro perché,
forse, è
proprio difficile svelare i segreti della
scrittura. Sempre che uno voglia (o due vogliano)
svelare i segreti. O, forse ancora, sempre che ci siano
dei segreti. Ma forse è tutto più semplice del film che
mi sono fatto (a proposito questo libro l'ho consigliato
a un regista). La storia inizia con un viaggio, ma non
vi svelo il finale (perché non ci sono ancora arrivato).
E del viaggio questa storia nasconde i semi. Semi di
geografie associate alle squadre di calcio. Di città che
ricordano precedenti viaggi: "Guarda l'uscita per
Anderlecht - pensa alle maglie viola della squadra che
ne porta il nome -, Koekelberg, Jette, dove molto tempo
fa ha dovuto sgomitare per salire su un treno nel cuore
della notte" (pagina 12). Per come scrive Anthony
Cartwright mi è diventato istintivamente, come dire,
familiare. Mi sembra di averlo sempre letto. E mi sembra
che la sua sia una scrittura onesta: che mantiene quello
che promette. Ma Cartwright mi è, come dire, familiare,
anche perché prima di "fare lo scrittore" ha lavorato,
raccontano le leggende, nell'ordine: in un impianto di
inscatolamento carni, in alcuni pub, allo storico
mercato di Old Spitalfields (fondato nel XVII secolo) e
nella metropolitana di Londra (anzi la leggenda dice
"per la metropolitana di Londra" come se si trattasse di
un'entità senziente, ma forse lo è). Poi pare che abbia
insegnato inglese in alcune scuole. E questa è la cosa
più normale, visto che Cartwright è laureato in
Letteratura angloamericana. Poi la leggenda narra che
Cartwright "si dichiara onorato di appartenere alla
famiglia del realismo sociale britannico". E qui mi
fermo perché non sono in grado di scavare a fondo.
Capisco, o almeno credo di aver capito, solo una cosa.
Il giorno perduto non è (solo) la cronaca un viaggio
(anzi, di due viaggi) verso il cuore dell'Europa, un
cuore infartato tra le macerie dello stadio Heysel, quel
maledetto 29 maggio 1985. Il giorno perduto è una
metafora, cruda come le migliori metafore sanno essere,
di un decennio ("i favolosi Anni Ottanta") che io
ricordo per i suoi due estremi: la devastazione sociale
(il bastone thatcheriano) e il vacuo edonismo (la carota
reganiana).
30 settembre 2015
Fonte: Linguaggio-macchina.blogspot.it
Racconto di un viaggio all'Heysel, tra speranza e
disillusione
di Donato Porcarelli
"Tuttavia il corpo non riesce a liberarsi del
ricordo. È una rete, una ventosa, il ricordo, prende i
muscoli le ossa il respiro. Tu lo mantieni presente e
lui ti mantiene vivo. A volte, tu e il tuo ricordo siete
il futuro".
29 maggio 1985, stadio Heysel di Bruxelles, finale di
Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool: doveva
essere un momento di festa, di attesa, di tensione
sportiva. Si è trasformato in tragedia. Alle 19.20 un
gruppo di inglesi rompe le recinzioni che separano i
settori; è il panico: sotto il peso della carica
inglese, la tribuna crolla su se stessa. Le vittime
saranno trentanove: "Trentadue italiani, quattro belgi,
due francesi, un nordirlandese. E seicento i feriti.
Intorno tutto è infinito. Voci suoni colori deflagrano e
raggiungono il silenzio. Sono le 21.40. L’assurdo è così
banale che le squadre entrano in campo". Questo è Il
giorno perduto (66thand2nd, 2015) che Anthony Cartwright
e Gian Luca Favetto raccontano in un romanzo a voci
alternate dando vita, pensieri e parole il primo
all’inglese Christy soprannominato Monk per la sua vita
solitaria eccezion fatta per la Kop, la mitica curva del
Liverpool dove però "nessuno ti
dedica troppa
attenzione, al massimo un’occhiata di sbieco, ogni
discorso è rivolto al campo", l’altro a Domenico detto
il Mitch e ai suoi amici Angelo, Charlie e Miranda
sfegatati tifosi juventini tutti provenienti da Rueglio,
provincia di Torino. La narrazione è costruita intorno a
loro, al viaggio che li porterà a Bruxelles, alla
prospettiva della propria vita che entrambi, il Mitch e
Christie, vogliono cambiare in meglio. La partita di
calcio, le formazioni, i tifosi, la goliardia del gruppo
di Rueglio, la solitudine dell’inglese compongono lo
scenario emotivo e il sottofondo di questa
rappresentazione. Per i due "questa è l’avventura da cui
ripartire", il momento in cui ritrovare se stessi.
L’inglese con un passato ricolmo di frustrazioni e
difficoltà a causa dell’abbandono della madre in giovane
età e della malattia terminale del padre da buttare alle
spalle, l’italiano alla ricerca di una nuova vita non
vincolata alle aspettative del defunto padre. Le vite
dei due si sfioreranno inconsapevolmente per un momento,
un attimo che rimarrà per sempre impresso nella memoria:
una partita di "calcio" con una lattina di birra nel
cuore della capitale belga. Il destino tuttavia non
ripagherà le attese, non in quella giornata, che
rappresenterà per sempre, per loro e per tutti i ragazzi
di quella generazione, la fine dell’adolescenza e la
perdita dell’innocenza perché "se qualcuno vi racconta
che gli anni Ottanta sono stati felici non credetegli.
Sono stati terribili. Per un paio di generazioni in
tutta Europa hanno rappresentato la fine
dell’adolescenza e l’ingresso nell’illusione". I
capitoli finali del libro sono dedicati alla tragedia, e
sono costituiti di molte pagine lasciate in bianco,
lunghi silenzi intermezzati solo dai nomi delle vittime
e da brevissime frasi come se solo il tacere potesse
dare tributo, forma e memoria a coloro che quel giorno
persero la vita. Cartwright e Favetto con una scrittura
potente ed emotiva, legando due storie apparentemente
distanti, riescono perfettamente a compiere quello che è
uno dei miracoli della letteratura: dare voce a
un’intera generazione, lasciando ai posteri il monito di
non dimenticare. (Anthony Cartwright/Gian Luca Favetto,
Il giorno perduto, trad. di Daniele Petruccioli,
66thand2nd, 2015, pp. 336, euro 18).
24 settembre 2015
Fonte: Flaneri.com
Il giorno perduto - Racconto di un viaggio all’Heysel
Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto @66thand2nd
di Maria Silvia Riccio
"Il viaggio, a volte, è già una storia. Racchiude in
sé l’avventura, le gesta memorabili di una vita, la
trama di un racconto che resiste agli anni, la promessa
di un’esistenza diversa, piena e felice".
Il 29 maggio 1985 è una brutta data. Se non mi
ricordo male era finita pure tra i temi dell’esame di
maturità di quell’anno, l’anno in cui mi sono diplomata
anche io. Una finale di Coppa dei Campioni tra Juve e
Liverpool giocata allo stadio Heysel di Bruxelles e
finita in tragedia, tragedia ancor più nera se si pensa
che, per placare gli animi - così si disse - per evitare
che l’incidente diventasse guerra o solo perché
qualcuno, davanti ai teleschermi, si aspettava lo
spettacolo e spettacolo doveva essere, la partita si
giocò in presenza dei trentanove cadaveri allineati ai
lati del campo di calcio. Il giorno perduto è la storia
bifronte di un tifoso liverpudlian, giovane disoccupato
dell’era thatcheriana, e di quattro tifosi juventini che
partono, l’uno dall’Inghilterra, gli altri dalla
Valchiusella, alla volta di Bruxelles, convinti di
assistere ad una partita, ad una finale di coppa, pronti
a festeggiare, a celebrare la vittoria della propria
squadra e certo non preparati alla morte in diretta. Chi
si aspetta un resoconto di quella partita rimarrà
deluso: è il giorno perduto. C’è un vuoto, ci sono i
nomi di quei trentanove tifosi, in gran parte juventini,
schiacciati dagli spalti che cedettero sotto il peso
della carica degli hooligans; c’è lo sconcerto,
l’incredulità, il rifiuto di accettare quell’epilogo di
un momento che doveva essere di festa. Invece, il
racconto indugia sul prima, sui tre giorni che precedono
la partita, e sconfina con una breve incursione
nell’oggi di trent’anni più tardi. Quello scorcio degli
anni ottanta è narrato con un tono malinconico che
restituisce il senso di vacuo che ci viene se guardiamo
indietro e ripensiamo agli anni dell’edonismo
reaganiano. Il giorno perduto è scritto a quattro mani,
la parte concepita in inglese tradotta da Daniele
Petruccioli, e alterna la narrazione dei due viaggi, due
esperienze speculari, pur se totalmente diverse, che
hanno in comune l’idea che il destino si incontra
durante questo viaggio. "E poi considera gli occhi che
lo stanno guardando, per una frazione di secondo capisce
che vedono le stesse cose che vede lui, le persone
perdute che ci hanno lasciato e quelle che rimangono.
Quegli occhi guardano un uomo che c’è, giorno dopo
giorno. Un barlume tra i due, si riconoscono attraverso
i tavoli, attraverso una piazza inondata dal sole e una
lattina accartocciata per giocare a calcio. Non si sa
mai cosa ci si può aspettare. Christy pensa che forse è
la vita, quella che stanno guardando".
DESCRIZIONE - Juventus-Liverpool, finale di Coppa dei
Campioni, si gioca all’Heysel, il piccolo stadio di una
città bordata d’oro nel cuore dell’Europa. Christopher
Victor Hale, detto Christy, vive a Liverpool, sulle rive
del Mersey, è un tipo solitario, e per tutti è Monk. La
sua vita è stata abbandono e declino: la fuga della
madre, la malattia del padre, la vana speranza di un
lavoro. È il declino di una città e di tutto ciò che è
intorno, un’intera classe sociale cancellata dal futuro.
Domenico Dezzotti, detto il Mich, è di Rueglio, in
Valchiusella, studia Ingegneria a Torino, così vuole suo
padre. Angelo, Charlie, Miranda lo considerano un
privilegiato, e un po’ traditore. Se ne andrà dalla
valle, un po’ li ha già lasciati. Il loro mondo sta
cambiando. Partono per Bruxelles, Christy da solo e il
Mich con il resto della banda: Londra, Parigi, la
frontiera, il mare… Ad ogni tappa cresce l’attesa della
vittoria, l’aspettativa di un destino migliore. Uno
scambio di sguardi, l’attimo che lega per sempre Christy
e il Mich, complici dagli spalti immaginari di una
grande piazza che sembra uno stadio. Con un tocco denso
e lieve, in un montaggio alternato a quattro mani,
Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto raccontano Il
giorno perduto. Racconto di un viaggio all’Heysel
(66thand2nd), la storia di un giorno sospeso nel tempo e
nella memoria. La storia della vita. Dopotutto.
Nonostante tutto.
16 settembre 2015
Fonte: Cinquantalibri.com
Il giorno perduto Racconto di un viaggio all'Heysel
di Oscar Buonamano
Il giorno perduto è il racconto di un viaggio e di
una lunga attesa. Attesa che prende il sopravvento e
aiuta a non pensare sempre e in modo ossessivo
all’argomento centrale del libro: la tragedia
dell’Heysel. Ovvero tutto è costruito affinché l’evento
clou, la ragion d’essere stessa del libro, sia il punto
di arrivo della narrazione. Alla fine della lettura ci
si accorge però che l’attesa e il viaggio sono
narrazione nella narrazione, per certi versi quasi
svincolati dal contesto in cui sono inseriti. Nel breve
spazio temporale che separa la partenza dall’arrivo, i
protagonisti compiono un viaggio nel viaggio e disvelano
la propria vita come in un romanzo di formazione,
scoprendo la condizione nuova dell’età adulta. "Se
qualcuno vi racconta che gli anni Ottanta sono stati
felici, non credetegli. Sono stati terribili. Per un
paio di generazioni contemporaneamente in tutta Europa
hanno rappresentato la fine dell’adolescenza e
l’ingresso nell’illusione. Ma i film degli anni Ottanta
sono formidabili. Il cinema degli anni Ottanta è
l’adolescenza che resiste". Riflessioni e ricordi che
fanno riemergere il mondo di una gioventù che, come la
gioventù di ogni generazione, è pura perché non ancora
contaminata dalla realtà del mondo degli adulti che,
sempre, sacrifica molto sull’altare del dio denaro. Una
fauna umana vergine che si reca allo stadio per
assistere a una partita di calcio e si trova invece, suo
malgrado, ad essere protagonista di una delle pagine più
brutte della storia del calcio mondiale. "Gli viene in
mente Dalglish. In coppa non ha ancora segnato, non ce
ne stato bisogno, ma lo farà. A Lisbona è stato espulso.
Christy lo vede che riceve palla quasi di fronte alla
porta. La stoppa di coscia, si gira, tira, la palla sale
e poi si abbassa e si infila nelle sette". Una gioventù
che sogna e riesce a vedere i
propri idoli ovunque,
anche nei sogni ad occhi aperti che, sempre,
accompagnano la crescita di ognuno di noi. I due viaggi
che costruiscono la narrazione sono compiuti da un
gruppo di italiani,
tifosi della Juventus che partono
dal Piemonte con una R4 per raggiungere Bruxelles, e da
un ragazzo inglese che, solitario, raggiunge la città
che ospiterà la finale di Coppa dei Campioni. Christy,
il protagonista inglese della vicenda, "Adora il
silenzio attorno allo stadio quando non è giorno di
partita", a testimoniare una tensione, quasi, religiosa
nei confronti del calcio e dei suoi protagonisti. Per
questa ragione durante il suo viaggio verso la conquista
della Coppa "vedrà" spesso, fantasticando con la sua
mente, l’azione del possibile gol vittoria dei rossi di
Liverpool. "I viaggi, li fai per raccontarli quando
torni, pensa Angelo. Si torna sempre, altrimenti non ha
senso, un viaggio non è compiuto se non torni, pensa.
Lui è così, già ritorna, quando parte, e continua nel
racconto". Il viaggio, un topos della letteratura di
ogni tempo, è l’elemento che tiene insieme i
protagonisti della storia e le storie che compongono la
narrazione. "In ogni città e paese gli piacerebbe
visitare il cimitero: dai cimiteri si vede che cittadini
sono i residenti, pensa (…) Ovunque andrà, d’ora in poi,
visiterà il cimitero". Non solo riflessioni sul
viaggiare, ma anche sul come e sul perché viaggiare.
Viaggiare per conoscere e imparare. Per imparare a
sbagliare il meno possibile. Quando i due viaggi e i
protagonisti giungono a destinazione l’evento si consuma
in poche pagine con un poetico e religioso silenzio per
rispettare, anche a distanza di trent’anni, un dolore
mai sopito e dimenticato. "Il Mich continua ad avere
negli occhi un cavallo, in mezzo al campo, senza
cavaliere, le redini davanti alle zampe, che bruca lento
a piccoli strappi, imperturbabile". Sono pagine
struggenti. Pagine in cui le parole lasciano spazio al
bianco del foglio immacolato e trovano rifugio ora in un
angolo, ora in alto, ora in basso. A commemorare, con il
loro assordante silenzio, un lutto mai elaborato fino in
fondo. Un flusso di coscienza che avvolge e stordisce
per la potenza che, solo l’assenza, a volte, sa
restituire. E quando la tragedia si è consumata,
Cartwright e Favetto hanno la capacità di ritrovare la
leggerezza che aveva caratterizzato il loro periodare
prima che la furia assassina dell’uomo si accanisse
contro altri uomini. E dunque le reazioni dei belgi,
degli inglesi e degli italiani all’accaduto diventano il
palcoscenico ideale sul quale svelare la natura delle
rispettive culture di appartenenza. "Oh ecco, finalmente
Angelo prende un’iniziativa. Dopo tutto questo vagare
nel buio, prende in pugno la situazione. Accosta e ferma
l’auto. Tira il freno a mano, non spegne il motore e
scende. Passa davanti al cofano e viene illuminato dai
fari. Si accosta al ciglio della strada, si piega in
avanti. Barcolla. Piegato in avanti, fa ancora un passo
nell’erba e vomita. Due volte (…) Rientrando in auto,
Angelo si pulisce le labbra con le dita. "mi ha fatto
male il sigaro" dice". Leggerezza che aiuta a superare
la tragedia, ma rivela, allo stesso tempo, che il
processo di rimozione è già iniziato, anche se nulla
potrà essere più come prima. Il giorno perduto. Racconto
di un viaggio all’Heysel, Anthony Cartwright, Gian Luca
Favetto, (66THAND2ND, 2015. 330 pagine. 18,00 euro)
5 settembre 2015
Fonte: Quasirete.gazzetta.it
Stasera torna l'appuntamento con Scrittori in piazza
Presentazione del libro Il giorno perduto. Storia di
un viaggio all’Heysel
Stasera, primo appuntamento con Scrittori in piazza,
l’iniziativa che da ventuno anni, porta nella più bella
piazza di Vasto autori, lettori, musica, immagini e un
numeroso pubblico. Alle ore 21:30, con l’ autore Gian
Luca Favetto, sarà presentato il romanzo Il giorno
perduto. Storia di un viaggio all’Heysel scritto a
quattro mani da Favetto con Anthony Cartwright. Il libro
racconta la tragedia avvenuta allo stadio dell’Heysel a
Bruxelles, quando prima della finale di Coppa dei
Campioni tra Liverpool e Juventus persero la vita
trentanove persone, ne rimasero ferite seicento. Era il
29 maggio 1985. Il grave incidente fu scatenato dalla
furia degli hooligans inglesi. "Fra i diversi libri
sull’Heysel usciti in questi mesi in occasione del
trentennale della tragedia, (…) il loro è nello stesso
istante il più asciutto e il più emotivo. (...) E’ un
romanzo con molti silenzi tra le pagine, come se ormai
solo dentro il silenzio fosse possibile ricordare senza
sporcare, tenere viva la dignità senza
indebolire la memoria" si legge nella recensione
di La Repubblica, così lo recensisce: "La grande forza
del romanzo è data dalla scrittura a quattro mani di
Favetto, di
origini torinesi e dell’ inglese Cartwright, che hanno
dato vita al racconto di due viaggi paralleli con
l’unica meta dello stadio di Bruxelles: quello di
Domenico detto Mich e Christy soprannominato Monk.
Come hanno scritto i due autori, che da anni si
occupano di questo sport,
con la tragedia dell’Heysel, per la prima volta
entra nel calcio la vita quotidiana e tutto il suo
disagio e si prospetta una fine degli anni Ottanta in
cui si sono spenti i sogni e le utopie dei decenni
precedenti.
10 luglio 2015
Fonte: Ilnuovoonline.it
Recensione di "Il giorno perduto di Anthony
Cartwright", Gian Luca Favetto
di Daniel Degli Esposti
Immagina una giornata di primavera nel cuore
dell’Europa unita… 29 maggio 1985: due macchie di colore
si aggirano nelle strade di Bruxelles e inseguono un
orizzonte di stelle, solcato dalla Coppa con le Grandi
Orecchie. Juventus e Liverpool: il dominio tricolore e
diacronico dei bianconeri contro la forza rossa dei
campioni in carica; il mosaico nazionale della "Vecchia
Signora" e lo spirito "scouser" del Merseyside; le
speranze della "prima volta europea" contro le brame di
un impero calcistico. La passione di due popoli cresce
nel pomeriggio dell’attesa: la partita del secolo
appende le culle del football al filo dell’ansia:
l’attesa sospende i pensieri in un vuoto del tempo e
spalanca le porte alle ricerche dell’Io. Le domande
acquistano senso e i dubbi si riempiono d’urgenza: i
viaggi verso l’Heysel rivelano le coscienze dei tifosi e
le radici di esistenze smarrite nei fremiti della palla.
Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto riportano le
lancette del tempo alla vigilia della rottura: la notte
dell’orrore non nasce nel vuoto di un destino segnato,
ma
germoglia tra le sinapsi di un’epoca convulsa e si
alimenta nelle dita intrecciate di due sistemi opposti e
complementari. Quanti soffi d’amore per una bandiera
baciano le strade del Belgio senza la certezza di un
biglietto ! Quanti occhi si posano sul palco del trionfo
e immaginano Dalglish o Platini ! Quante mani invocano
il cielo per non subire l’ira del "bello di notte"
Boniek o per non vedere mai più le danze del grottesco Grobbelaar ? Quante vite esplorano la città dell’Europa
con la gioia di un erasmus non programmato ? Quante
schiene fremono per la paura di un coltello ? La partita
avvinghia sensazioni contrapposte agli spalti del
vecchio Heysel e l’anima nera dello sport britannico
conquista le pietre. I cancelli non filtrano, le misure
non bastano, le pietre non reggono: la morte irrompe nel
campo della gloria e lo insozza con la vergogna
dell’ipocrisia. La violenza non si cura dei confini:
l’Inghilterra proibisce i riots ? La frontiera europea
promette obiettivi e telecamere, lacrime e silenzi,
appelli alla resa e spiriti d’impresa: "the show must go
on", ma le vite dei salvati portano incise negli sguardi
le tracce dei sommersi. Gli autori rivivono i passi dei
cuori bianconeri e "reds" che non possono più battere se
non come reduci dell’indicibile: mentre gli almanacchi
salutano il rigore di Platini e il primo urlo europeo
della Vecchia Signora con la freddezza della contabilità
sportiva, due popoli si fermano a riflettere sulla
morte. Dei corpi, dello sport, di un’idea di Europa. La
festa laica delle passioni si trasforma nel fiasco della
sicurezza e nel tramonto della civiltà: gli anni Ottanta
si perdono fra il compianto dei trapassati e il bisogno
di nutrire il carrozzone dello spettacolo sportivo, ma i
respiri dei superstiti si fermano all’Heysel. Solo un
viaggio nella memoria dei singoli può spalancare gli
occhi delle generazioni che sono cresciute in un sistema
dominato da "Calciopoli" e dai cordoni di sicurezza
negli stadi: le tessere della vita semplice aggiungono
alle voci plastificate dei protagonisti un senso che si
perde tra le macerie del dolore e vaccina gli uomini
contro le banalizzazioni. L’anima del calcio è lo
spirito dell’Europa, ma il cielo di Bruxelles si chiude
sui sogni delle città della gioia: solo l’amore per il
gioco e i registri della letteratura possono recuperare
i cocci del mondo perduto e ricucire la bellezza al
tessuto sintetico del pallone. "Il giorno perduto" deve
essere ritrovato: i terremoti delle anime ferite
riprendono le scosse del XXI secolo e guidano le basi al
controllo dei vertici. Anthony Cartwright e Gian Luca
Favetto conoscono i segreti delle parole e aprono i
sentieri dell’anima con lo slancio della devozione:
l’omaggio al dolore dell’Heysel non abbandona mai la
percezione della sopravvivenza e s’immerge nella
passione sconfinata per i prati dell’identità europea. E
se la risposta si nascondesse tra i brividi degli inni:
la "storia di un grande amore" che "non camminerà mai
solo" ? Se le note e le liriche fossero le vibrazioni
della rinascita ? Se gli omaggi ai campioni che non
muoiono madre diventassero la risposta alla morte del
calcio giocato ? Speranze e sogni di un futuro acceso
dall’amore o illusioni deliranti di un’anima ingenua ?
La risposta si perde nel dolore insostenibile del 29
maggio 1985; solo il sorriso di Borges redimerà lo sport
dalla macchia dello scandalo: "Ogni volta che un bambino
prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la
storia del calcio". Prosit.
3 luglio 2015
Fonte: Rivistaunaspecie.com
La strage all’ Heysel: se la finale di coppa diventa
un inferno
di Massimiliano Panarari
ANALISI - Nell'anniversario del massacro Gian Luca
Favetto e Anthony Cartwright raccontano la tragedia da
due punti di vista: quelli di una coppia di tifosi
avversari, per scoprire cosa cambiò per sempre da quel
giorno.
"I viaggi, li fai per raccontarli quando ritorni",
dice uno dei personaggi di questo libro. Anche se,
malauguratamente, il fato potrebbe decidere che non si
farà ritorno a casa, come nel romanzo, ispirato a una
tristemente famosa storia vera (e nera) dello scrittore
inglese Anthony Cartwright e del drammaturgo e
giornalista Gian Luca Favetto, pubblicato dalla casa
editrice indipendente 66thand2nd, che ha scelto di
caratterizzarsi, in maniera alquanto originale per il
nostro Paese di ultratifosi non sempre consapevoli,
lavorando sulla dimensione culturale alta dello sport.
Il giorno perduto (traduzione di Daniele Petruccioli,
pp. 330, euro 18) racconta una delle tragedie che hanno
segnato l'immaginario europeo contemporaneo (e in
particolare quello di noi italiani), la finale di Coppa
dei campioni tra la Juventus di Platini e il Liverpool
di Grobbelaar il 29 maggio del 1985, all'interno del
piccolo stadio Heysel di Bruxelles. La "partita del
secolo" che si converte un film dell'orrore e in una
strage nella quale morirono 39 persone e ne rimasero
ferite oltre 600. Forse l'evento archetipico per
eccellenza, entrato di prepotenza nella nostra memoria,
della catastrofe sportiva, e un manifesto tragicamente
realizzato della violenza ferina e della furia
nichilista degli hooligans nordeuropei. Favetto e
Cartwright rileggono con una intensa forza narrativa ed
emotiva quel giorno maledettissimo e quella che, nel
dolore e nel lutto, per l'incastrarsi dei comportamenti
irresponsabili, ottusi e sanguinari di alcuni degli
attori di quelle ore, si potrebbe chiamare a ragione una
"tempesta perfetta" (dove l'aggettivo, ovviamente, si
attanaglia alla concatenazione degli errori e delle
follie che portarono all'ecatombe). Gli autori scelgono
di narrare l'accaduto attraverso i flussi di coscienza e
i movimenti del viaggio di due protagonisti "erranti",
il solitario e introverso Christopher Victor Hale (detto
Christy, ma per tutti Monk) da Liverpool, e l'esuberante
Domenico Dezzotti (detto il Mich) da Rueglio, nel
Canavese, partito con la compagnia degli amici del paese
che si sentono un po' snobbati e traditi perché si è
trasferito a Torino a studiare Ingegneria. Supporter
delle opposte fazioni e, per certi versi, alter ego dei
due scrittori, le cui storie e i cui vissuti interiori
scorrono in un montaggio alternato, fino a che le loro
vicende parallele si intrecciano, per un attimo, in quel
giorno famigerato. Due parabole individuali diverse, ma
accomunate da un crescendo di aspettative e da un'idea
di "riscatto": per il ragazzo inglese, la chiusura con
un'esistenza da loser, piena di umiliazioni, in nome,
finalmente, dell'assunzione del proprio destino; per
quello italiano, la conquista di una vita meno
inautentica, in cui smetterà di essere quello che
vogliono gli altri per diventare più libero. Ed è il
viaggio, tòpos sempiterno della letteratura, a modellare
le loro prospettive e attese, e a farle infrangere
all'arrivo a destinazione, in quel giorno perduto che
per un'intera generazione di giovani rappresentò un
drammatico rito di passaggio all'età adulta e al
mutamento del mondo degli (di questo incolpevoli) anni
Ottanta.
3 luglio 2015
Fonte: La Repubblica (Supplemento Il Venerdì)
Destini incrociati e poi spezzati nella strage
dell’Heysel
di Angelo Carotenuto
Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto raccontano le
vicende parallele di due tifosi: uno italiano, l'altro
inglese.
Bill Shankly è stato un meraviglioso signore
scozzese. Prima calciatore, una mezzala, poi allenatore.
Se un giorno la città di Liverpool è stata grande nel
calcio, lo deve a lui. Quando i giornali inglesi
compilano le loro liste con le venti, le cinquanta, le
cento frasi più belle pronunciate nel mondo del calcio,
ecco, Bill Shankly lo trovate di sicuro. Per esempio.
"Alcuni credono che il calcio sia una questione di vita
o di morte. Sono molto deluso da questo atteggiamento.
Vi posso assicurare che è molto, molto più importante di
questo". Ma Bill Shankly era morto già da quattro anni
la notte in cui il calcio si fece macello, corpi nel
vuoto, fili di ferro nella carne, poliziotti smarriti
che vomitavano a centrocampo. Perché "a volte il destino
ti prende in bocca e salpa", come scrivono a quattro
mani Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto, inglese il
primo, torinese l'altro. Fra i diversi libri sull'Heysel
usciti in questi mesi in occasione del trentennale della
tragedia - trentanove morti e seicento feriti dentro uno
stadio prima della finale di Coppa dei Campioni fra
Juventus e Liverpool - il loro è nello stesso istante il
più asciutto e il più emotivo. Il giorno perduto
(66thand2nd, 329 pagine, 18 euro) è un romanzo con molti
silenzi fra le pagine, come se ormai solo dentro il
silenzio sia forse possibile ricordare senza sporcare,
tenere viva la dignità senza indebolire la memoria.
Cartwright e Favetto amano il calcio, se ne sono già
occupati nei loro libri precedenti. Qui mettono una
accanto all'altra le storie parallele di Domenico detto
Mich e Christy soprannominato Monk, i loro viaggi che
cominciano da due città diverse e che hanno la stessa
destinazione, Bruxelles, la sera del 29 maggio 1985. Il
montaggio alternato dà grande forza visiva alle pagine
(i passaggi di Cartwright sono tradotti in italiano da
Daniele Petruccioli ). Un incrocio, impossibile da
dimenticare, prima di una tragedia e di una partita
regolarmente giocata perché "l'assurdo è così banale che
le squadre entrano in campo. A un romanzo pieno di
suggestioni, da Marcinelle a Mennea; un romanzo che
racconta il vuoto degli anni Ottanta, pieno di posti
molto distanti ma molto uguali, di generazioni che hanno
avuto in quel periodo magnifica musica, magnifici film e
delusioni tremende. L'Heysel è un solco. Una volta
passato, si smette di essere giovani. L'Heysel mette in
crisi l'utopia dei decenni precedenti, la strada, il
viaggio, l'avventura. L'Heysel, come scrivono Cartwright
e Favetto, ha messo vite sbagliate nel posto sbagliato
al momento sbagliato, portando drammaticamente per la
prima volta la realtà quotidiana e tutto il suo disagio
dentro il calcio: come in fondo aveva intuito Shankly,
certamente scherzando, e per fortuna sua senza mai
accorgersi che invece aveva previsto il vero. Ma anche
se l'esistenza non ha senso non ha direzione, non è
invano, ricorda".
3 luglio 2015
Fonte: La Repubblica
"Il giorno perduto" e la tragedia della Coppa dei
Campioni ’85
di Miriam Di Veroli
Erano le 19.20 del 29 maggio 1985. Juventus e
Liverpool si preparavano per scendere sul campo dello
stadio Heysel, Bruxelles, e giocarsi la finale della
Coppa dei Campioni, l’attuale Champions League. I tifosi
inglesi - i cosiddetti hooligans - cominciarono a
spingersi verso la curva che credevano destinata ai
tifosi juventini, i quali invece si trovavano dal lato
opposto. A questi ultimi, a causa della polizia belga
che credeva di poter facilmente arrestare quell’inizio
di sommossa, vennero chiuse le vie d’accesso e si
trovarono così ammassati contro al muro. Quel muro, alla
fine, crollò. Morirono 39 persone e ne rimasero ferite
più di 600. A trent’anni da questa tragedia, definita
Tragedia dell’Heysel, Gian Luca Favetto (La Repubblica)
e Anthony Cartwright (definito da molti come degno erede
della letteratura inglese) con assoluta delicatezza ci
immergono ne Il giorno perduto (edito da 66THAND2ND). È
un romanzo che comincia e si conclude con questo tragico
evento, ma che vuole lasciare molto di più. Quattro
ragazzi italiani partono - dopo aver accuratamente
organizzato ogni singolo dettaglio del viaggio, comprese
le donne con le quali
festeggeranno la sperata vittoria
- da Breglio grazie ad una Renault R4, che nel corso del
racconto assume una sembianza mistica; in ogni angolo di
quest’auto sono racchiuse speranze e sogni differenti -
chi il divertimento, chi unicamente la vittoria della
squadra tanto amata, chi semplicemente di laurearsi o
ancora prima di trovare la propria strada - bagnati da
birra calda e cibo improvvisato comperato in qualche
piccolo market lungo la strada. Nello stesso momento, a
Newport, un altro ragazzo della stessa età lascia la sua
casa: stessa destinazione, cammino diverso, e non solo
per la disorganizzazione e i mezzi di fortuna. Monk
(questo è il soprannome di Christy, che lascia intendere
tutto) vive una situazione difficile a causa di una
madre che l’ha abbandonato, un padre visto come un eroe
caduto per una grave malattia che lo paralizza in casa e
un amore finito che non si rassegna a liberare dalla sua
morsa quel "sopravvissuto all’adolescenza".
Attraversando in treno l’intero stato, e poi facendo
l’autostop, Christy ci dona i suoi vissuti personali,
sperando forse in un controtransfert di qualche compagno
immaginario che poi si incarnerà nel lettore. "Ma siamo
a Torino, non a Los Angeles". L’avvenire di questi
giovani quasi uomini è legato a un filo, che somma
fantasia e vitalità. Ma la vitalità non è sempre palese:
tanto quanto i quattro ragazzi italiani cantano,
suonano, scherzano e litigano in quell’automobile, con
la stessa intensità il fragile inglese si mette in
viaggio, decidendo inconsciamente così di affrontare per
la prima volta veramente tutta la sua vita gocciolante,
cercando una fine (o un inizio) che non sia malinconia.
"Se li guardi da fuori, ora che l’R4 scodinzola accanto
alla foresta di Fontainebleau, vedendo le loro teste che
ingombrano l’abitacolo, zeppe di pensieri, capelli,
desideri, ti accorgeresti che sono dei sopravvissuti
all’infanzia e all’adolescenza. Così elucubra il Mich,
abituato a estraniarsi da ciò che gli accade intorno.
Guarda fuori. Prima di mettere a fuoco il paesaggio, gli
occhi si fermano sull’immagine riflessa nel vetro:
riconoscono il tipico ventenne sopravvissuto
all’adolescenza". Il bello della vita è la casualità:
basta una lattina di fortuna a scacciare quella
malinconia che sembrava non volersene andare nemmeno per
un secondo. E invece, per addirittura qualche minuto,
quella stessa malinconia cede e va forse a nutrirsi in
qualche pub, in vista già del viaggio di ritorno. Questo
capita a Christy, che grazie ad un’occhiata complice si
scrolla per un attimo quel suo precoce sentirsi finito
e, senza chiedersi nemmeno perché, si ritrova dentro ad
una "partitella" improvvisata del gruppo di ragazzi
italiani sulla Grand Place. Se questo non fosse
successo, Favetto e Cartwright avrebbero comunque fatto
acquistare al gruppo italiano il loro sigaro "della
vittoria" in una tabaccheria gestita da un loro
compatriota, ma forse Monk non sarebbe tornato a casa
più consapevole e non sarebbe diventato adulto. Quel
gesto di amicizia gratuito ha permesso ad uno dei
giovani italiani - ormai uomo - di tornare a Bruxelles,
di ordinare un drink e con lo stesso sguardo di molti
anni prima riconoscere un viso familiare in mezzo a
tanta gente sconosciuta: il viso di quel ragazzo
inizialmente spaurito che in quell’idilliaco pomeriggio
giocò insieme al suo gruppo di amici con quella lattina.
Una lattina indimenticabile, come indimenticabili sono
tutte quelle persone che rimasero coinvolte in quella
che doveva essere una serata storica per gli amanti del
calcio e che invece si trasformò in una serata di lutto
universale che ancora perdura.
29 giugno 2015
Fonte: Fascinointellettuali.larionews.com
Il giorno perduto - Anthony Cartwright e Gian Luca
Favetto
di Luca Sanguinetti
Sono passati trent’anni dalla strage dell’Heysel
dove, prima della finale di coppa dei Campioni fra
Juventus e Liverpool, morirono
39 persone, di cui 32 italiane, e ne rimasero
ferite oltre 600. Una pagina dello sport europeo che
lascia dietro di sé molti dubbi , interrogativi e tante
dolorose cicatrici. In questo libro due autori diversi,
per lingua e per generazione, rievocano quella
drammatica giornata narrando la storia di due gruppi di
tifosi che partono dai loro rispettivi paesi diretti
entrambi verso Bruxelles. Il titolo del libro ci fa
subito capire la prospettiva degli autori. Il racconto
non è basato semplicemente sul giorno della tragedia, ma
piuttosto sui giorni che la precedono descrivendo le
aspettative di chi si apprestava a raggiungere la
capitale belga per vedere la partita. L’idea degli
scrittori è stata di descrivere quegli eventi dalla
prospettiva di un gruppo di quattro ragazzi italiani,
provenienti da un piccolo borgo della Valchiusella, e di
un solitario inglese nato e cresciuto a Newport piccolo
sobborgo industriale vicino a Liverpool. Tutti i
personaggi vengono identificati spesso da un soprannome,
ma se per quanto riguarda gli italiani il nomignolo è
riferito ad una
caratteristica fisica o ad un’abilità
calcistica, per quanto riguarda l’inglese Charlie il
chiamarlo Monk, ovvero monaco, serve subito a far capire
al lettore il carattere schivo, solitario e taciturno.
Quattro amici, molto legati fra loro, si preparano e
partono con una vecchia Renault 4 da Breglio per
raggiungere Bruxelles dove si augurano che la Juventus,
la loro squadra del loro cuore, vinca la Coppa dei
Campioni. In Inghilterra vive a Newport Christy un
ragazzo della loro stessa età. Il ragazzo inglese, a
differenza degli italiani, vive una situazione di
disagio famigliare per la fuga della madre e per la
lenta malattia del padre. Monk, il soprannome dato dagli
autori al personaggio inglese, si sente sempre solo e
gli unici momenti in cui si sente vivo sono quando è nel
Kop ovvero, insieme ad altri tifosi, in curva. Il suo
desiderio di partire verso Bruxelles è dominato dal
senso di fuga verso una città ed un paese (l’Inghilterra
dell’era Thatcher) che non gli permette di trovare
un’occupazione e quindi di sentirsi realizzato
socialmente. Nel gruppo degli italiani c’è Domenico Dezzotti detto Mich studente del Politecnico di Torino,
Angelo Peraglie ex ribelle ed ora mite impiegato alla
Olivetti, Charlie dai mille soprannomi operaio edile ed
infine Mario Morello, detto Miranda, commesso presso il negozio
della nonna. Ragazzi diversi fra loro per tipo di
famiglia e studi, ma legati da un passato comune nei
campi di calcetto e per l’amore per il loro beniamino
locale Koetting umile riserva nella Juventus dei grandi
campioni. Ognuno dei quattro, nel viaggio verso la
capitale belga,
avrà aspettative e sogni diversi, chi come il
Mich cercherà di capire se continuare a studiare, chi
come Angelo e Miranda una festa con belle ragazze
francesi o
come Charlie l’unico pensiero sarà gridare, ai quattro
venti, il suo amore per la squadra del cuore. Se il
gruppo degli italiani è, a prescindere dalle differenze,
un gruppo unito Cristy sarà, per sua scelta, sempre solo
ed anche quando avrà l’opportunità di unirsi ad altri
tifosi, come un ombra, scivolerà via verso una
solitudine che rimane l’emblema della sua persona. I
quattro amici italiani
insieme a Cristy ed altri inglesi
si ritroveranno insieme, poche ore prima della tragica
partita, a giocare amichevolmente una partita di calcio
nella piazza più rappresentativa di Bruxelles la famosa
Grand Place. Sembra un tripudio di festa testimoniato
dalle parole degli autori ("Questo è un carnevale, negli
spiazzi erbosi al bordo della strada palloni di cuoio e
palle da spiaggia si rincorrono di qua e di là in un
gioco improvvisato, rimbalzato fra i gruppi di tifosi.
E’ uno stringersi di mani, darsi pacche sulle spalle tra
quelli del Liverpool e della Juve-chiacchierano nelle
loro lingue differenti" pag. 275). Il dramma finale
tutti lo conoscono, ma la resa stilistica ed anche
grafica è particolare scandita da poche parole perse nel
bianco della pagina "ma le parole, insieme ad ogni
ragione, spariscono nel vuoto" ed ancora "Il poliziotto
che reggeva le redini non è più in sella. Gattona a
quattro zampe e vomita nel cerchio di centrocampo, dove
è piombato il vuoto". Queste pagine presenti nella parte
finale del libro, esattamente nel capitolo diciottesimo,
non sono numerate appositamente e presentano ampi spazi
bianchi vuoti
quasi a testimoniare l’incapacità di esprimere
l’orrore di quei momenti.
26 giugno 2015
Fonte: Gliamantideilibri.it
Il giorno perduto: l'ultimo libro sull’Heysel
di Valerio Rosa
Una lunga linea retta che, nelle vite di molti
giovani diventati adulti nei primi anni Ottanta,
registra una frattura, un impazzimento del diagramma,
quasi uno spartiacque: è la tragedia dell'Heysel.
"I giorni sono passati, nessuno uguale all'altro. Mai
che una cosa sia stata per sempre o da sempre. Da quando
la vita per lui ha cominciato a correre, da quando è
uscito dall'adolescenza - il luogo dove il tempo non va
da nessuna parte e si ripete - il tempo è diventato una
freccia e un'unica direzione, avanti, sempre avanti su
un piano inclinato di ascisse e ordinate". Una lunga
linea retta che, nelle vite di molti giovani diventati
adulti nei primi anni Ottanta, registra una frattura, un
impazzimento del diagramma, quasi uno spartiacque: è la
tragedia dell'Heysel.
Trentanove vittime, sepolte e
resuscitate da fiumi di retorica; uccise più volte
dall'orgogliosa e compiaciuta bestialità di mandrie da
stadio, che usano ricordarle in cori e striscioni da
codice penale; altrimenti accantonate dalla fredda
contabilità dei decessi, dal disagio postumo di chi
c'era e non fece abbastanza, dalla colpevole ansia di
rimuovere e normalizzare. Eppure quelle vite spezzate, e
le vite di chi riuscì a salvarsi, portandosi dietro per
sempre il ricordo dell'incubo, erano fatte della stessa
sostanza e delle stesse illusioni della gente comune: in
gran parte erano studenti, operai, impiegati, working
class heroes capitati nel posto sbagliato al momento
sbagliato, uno stadio belga la sera del 29 maggio 1985.
A loro è dedicato Il giorno perduto, romanzo di Anthony
Cartwright e Gian Luca Favetto (ed. 66thand2nd), che
segue con un montaggio alternato i viaggi verso
Bruxelles di un timido ragazzo inglese e di quattro
esuberanti italiani, amici d'infanzia di Giovanni Koetting, promettente riserva della Juventus di
Trapattoni. L'inglese ha un passato difficile, calendari
ricchi di caselle vuote, assenze, una solitudine
disperata, lo spettro della disoccupazione negli anni
cupi dell'ultraliberismo thatcheriano. Gli italiani
delirano, sbruffoneggiano, sproloquiano di imprese
amorose e trionfi sportivi, senza alcuna fretta di
mettere la testa a posto. Esistenze irrisolte, ancora in
bilico: "A metà strada fra paradiso e inferno c'è il
purgatorio, Il purgatorio è lo 0-0, che non si sblocca
ai supplementari, nemmeno con i calci di rigore, neppure
con la monetina, io testa tu croce, l'arbitro lancia e
la monetina non ricade, si impantana di taglio nel
terreno e non dà soluzione". Modi diversi di stare al
mondo e di combattere la propria battaglia quotidiana,
che il contatto diretto con l'inferno della follia umana
uniranno nella consapevolezza di essere sopravvissuti e
di avere, nonostante tutto, una vita da vivere.
17 giugno 2015
Fonte: Corrieredellosport.it
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Isabella Ferretti
(Editrice 66thand2nd)
Flatlandia.radiondadurto.org (Giugno 2015)
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All'Oasi del lettore a Campo Marzo incontro
con Isabella Ferretti e Gian Luca Favetto
Sabato 13 giugno, alle 18.30, l'Oasi del Lettore in
Campo Marzo, gestita dall’associazione culturale Spritz
Letterario, ospiterà Isabella Ferretti, editore
indipendente di 66THA2ND e uno dei suoi autori Gian Luca
Favetto, poeta, drammaturgo, critico teatrale e
cinematografico, giornalista di Repubblica. Insieme
parleranno della casa editrice, delle sue collane e del
romanzo scritto a quattro mani "Il giorno perduto",
racconto di un viaggio all'Heysel, da Gian Luca Favetto
e Anthony Cartwright. Il viaggio, a volte, è già una
storia. Racchiude in sé l’avventura, le gesta memorabili
di una vita, la trama di un racconto che resiste agli
anni, la promessa di un’esistenza diversa, piena e
felice. Juventus-Liverpool, finale di Coppa dei
Campioni, si gioca all’Heysel, il piccolo stadio di una
città bordata d’oro nel cuore dell’Europa. Christopher
Victor Hale, detto Christy, vive a Liverpool, sulle rive
del Mersey, è un tipo solitario, e per tutti è Monk. La
sua vita è stata abbandono e declino: la fuga della
madre, la malattia del padre, la vana speranza di un
lavoro. È il declino di una città e di tutto ciò che è
intorno, un’intera classe sociale cancellata dal futuro.
Domenico Dezzotti, detto il Mich, è di Rueglio, in
Valchiusella, studia Ingegneria a Torino, così vuole suo
padre. Angelo, Charlie, Miranda lo considerano un
privilegiato, e un po’ traditore. Se ne andrà dalla
valle, un po’ li ha già lasciati. Il loro mondo sta
cambiando. Partono per Bruxelles, Christy da solo e il
Mich con il resto della banda: Londra, Parigi, la
frontiera, il mare… Ad ogni tappa cresce l’ attesa della
vittoria, l’aspettativa di un destino migliore. Uno
scambio di sguardi, l’attimo che lega per sempre Christy
e il Mich, complici dagli spalti immaginari di una
grande piazza che sembra uno stadio. In questo romanzo
denso e lieve, scritto a montaggio alternato, Anthony
Cartwright e Gian Luca Favetto raccontano il loro
Heysel, la storia di un giorno perduto, sospeso nel
tempo e nella memoria, che è la vita dopotutto,
nonostante tutto.
12 giugno 2015
Fonte: Comune di Vicenza (Comunicato stampa)
Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto / Il giorno
perduto
di Luigi Mauriello
Il calcio rende giuste esistenze sbagliate. Vite allo
sbando - potrebbero essere la mia, la tua, quella di
chiunque - incapaci di trovare un luogo in quello che
vedono davanti a sé. Un posto, un punto nel cielo, lo
trovano invece, per un attimo, i ragazzi che reggono i
sogni dell'attesa verso Il giorno perduto (66thand2nd
edizioni), protagonisti di un romanzo felicemente
costruito frase dopo frase, passaggio dopo passaggio, da
Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto. "Questa mia
piccola vita vado a farla risplendere all'Heysel" è il
pensiero corale dei protagonisti, quello che tiene
strette le loro esistenze traballanti di significati e
certezze e li accompagna nella
storia che stanno per
vivere: da Torino e Liverpool, città operaie, verso un
giorno, una partita, un destino: la finale di Coppa dei
Campioni del 29 maggio 1985 a Bruxelles. Prima di
diventare una sentenza piantata nella Storia e nelle
nostra coscienze, l'Heysel è stato uno stadio,
inosservato, quasi anonimo, finito per caso nel cuore
dell'Europa. Prima di porsi come uno spartiacque
dimenticato, l'Heysel è stato il punto di arrivo delle
speranze di Domenico Dezzotti detto il Mich, studente di
ingegneria a Torino e di Angelo, Miranda, Charlie, tutti
tifosi della Juventus e della leggerezza di ogni
gioventù. Ma l'Heysel è stato anche un cambio di marea,
un'immensa speranza: è così che immagina Christy,
ragazzo solitario di Liverpool, in cerca di un lavoro,
che nel suo viaggio verso la finale fugge
dall'incredibile peso del suo mondo, schiacciato dagli
anni dell'era thatcheriana, dalle ingiustizie sociali,
dalle pessime condizioni della working class inglese.
Con la forza miracolosa della scrittura, Cartwright e
Favetto tengono insieme due esperienze apparentemente
lontane e le fanno sembrare una cosa sola, un unico
viaggio che ritorna al cuore per riscattare l'umanità
perduta per sempre in quel giorno tragico. Il potere
salvifico delle storie sembra regalare un tributo a
quelle vite, oltre l'indifferenza indegna dello
spettacolo che si è perpetuato, incurante dell'orrore.
Il giorno perduto raccoglie con umiltà l'eredità di
quelle trentanove vittime, i pensieri e lo spirito di
chi, dimenticando le proprie ingiustizie quotidiane, era
arrivato all'Heysel per coronare un sogno, dare senso
almeno una volta a una vita che di senso ne aveva poco.
Ma sono il calcio, una partita, uomini che si guadagnano
la vita tirando a calci un pallone a tirare in ballo i
sogni di altri uomini, dove la vittoria si intreccia con
l'aspettativa di un avvenire migliore. Sono i sogni che
avevano i morti dell'Heysel e quelli dei ragazzi che gli
vanno incontro, sfiorandoli soltanto. Sono le persone
che trovano sulla loro strada, le esistenze che non ci
sono più, le tragedie del Novecento con cui fanno i
conti, le miserie della condizione umana. A trent'anni
dall'Heysel e da quel giorno perduto, la letteratura
scoperchia la memoria e fa il suo dovere, riporta
dignità e di vita a ciò che abbiamo perso nel mondo ma
che dobbiamo conservare nel ricordo.
8 giugno 2015
Fonte: Finzionimagazine.it
A tu per tu con… Gian Luca Favetto e Antony
Cartwright
di Luca Sanguinetti
Quest’anno ricorre il trentesimo anniversario della
tragedia dell’Heysel a Bruxelles dove, poco prima della
partita fra Juventus e Liverpool, morirono trentanove
persone e oltre seicento rimasero ferite. Il
salone del libro di Torino di quest’anno è stata
l’occasione per intervistare due scrittori, uno
italiano, Gian Luca Favetto, e l’altro inglese, Antony
Cartwright, che a quattro mani hanno fatto rivivere
quella drammatica giornata nel loro libro "Il giorno
perduto: racconto di un viaggio all’Heysel". La
particolarità di questo libro è stata la decisione dei
due autori d’immaginare le aspettative ed i sogni di
italiani ed inglesi prima della partita attraverso due
viaggi, uno di un gruppo di amici della Valchiusella e
l’altro di un giovane solitario inglese di Newport,
entrambi diretti verso la capitale belga.
Il primo pensiero che mi è venuto leggendo il tuo
libro è il titolo che per me simboleggia l’occasione
mancata. Un giorno che fino all’ultimo sa di festa,
descritto bene dalla partita di calcio nella
piazza centrale di Bruxelles, ma soprattutto da questa
frase "E’ uno stringersi di mani, darsi pacche sulle
spalle tra quelli del Liverpool e quelli della Juventus"
(pag. 275), ma che all’improvviso si tinge di sangue e
di orrore. Come hai scelto questo titolo ?
"La decisione del titolo non fu facile perché
l’editore voleva che in poche parole riassumessimo il
senso del libro per cui ci confrontammo molto fra di
noi. L’idea però mi venne una volta in cui ero rilassato
in montagna ed assistevo, per caso, alla preparazione
di una festa di paese con tutta la passione ed il
coinvolgimento che c’è nel celebrare un evento che si
aspetta con trepidazione. Ho immaginato lo stato d’animo
di ragazzi che hanno aspettato un evento, per loro
memorabile, e poi all’improvviso dopo aver viaggiato dal
loro paesino fino al centro dell’Europa tutto svanisce
colorandosi di sangue".
Mi sono chiesto, in un momento in cui vanno di moda i
grandi campioni e le grandi star del passato pubblicano
le loro autobiografie, cosa t’abbia spinto a mettere nel
tuo libro come riferimento, per dei giovani tifosi di
quel periodo, un giocatore come Koetting ai più
sconosciuto ?
"Nel romanzo abbiamo sempre cercato di creare una
sorta di contrasto nel viaggio parallelo dei giovani
protagonisti. Gli italiani sono un gruppo coeso di
quattro amici che provengono da un paesino di campagna,
mentre Christie l’inglese è un solitario, caratterizzato
bene dal suo soprannome Monk, che viene da Newport una
città industriale inglese. Cosi in questa forma di
contrasti,
mentre l’inglese
ha nel romanzo come beniamini due grandi stelle
del calcio inglese come Ian Rush e Dalglish, abbiamo
scelto che il giocatore di riferimento per gli italiani
non dovesse essere famoso. Nel mio paese, dice Favetto,
ha vissuto questo giocatore Koetting è quindi m’è
sembrato logico sceglierlo come personaggio di
riferimento per i quattro amici juventini".
Il viaggio come momento di passaggio per tutti i
protagonisti. Mi sembra che nel tuo libro, attraverso le
voci sia dei quattro italiani che del giovane inglese,
ci sia una visione chiara del passato, una
consapevolezza del momento presente, ma il futuro sembra
sfumato, come un ombra misteriosa di cui avere paura.
Hai pensato ai giovani d’oggi
che nella costante precarietà vedono il futuro
incerto quando hai fatto chiedere ai tuoi personaggi
cosa desiderassero per il loro futuro ? (Cit. "Qual è il
desiderio più forte ? Cosa desideriamo per il nostro
futuro ? pag. 221)
"Nel libro s’è cercato di fondere due temi che sono
spesso presenti sia nella vita che nella letteratura. Il
primo tema, presente in ogni cultura ed in ogni epoca, è
quello del passaggio dalla giovinezza all’età adulta e
l’altro è quello di come i giovani di ogni generazioni
debbano affrontare ciclicamente le crisi economiche e
sociali. Il modo scelto per affrontare questo passaggio
è stato il viaggio verso una meta specifica dove c’è un
prima fatto di speranze e sogni, ma, obbligatoriamente,
alla fine di questo percorso ci sarà un futuro che si
dovrà affrontare".
Com’è stato per te che (forse) hai vissuto quella
giornata rivivere nella scrittura quel tragico
giorno ? Il giorno perduto.
"Ho
pensato che per rendere meglio l’idea dovessi entrare
nei miei personaggi e rivivere le loro vite. Io ed il
mio collega inglese abbiamo pensato di dilatare il tempo
dei protagonisti e vivere con loro la preparazione della
trasferta, il lungo viaggio verso Bruxelles e la
giornata stessa della partita. Credo che solo togliendo
il nostro vissuto, ma immaginando lo stato d’animo di
cinque adolescenti diversi
con i loro sogni e le loro speranze si potesse
cogliere al meglio quei momenti".
Mi ha colpito l’impotenza dell’allenatore del
Liverpool di fronte allo scempio di quei teppisti. Avevi
in mente un immagine specifica quando hai descritto il
suo tentativo, quasi solitario, di arginare quella turba
scatenata ?
"L’allenatore del Liverpool Joe Fagan era un simbolo
della classe operaia (working class) che si sentiva
fiero del suo esser parte della comunità attraverso il
lavoro. Una persona che credeva nell’integrità, nel duro
lavoro e nella collaborazione all’interno di un gruppo.
Fagan aveva visto la follia della guerra e non capiva
come si potesse riprodurre nuovamente il caos
incontrollato. L’immagine che m’è venuta in mente è
quella di un capitano solo in mezzo alla burrasca che
cerca di governare
una nave oramai in preda alle onde sempre più
alte e minacciose".
C’è un motivo particolare per cui l’inglese Chrystie,
detto Monk, viaggia da solo ?
"L’inglese viaggia da solo perché doveva
rappresentare al meglio l’isolamento ed il dolore di chi
viveva e vive nelle
grandi città dominate dalla fabbrica. Crystie
sente la solitudine ed il fallimento come, tanti della
sua generazione, per la mancanza del lavoro. Crystie può
solo rifugiarsi nella curva quando va allo stadio, ma
lì, tra loro, non troverà mai delle vere amicizie. Nel
suo viaggio l’inglese avrà più volte l’occasione di
unirsi ad altre persone, ma non riuscirà mai, non solo
per la sua timidezza, ma soprattutto perché la città
l’ha fatto sempre sentire piccolo, un puntino minuscolo
che non riesce ad emergere. Monk rappresenta
l’isolamento che prova l’uomo quando si sente solo ed
indifeso di fronte ad una folla spesso indifferente ai
problemi del singolo".
2 giugno 2015
Fonte: Gliamantideilibri.it
La tragedia di Heysel e il destino di due ragazzi
di Federica D'Amato
In libreria "Il giorno perduto", vite che si
incontrano nello stadio in cui cambia la storia del
calcio
Cosa hanno in comune sport e letteratura ? Una cosa
fondamentale: la capacità di esprimere, al loro meglio,
il significato di un'intera vita: lo sport attraverso la
bellezza e la grazia del gesto atletico, la letteratura
perché bacino inesauribile di storie, di possibilità
d'esistenza e sogno. Quando queste due forme di
espressione dell'umano si incontrano, si aprono nuove
ipotesi di vita all'interno del modo in cui noi
intendiamo e rielaboriamo il mondo; ne è prova evidente
"Il giorno perduto" (66tha2nd Edizioni, pp.329, €18)
scritto a 4 mani da Anthony Cartwright e Gian Luca
Cartwright, un libro tagliente e allo stesso tempo
commovente incentrato, come metafora e motore della
storia, sulla tristemente nota tragedia dell'Heysel. Per
chi non lo ricordasse (difficile !) o lo sapesse, il 29
maggio 1985 - esattamente trent'anni fa - nello stadio
dell'Heysel, in Belgio, fu disputata la finale di Coppa
di Campioni tra Juventus e Liverpool; poco prima
dell'inizio della partita una minoranza ubriaca e
violenta della tifoseria inglese si scagliò contro i
tifosi della Juventus accalcati nel settore Z,
spingendoli a indietreggiare fino a un muro che, sotto
il peso della ressa, cedette, schiacciando e uccidendo
ben 39 persone. Una tragedia immane, una pagina
nerissima all'interno della storia del calcio, il cui
fantasma torna ad agitarsi ogni volta che una
incresciosa notizia di cronaca si lega al nome di stadi
e tifoserie. E' su tale tragedia che il duo
Cartwright-Favetto innesta la rivoluzione intorno a cui
si gioca ogni vita degna di essere chiamata tale,
l'esperienza di un giorno dove partire, alla volta del
Belgio, per far accadere tutto quello che non abbiamo
mai potuto fare o diventare, tutto quello che
irrimediabilmente andrà perduto, forgiandolo al fuoco
della Storia e della memoria. Protagonisti Christopher
Victor Hale, detto Christy, che vive a Liverpool, sulle
rive del Mersey, chiamato Monk dagli amici: la sua vita
è stata abbandono e declino a causa della fuga della
madre, la malattia del padre, la vana speranza di un
lavoro. E il declino di una città e di tutto ciò che è
intorno, un'intera classe sociale cancellata dal futuro.
Poi c'è Domenico Dezzotti, detto il Mich, di Rueglio, in
Valchiusella, che studia Ingegneria a Torino, proprio
come vuole suo padre; gli amici Angelo, Charlie e
Miranda lo considerano un privilegiato, e un po'
traditore, perché andrà via, li lascerà alla loro inedia
di provincia. E' il mondo di tutti che sta cambiando,
così partono per Bruxelles: Christy da solo e il Mich
con il resto della banda, attraverso Londra, Parigi, la
frontiera, il mare, in attesa della grande vittoria come
metafora di un destino migliore. Alla fine tutto si
giocherà tra il clamore della violenza e il silenzio di
uno scambio di sguardi tra Christy e il Mich, l'attimo
che li salderà per sempre al segreto della grande sfida
che ognuno di noi, in un giorno perduto nel tempo,
lancia alla promessa del futuro.
2 giugno 2015
Fonte: Il Centro
Heysel, quel calcio alla civiltà
di Barbara Baroni
Trentanove morti e oltre seicento feriti. Non è il
bollettino di una battaglia ma i tristi numeri di una
partita di calcio. Accadeva esattamente trent’anni fa
(29 maggio 1985) allo stadio Heysel di Bruxelles per la
finale della Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool.
Perché il calcio, oggi, è anche questo: sangue, morte e
violenza. La casa editrice 66thand2nd ha appena
pubblicato il romanzo "Un giorno perduto" di Anthony
Cartwright e Gian Luca Favetto dove, seguendo le regole
di un racconto alternato, i due autori si interrogano
sulla memoria individuale, e collettiva, di questa
insopportabile tragedia: "Trentadue italiani, quattro
belgi, due francesi, un nordirlandese - si legge nel
libro - e seicento feriti. Intorno tutto è infinito.
Voci suoni colori deflagrano e raggiungono il silenzio.
Sono le 21.40. L’assurdo è così banale che le squadre
entrano in campo". Domenico Dezzotti detto Mich,
studente al Politecnico di Torino; Angelo Peraglie, ex
ribelle impiegato alla Olivetti; Carlo detto Charlie,
operaio; Mario Morello detto Miranda come la nonna che
l’ha cresciuto partono da Rueglio, paese delle valli
piemontesi, con una Renault 4 per raggiungere in Belgio
il loro amico Gianni Koetting, riserva nella Juve, e
inseguire un sogno: la Coppa dei Campioni. È il viaggio
di una vita, da assaporare a parole prima ancora di
averlo vissuto - pallone, donne e boccali di Chimay. E
poi via, oltre le Alpi e attraverso la Francia fino a
Bruxelles, teatro della grande sfida sul campo da
calcio. Il viaggio, la passione per il pallone e per la
propria squadra, la gioia di partecipare ad un
avvenimento importante e poter dire, al ritorno, io
c’ero come Angelo: "I viaggi, li fai per raccontarli
quando torni, pensa Angelo - si legge nel libro - Si
torna sempre, altrimenti non ha senso, un viaggio non è
compiuto se non torni, pensa. Lui è così, già ritorna,
quando parte, e continua nel racconto". Tutto fa
presagire ad un evento speciale, divertente,
entusiasmante. E quando zio Guerrino snocciola le
proprie storie di guerra tirando lunghe boccate ad una
Camel nessuno pensa che si possa tornare ad inciampare
in corpi senza vita, questa volta, però, caduti sugli
spalti di uno stadio. "La maggior parte dei morti li ho
visti nel dicembre del 1944… O ammazzavi o morivi e, se
non ammazzavi tu, ci pensava il freddo… C’erano ventidue
gradi sotto zero nella foresta dove stavamo, in prua
alla frontiera, di qua dal Reno… Io sono andato sotto le
armi nel maggio del 1938 e sono venuto a casa
nell’agosto del 1945, ho fatto sette anni… Quando sono
tornato, non mi conoscevano più…". La guerra è una
merda, dice lo zio ma meno male che c’è il calcio… Già,
meno male che c’è il calcio: un calcio dove non si può
tenere il fiato sospeso al fischio d’inizio perché
nessuno può sentirlo; un calcio dove non si può esultare
al gol di Michel Platinì perché non siamo al 57° minuto
di una partita ma agli oltre 200 minuti di guerriglia;
un calcio che vede esultare i calciatori mentre ad un
lato del campo si ammucchiano i cadaveri. "Quando
l’arbitro fischia tre volte, il tradimento è consumato.
La televisione continua con le notizie sulla guerriglia
e sulla tragedia. Nel salotto di Pierre e Augustine la
gioia dei giocatori juventini è un disagio spossato,
un’angoscia sfibrante e collosa. L’aria è
appiccicaticcia". Questo libro racconta di un viaggio,
un viaggio che nessuno avrebbe mai voluto fare.
30 maggio 2015
Fonte: Sociale.corriere.it
Ritorno all’Heysel trent’anni dopo
di Valeria Nicoletti
Un racconto a quattro mani, a montaggio alternato,
dai campi della Valchiusella e dai sobborghi di
Liverpool, direzione Bruxelles, una traversata in auto
lunga trent’anni fino al 29 maggio 1985. S’intitola Il
giorno perduto. Racconto di un viaggio all’Heysel, il
romanzo di Gian Luca Favetto e Anthony Cartwright, edito
da 66thand2nd.
"Sarà mica una città Bruxelles ! È una vacanza. Una
vacanza di città abitata da stranieri - tutti forestieri
nel cuore dell’Europa, anche i belgi residenti. Il suo
centro ha qualcosa di fuori dal tempo, pensa, è un
abbozzo di futuro con dentro molto passato: come se
mancasse il presente". È il racconto di un’occasione
mancata, sospesa nella memoria, il romanzo sulla
tragedia dell’Heysel, il giorno della finale di Coppa
dei Campioni tra Juventus e Liverpool, trent’anni fa, di
Gian Luca Favetto, scrittore, giornalista e drammaturgo
torinese, e Anthony Cartwright, autore originario del
Black Country, nelle Midlands occidentali inglesi, terra
di miniere di carbone, fonderie di ferro e centri
siderurgici. Un’avventura letteraria che parte da due
geografie diverse, "raccontate in una lingua diversa",
riporta Gian Luca Favetto, "confluite nella scrittura,
dove uno è stato il primo lettore dell’altro e siamo
arrivati alla fine ad adottare quasi un linguaggio
comune, ritmicamente affine". Favetto, in italiano, e
Cartwright, in inglese (con traduzione di Daniele
Petruccioli), raccontano il primo le storie di Charlie,
Mich, Angelo e Miranda, quattro "sopravvissuti
all’adolescenza" che partono in una Renault 4 bianca
dalla Valchiusella, e il secondo il viaggio di
Christopher, detto Christy, 23 anni, poche aspirazioni,
fuoriuscito dalla generazione dei minatori distrutti
dall’amianto. Una cronaca settimanale della preparazione
alla finale di Coppa dei Campioni,
di un buco nero nella
storia dello sport internazionale, ma anche dell’epilogo
di una generazione, di uomini che, tirando un calcio a
un pallone, erano finiti nei sogni di altri uomini, il
lieto fine perduto di disperazioni singole e
irreparabili. Una narrazione che si dilata, giorno dopo
giorno, seguendo il viaggio, la vera posta in gioco,
ancora prima del fischio d’inizio. Si parte allora, ma
l’immaginazione del viaggio si rivela più intensa del
viaggio stesso: la strada che dai sobborghi di Liverpool
porta a Bruxelles ha lo stesso grigio della periferia,
"il treno scivola in una interminabile schiera di case
popolari, casermoni lunghi e stretti e facciate fatte
con la ghiaia tipiche del dopoguerra", si piomba in un
fotogramma di un vecchio film di Mark Herman, "Grazie,
signora Thatcher", ci si aspetta da una pagina all’altra
di sentire gli ottoni della banda dei minatori in
sciopero suonare per l’ultima volta, prima di soccombere
al giro di vite della lady di ferro. E anche dalla
Valchiusella, poco lontano da Torino, la strada sembra
annientare, una dopo l’altra, le illusioni della
partenza, anche la piazza più famosa di Londra, Piccadilly Circus. Quando c’è una bolgia si dice "sembra
Piccadilly Circus", e adesso eccola qua, proprio di
fronte a lui, ma questa folla non è niente, rivoli di
persone senza meta". L’eccitazione sembra dissolversi
nei chilometri, "tre giorni fa si bagnava in Chiusella e
ora è qui e non sa che cosa volere". Vorrebbe non
desiderare di essere altrove, per una volta, vorrebbe
godersi quello che sta vivendo, quello che sta
aspettando, godersi l’ora il minuto il luogo dove si
trova e, arrivati di fronte allo stadio, anche il famoso
Heysel pare quasi il Pistoni di Ivrea. "Christy non ha
un lavoro, ha 23 anni, non è un ancora un uomo ma non è
più un ragazzo", racconta Cartwright, "il tifo per la
squadra di calcio se lo ritrova quasi tra le mani, come
unico appiglio per darsi un’identità". Christy parte per
vedere il Liverpool, ma anche per sfuggire all’apatia
del confine acqueo del mondo, la riva del fiume Mersey
dove ha trascorso tutta la vita, alle domande della
nonna, ai polmoni del padre che traboccano di amianto, a
una vita scandita dai sussidi di disoccupazione. Per
essere finalmente "un uomo, con una meta, un uomo che
allargherà la sua cerchia di conoscenze", anche se ha
ancora i soldi in tre posti diversi, come gli ha
consigliato la nonna prima di prendere il treno. La
partita era l’inizio di tutto, di una esistenza altra.
Allo stadio dell’Heysel non poteva che essere così,
c’era stato anche Mennea. "Grande Mennea, porta fortuna
!". La Grand Place, il 29 maggio 1985, poche ore prima
del fischio d’inizio, non esiste, è un luogo smarrito
nel "viavai delle persone, a gruppi chiassosi, a coppie,
a tribù, singole figure solitarie, turisti, cittadini
frettolosi, giovani, vecchi, bambini tenuti per mano; un
affollamento in quell’angolo, un altro laggiù; mute di
tifosi inglesi, con sciarpe, birre e schiamazzi; gli
italiani festosi e invadenti; due poliziotti, quattro,
cinque, soltanto cinque poliziotti; grida, cori,
canzoni: non fai in tempo a registrarlo, e tutto per un
attimo svanisce - il lungo attimo in
cui, mentre entri,
si manifesta la piazza". La piazza appare fugace, "è il
luogo dove io e Anthony ci siamo incontrati, di persona,
alla fine del nostro viaggio", racconta Favetto,
svelando il dietro le quinte del libro, "abbiamo rifatto
i passi che i nostri protagonisti avrebbero potuto fare,
gli stessi che qualcuno avrà sicuramente fatto quel
pomeriggio di trent’anni fa".
"Non ridete", è
un’ammonizione preventiva quella di Favetto, alla
presentazione del libro, "ma abbiamo voluto fare poesia,
raccontare una storia e non restituire i fatti, creare
letteratura e non trascrivere una cronaca". Nelle pagine
finali, la narrazione di quello che accadde tra le 19.21
e le 21.40 all’Heysel è diluita nello spazio bianco del
foglio: "per raccontare i fatti, abbiamo dovuto
allontanarci", una pura scelta stilistica, si lascia
spazio a qualche trafiletto di giornale, a ricordi
confusi e poi ai nomi e alle età delle 39 vittime, il
settore Z compare una sola volta. La letteratura diventa
rarefatta, anche graficamente, come se i ricordi fossero
frammenti che scivolano da un lato all’altro della
pagina, rimasti lì in un angolo della testa dopo
trent’anni. "Era un bellissimo imbrunire", riporta
Favetto. La narrazione rallenta. Poi solo un presagio,
la promessa di non dividersi, di ritrovarsi alla
macchina insieme per festeggiare, ma "c’è il rumore di
qualcosa che crolla, un gusto di polvere, un po’ di
intonaco cade dall’alto, dai muri dello stadio, si
disintegra nell’aria e tocca terra come il ticchettio
della pioggia. Vede una macchia di cemento scoperto,
come un livido. Non sa in quanti ci avranno fatto caso.
Pensa a quei palazzi abbandonati, con gli squarci aperti
sui muri – gli alberi ci crescono dentro. Se ci sarà
casino, dice a sé stesso, scapperà". Dopo, solo macerie,
disillusione, la partita che non è più una finale, ma la
fine di tutto, non è solo una tragedia assurda, perché
l’assurdo non basta, anzi "è così banale che le squadre
entrano in campo", si continua a giocare e la vittoria
viene liquidata in poche righe, con il luccichio
sbiadito di una coppa alzata in uno stadio cadente e una
schiera di spettatori immobili, cadaveri, sotto le
rovine degli spalti. "In Inghilterra, la tragedia
dell’Heysel si confonde in un periodo buio, provocato
dalla crisi, dalle politiche di Thatcher, dalla
disoccupazione, 56 persone erano morte l’11 maggio dello
stesso anno, in un incendio allo stadio di Bradford",
racconta Cartwright, "quello che sentivamo era una
sensazione di sconfitta, di essere inevitabilmente
passati dalla parte di chi aveva perso", di essersi
lasciati sfuggire anche l’ennesima occasione per
risalire. Dopo trent’anni, Christy, Mich, Charlie,
Miranda, Angelo sono ancora lì. Alcuni sono morti, altri
no, sembra quasi che alla fine non faccia differenza,
qualcosa è andato via per sempre alle 19.21 di
trent’anni fa. Sono lì, a confrontare obiettivi e
risultati, a fare un bilancio tra quel pomeriggio alla
Grand Place e quello in un caffè di Parigi, cosa è
rimasto, cosa è andato via. Quale vita è stata la loro,
quanti sogni sono annegati, quante illusioni lasciate
andare sulle rotaie, abbandonate una volta per tutte,
lungo il viaggio di ritorno. Molto è scivolato via nel
tempo, per fortuna. Perché "c’è un limite a quello che
una persona può portarsi dentro". Si fa una selezione
dei ricordi, tra quelli più innocui, con cui si può
riuscire a convivere. "La memoria è una scelta, non un
obbligo", è istinto di sopravvivenza.
29 maggio 2015
Fonte: Qcodemag.it
Antony e Gian Luca, le due curve in un libro
di Matteo Massi
"Bodini ha la faccia da terzino. E poi ha giocato la
finale di Supercoppa. Questa volta tocca a Tacconi".
Parlano così Mich, Angelo, Charlie e Miranda (che è
maschio ma lo chiamano in quel modo in onore della zia
tabacchina). Sono arrivati all’Heysel, confondendo
qualche "dare precedenza" con la loro R4 dalla
Valchiusella, nel Torinese. Chissà che cosa sta pensando
invece, Christy, a Liverpool lo chiamano il Monk,
l’altro protagonista del romanzo "Il giorno perduto"
(66thand2nd editore) scritto a quattro mani da un
inglese, Anthony Cartwright, e da un italiano, Gian Luca
Favetto. Nei loro occhi, prima della tragedia, una sola
immagine: la Grand Place di Bruxelles. Il luogo della
festa sperata. È l’unico monumento della città che mette
tutti d’accordo. La piazza giusta per festeggiare. Ma
non sarà una festa. Nemmeno per la Juve che alzerà la
sua prima Coppa Campioni. È la notte dell’Heysel. I due
autori del libro, a trent’anni di distanza, provano a
raccontare con quattro personaggi il prima e il durante
(più che altro fuori dallo stadio). Perché il dopo è
ancora difficile da raccontare nonostante siano passati
sei lustri. Anche se i due capitoli, quello iniziale e
quello finale, sono ambientati nel 2015. Le storie dei
protagonisti si intrecciano e sono direttamente legate
al loro rispettivo contesto. C’è la normalità, talvolta
difficile, raccontata in questo 1985 scandito
dall’approssimarsi di questa finale di Coppa Campioni.
Che finirà poi con lo squarciare definitivamente quella
normalità e mostrare in mondovisione il sangue e
l’orrore in quella che doveva essere solo una partita di
calcio.
29 maggio 2015
Fonte: La Nazione
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Intervista di Elena Masuelli (La Stampa)
a Gian Luca Favetto del 29.05.2015
|
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"Il giorno perduto" : Heysel, 29 maggio 1985
di Paolo Corio
Juventus-Liverpool: la finale maledetta di Coppa dei
Campioni e un viaggio che cambia le vite dei
protagonisti di un romanzo firmato da Favetto e
Cartwright.
"Uomini che vanno alle finali di Coppa dei Campioni.
Il sole invade l'abitacolo, Hans strizza gli occhi
avvolto dal fumo della sigaretta, Christy guarda i
cartelli a lato della strada e il bagliore che piove di
taglio sulla campagna, sul continente, Lille, Bruges,
Reims, nomi di campi di battaglia, di campi di pallone e
di cimiteri, Amiens, Arras e Mons, mentre loro due vanno
verso il sole e ridono, una conversazione fatta di nomi
di uomini che si guadagnano la vita tirando calci a un
pallone ed entrano nei sogni di altri uomini". Uomini
che vanno alle finali di Coppa dei Campioni, appunto.
Anche se quella sarà la finale peggiore di tutte,
ricordata per sempre perché lo stadio si trasformerà
proprio in un campo di battaglia con 39 morti e oltre
600 feriti. E con i corpi senza vita raccolti a bordo
campo dagli improvvisati soccorritori, mentre un cavallo
solitario - altra immagine surreale di una realtà
paradossale - bruca l'erba dell'Heysel dopo essere stato
abbandonato dal suo cavaliere, un poliziotto belga
impegnato a vuotarsi lo stomaco per la nausea di tutto
l'orrore visto. Sì, quella finale è la tragica
Juventus-Liverpool del 29 maggio 1985, che a 30 anni di
distanza - oltre che reclamare un necessario ricordo
come chiesto dalla ricostituita Associazione familiari
vittime dell'Heysel -
ha ispirato "Il giorno perduto", romanzo a
quattro mani di Gian Luca Favetto ed Anthony Cartwright,
edito da 66thand2nd proprio a ridosso dell'anniversario.
Uno scrittore italiano e uno inglese, già autori in
passato di ottime storie di calcio ("A undici metri
dalla fine" per Favetto, "Heartland" per Cartwright),
come italiani e inglesi sono i protagonisti di un
viaggio a Bruxelles, destinazione Heysel, che cambierà
le loro vite e che avrà un'appendice esattamente
trent'anni dopo. Da una parte gli juventini Domenico
Dezzotti (detto "Mich"), Mario Morello (detto
"Miranda"), Carlo Stura (detto "Charlie", "Tiger" e in
tanti altri modi ancora) e Angelo Peraglie, proprietario
di nessun soprannome ma della R4 che li porterà dalla
Valchiusella in Belgio per una trasferta che li farà poi
ripartire verso nuove vite. Dall'altra Christopher
Victor Hale, detto Christy oppure "Monk", perché del
monaco ha i lunghi silenzi e il vivere lontano dalle
folle, eccezion fatta per la Kop, la mitica curva del
Liverpool dove però "nessuno ti dedica troppa
attenzione, al massimo un'occhiata di sbieco, ogni
discorso è rivolto al campo": anche per lui, con un
padre malato terminale e una madre in fuga per il mondo,
quel viaggio da solo verso l'Heysel porterà a drastici
cambiamenti. Non prima di aver incrociato il destino
degli altri quattro sulla Grand Place di Bruxelles:
giusto il tempo di una giocata di strada, che non sarà
però mai dimenticata proprio come quella maledetta
partita.
25 maggio 2015
Fonte: Panorama.it
Quel giorno perduto
di Pasquale Coccia
Ultrasport - Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto
scrivono a quattro mani un romanzo che segue i tifosi da
Liverpool e da Torino (ed. 66thand2nd).
Trent’anni fa la finale di Coppa Campioni, oggi
Champions League, ebbe come epilogo una tragedia con
alcune decine di morti allo stadio Heysel di Bruxelles.
Poco prima del calcio d’inizio, in un piccolo stadio
assiepato fino all’inverosimile, le tifoseria bianconera
e quella dei Reds del Liverpool erano divisi da una
recinzione del tutto inconsistente per frenare la furia
degli hooligans inglesi, che in massa avevano deciso di
attaccare il settore bianconero. Lo spostamento
improvviso di alcune migliaia di corpi, cui si aggiunse
quello dei bianconeri, provocò il cedimento delle
tribune, il soffocamento e lo schiacciamento dei tifosi
che cercavano una via di fuga. Morirono in tanti, ma i
più furono gli juventini. Una morte ignorata dalla
spettacolo della partita, che si disputò comunque, in
nome dello spettacolo che doveva continuare.
L’indicazione che arrivò dalla Rai al telecronista fu
quella di tenersi sul vago, di ignorare il più possibile
il riferimento a quei corpi privi di vita, che giacevano
uno di fianco all’altro sotto le tribune, questa volta
senza distinzione di tifo. Corpi inermi che indossavano
le maglie della Juventus o del Liverpool (N.D.R.
All’Heysel non è morto nessun tifoso del Liverpool !), e
al collo le sciarpe delle rispettive squadre, mentre le
due compagini in campo disputavano la finale. La Juve
usufruì di un rigore realizzato da Platinì, alzò la
coppa al cielo e fece un giro festoso intorno al campo.
Quella tragedia fu rapidamente rimossa dalla chiacchiera
del Bar Sport Italia, che proprio in quegli anni
prendeva piede, dalle Tv private al nefasto Processo del
Lunedi di Biscardi in onda su Rai 3. Una tragedia caduta
nell’oblio, sostituita dalla costruzione festosa degli
stadi di Italia ’90 e dalle tangenti che rimpinguavano
le casse dei partiti della prima repubblica. A chi
appartenevano quei corpi posti uno a fianco all’altro
all’Heysel ? Alle periferie degradate di Torino e di
Liverpool (N.D.R. Repetita iuvant: all’Heysel non è
morto nessun tifoso del Liverpool !), dove la classe
operaia aveva rispettivamente perso con i 35 giorni
dello sciopero alla Fiat e la rimozione della scala
mobile, e con il pugno di ferro di Margaret Thatcher
sullo sciopero dei minatori inglesi. Anthony Cartwright,
scrittore nato nel Black Country inglese e già noto al
pubblico italiano con il romanzo sportivo Heartland,
ambientato durante i mondiali di calcio del 2002, e Gian
Luca Favetto di Torino, da angolazioni diverse
raccontano il lungo viaggio dei tifosi dalle rispettive
città fino all’Heysel nel bel libro Il giorno perduto
(66thand2nd, 18 euro).
L’attesa e la lunga preparazione sono scanditi dai
due scrittori attraverso i protagonisti, giorno per
giorno lungo l’ultima settimana fino alla partita della
morte. Quegli anni Ottanta vacui e terribili, i peggiori
del secolo scorso, dopo quelli del fascismo, sono uguali
un po’ dappertutto nel vecchio continente: "Se qualcuno
vi racconta che gli anni Ottanta sono stati felici, non
credetegli. Sono stati terribili. Per un paio di
generazioni contemporaneamente in tutta Europa hanno
rappresentato la fine dell’adolescenza e l’ingresso
nell’illusione. Ma i film degli anni Ottanta sono stati
formidabili. Il cinema degli anni Ottanta è
l’adolescenza che resiste" dice Domenico, uno dei
ragazzi che con gli amici parte in auto da Torino alla
volta di Bruxelles. Superato il confine, in Francia la
sosta a casa di parenti dei ragazzi torinesi è
d’obbligo, zii e cugini sparsi in un’area geografica
circoscritta, manodopera meridionale chiamata in forze a
Milano e Torino, nel sud della Francia e in Belgio. In
viaggio verso Bruxelles anche Christy, un ragazzo
solitario di Liverpool alla ricerca vana di un lavoro,
che vive sulle rive del Mersey e per qualche giorno
lascia il luogo piatto e grigio dove vive con suo padre:
"Il treno scivola in un paese di interminabili schiere
di case popolari, casermoni lunghi e stretti e facciate
fatte con la ghiaia tipiche del dopoguerra". Antony
Cartwright è nato e vissuto in quei luoghi e come pochi
sa descrivere la vita nelle case piccole e fatiscenti
della working class, trascina con forza il lettore nello
squallore degli agglomerati urbani nati vicini alle
miniere: "Ci sono miniere anche nel Kent, vicino a
Dover, è lì che è diretto… Christy ha seguito lo
sciopero con suo padre, sera dopo sera al telegiornale.
Non c’era molto da dire, papà si stava ammalando.
Guardavano insieme il telegiornale poi il quiz o un film
con Harold Lloyd o Tarzan, un po’ di sollievo in bianco
e nero dalla dura realtà che c’era fuori, la dura realtà
che avevano dentro. Mangiavano toast con fagioli e
bevevano tè". Ai chiassosi torinesi, descritti da Gian
Luca Favetto, capaci di far silenzio solo tra le tombe
di un cimitero belga, a poche decine di chilometri da
Bruxelles, per ricordare 262 minatori gran parte dei
quali italiani, morti a seguito della tragedia di
Marcinelle, di cui l’anno prossimo cade il sessantesimo
anniversario, Cartwright contrappone il silenzio intorno
allo stadio, quando non è giorno di partita, tanto
adorato da Christy, una sensazione simile alla massa dei
corpi che sono a stretto contatto tra loro poco prima
del fischio d’inizio, quando ruotano intorno al pilone
per l’accesso allo stadio, come i 39 corpi messi in fila
uno accanto all’altro dei tifosi periti all’Heysel il 29
maggio del 1985. Un giorno perduto, che il romanzo di
Antony Cartwrigth e Gian Luca Favetto, scritto a
montaggio alternato, restituisce alla nostra memoria
indebolita dalla chiacchiera sportiva quotidiana.
23 maggio 2015
Fonte: Ilmanifesto.info
Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto - Il giorno
perduto
di Gianluigi Bodi
Si può parlare di qualcosa di così terribile e triste
anche senza scadere nel patetico, senza far leva sul
facile sentimentalismo da centro commerciale, senza
scadere nei meccanismi della lacrima da strappare a
tutti i costi. Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto
raccontano ne "Il giorno perduto" la triste vicenda
della tragedia dell’Heysel con un esercizio di pura
letteratura, eppure una lacrima scende. Per chi non
sapesse cos’è l’Heysel. L’Heysel è il nome di uno
stadio, ma è anche il nome di una tragedia. Finale di
Coppa dei Campioni 85 tra Juventus e Liverpool. Poco
prima dell’inizio della partita una frangia ubriaca e
violenta della tifoseria del Liverpool carica i tifosi
della Juventus stipati nel settore Z. Spinti dalla paura
i tifosi indietreggiano, fino a che non incontrano un
muro che delimitano uno degli ingressi al campo. Il muro
cede. 39 persone muoiono CALPESTATE e SCHIACCIATE. Ho
affrontato questo romanzo con molta cautela,
avvicinandomi a piccoli passi. La strage dell’Heysel è
una di quelle cose che ricorderò con tristezza per tutta
la vita. Quella sera ero davanti alla TV, come milioni
di altri spettatori, per guardare una partita. Ho visto
la bestialità umana. Per questo e per altri motivi
desideravo ardentemente che "Il giorno perduto" non
fosse un’operazione commerciale. Un tentativo di
speculare sul sentimento relativo a quel fatto di
sangue. Per rispetto alla memoria, per rispetto delle
famiglie di chi non c’è più. Mano a mano che le pagine
scorrevano, mentre facevo conoscenza con Christy e con
la controparte italiana Mich e i suoi amici, mi sono
trovato a sprofondare in un romanzo denso e toccante. Da
una parte un ragazzo schivo e solitario, soprannominato
Monk. Dall’altra un gruppo di amici, che si è portato
gli strumenti per suonare e far festa, che pensa alle
ragazze e al futuro. I due autori ci presentano due
parti di uno schieramento che, prima di arrivare allo
stadio, si sfiorerà nella Grand Place, con il suo essere
essa stessa una sorta di stadio. Con il suo essere forse
il palcoscenico ideale per una sfida più grande della
sfida calcistica, la sfida al futuro. Una marcia di
avvicinamento ad un giorno, un luogo, un evento, che
strapperà a molti la giovinezza. Perché non tutti quelli
che sono usciti vivi da quella esperienza l’hanno
lasciata alle spalle. Uno dei motivi che mi fa dire che
Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto sono riusciti a
passare indenni attraverso le sabbie mobili del ricordo
e del rispetto di questo ricordo è lo stesso motivo che
mi fa dire di aver letto un romanzo toccante. Sono
riusciti ad umanizzare le vittime e i carnefici. Sono
riusciti a costruire il percorso che li ha portati lì
quella sera, non solo un percorso spaziale, ma anche
temporale. Leggendo, non puoi far meno di apprezzare la
loro vitalità, i loro difetti, il loro odio, la loro
fede calcistica. La strage dell’Heysel è qualcosa che
non si può dimenticare. E’ la stessa tifoseria juventina
a chiederlo. Ci sarebbero questioni riguardanti il
rapporto tra tifosi e società in riferimento a questo
particolare evento che sono importanti, ma non possono
essere sviluppate all’interno di quella che è, a tutti
gli effetti, una recensione. Mi piace pensare che ci
sia, da parte di Cartwright e Favetto la volontà di
conservare questo ricordo attraverso la storia. Ho
conosciuto Favetto, ci ho parlato alcuni minuti e ho
percepito l’urgenza di raccontare un fatto così distante
nel tempo che continua ad avere effetti sul presente.
Chiedete alle famiglie di chi non c’è più. Chiedete a
chi da quello stadio è uscito a metà.
Anthony Cartwright è nato nel 1973 a Dudley, nel
Black Country inglese. Ha pubblicato tre romanzi, The
Afterglow, How I Killed Margaret Thatcher e Heartland
(66thand2nd, 2013), ambientato durante i mondiali di
calcio nippo-coreani del 2002 e selezionato tra i
finalisti del Commonwealth Writers’ Award: Best Novel.
Gian Luca Favetto è nato nel 1957 a Torino. Poeta,
giornalista, scrittore, drammaturgo, collabora con "la
Repubblica" e con Radio Rai. Ha ideato il progetto
"Interferenze fra la città e gli uomini". Tra gli ultimi
libri: "Se dico radici dico storie", le poesie
"Mappamondi e corsari", l’audiolibro "I nomi fanno il
mondo", il romanzo "La vita non fa rumore", il racconto
"Un’estrema solitudine".
La traduzione della parte inglese di questo libro,
quella scritta da Anthony Cartwright, è stata affidata a
Daniele Petruccioli. Ho avuto modo di chiedergli com’è
stato tradurre questo libro e la sua risposta mi sembra
possa sintetizzare bene qualsiasi commento: dura, come
al solito. Grazie a 66thand2nd per aver pubblicato
questo romanzo.
19 maggio 2015
Fonte: Senzaudio.it
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ANTONY CARTWRIGHT
(Salone del Libro di Torino)
Flatlandia.radiondadurto.org
16.05.2015 |
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Redazione Salone del Libro
Un viaggio particolare per ricordare la tragedia
dell'Heysel
di Maria Teresa Giannini
All'indipendent's Corner, gli autori del libro Il
giorno perduto, Gian Luca Favetto e Anthony Cartwright
hanno rievocato, a trent'anni dalla tragedia
dell'Heysel, quello sciagurato 29 maggio 1985 in cui,
allo stadio di Bruxelles, la finale di Coppa Campioni
fra Juventus e Liverpool fu insanguinata dagli scontri
fra tifoserie, tanto da portare allo spaventoso bilancio
di 39 morti e 600 feriti. Alla presentazione, guidato
dallo spiritoso e coinvolgente Paolo Verri, i due autori
hanno spiegato la natura del loro romanzo a quattro
mani. "Avevo solo 11 anni ed ero davanti alla tv con mio
padre quando si consumò la tragedia: ricordo benissimo
lo speciale della Bbc che ne parlava - ha esordito
Cartwright - era una sfida molto attesa e ricordo lo
sgomento da parte mia quando seppi che cosa stava
succedendo lì fuori". "Ho un fermo immagine molto
preciso di quel pomeriggio. La Juve aveva faticato molto
per arrivare in finale ed io con i miei amici avevamo
preparato tutto: pizza, bibite, perfino le posizioni
davanti alla televisione - ha rievocato Favetto -
Sembrava una sorta di rito propiziatorio. Tutto però
s'interruppe con l'annuncio di Bruno Pizzul e quei
minuti di schermo buio". I due autori hanno poi
ripercorso la trama del libro, sostenendo di aver voluto
deliberatamente parlare di due diversi tipi di tifosi in
viaggio perché non sembrasse una "commemorazione di
parte" e perché il lettore potesse assaporare, in quella
lunghezza che solo un lungo percorso offre, tanto
l'attesa per la partita quanto la diversità dei contesti
inglese e italiano. Mentre infatti il gruppo di ragazzi
italiani è una comitiva affiatata di provincia, che
partendo si lascia alle spalle la grande città
industriale, il tifoso inglese si mette in viaggio da
solo, schivo e un po' pieno di sé, nel contesto della
classe media britannica dell'epoca tatcheriana. "La
violenza hooligans non è figlia del caso - ha spiegato
Cartwright aprendosi al pubblico - Sono nato negli anni
'80 e so bene che era parte integrante della classe
operaia inglese di quegli anni che, naturalmente, si
ripercuote anche nei momenti ludici di grande
aggregazione, come il calcio". Nel libro però non c'è
solo dolore e tristezza ma traspare anche un certo amore
per il suono delle parole, "quasi fosse una serie di
virtuosismi jazz - come ha sostenuto Favetto - Leggere
questo libro è bello e intenso perfino in inglese, letto
da Anthony, malgrado io non conosca la sua lingua: resta
quel piacere e quella musicalità così simile alle
canzoni con cui noi tutti amiamo accompagnarci durante i
viaggi e sono sicuro che il lettore lo
avvertirà".
16 Maggio 2015
Fonte: Salonelibro.it
Favetto: "Heysel ’85, quel giorno perduto da non
dimenticare"
di Vera Schiavazzi
UN LIBRO scritto a
quattro mani, dove ciascuno scrittore è anche il primo
lettore dell'altro. Il che, per Gian Luca Favetto, è la
cosa più importante, "altrimenti non si direbbe
letteratura ma scritteratura". "Il giorno perduto"
(66thand2nd) è la storia di un viaggio verso Bruxelles
compiuto da due parti dell'Europa, la Valchiusella nel
Torinese e Liverpool, in Inghilterra, da quattro ragazzi
tifosi, e con Favetto l'ha scritto Anthony Cartwright.
Come è andata?
"È stata una cosa sorprendente. L'editore me
l'ha proposto e subito ho pensato che volevo farlo, sia
per l'idea di essere in due sia per la storia, quel
giorno di trent'anni fa che nella memoria di tantissimi
che conosco è rimasto come qualcosa che non si vuole
ricordare. Conosco gente che non è andata più allo
stadio, o non è più tornata in Belgio".
Avete scritto a distanza?
"Alcune parti insieme, altre separatamente
inviandocele l'uno con l'altro. A settembre ci siamo
trovati a Bruxelles per parlarci e costruire una mappa,
e ci siamo trovati. Ci siamo raccontati i nostri
personaggi, il suo Christy, un cuore solitario detto da
tutti Monk, e i miei, Mich di Rueglio che fa ingegneria
e forse non la finirà, Angelo, Charlie, Miranda (che è
maschio ma viene chiamato così dal nome della zia
tabacchina) e la loro R4. Tutti partono la domenica,
Monk lo fa in treno e in traghetto, e attendono con
ansia la partita".
Un'avventura?
"Esattamente. Tutti sono in cerca di una
ragazza, o pensano già di averla, tutti vedono la Grande
Place di Bruxelles e ne restano estasiati, pensano che è
lì che dovrebbe svolgersi la partita, e lì ci sarà la
festa, poiché entrambe le tifoserie pensano di avere la
vittoria in tasca. E si preparano, si caricano in attesa
della gara".
Come finisce? Qualcuno di loro muore
all'Heysel?
"È difficile da dire. Ma due capitoli, il
primo e l'ultimo, sono ambientati ora, nel 2015. Il
nostro racconto è un po' un sabato del
villaggio, spiega soprattutto quel che succede prima.
Poi, quella partita è vuoto, gelo, orrore. Un giorno
perduto, dove chiunque ha memoria si ricorda dov'era, ma
che si preferirebbe non ricordare. E naturalmente non
posso svelare il finale ".
Naturalmente. Che cosa
si aspetta da questo Salone?
"Le meraviglie, naturalmente, come dal
titolo. Sono curioso di vedere in che modo e con quali
immagini le meraviglie italiane ci saranno".
16 maggio 2015
Fonte: La Repubblica.it
Trent'anni fa la tragedia dell'Heysel
di Massimo Grilli
Due libri rivivono e romanzano la tragedia dei 39
morti, per gli incidenti occorsi prima della finale di
Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool allo stadio
di Bruxelles.
Trent’anni fa il calcio perdeva definitivamente la
sua innocenza. Heysel, 29 maggio 1985. Finale di Coppa
dei Campioni, a Bruxelles, Juventus contro Liverpool. Le
vittime della strage furono trentanove. Il più giovane,
Andrea Casula, era un bambino di undici anni. Oggi,
trent’anni dopo, le immagini che i giornali d’epoca o il
web consegnano alla nostra memoria somigliano a quelle
di una sorta di olocausto. E mentre scriviamo queste
righe, reduci dalla quotidiana violenza cui assistiamo
nei nostri stadi, ci chiediamo se quell’immane tragedia
è servita a qualcosa. Il dubbio resta. Come restano -
loro sì utili - tutte le testimonianze su quella notte.
Perché niente vada dimenticato, sono usciti in questi
giorni due libri che partono da punti di partenza
diversi ma si fermano allo stesso approdo, lì dove il
dolore diventa memoria condivisa.
Ne "Il giorno perduto" - romanzo potente che non
lascia indifferenti, scritto da un inglese, Anthony
Cartwright e da un italiano, Gian Luca Favetto - la
storia è filtrata dallo sguardo di due ragazzi: Christy,
di Liverpool, e Domenico, detto Mich, arrivato a Torino
da un paese di montagna per studiare ingegneria. Per
entrambi il viaggio a Bruxelles si configura presto non
soltanto come una storia di tifo, bensì come un percorso
di vita, una vita che per Christy e Mich sta svoltando.
Il cambiamento ci sarà, ma segnato dal sangue di quei 39
morti, il cui ricordo non li abbandonerà più. (Furio
Zara) … Omissis (Vedi Articolo gemello nella pagina del
libro di Desiati) IL GIORNO PERDUTO, di Anthony
Cartwright e Gian Luca Favetto, edizioni 66thand2nd, 329
pagine, 18 euro.
15 maggio 2015
Fonte: Corrieredellosport.it
Bologna: Il giorno perduto Racconto di un viaggio
all’Heysel
di Giulia Tardelli
27 maggio 2015 presso Libreria modo infoshop a
Bologna. Un libro di Anthony Cartwright e Gian Luca
Favetto
Di Rueglio, paese delle valli piemontesi, che montano
su una Renault 4 per raggiungere in Belgio il loro amico
Gianni Koetting, riserva nella Juve, e inseguire un
sogno: la Coppa campioni. È il viaggio di una vita, da
assaporare a parole prima ancora di averlo vissuto -
pallone, donne e boccali di Chimay. E poi via, oltre le
Alpi e attraverso la Francia fino a Bruxelles, teatro
della grande sfida sul campo da calcio. Oltremanica,
sulle sponde del Mersey, vive un loro coetaneo, Christy
detto Monk, un ragazzo solitario costretto a fare i
conti con la fuga della madre e con la lenta malattia
del padre, di cui ha assorbito i ricordi di guerra e del
duro lavoro nella provincia inglese. La capitale belga è
anche la meta di Christy - che vuole andarci da solo,
per dimostrare qualcosa a sé stesso, esorcizzare le
proprie paure, in cui si riflettono quelle di un paese
strangolato dalla cura Thatcher. Christy prende il
traghetto e attraversa il fiume, da Liverpool raggiunge
Londra e infine sbarca sul continente. Divisi dalla fede
calcistica, i tanti protagonisti di questo romanzo denso
e lieve, scritto a quattro mani da Anthony Cartwright e
Gian Luca Favetto, si incontreranno tutti, sfiorandosi
senza saperlo, nel grande catino della Grand Place di
Bruxelles, in un giorno che cambierà per sempre il loro
futuro. È il 29 maggio 1985, il giorno in cui sembra non
accadere niente, tranne che nel fatiscente stadio Heysel
la Juventus batte il Liverpool 1-0, con un rigore di
Platini, e conquista finalmente la coppa Campioni. Sul
campo rimangono trentanove vittime che trasformano la
partita in una tragedia. A trent’anni di distanza, due
autori (diversi per età, origini e lingua) provano a
interrogare la propria memoria individuale, e quella
collettiva, e ridare così un significato a quel "giorno
perduto" - per il calcio e per la recente storia
europea. E ritrovare il senso dello sport come festa,
come gioco che avvicina, accogliendo in un abbraccio chi
vi partecipa, atleti e spettatori, senza distinzione.
Anthony Cartwright è nato nel 1973 a Dudley, nel
Black Country. 66thand2nd ha già portato in Italia
"Heartland", il suo secondo romanzo, ambientato durante
i mondiali di calcio nippocoreani del 2002 e selezionato
tra i finalisti del Commonwealth Writers’ Award: Best
Novel.
Gian Luca Favetto è nato nel 1957 a Torino. Poeta,
giornalista, scrittore, drammaturgo, collabora con La
Repubblica e con RadioRai. Con A undici metri dalla fine
(2002) e Italia, provincia del giro (2006) ha vinto il
Premio Coni. Tra gli ultimi titoli pubblicati: le poesie
"Mappamondi e corsari", l’audiolibro "I nomi fanno il
mondo", il romanzo "La vita non fa rumore", il racconto
"Un’estrema solitudine" e "Se dico radici dico storie".
7 Maggio 2015
Fonte: Spettacoli-teatro.it
IL LIBRO DELLA SETTIMANA
Heysel, trent’anni dopo: la storia, la denuncia
di Annalisa Celeghin
PADOVA. "Trentadue italiani, quattro belgi, due
francesi, un nordirlandese. E seicento feriti. Intorno
tutto è infinito. Voci suoni colori deflagrano e
raggiungono il silenzio. Sono le 21.40. L'assurdo è così
banale che le squadre entrano in campo". Le squadre sono
Juventus e Liverpool, è il 29 maggio 1985, la finale di
Coppa dei Campioni: siamo allo stadio Heysel, l'arena
nazionale belga, le cui condizioni non erano ottimali
già da tempo e che diverrà triste teatro di uno degli
"incidenti" più gravi nella storia del calcio.
Quest'anno si celebra il trentennale di quella tetra
giornata di sangue, anniversario che non passa
inosservato anche grazie all'uscita di due volumi che,
in modo del tutto differente, vogliono ricordare i fatti
accaduti.
"Il giorno perduto. Racconto di un viaggio
all'Heysel" (di Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto,
18 euro) è un romanzo di viaggio: quello dell'inglese
Christy, una vita difficile alle spalle, fatta di
declino e abbandono; e quello di Mich, studente di
ingegneria piemontese. La meta è la stessa: lo stadio
Heysel e la finale di Champions League, in un'attesa di
vittoria e di una sorte migliore, descritta in un
sapiente montaggio alternato dalla scrittura dei due
autori. La mera cronaca narra di una parete esterna
dello stadio, adiacente al settore Z dove stavano i
tifosi italiani, che crollò con conseguenze drammatiche:
39 morti ad un'ora dal fischio d'inizio, un incontro
che, nonostante la tragedia, non viene cancellato. …
Omissis (Vedi articolo gemello nella pagina del libro
del 2015 di Francesco Caremani) Anthony Cartwright e
Gian Luca Favetto
4 maggio 2015
Fonte: Mattinopadova.gelocal.it
Il giorno perduto. Racconto di un viaggio all'Heysel
di Cartwright Anthony e Gian Luca Favetto
Il viaggio, a volte, è già una storia. Racchiude in
sé l'avventura, le gesta memorabili di una vita, la
trama di un racconto che resiste agli anni, la promessa
di un'esistenza diversa, piena e felice.
Juventus-Liverpool, finale di Coppa dei Campioni, si
gioca all'Heysel, il piccolo stadio di una città bordata
d'oro nel cuore dell'Europa. Christopher Victor Hale,
detto Christy, vive a Liverpool, sulle rive del Mersey,
è un tipo solitario, e per tutti è Monk. La sua vita è
stata abbandono e declino: la fuga della madre, la
malattia del padre, la vana speranza di un lavoro. È il
declino di una città e di tutto ciò che è intorno,
un'intera classe sociale cancellata dal futuro. Domenico
Dezzotti, detto il Mich, è di Rueglio, in Valchiusella,
studia Ingegneria a Torino, così vuole suo padre.
Angelo, Charlie, Miranda lo considerano un privilegiato,
e un po' traditore. Se ne andrà dalla valle, un po' li
ha già lasciati. Il loro mondo sta cambiando. Partono
per Bruxelles, Christy da solo e il Mich con il resto
della banda: Londra, Parigi, la frontiera, il mare... Ad
ogni tappa cresce l'attesa della vittoria, l'aspettativa
di un destino migliore. Uno scambio di sguardi, l'attimo
che lega per sempre Christy e il Mich, complici dagli
spalti immaginari di una grande piazza che sembra uno
stadio. Anthony Cartwright è nato nel 1973 a Dudley, nel
Black Country inglese. Ha pubblicato tre romanzi, The
Afterglow, How I Killed Margaret Thatcher e Heartland
(66thand2nd, 2013), ambientato durante i mondiali di
calcio nippo-coreani del 2002 e selezionato tra i
finalisti del Commonwealth Writers' Award: Best Novel.
Gian Luca Favetto è nato nel 1957 a Torino. Poeta,
giornalista, scrittore, drammaturgo, collabora con "la
Repubblica" e con Radio Rai. Ha ideato il
progetto Interferenze fra la città e gli uomini. Tra gli
ultimi libri: Se dico radici dico storie, le
poesie Mappamondi e corsari, l’audiolibro I nomi fanno
il mondo, il romanzo La vita non fa rumore, il racconto
Un’estrema solitudine.
Maggio 2015
Fonte: Dal Libro edito da 66thand2nd
Il cuore di un'era lasciato sugli spalti
di Malcom Pagani
Un romanzo ricorda 30 anni dopo la tragedia dell’
Heysel attraverso le storie di chi c'era
Operai dell'Olivetti che nuotano nel fiume Chiusella
e madri che abbandonano i figli senza dire una parola.
Valligiani piemontesi dal cognome straniero, Koetting,
diventati gregari della più dominante tra le formazioni
italiane. Autotrasportatori di frontiera che bevono
birra e mangiano formaggio ritmando la vita al ricordo
delle imprese della propria squadra. Esistenze semplici
e insoddisfazioni concentriche che convergono in Belgio,
a fine maggio del 1985, immaginando un'allegria: "Sarà
mica una città Bruxelles ! È una vacanza. Una vacanza di
città abitata da stranieri" e trovando, dietro i festoni
e le bandiere, il tono monocorde delle disperazioni
senza rimedio. Nell'immaginario collettivo, per molti
anni, Heysel somigliò al Cermis, a Itavia, a Seveso. Una
parola che rimane in testa. Una sigla facile da
ricordare. Un presagio di sventura. Una promessa di
ecatombe. Se i numeri raccontano qualcosa e accade
soltanto se si animano le biografie che impolverano
dietro alle cifre, la notte in cui la Juventus vinse la
Coppa dei Campioni allo stadio Heysel mentre il suono
delle ambulanze riempiva i viali della capitale belga,
uccise più di 39 persone. Quelli che aspettarono a casa,
quelli che videro in tv, quelli che negandosi il pudore,
ebbero la forza di esultare. E naturalmente, quelli che
tra le pareti crollate dello stadio e il sole a filtrare
tra le macerie, nel vecchio stadio, ai bordi del terreno
malandato: "Il campo fa schifo, casca a pezzi. Il
Tottenham lo ha arato a forza di calci durante la
partita con l'Anderlecht, l'anno scorso" pur senza aver
programmato il viaggio, decisero di partire all'ultimo
momento. Perché Ian Rush sapeva stare in piedi come
nessuno, Dalglish segnava reti che diventavano sogni
premonitori e Scirea era Scirea. Un hombre vertical con
il sei sulle spalle e la sapienza bergamasca a proprio
agio nei silenzi. Scavando tra i non detti e le
occasioni perdute, tra le rotte disegnate a matita e i
destini illeggibili, Gian Luca Favetto e Anthony
Cartwright hanno scritto un bellissimo libro. Si
intitola "Un giorno perduto Racconto di un viaggio
all'Heysel" e in forma di romanzo racconta meglio di
qualunque saggio cosa rappresentò quella partita per una
generazione intera. Sull'Heysel tanto si è scritto (lo
ha fatto con passione, ad esempio, Francesco Caremani) e
molto, tra una targa commemorativa e un ricordo, si è
litigato. Questa volta, con gli hooligans sullo sfondo e
l'ineluttabile in progressivo avvicinamento, a occupare
le pagine non sono le cronache della gendarmeria o le
precise dinamiche del lutto, della paura, dei corpi che
schiacciano altri corpi, ma le sentinelle che non hanno
saputo custodire con cura le proprie esistenze finendo
per "guardare la vita" e attraversare il presente da
prigionieri senza diritti di un futuro immaginato ben
prima di loro. Un futuro senza presente. Un giorno
perduto. Una ferita che si riapre e di guarire, non
vuole saperne.
25 aprile 2015
Fonte: Il Fatto Quotidiano
NDR: La Fotografia dello Stadio Heysel nell'articolo
è tratta dalla mostra allestita insieme al Museo del
Grande Torino e della Leggenda Granata, "Settanta Angeli
in un unico cielo - Heysel e Superga, tragedie sorelle", ed appare sul sito per gentile concessione di
Salvatore Giglio, Storico Fotografo della Juventus, al
quale appartiene ogni diritto sulla medesima e che
ringraziamo di cuore per la cortese disponibilità.
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