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Gianni Carpitelli
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Interviste a Gianni Carpitelli
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Tifoso F.C. Juventus

(Nel Settore Z allo Stadio Heysel il 29.05.1985)

Parla Carpitelli, sopravvissuto all’Heysel: "Non ho mai voluto vedere nulla

di quella notte prima di 7-8 anni. Mio fratello mi cercava tra i cadaveri"

di Fabio Marzano

Gianni Carpitelli, tifoso juventino e sopravvissuto all’inferno dell’Heysel, ha rilasciato delle dichiarazioni in esclusiva alla nostra redazione.

TORINO - Sono trascorsi quasi 35 anni da quando è stata scritta una delle più brutte pagine della storia del calcio, quando il 29 maggio del 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles, perdevano la vita 39 persone, in occasione della finale di Champions League tra Juventus e Liverpool. Ancora oggi però, quella drammatica e tragica notte non viene mai dimenticata e anzi, ogni anno viene commemorata dai parenti delle vittime e da tutto il popolo bianconero. A tenere vivo il ricordo è stato un tifosissimo della Vecchia Signora, Gianni Carpitelli che quella serata infernale l’ha vissuta sulla sua pelle, riuscendo però a salvarla e a tornare in Italia da solo, quando era ancora un minorenne.

Cosa rappresenta la Juve per lei ?

"La Juventus per me è la vita. A livello sportivo ha sempre rappresentato qualcosa che va oltre il tifo. È la mia seconda pelle, va al di là di una partita di calcio. L’ho sempre sentita in maniera particolare, quando ero giovane chiaramente molto di più, ora tra lavoro e famiglia sono un po’ limitato ma è sempre al centro dei miei pensieri".

Questo senso di appartenenza ai colori bianconeri, è incrementato dopo quella tragica notte ?

"No. Io avendola vissuta in prima persona e avendo rischiato di non tornare quella notte sono rimasto un po’ deluso da tutto l’ambiente circostante, politica compresa. Per quanto riguarda la squadra, io quella partita non l’ho vissuta perché, fortunatamente mi trovavo in tutt’altro posto dallo stadio nel momento in cui stavano giocando. Non ho mai voluto vedere niente di quella notte prima dei 7-8 anni, non ci riuscivo. Però non ho mai avuto un distacco dalla squadra dal punto di vista sportivo anche se per me quella Coppa non esiste. Per quanto riguarda quella serata e quella partita ho rimosso tutto, però l’attaccamento alla squadra e ai colori è rimasto tale. Ho rivisto tutte le finali negli anni successivi, sia in tv che andando allo stadio. L’unico momento in cui ho avuto veramente paura quella notte è stato quando mi hanno trascinato fuori lo stadio e mi hanno caricato su una camionetta insieme a due tifosi inglesi. Mi hanno messo le manette e siamo partiti a 200 all’ora. Io ho avuto paura perché non conoscendo le leggi del Belgio e non sapendo perché ero finito lì, facevo anche pensieri folli del tipo: "Ora ci portano in un campo e ci sparano", in quei frangenti pensi a tutto. Poi fortunatamente, avendo studiato francese a scuola, sono riuscito a cavarmela e la notte mi hanno rilasciato".

Che atmosfera si respirava prima del match ? Temevate gli inglesi o pensavate di passare una serata di sport ?

"Noi siamo partiti con il pullman da Firenze e abbiamo saputo che qualcosa non andava con i biglietti solamente a Strasburgo. Ci siamo fermati lì la notte a mangiare una cosa e a bere una birra insieme agli altri tifosi. Ci hanno voluto dare gli ultimi biglietti rimasti che erano quelli per la curva Z e solo allora abbiamo appreso che si trattava del settore accanto ai tifosi inglesi. Però lì per lì l’abbiamo presa in maniera molto tranquilla, senza neanche pensarci troppo. Poi la mattina successiva abbiamo saputo che ci furono alcuni incidenti e tafferugli nella piazza centrale di Bruxelles. Io mi ricordo benissimo che feci una battuta del tipo: "Si dovrebbe restare qui a guardarla in tv", pensandoci dopo con il senno di poi, ti rendi conto che era destino. Arrivati fuori dallo stadio si vedeva già che c’erano dei casini, con gente sdraiata a terra. Prima della partita in quella situazione li, speri di non pensarci e vai dentro, poi però una volta entrato, quando mi sono reso conto delle condizioni che c’erano all’interno, con una rete da pollaio che divideva noi dai tifosi inglesi e con soli 3 poliziotti, ti accorgi in che situazione delicata ti trovi.  Io sono stato fortunato perché sono riuscito a farmi trascinare verso il basso, dove c’era una porticina che affacciava sulla pista di atletica, dove inizialmente i poliziotti non facevano neanche passare e provavano a chiudere, siamo riusciti a passare in circa 20 persone e io sarò stato il 19esimo, un vero colpo di fortuna. Solo che a differenza degli altri che sono andati tutti sotto la tribuna dei giornalisti, dove c’erano le ambulanze per farsi medicare, io sono andato dalla parte opposta della curva. Questo perché due anni prima ero ad Atene e avevo conosciuto 3 ragazzi di un fan club della Juve che erano lì anche loro e speravo che magari vedendomi mi riconoscessero, ma era una follia. Era un’atmosfera da guerriglia, sapevamo degli Hooligans, però cerchi sempre di non pensarci finché non lo provi realmente. Le gradinate si rompevano come fossero pezzi di carta, credo non ci sia stato neanche il momento di pensare più a niente, se non il fatto di indietreggiare e cercare di ripararsi. Nella mischia ho perso anche mio fratello e l’ho ritrovato dopo due giorni a casa, per farti capire in che clima eravamo, ognuno pensava a salvare sé stesso".

Cosa è accaduto realmente all’interno del settore Z ?

"Mi ricordo vagamente alcune cose. Mi ricordo che siamo entrati dentro lo stadio ed è accaduto poco tempo dopo che noi eravamo li. Loro iniziarono prima a fare dei cori, poi secondo me, quando la curva era completamente piena, quando anche l’alcool era risalito bene e noi invece eravamo ancora pochi tifosi, con molti spazi vuoti, li è successo il vero dramma. Credo mancasse circa un’ora e mezzo prima che la gara iniziasse. Dopo un po’ abbiamo iniziato a vedere questo lancio di oggetti di qualsiasi tipo che ci sfioravano le teste, poi dalla parte alta dello stadio ci siamo accorti che gli inglesi avevano iniziato a sfondare la rete e a passare nel nostro settore, con sassi, bottiglie rotte, aste delle bandiere e da lì sinceramente non ho più visto nulla, se non in televisione. Mi sono ritrovato in questa ondata di gente, saremo state circa 5000 persone e non potevi andare dove ti pareva, ma venivi trascinato dalla folla, questo era testimoniato dal fatto che altrimenti anche le 39 vittime sarebbero volute andare in tutt’altro posto. La mia salvezza è stata il fatto che io sono stato spinto verso il basso, vicino alla porta della pista di atletica dalla quale sono riuscito ad uscire. Altri invece si sono buttati verso l’alto dove erano gli inglesi e si sono salvati. Diciamo che ognuno ha usato la sua tattica per mettersi in salvo, ma chi era veramente al centro di quel settore, ha passato l’inferno. Poteva andare peggio ma poteva andare anche molto molto meglio".

Lei una volta arrivato sulla pista di atletica, si è accorto subito della situazione o pensava che ci fossero solo dei feriti ?

"No, io in teoria ero convinto non ci fossero neanche i feriti. In quel momento pensavo a salvarmi, ho detto tra me e me vado di là per via dei ragazzi di Atene che dicevo prima, ma è stato un gesto stupido se ci penso ora. Se fossi andato sotto la tribuna magari mi sarei reso conto più da vicino cosa fosse realmente accaduto, o per lo meno sarei riuscito a mettermi in contatto con mio fratello e i miei genitori e forse sarebbe andata meglio. Io non mi sono reso conto di nulla all’inizio. Durante la notte però, ho visto che arrivavano in continuazione a portare dei sacchi neri vicino alla cella dove ero io, tutti contenenti abiti insanguinati. Chiesi gentilmente cosa fosse successo a un gendarme e lui mi rispose in maniera squallida: "Ci sono stati degli incidenti, ci sono stati dei morti", poi fece una battuta e disse: "Cosa te ne frega tanto avete vinto". Me lo ricordo molto bene perché se potessi tornare indietro lo prenderei a calci. Avevo solo 17 anni, stavo passando una notte da incubo ma sapevo che prima o poi mi avrebbero rilasciato perché non avevo fatto nulla".

Da tifoso juventino e avendo vissuto quella serata, lei condanna o giustifica il gesto di Platini ?

"Sono molto combattuto su questa cosa. Avendo vissuto la serata e se non ci fosse stato quello che è accaduto, da sportivo dico che è un gesto che chiunque farebbe se segna un gol in finale di Champions, da quel punto di vista posso anche capire. Riportando il nastro indietro però penso che quella partita non l’avrei mai fatta giocare. C’è stata veramente mancanza di ordine pubblico, lo stadio crollava a pezzi, non c’erano poliziotti, è stato sottovalutato veramente tutto, compreso il fatto di mettere gli italiani accanto agli inglesi. Per quanto riguarda l’esultanza in sé per sé ti ci devi trovare, perché per uno sportivo segnare un gol così importante può essere comprensibile che reagisca cosi. Certo però, mi sarei risparmiato di scendere all’aeroporto di Torino con la Coppa in mano. Sinceramente io l’avrei lasciata nella stiva dell’aereo".

Molti giocatori hanno sempre dichiarato di non essersi accorti di nulla, pensi che sia possibile ?

"Io non credo proprio. Chiunque potesse interessarsi dell’accaduto si sarebbe reso conto che fosse accaduto qualcosa, magari non capivi se ci fossero stati morti, però che fosse successo qualcosa di serio era inevitabile capirlo. Un conto poi è essere protagonisti in curva e un conto è esserlo all’interno, dove hai tutti gli occhi del mondo addosso e i vertici dell’UEFA presenti, che ti pressano per far sì che la partita venga giocata, è sempre tutto da valutare. Documentandomi poi posso dirti che non mi è piaciuto anche il gesto dello stesso Boniperti".

Come è riuscito poi a tornare in Italia ?

"Io sono riuscito perché la mattina successiva alla stazione di Bruxelles, ho sentito due persone parlare italiano, un giornalista de La Stampa e un padre con il figlio. Mi hanno prestato i soldi per arrivare in Lussemburgo, altrimenti poi non li avrebbero avuti per tornare loro. A me bastava uscire dal Belgio, potevano mandarmi anche in Finlandia basta che uscissi da lì, era il mio unico desiderio. A Lussemburgo alcuni poliziotti del posto mi comprarono il biglietto e riuscii a tornare in Italia. Nel frattempo i miei genitori erano già all’aeroporto di Pisa per andare a Bruxelles, convinti di venirmi a prendere in una bara perché non avevano più notizie mie di nessun tipo, né dai morti, né dai feriti gravi, mio fratello non riusciva a dargli spiegazioni. Io sono riuscito ad avvisare a casa, a una nostra amica di famiglia che era rimasta lì a prendere le telefonate. Di conseguenza avvisò la polizia italiana della mia chiamata e riuscii poi a ritrovare la mia famiglia. Dal mercoledì sera io sono tornato di sabato mattina alle 4″.

Gli eventi di quella notte hanno poi causato degli effetti collaterali sulla vita quotidiana ?

"Io forse no. Poi ognuno di noi pensa di essere sempre invincibile, comunque a livello pratico non ne ho risentito in maniera particolare. Io dopo quella partita sono andato da solo a Monaco in treno, a vedere la partita contro il Borussia, sono andato a Manchester da solo a vedere quella con il Milan, insomma ho sempre continuato ad andare allo stadio e a fare le mie cose. ho partecipato a manifestazioni di ogni tipo e posso dire che l’ho catalogato come un incidente di percorso. Mio fratello invece è rimasto segnato, va ancora in cura dallo psicologo, lui poi ha trascorso il tempo a sollevare i cadaveri per vedere se mi trovava in mezzo ai corpi delle persone morte e questo credo lo abbia traumatizzato. Non riesce più a fare la fila neanche per andare a fare la spesa, poi ha un carattere spigoloso e differente dal mio. Forse alcune cose che io non ho visto a lui hanno cambiato il corso delle cose".

Ringraziamo cortesemente Gianni Carpitelli per la disponibilità.

15 luglio 2019

Fonte: Juvenews.eu

Castelfiorentino

"Una tragedia che mi ha segnato la vita"

di Marco Gargini

Stadio Heysel, una ferita ancora aperta dopo 33 anni. Due castellani, la Juve e gli hooligans. I fratelli Carpitelli erano nel settore Z.

Il 29 maggio 1985 all'Heysel una partita di calcio si trasformò in una guerra in cui caddero 39 persone, tra cui quattro toscani. Furono centinaia i tifosi della Juventus partiti dalla nostra regione per andare a seguire la finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool. Tra questi anche due giovani di Castelfiorentino, Enrico e Gianni Carpitelli. Quest'ultimo, oggi affermato commerciante di 50 anni, è tornato indietro nel tempo a quella sera. Una sera in cui avrebbe dovuto trasformare lo sport, ma che si trasformò in una tragedia che tutto il mondo seguì in diretta televisiva.

Se Le dico Heysel, qual è la prima cosa che Le viene in mente ?

"È difficile mettere in fila tutti i ricordi perché dalla partenza al ritorno fu tutta una avventura particolare. Sicuramente il fatto di essermi ritrovato nelle carceri belghe fu una cosa completamente fuori programma rispetto a quelle che erano le aspettative iniziali. C'era tanta paura: avendo all'epoca 17 anni ed essendo minorenne ti vengono i brividi tutte le volte che ci ripensi. Perché è una cosa senza senso partire per vedere una partita di calcio e ritrovarti praticamente in una guerra. Avevo anche il timore di non poter far rientro a casa, senza sapere quello che effettivamente era accaduto perché fui "arrestato" prima della caduta del muro".

Come fu prelevato e portato in carcere ?

"Eravamo nel settore Z. Eravamo entrati dentro lo stadio con un sentore abbastanza strano. Lo stadio era fatiscente, con delle reti, come quelle che usiamo per le galline, che ci dividevano da questa orda di gente per lo più ubriaca. La preoccupazione fu subito molta. Però quando sei a una festa dello sport tendi a minimizzare tutto. Quindi, io e mio fratello Enrico, che era il mio "tutore" quella sera, abbiamo preso posto ognuno con i propri amici a due scaloni di distanza. Quando cominciò tutta la confusione, con gli inglesi che avevano iniziato a tirarci le cose addosso, mi resi subito conto che non si andava più dove si voleva, ma dove la folla ci portava. Nell'indietreggiare con cinquemila persone, ti ritrovi alzato venti centimetri da terra e di conseguenza segui l'onda e la corrente. Fui fra le uniche venti, trenta persone ad avere la fortuna di attraversare la rete che divideva i gradoni bassi dalla pista di atletica. Su questa pista c'erano solamente tre poliziotti che ci guardavano e non agivano. Anzi, cercavano di tenerci dentro il settore. Penso di essere stato uno degli ultimi a passare di lì e, invece di andare sotto alla tribuna che stava alla nostra destra, dove c'erano gli spogliatoi della Juventus, i giornalisti etc., andai verso l'altra curva. Perché ? Dentro di me, ho questo flash, mi ricordavo che due anni prima eravamo stati ad Atene ed avevo conosciuto alcuni club di Fucecchio e di Capannori. Lì per lì mi prese questa vana speranza che qualcuno mi notasse. Andai sotto all'altra curva e mi scambiarono per un facinoroso e dopo trenta secondi mi presero per il braccio e mi portarono fuori fino al furgoncino della Polizia e mi ammanettarono. Fu dei momenti in cui ebbi più paura perché, quando partimmo, ero con due inglesi. II furgoncino partì a velocità elevata e, essendo in un Paese straniero, mi chiesi: "Dove ci portano" ?. Lì mi passò la vita davanti agli occhi. Ebbi la sensazione che ci portassero in campagna per spararci un colpo. Non sapevo proprio dove sarei finito. Arrivati in gendarmeria, mi tolsero tutto il poco che avevo. Aveva tutto mio fratello, documenti compresi, mentre io avevo le sciarpe, le sigarette e poco altro. Mi collocarono in una cella, non di quelle chiuse, ma di quelle con le sbarre aperte con gli inglesi accanto. E lì ci passai praticamente più di metà nottata".

Gli Inglesi che erano con lei come si comportarono ?

"Nella camionetta eravamo in uno spazio di mezzo metro quadrato per cui stavano tranquilli anche perché avevamo delle manette speciali molto strette. Arrivati in cella, mi ricordo che mi sputarono quasi tutta la sera. Ad un certo punto mi addormentai ripiegato su me stesso. Mi svegliai quando mi chiamarono per aprire la cella perché cominciavano a portare i sacchi neri con dentro le sciarpe insanguinate della Juventus. Da lì cominciai ad avere il sentore che fosse successo qualcosa di molto grave. Chiesi ad un gendarme, sapendo il francese, cosa fosse accaduto e la sua risposta fu abbastanza granitica perché mi riferì che c'erano stati degli incidenti gravi e poi mi disse addirittura "che te ne frega ? Tanto avete vinto". Fondamentalmente della gravità degli incidenti lo seppi in una fase successiva. I gendarmi mi interrogarono fino a verso le 2 di notte e mi promisero che mi avrebbero riaccompagnato in hotel a 180 chilometri da Bruxelles, ma fui sbattuto fuori intorno alle 4. Da lì riuscii in qualche modo a raggiungere la stazione ferroviaria che era chiusa visto che apriva alle 6 e lì davanti c'erano cinquecento inglesi sdraiati. Perciò buttai via le sciarpe, ma poi sentii parlare italiano. Da lì cominciò un'altra storia perché un giornalista de La Stampa e altre due persone mi portarono in giro a rifocillarmi e mi raccontarono un po' quello che era successo, anche se loro non avevano la percezione del numero dei morti. In tutto questo pensavo solamente a uscire velocemente dal Belgio. Sapevo che mio fratello potesse essere in pensiero perché non mi trovava più. La mia priorità, però, era di andare via, uscire dal Belgio e vedere cosa sarebbe successo. Quando aprì la stazione, il giornalista mi pagò il biglietto fino in Lussemburgo".

E suo fratello Enrico ?

"Mio fratello se l'è vista molto peggio di me perché fin dall'inizio non mi trovava più. Dovette guardare praticamente quasi tutti i morti per vedere se mi riconosceva tra quelli fuori dello stadio. Poi fu portato in ambasciata e gli furono dati dei calmanti. Ha vissuto male tutta la situazione anche perché, oltre a essere responsabile di un fratello minore, non sapeva che dire ai miei genitori che videro cosa stava succedendo in diretta al maxischermo nella discoteca di Castelfiorentino. Tornarono a casa e cominciò la loro odissea nel telefonare al consolato, all'ambasciata. Enrico diceva loro che non ero nella lista dei morti, né in quella dei feriti gravi e che non sapeva dove cercarmi. Alla fine venne fuori che io ero l'unico italiano "arrestato" prima della partita e senza motivo. Ci rivedemmo due giorni dopo a casa".

Come fece ad avvisare i suoi genitori ?

"La mattina dopo riuscii a telefonare dal Lussemburgo mentre i miei genitori stavano andando all'aeroporto di Pisa per volare in Belgio, convinti di ritornare con una bara. Fu una cosa abbastanza buffa perché, mentre mia madre scendeva per andare a comprare i biglietti e mio padre andava a parcheggiare, la Polizia dello scalo di Pisa chiamò i signori Carpitelli per dare loro una comunicazione. I poliziotti si avvicinarono a mia mamma, le dissero che avevo chiamato a casa e che stavo bene. A casa c'era un'amica di famiglia a rispondere alle chiamate. Mamma si mise a piangere per l'emozione, babbo entrò in aeroporto in un momento successivo e, vedendo mia madre piangere, inizialmente pensò al peggio. Poi presi il treno dal Lussemburgo e tornai a Firenze dove mi venne a prendere mio padre".

Come fu il ritorno a casa ?  E, poi, ha più rimesso piede in uno stadio ?

"Mia madre di colpo era invecchiata di venti anni. Mi immagino quello che passarono i miei familiari. Forse, tra tutti e quattro, io fui quello a vivere meglio questa vicenda perché sapevo dove ero e di essere vivo. Magari non potevo avvisare, però ero abbastanza sveglio perché in certe situazioni te la devi saper cavare. Forse incise anche il fatto di non aver vissuto direttamente la tragedia nel suo essere, cioè il muro caduto ed i morti in terra. La paura ci fu soltanto all'inizio e quel fatto di essere riuscito a sfuggire subito, e di non essermi reso conto di quello che era successo, sicuramente mi aiutò a superare la tragedia. Infatti, in seguito sono sempre andato a vedere tutte le finali di Champions League della Juventus. Andai da solo a Monaco, ad Amsterdam... Mio fratello ha sofferto notevolmente, anche attacchi di panico. Non ha voluto più frequentare posti dove c'è tanta folla, come per esempio i concerti. È sicuramente rimasto traumatizzato da questa cosa. Considera che al ritorno al pullman fissato per mezzanotte mancavamo in due: io ed il pratese Bruno Balli, che morì. Mio fratello visse quest'esperienza con Otello Lorentini che aveva perso il figlio Roberto. All'ambasciata si facevano coraggio insieme".

Negli anni ci sono state delle iniziative tra Juventus e Liverpool e la tifoseria dei "Reds" invocò a chiare lettere l'"amicizia". Che ne pensa ?

"Credo che nella vita tutti abbiano l'opportunità di potersi rifare. Sarebbe sbagliato fermarsi al primo errore e condannare definitivamente uno per tutta la vita per quello che ha fatto. A Bruxelles ci fu una sottovalutazione molto più ampia. Si sapeva che gli inglesi si ubriacavano e che quindi perdevano il controllo, ma io credo che ci siano state enormi responsabilità dall'Uefa a scendere. Gli hooligans andavano fermati prima e non andavano probabilmente neanche dati i biglietti. lo sarei rimasto a casa perché quei biglietti comparvero all'improvviso nelle agenzie di viaggio. Non so se un giorno ci sarà mai una pacificazione. Quello che fanno a livello istituzionale fra i dirigenti conta relativamente. Non ce l'ho neanche tanto con loro anche se, mi raccontava mio fratello, che lan Rush, che poi venne a giocare a Torino, dal pullman alzò il dito medio nei confronti di coloro che erano giù e che stavano subendo le pene dell'Inferno fuori dallo stadio. lo personalmente non ho risentimenti perché guardo al calcio come a una sorgente di vita, a una passione, ad una fede spropositata che ho, ma mi fermo lì".

Soprattutto a Firenze, ma anche in altri stadi, molti offendono la memoria delle vittime dell'Heysel. Cosa ne pensa ? Cosa dovrebbero fare le società ?

"Quelli sono imbecilli a prescindere. Le società ? Fanno poco o nulla perché c'è questo sub-accordo tra società e tifosi in cui l'una ha bisogno degli altri. Quindi difficilmente c'è una chiara presa di posizione. Tornando agli imbecilli, credo che sull'imbecillità delle persone ci si possa fare ben poco. Devi sperare che ce ne vadano sempre meno allo stadio. In Italia manca la cultura sportiva. Già quando si va a vedere le partite delle giovanili, la domenica è un vero manicomio mentale a partire dai genitori. I figli sono il meno, ma apprendono dai loro genitori questa "educazione" che è vera e propria ignoranza, cattiveria verso l'altro. Il calcio c'entra, comunque, poco: questi andrebbero a far danni ovunque, in birreria, ad un concerto etc. Quando hai in mente l'antagonismo non puoi essere ottimista e altruista. lo ho tanti amici in Curva Fiesole e sono persone che hanno vissuto e che sanno cosa sia l'amicizia. Purtroppo ci sono tante altre persone che si sfogano negli stadi e sui social. lo, sinceramente, non me la sento di litigare per il calcio. Ok lo sfottò, ma finisce lì. Di andare oltre, con tutti i problemi che ci sono, ne faccio volentieri a meno".

Tornando a quella sera, cosa pensa di quella Coppa e dei festeggiamenti ?

"Prima di tutto, non la sento una coppa vinta. L'unica coppa che sento di aver vinto è quella di Roma contro l'Ajax nel 1996. Credo che quella sera sia stata architettata una cosa per non creare ulteriori problemi di ordine pubblico. Avendo vissuto la situazione al di fuori dello stadio prima della partita, non voglio neanche immaginarmi cosa sarebbe successo lasciando migliaia di persone di contrapposte fazioni a giro per Bruxelles. Gli inglesi non so neanche se ce la facevano fisicamente a guardare il secondo tempo per come erano conciati e credo che non avrebbero più potuto fare ulteriori danni. Il fatto di aver giocato quella partita fu una decisione presa da tutti gli organi federali, forse l'unica giusta. La coppa è insanguinata ed io, se fossi stato in Giampiero Boniperti, l'avrei lasciata lì. La Juventus, successivamente, ha peccato di insensibilità nei confronti di chi subì quella tragedia. Mi è sembrato molto strano che all'epoca, da parte della società, non ci sia stata un'attenzione maggiore verso le famiglie".

Questa esperienza come l'ha segnata nella vita ?

"Ti segna anche negli atteggiamenti, soprattutto inconsapevolmente. Te ne rendi conto sempre a posteriori di come ti comporti e di come ti atteggi. C'è sempre un po' di paura e un po' più di attenzione verso certe cose. Alla fine è tutta una crescita e la crescita avviene attraverso anche i traumi e le cose negative. Queste sono delle situazioni, se riesci fortunatamente ad uscirne vivo come successe a me ed a mio fratello, che comunque ti accompagnano in maniera dolorosa, ma che ti fanno anche superare in maniera più facile certi aspetti e certe situazioni che poi ti ritrovi difronte. E questo perché, comunque, hai passato un qualcosa di indelebile che è molto, molto peggio e molto più forte".

Domani la finale tra Real Madrid e Liverpool. Per chi simpatizzerà ?

"Penso che a livello calcistico il Real sia superiore e mi farebbe piacere veder vincere una squadra diversa. Non ho risentimenti nei confronti del Liverpool, soprattutto verso i suoi giocatori che non c'entrano nulla con ciò che successe quella sera. Che vinca il migliore e che la successiva la vinca la Juventus".

25 Maggio 2018

Fonte: Chiantisette - Val D’Elsasette
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