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				Processo dell’Heysel Pubblico ministero generoso. Chieste 
				pene irrisorie per hooligan e autorità. BRUXELLES - Una requisitoria debole, 
				costellata da numerose contraddizioni, assoluzioni e infine una 
				richiesta di pene miti, che hanno sollevato la reazione della 
				parte civile. Queste sono le prime risultanze del processo 
				dell’Heysel, in corso di svolgimento a Bruxelles, dopo 
				l'intervento del pubblico ministero, che si è rimesso al 
				giudizio della Corte e confessando di non riuscire a valutare 
				con esattezza se le cariche e gli atti teppistici degli hooligan 
				inglesi, durante la finale della Coppa dei Campioni di calcio 
				Juventus-Liverpool, disputata allo stadio Heysel di Bruxelles il 
				29 maggio dell’85, fossero premeditate o meno. Un’ammissione che 
				potrebbe partorire una conclusione scandalosa del processo, con 
				numerosi imputati, che potrebbero venirne fuori con pene 
				irrisorie in pieno contrasto con i gravi fatti avvenuti in 
				quella terribile serata, dove persero la vita 39 persone di cui 
				32 italiane. Il pubblico ministero ha praticamente scagionato 
				tutte le "teste d’uovo" belghe direttamente interessate 
				all’avvenimento, cioè i "grandi capi" della gendarmeria, quelli 
				della federazione calcio e il sindaco della città, che ha 
				concesso l'utilizzo di uno stadio non adeguato all’avvenimento, 
				privo delle necessarie misure di sicurezza. Imputati erano 26 
				teppisti inglesi per i quali sono state chieste due assoluzioni 
				piene, otto assoluzioni con il beneficio del dubbio e 15 
				condanne da un minimo di tre ad un massimo di quattro anni. Per 
				l’allora segretario generale della Unione calcio belga e per i 
				due responsabili del servizio d’ordine, la richiesta di condanna 
				non è stata neanche quantificata. Sarà la Corte a decidere. 
				Nessun accenno all’Uefa e alla Municipalità chiamate a correo 
				dalle parti civili, per i quali l’accusa ha chiesto 
				l’assoluzione. Lunedì cominceranno le arringhe della difesa. Il 
				dibattito dovrebbe concludersi verso metà marzo, il verdetto a 
				metà aprile. 18 gennaio 1989 Fonte: L’Unità 
					
					
					
						
						ARTICOLI STAMPA 
					GENNAIO 1989 
						
						  
								 Pene irrisorie per i maggiori 
				responsabili dei 39 morti. Per i 25 teppisti imputati, 10 
				assoluzioni e 15 condanne da 3 a 4 anni; per i responsabili 
				dell'ordine nello stadio non è nemmeno quantificata la pena. TORINO - Pene miti, troppo miti, per i 
				25 teppisti inglesi imputati. Pene neanche quantificate per 
				Albert Roosens, l'allora segretario generale dell'unione calcio 
				belga, responsabile dell'organizzazione, e per i due ufficiali 
				della gendarmeria che avrebbero dovuto garantire l'ordine nello 
				stadio. Queste le richieste avanzate ieri pomeriggio dal 
				pubblico ministero, il procuratore del Re Pierre Erauw, al 
				processo per la strage di Heysel, 29 maggio 1985, finale di 
				Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Gli "hooligans" 
				inglesi, fradici di birra, causarono con una carica sulle 
				gradinate: 39 morti, 32 dei quali tifosi italiani della Juventus 
				giunti in Belgio con migliaia di altri appassionati. Tra i morti 
				ci furono anche due torinesi, Domenico Russo e Giovacchino 
				Landini. Gli imputati principali sono 26 teppisti inglesi. La 
				posizione di uno di loro è stata stralciata, essendo in carcere 
				in Gran Bretagna. Per gli altri 25, l'accusa ha chiesto due 
				assoluzioni piene, otto assoluzioni col beneficio del dubbio, e 
				15 condanne a tre o quattro anni. Il pubblico ministero si 
				rimette inoltre al giudizio della corte per quel che riguarda la 
				"premeditazione" della carica. Il procuratore del re ha detto di 
				non essere in grado di valutare se la carica dei tifosi 
				britannici fosse premeditata o no. Non è un particolare 
				secondario: se si propende per la premeditazione, la pena è fino 
				a 10 anni (e l'accusa diventa di lesioni volontarie e omicidio 
				preterintenzionale) al contrario, il massimo della condanna è 
				cinque. L'accusa, come detto, si rimette alla Corte, ma intanto 
				si è limitata a chiedere quattro anni. Per l'allora segretario 
				generale dell'unione calcio belga, e per i due responsabili del 
				servizio d'ordine (i tre, comunque, rischiano un massimo di due 
				anni) la richiesta di condanna non è neanche stata quantificata, 
				tutto è rimesso alla corte. Le reazioni alla requisitoria sono 
				state ovviamente negative. La parte civile, ma anche altri 
				avvocati, perfino alcuni difensori di imputati britannici, 
				l'hanno giudicata debole, poco incisiva, ed, in alcuni casi, 
				contraddittoria. Lunedì cominciano le arringhe della difesa, che 
				dureranno almeno un mese. Verso la metà di marzo la fine del 
				dibattito in aula, quattro settimane dopo la sentenza.  
				 19 gennaio 1989   Fonte: Stampa Sera  
				 
				 Lo ha deciso ieri il comitato esecutivo 
				dell'Uefa riunito a Lisbona - Per il Liverpool, che deve 
				scontare una pena suppletiva di due anni, sarà necessario però 
				un provvedimento speciale - Il presidente Georges: "Ora tocca ai 
				tifosi responsabili separarsi dai teppisti".
 LISBONA - Il comitato esecutivo 
				dell'Uefa, riunito a Paimela (40 km da Lisbona) ha deciso ieri 
				di riammettere i club inglesi nelle coppe europee di calcio, a 
				partire dalla stagione 1990-1991. "Questa riammissione sarà 
				fatta sotto riserva dell'applicazione integrale della 
				convenzione della Comunità europea sulla lotta contro la 
				violenza", è scritto in un comunicato dal presidente Georges. 
				L'esclusione a tempo indeterminato dalle coppe europee delle 
				squadre inglesi fu decisa dopo la tragedia dell'Heysel, lo 
				stadio di Bruxelles, dove gli hooligans causarono la morte di 39 
				spettatori (in massima parte tifosi juventini) e il ferimento di 
				centinaia di persone, in occasione della finale di coppa 
				Campioni del 29 maggio '85 fra Juventus e Liverpool (1-0). Per 
				la squadra dei "reds" sarà necessario un provvedimento speciale, 
				poiché le fu comminata una sospensione suppletiva di due anni. 
				Il comitato esecutivo dell'Uefa dovrà tuttavia confermare la 
				decisione presa nel giugno del '90 sulla base di un rapporto che 
				sarà elaborato da Georges, dopo che questi si sarà recato a 
				Londra in aprile per incontrare, tra gli altri, il ministro 
				inglese dello Sport. La decisione dovrà inoltre essere 
				ratificata dai membri Uefa in una riunione con il governo 
				britannico e i dirigenti del calcio europeo. Sulla decisione 
				dell'Uefa ha pesato il giudizio emesso in mattinata da un 
				parlamentare europeo a Strasburgo, secondo cui "l'interdizione 
				unilaterale" pronunciata dall'Uefa verso i club inglesi era 
				"senza basi giuridiche" e "contraria alla libera circolazione 
				delle persone". Favorevoli le prime reazioni. Dopo la conferenza 
				stampa ufficiale, il presidente dell'Uefa ha aggiunto: "Ora la 
				palla passa nel campo dei tifosi inglesi responsabili. Essi 
				debbono separarsi da quei teppisti che fanno tanto male al 
				calcio inglese. Se l'Inghilterra si qualifica ai mondiali 
				italiani, essi avranno una magnifica occasione per dimostrarlo". 
				Gli ha fatto eco Jack Dunnet, presidente della Lega inglese: 
				"Siamo molto felici per questa decisione, a nostro avviso 
				importante e positiva. Sono stato sempre ottimista riguardo ad 
				un provvedimento di questo genere che mette fine ad una 
				punizione già piuttosto pesante per il calcio inglese". A sua 
				volta il direttore esecutivo della federazione calcistica 
				inglese, Graham Kelly ha ribadito: "E’ stata fatta giustizia. Il 
				calcio inglese non può essere ritenuto responsabile, da solo, 
				degli atti di alcuni teppisti che, tuttavia, andranno isolati". 
				Il ministro britannico dello Sport, Colin Moynihan, ha fatto 
				intendere che il sostegno del governo inglese verrà concesso 
				soltanto se all'inizio della stagione 1990-91 sarà operativo il 
				piano governativo sui tifosi, compreso il provvedimento 
				riguardante il documento di riconoscimento. "Sono molto lieto. 
				Ho sempre ritenuto che sarebbe stato troppo presto riammettere 
				le squadre inglesi a partire dalla stagione 1989-90, poiché 
				nessuna nuova misura è stata presa dopo le finali del campionato 
				europeo '88". "Mi aspetto comunque - ha proseguito Moynihan - 
				che il piano sui tifosi sarà pronto e in opera dopo la fine 
				della prossima stagione e dei campionati mondiali in Italia che 
				saranno un importante banco di prova per i tifosi inglesi 
				all'estero. I veri tifosi saranno ben coscienti delle loro 
				responsabilità. Ho sempre sperato che i club inglesi fossero 
				riammessi per la stagione 1990-1991; l'Uefa ha voluto decidere 
				con largo anticipo".   12 aprile 1989   Fonte: La Stampa 
				 
					
					
						ARTICOLI STAMPA  
						
					APRILE 1989 
					
						
						
						
						  di Franco Badolato TORINO - Giampiero Boniperti, 
				presidente della Juventus, è rimasto visibilmente scosso quando 
				la televisione ha diramato ieri le prime immagini dei tragici 
				fatti avvenuti nello stadio inglese di Sheffield. Troppo vivo è 
				in lui come in tutta la squadra, il ricordo della notte 
				dell'Heysel, di una Coppa dei Campioni vinta con il cuore 
				affranto. "E’ una cosa terribile - ha detto Boniperti - non ci 
				sono purtroppo parole di fronte a queste tragedie". Non è 
				riuscito ad aggiungere altro. Il presidente juventino è sempre 
				stato uno dei primi fautori del ritorno in Europa delle squadre 
				inglesi, annunciato proprio questa settimana dall'esecutivo Uefa 
				di Lisbona. E proprio l'altro giorno, nel commentare la novità, 
				aveva ribadito: "Ora tocca al Liverpool. Speriamo in 
				un'amnistia". La gloriosa formazione della città di Liverpool 
				infatti non rientra in Europa nel '90, come gli altri club 
				inglesi, a causa di una condanna suppletiva. Antonio Cabrini 
				sottolinea: "Questa è la più brutta pubblicità che il calcio 
				potrebbe mai ricevere. Sembra una iella, a pochi giorni dalla 
				decisione di riaprire le porte europee ai club inglesi. Non è 
				possibile neppure spiegarsela, forse hanno venduto biglietti in 
				eccesso rispetto alla capienza di quello stadio". L'allenatore 
				della Juventus, Zoff, ricorda: "In Italia l'ordine pubblico e la 
				sicurezza negli stadi sono migliorati anche in seguito alla 
				tragedia dell'Heysel e tra le misure prese c'è la drastica 
				riduzione della capienza negli stadi. A Torino è stata decurtata 
				di un terzo. Ora, in vista dei mondiali, probabilmente saranno 
				aumentati i controlli sulla capienza. Ma ci sarà comunque un 
				calo di spettatori dovuto agli effetti di questa disgrazia in 
				Inghilterra". Il portiere Tacconi cerca di scindere i due 
				avvenimenti: "Non ci sono punti in comune tra Bruxelles e 
				Sheffield. All'Heysel ci fu la provocazione da parte degli 
				hooligans, questa è invece una disgrazia provocata probabilmente 
				dal sovraffollamento e dall'inadeguatezza dello stadio 
				britannico". E il vice allenatore Scirea si pone dinanzi al 
				quesito più amaro: "Sembra incredibile che si possa morire per 
				il calcio. Non resta che trovare i colpevoli, allora come oggi".
				 
				 16 aprile 1989   Fonte: La Stampa 
					
					
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				APRILE 1989  
						
						
						
						  La notte dell'Heysel con il terrore 
				negli occhi   di Bruno Perucca La carica degli hooligans ai tifosi 
				juventini, il crollo, le urla e la tragedia. Il 29 aprile la 
				giustizia belga arriverà forse alla sentenza: chiuderà un 
				processo nel quale sono imputati 26 sostenitori del Liverpool. 
				 
				 Altri 95 morti da stadio si aggiungono 
				ai 39 (trentadue Italiani, tifosi della Juventus) rimasti sul 
				cemento dello stadio Heysel di Bruxelles. Era la notte del 29 
				maggio '85, sono passati quattro anni. Il 29 aprile, fra poco, 
				la giustizia della capitale belga arriverà forse alla sentenza. 
				Chiuderà un processo nel quale erano imputati (blandamente) 26 
				hooligans di Liverpool e dintorni, alcuni dei quali sono già 
				sfuggiti fra le maglie della procedura. Non subiranno condanne i 
				veri colpevoli: la gendarmeria di Bruxelles, i dirigenti del 
				calcio belga, i dignitari della Federazione europea (Uefa). 
				Tutti responsabili di scarsi controlli, di nessuna precauzione 
				malgrado gli hooligans avessero messo a soqquadro la città nella 
				vigilia del match. Le notizie da Sheffield escludono risse, come 
				scintilla. Le colpe sono di chi in uno stadio dovrebbe impedire 
				sovraffollamenti, invasioni di settore. Nel tragico catino 
				dell'Heysel le due componenti (incuria e violenza) si sono unite 
				in una miscela esplosiva. Eravamo a Bruxelles, quella notte, 
				dove Liverpool e Juventus giocavano la finale della Coppa dei 
				Campioni. Il come, il perché, i motivi, ammesso che ne 
				esistessero di comprensibili, li abbiamo cercati nei giorni 
				successivi fra ospedali, parenti, polizia (subito reticente), 
				funzionari (presto spariti), tifosi scampati. Sul momento, 
				bastavano gli occhi sbarrati della gente, le grida di aiuto, il 
				sangue, i morti allungati uno per uno nel retro della tribuna. 
				La ressa in uno stadio ha qualcosa di spaventoso. I buchi nelle 
				porte sfondate, nelle reti divelte, nessuno li trova al momento 
				della fuga. Quando la paura prende. Si rimane nel folto, 
				intrappolati, pestati. E attorno, per un poco, l'altro pubblico 
				neppure sa, non avverte. Che la mischia è diventata mortale, 
				molte persone in zone lontane dello stesso stadio lo apprendono 
				dalle sirene. Di ambulanze che vanno e vengono e dalle auto 
				della polizia. La curva maledetta dell'Heysel (a sinistra della 
				tribuna) era contrassegnata dalla lettera zeta. Una Z" dipinta 
				con vernice bianca sul muretto in basso. I primi subbugli 
				attorno alle 19. Il settore era diviso a metà, verticalmente, da 
				una rete metallica (si è saputo dopo che era arrugginita e 
				troppo debole). Nella parte destra, guardando dal campo, gli 
				hooligans. Nell'altra tanti Italiani ma non i gruppi del tifo 
				organizzato. Erano stati indirizzati (una precauzione era stata 
				presa: sulla curva opposta. Sono bastate alcune bandiere 
				bianconere, qualche berretto, ad accendere gli hooligans. Grida, 
				lanci di bottiglie (ecco, le bottiglie dentro uno stadio...), 
				pressioni sulla rete divisoria che accennava a cedere. Non è 
				giusto, non è onesto, sostenere che un italiano quella sera è 
				stato ucciso da un folle fan inglese. Ma è sacrosanto dire che 
				la paura degli hooligans (bisogna vederli da vicino nella pazza 
				euforia di gruppo, per capire) ha avviato la tragedia. La gente 
				si è accalcata sul basso della curva, per scappare. Quella rete 
				non ha ceduto anche perché dal basso la polizia addetta alla 
				"protezione del campo ancora deserto, minacciava con gli 
				sfollagente chi cercava una via di fuga. La tragedia si 
				consumava in dieci minuti nella trappola ai piedi della curva. 
				Morti schiacciati, asfissiati. Quando la rete si spaccava e 
				consentiva la fuga, era tardi. Uomini, donne, ragazzi, correvano 
				impazziti cercando parenti, figli, amici. La foto dell'uomo 
				piangente, impietrito, che abbracciava la moglie trovata nella 
				fila delle salme ha fatto il giro dei giornali del mondo. Ma non 
				è bastata.   16 aprile 1989   Fonte: La Stampa 
				 
					
					
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					APRILE 1989 
					
						
						
						
						  di Ivano Barbiero Troppe le deficienze di organizzazione 
				e delle misure di sicurezza - I pareri di Cardetti, Porcellana e 
				Zanalda.  TORINO - Quanto accaduto sabato a 
				Sheffield, all'inizio della partita Liverpool-Nottingham, ha 
				riportato alla mente dei torinesi la tragica notte di quattro 
				anni fa all'Heysel, in Belgio, con i suoi 39 morti, quasi tutti 
				italiani, mezz'ora prima del fischio d'inizio dell'incontro di 
				finale della Coppa dei campioni, tra la Juventus e il Liverpool. 
				Anche in quell'occasione la diretta televisiva portò il dramma 
				nelle case con le immagini brutali degli hooligans scatenati e 
				delle forze dell'ordine impassibili. Un "deja vu" che si è 
				ripetuto con sinistra puntualità. Giorgio Cardetti era sindaco 
				di Torino nell'85. "Mi sembra che anche questa tragedia sia 
				stata causata da un lato dall'assurdo comportamento di teppisti 
				che confondono il tifo con altri fenomeni. Ma sembra ci siano 
				anche altre gravi responsabilità se è vero che qualcuno ha 
				aperto i cancelli. E anche all'Heysel, quel 29 maggio di quattro 
				anni fa, pur senza cancelli sfondati le misure di sicurezza non 
				erano certo adeguate. Episodi come questo pongono sempre più 
				urgente il problema della sicurezza degli stadi che devono 
				essere costruiti e dotati di tutte le misure più moderne, con 
				posti a sedere e controlli agli ingressi. Una nota mi sembra 
				opportuna: in questa circostanza almeno si è sospeso l'incontro. 
				Ricordo invece che dopo aver avuto la notizia della tragedia di 
				Bruxelles, prima ero corso a Palazzo Civico, poi avevo fatto un 
				breve giro in città, da piazza San Carlo a piazza Castello. E di 
				fronte ai caroselli di auto e alle scene di festa avevo provato 
				grande amarezza. Il fatto sportivo non ha davvero più senso 
				quando si hanno morti e feriti". Il sociologo Filippo Barbano 
				analizza il comportamento della folla. "Una volta la spiegazione 
				era la violenza negli stadi e quindi con questa formula si 
				trovava un qualche motivo per rendersi conto di quel che 
				succedeva. Adesso sembra ancora sia sempre violenza negli stadi 
				ma ci sono da mettere insieme delle componenti e conseguenze 
				inattese che dipendono da fatti tecnici: probabilmente da come 
				sono fatti gli stadi, da come viene regolato l'afflusso della 
				gente. Logico che se si sommano queste due componenti, una di 
				natura psicologica e collettiva e l'altra che fa un po' pensare 
				ad una specie di ingovernabilità delle situazioni, si ottiene 
				una somma di irrazionalità collettiva e di inefficienza laddove 
				ci dovrebbe invece essere razionalità. In pratica il curarti di 
				quel che può avvenire in una partita di calcio, con annessi e 
				connessi architettonici e di ordine pubblico, si presume debba 
				essere governato da criteri di razionalità. Invece ne ritroviamo 
				ben poca. Mi sembra però che oggettivamente la situazione sia 
				diversa rispetto a quattro anni fa a Bruxelles, anche se in 
				definitiva c'è la presenza di una violenza potenziale o virtuale 
				che esplode sia come causa che come effetto". Sintetico il 
				prosindaco Giovanni Porcellana: "Vedendo questi fatti si capisce 
				come il problema della sicurezza che molti tendono a 
				sottovalutare comporti invece il merito di preservare e salvare 
				vite umane. E' una riflessione che ancora una volta trova 
				conferma: ciò che può apparire oltremodo costoso e fonte di 
				ritardi è invece fondamentale e quanto mai necessario se ha lo 
				scopo di salvare anche una sola vita". Questo infine il parere 
				di Anselmo Zanalda, neuropsichiatra: "Noi stiamo assistendo al 
				giorno d'oggi ad un super-investimento affettivo sul presente. 
				Questo è il presupposto psicologico del consumismo. Il 
				consumismo quindi diventa un investimento sul piano affettivo 
				presente che si manifesta in vari modi. Fra questi modi vi è 
				anche il tifo che non è espressione di una mentalità sportiva ma 
				esclusivamente un interesse che non ha futuro. Di lì nasce la 
				violenza come bisogno di ottenere, a qualunque costo, ciò che al 
				momento si desidera. Ad esempio, la vittoria della propria 
				squadra, l'assistere alla partita anche se non c'è posto. Senza 
				preoccuparsi delle conseguenze future. Attendiamoci altre 
				manifestazioni di violenza e di suggestioni collettive se non 
				cambiamo la nostra mentalità di vivere il presente. I posti a 
				sedere e le misure di sicurezza sono ottime cose. Ma non sono 
				sufficienti, perché anche stando seduto posso dare un pugno al 
				mio vicino". 17 aprile 1989   Fonte: Stampa Sera  
				 
					
					
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					APRILE 1989 
					
						
						
						
						  
				
				A quattro anni dalla strage nello 
				stadio di Bruxelles 
				Domani la sentenza per i morti 
				all'Heysel   di Fabio Galvano L'ombra del dramma di Sheffield su un 
				processo che non trova colpevoli.   DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. BRUXELLES - 
				Risvegliati dal dramma di Sheffield, i fantasmi dell'Heysel 
				battono alla porta della giustizia. Ma dalla sentenza che 
				pronuncerà domani il giudice Verlinden, sotto la grande cupola 
				del tribunale di Bruxelles, difficilmente emergerà un esauriente 
				quadro delle colpe per i 39 spettatori - 32 erano italiani - 
				uccisi la sera del 29 maggio 1985. A conclusione di un processo 
				durato più di sei mesi, le labili prove portate contro gli 
				hooligans del Liverpool non apriranno la strada alle severe 
				condanne che si erano auspicate. Quasi dimenticato e stancamente 
				avviato verso il suo esito inconcludente, il processo 
				dell'Heysel riflette inevitabilmente l'angoscia dell'ultima 
				tragedia calcistica britannica: protagonisti in entrambi i casi 
				i supporters inglesi, anzi proprio quelli del Liverpool, è 
				difficile sfuggire alla conclusione che la meccanica dei due 
				incidenti può essere stata diversa, ma che identica - la 
				violenza - ne è stata la matrice. Probabilmente la sentenza di 
				domani non sarà l'ultimo atto dell'Heysel. Seguiranno infatti 
				ricorsi e azioni civili; ma per 39 morti e per i 600 feriti, per 
				i loro familiari, per tutti coloro che hanno sofferto in seguito 
				agli avvenimenti di quella notte, è come se si chiudesse la 
				rincorsa alla giustizia. Dei 26 hooligans portati in giudizio 
				dopo oltre tre anni di indagini, undici sono stati esonerati 
				dalla stessa accusa: uno era in carcere in Gran Bretagna e due 
				sono stati ritenuti estranei ai fatti, mentre per altri otto è 
				stata chiesta l'assoluzione col beneficio del dubbio. Per i 
				rimanenti quindici sono state chieste condanne di tre o quattro 
				anni, non meglio specificate, per le quali il pubblico ministero 
				si è rimesso al giudizio della corte. Questo può significare che 
				l'accusa non ritiene di avere dimostrato gli estremi della 
				premeditazione, che si tradurrebbe in pene massime di dieci 
				anni; peggio, che non è neppure convinta di avere dimostrato le 
				lesioni volontarie e l'omicidio preterintenzionale. Come ha ben 
				sottolineato la difesa, inoltre, non esiste nella giurisprudenza 
				belga il concetto di "reato collettivo". I gesti di alcuni 
				singoli, cioè, non possono essere "collettivizzati"; e quindi 
				non può esserci condanna per la causa principale dei decessi, il 
				soffocamento dovuto ai grandi spostamenti di folla, sebbene 
				questi siano stati a loro volta dovuti a gesti teppistici di 
				singoli individui. E se anche il giudice Verlinden indicherà 
				responsabilità civili per gli autorevoli personaggi che hanno 
				diviso con gli hooligans il banco degli accusati, mossa che 
				aprirebbe la via ai risarcimenti da parte delle compagnie 
				assicuratrici, pochi saranno gli strascichi penali. Per il 
				presidente e per il segretario dell'Uefa, Jacques Georges e Hans 
				Bangerter, nonché per il sindaco di Bruxelles Hervé Brouhon e 
				per l'assessore allo sport Vivianne Baro, è stata la stessa 
				accusa a chiedere l'assoluzione. Per gli altri imputati - il 
				segretario della federazione belga Albert Roosens e i due 
				gendarmi responsabili della sicurezza nello stadio, il maggiore 
				Michel Kensier e il capitano Johan Mahieu, tutti passibili di 
				pene massime di due anni - il pubblico ministero non ha fatto 
				una richiesta precisa: come per gli hooligans, si è rimesso alla 
				volontà della corte. Potrebbe davvero finire con tutti in 
				libertà, sia pure attraverso i benefici della condizionale. A 
				meno che l'esigenza di un capro espiatorio spinga all'esemplare 
				condanna di almeno una persona. 27 aprile 1989   Fonte: La Stampa 
					
					
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					APRILE 1989 
					
						
						
						
						  
					 Sentenza stamane per la strage di 
				Juve-Liverpool. BRUXELLES - Un processo per la strage 
				dello stadio di Heysel si concluderà con la condanna di 14 dei 
				25 tifosi teppisti britannici. Questo l'annuncio che ha dato 
				stamani il presidente del tribunale, Pierre Verlinden, iniziando 
				la lettura delle conclusioni del procedimento. Gli altri 11 
				teppisti, i tristemente famosi "hooligans" a giudizio, saranno 
				assolti. Le richieste della pubblica accusa erano state: la 
				condanna di 15 teppisti e l'assoluzione, per non avere commesso 
				il fatto o per insufficienza di prove, di dieci di essi. 
				L'entità delle pene, ha detto il presidente del tribunale, sarà 
				annunciata in un secondo tempo, probabilmente nella tarda 
				serata. Si è potuto constatare alla lettura delle conclusioni 
				del processo che il tono del presidente nei confronti degli 
				imputati è stato estremamente duro e severo. Si sta esaurendo 
				così, dopo un lungo e travagliato periodo di indagini non sempre 
				condotte secondo quanto speravano e pretendevano i familiari 
				delle vittime, il primo atto di una delle più tragiche vicende 
				che abbiano funestato il mondo dello sport. Il dibattito 
				iniziatosi il 17 ottobre racchiude in 564 pagine la "verità" su 
				quella terribile serata del 29 maggio 1985 in cui morirono allo 
				stadio dell'Heysel 39 persone delle quali 32 italiane. Soltanto 
				il 9 settembre del 1987 gli hooligans furono trasferiti 
				dall'Inghilterra a Bruxelles e rinchiusi nel carcere di Leuven. 
				Ma la detenzione durò soltanto un mese, il 17 ottobre 1988 ebbe 
				finalmente inizio il processo che rischiò subito la paralisi 
				giacché i difensori degli hooligans chiesero che fossero lette 
				in aula tutte le 48 mila pagine agli atti. Per fortuna, il 
				presidente volle sfoltire la procedura, ma lo scorso 13 febbraio 
				vi fu un nuovo colpo di scena. Dopo le arringhe dei difensori, 
				il procuratore del re chiese due assoluzioni con formula piena e 
				8 con formula dubitativa per gli imputati inglesi e per gli 
				altri 15 condanne a discrezione della corte. Inoltre, chiese 
				l'assoluzione per l'Uefa e per la città di Bruxelles 
				individuando solo nel capitano della gendarmeria Mahieu e nel 
				segretario dell'Unione belga Roosens eventuali responsabili. 
				Questa mattina alle ore 9, il presidente del tribunale ha dato 
				inizio alla lettura della sentenza che continuerà per tutta la 
				giornata di oggi. In aula oltre agli imputati, erano presenti 
				150 giornalisti provenienti da tutto il mondo (una decina 
				dall'Italia). 28 aprile 1989   Fonte: Stampa Sera  
				 
				 
					
					
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					APRILE 1989 
					
						
						
						
						  
					 di Daniele Mastrogiacomo
				 
				 BRUXELLES - Nessuna vendetta, chiediamo 
				solo giustizia. Lidia e Salvatore Mastroiaco parlano con un filo 
				di voce. Si tengono per mano, gli occhi lucidi, sconvolti da una 
				tragedia immensa. La sera del 29 maggio 1985 il loro figlio 
				Gianni era lì, nel settore Z della curva allo stadio di Heysel. 
				Era partito da Rieti con un gruppo di amici. "C'era la Juve, 
				finale della Coppa dei Campioni - ricordano. Era un ragazzo 
				felice, spensierato. Non lo abbiamo più visto, l'ha ucciso la 
				furia degli hooligans. Una violenza senza ragione, bestiale, 
				immotivata... Cosa ci aspettiamo ? Solo giustizia. Vogliamo che 
				venga punito chi ha assassinato nostro figlio". Sul DC9 Alitalia 
				diretto a Bruxelles rabbia e speranza dominano i racconti. A 
				bordo ci sono una trentina di parenti dei 32 italiani morti dopo 
				l'assalto dei red del Liverpool. Madri e padri che hanno perso i 
				loro cari. Mogli rimaste improvvisamente vedove. Sguardi spenti 
				che si perdono nel vuoto. Stamani saranno tutti lì, nella grande 
				aula del tribunale del Palais de Justice di Bruxelles, per 
				ascoltare il verdetto della corte chiamata a giudicare 32 
				imputati del massacro di Heysel. Dai 25 supporter del Liverpool 
				(la posizione di un tifoso è stata stralciata perché in galera 
				in Inghilterra), inchiodati dalle riprese Tv, a Jacques Georges 
				e Hans Bangerter, presidente e segretario della Uefa. Da Hervé 
				Brouhon, sindaco di Bruxelles, a Vivianne Baro, assessore allo 
				sport, ad Albert Roosens, segretario dell'Unione calcio belga, a 
				Michel Kensier e Johans Mahieu, rispettivamente maggiore e 
				capitano della Gendarmerie, entrambi responsabili del servizio 
				d'ordine allo stadio della città. Saranno presenti anche gli 
				avvocati di parte civile. Uno stuolo di legali, deciso e 
				combattivo. Per tutti questi mesi hanno seguito le udienze del 
				dibattimento, incalzando la corte con una serie di richieste. 
				Per tutti parla l'avvocato Bruzio Pirroncelli, del Foro di Roma. 
				Da questa sentenza ci aspettiamo ben poco, ammette. Gli 
				hooligans, probabilmente, saranno assolti per insufficienza di 
				prove. Ma quello che non riusciamo ad accettare è l'assoluzione 
				del responsabili della Uefa. Loro hanno organizzato l'incontro, 
				loro hanno incassato l'83 per cento degli introiti, loro hanno 
				svolto un ruolo determinante in tutta la vicenda. Ci aspettiamo 
				la condanna dell'Unione calcio belga e dei responsabili del 
				servizio d' ordine. Interviene Otello Lorentini, 54 anni. E' il 
				presidente dell'associazione che raccoglie i familiari delle 
				vittime di Heysel. Nello stadio della morte ha perso un figlio, 
				Roberto. Una tragedia nella tragedia. Si era salvato dalle 
				cariche bestiali degli hooligans. Ma, in quanto medico, era 
				tornato indietro per assistere i feriti. La seconda carica lo ha 
				travolto. Il padre non si dà pace: Come faccio a dimenticare 
				quella gente ? Io li ho visti, con i miei occhi. Ci aggredivano 
				con violenza, con rabbia. Armati di spranghe, di bastoni, di 
				pietre, ci spingevano verso il muro. Li ho visti picchiare, 
				sputare, lanciare in aria, in segno di spregio, i documenti e 
				gli oggetti personali dei feriti e dei moribondi. Adesso ci 
				chiedono di perdonare, come la Candy, che sponsorizza la squadra 
				del Liverpool... No, purtroppo, non ce la sentiamo di perdonare. 
				E' ancora troppo presto. Il massacro di Sheffield forse avrà 
				insegnato loro qualcosa. Avranno finalmente capito cosa si prova 
				quando si muore in modo così assurdo"... Ma la requisitoria del 
				Pubblico ministero, Pierre Erauw, ha spianato la strada verso un 
				verdetto mite. Gli hooligans hanno continuato a gridare la loro 
				innocenza. I filmati, acquisiti agli atti del processo, mostrano 
				due, tre giovani che brandiscono dei bastoni e lanciano alcune 
				pietre. Prove che, per la pubblica accusa, sono insufficienti 
				per incastrare i responsabili. E, motivo determinante, per 
				accogliere la tesi della premeditazione. Alla fine, ha chiesto 
				l'assoluzione per otto hooligans, e la condanna per altri 
				quindici. Nessuno azzarda previsioni. Anche se molti sono 
				convinti che l'unico a pagare il prezzo della strage sarà il 
				capitano della Gendarmerie, Johans Mahieu. Era la sua prima 
				esperienza di ordine pubblico allo stadio ed in aula ha ammesso 
				che i walkie-talkie della polizia non erano muniti di batterie. 
				In questo clima di generale indifferenza, creato da una città 
				che vuole rimuovere e dimenticare l'incubo di un assurdo 
				massacro, i parenti delle vittime si aggrappano all'ultima 
				speranza. La speranza di una condanna che apra la strada verso 
				il risarcimento.   28 aprile 1989   Fonte: La Repubblica  
				 
					
					
						ARTICOLI STAMPA  
						
					APRILE 1989 
					
						
						
						
						  
				
								 
					 Indizi confusi e giuridicamente dubbi: 
				dei 32 imputati (25 hooligan) nessuno rischia condanne troppo 
				dure. L'ombra della tragedia di Sheffield. Solo la recente 
				strage in Inghilterra ha in parte ravvivato l’interesse per una 
				vicenda che dura dal luglio ’86. Heysel, una sentenza piccola piccola ? di Paolo Soldini Tre anni e undici mesi dopo quella 
				maledetta sera del 29 maggio 1985, sulla strage dello stadio di 
				Heysel (39 morti, travolti dalla furia scatenata dei tifosi del 
				Liverpool) cala il sipario della giustizia. Oggi il tribunale di 
				Bruxelles emetterà la sentenza di un processo che dura, ormai, 
				dal luglio dell'86. Dei 92 imputati nessuno rischia condanne 
				troppo dure. DAL NOSTRO 
				CORRISPONDENTE. BRUXELLES - Per leggere la sentenza, si prevede, 
				il presidente del tribunale Pierre Verlynden impiegherà diverse 
				ore, per dar tempo agli interpreti di tradurla. Ma tanta 
				lentezza non rischia davvero di rovinare la "suspense": dalla 
				conclusione del processo per la tragedia di Heysel nessuno si 
				aspetta fatti sconvolgenti, né giustizie esemplari. Dei 32 
				imputati, 25 "hooligan" britannici (all'inizio erano 26, poi la 
				posizione di uno è stata stralciata perché è già condannato, per 
				altri motivi, in patria), due ufficiali della gendarmeria belga, 
				l'ex segretario dell’Unione calcistica belga, il presidente e il 
				segretario generale della Uefa, il borgomastro e l'assessore 
				allo Sport della città di Bruxelles, nessuno rischia più di 
				tanto. Gli elementi a carico dei teppisti, identificati sulla 
				base delle riprese televisive, sono abbastanza confusi e 
				giuridicamente dubbi, al punto che lo stesso pubblico ministero, 
				nel corso del dibattimento, ha messo in Iuce il fatto che per 
				molti regga l'imputazione di omicidio preterintenzionale. L'Unione 
				calcistica belga e la Uefa rischiano al massimo una condanna 
				simbolica e pro-forma, che servirebbe solo a permettere alle 
				assicurazioni di pagare (chissà quando) il premio alle famiglie 
				delle vittime e ai feriti di quel 29 maggio. Il borgomastro e 
				l'assessore allo sport di Bruxelles sono già, praticamente, 
				usciti dal processo: "puliti", come si dice. L’unico che ha da 
				temere, fra gli imputati belgi, è il capitano della gendarmeria 
				Johan Mahieu, che quella sera maledetta era "responsabile" 
				dell'ordine pubblico all’Heysel e sbagliò tutto. "Fino ad allora 
				- si è giustificato al processo - non avevo mai messo piede in 
				uno stadio"... Il suo superiore diretto, il maggiore Michel 
				Kensier, invece, ha ottime probabilità di passarla liscia; Il 
				principio delle responsabilità di chi comanda, in questa 
				tristissima storia, non ha mai contato molto. Fin dall’inizio, 
				quando, poche ore dopo la strage, il ministro degli interni 
				Charles-Ferdinand Nothomb a chi gli chiedeva le dimissioni 
				rispose: "E perché mai ? lo che c’entro ?". È ben difficile, 
				insomma, che i parenti dei 32 morti di Heysel, una trentina, 
				attesi a Bruxelles per stamani, scioperi aerei permettendo, 
				possano aver almeno la consolazione di veder fatta giustizia. 
				D'altronde, nonostante l'impegno dei legali di parte civile, 
				coordinati dall’avvocato italo-belga Daniel Vedovatto, il 
				processo aveva preso un andamento discutibile fin dalle prime 
				battute. Per ottenere l'estradizione dei 26, poi diventati 25, 
				"hooligans" riconosciuti nelle riprese tv, le autorità belghe 
				avevano impiegato mesi e mesi. Poi, in base ad accordi mai 
				chiariti del tutto con il governo di Londra, li aveva sistemati 
				in prigioni di tutto comodo (il che provocò addirittura la 
				rivolta dei detenuti "normali" in due carceri di Bruxelles) e 
				quindi rilasciati su una serie di cauzioni che non si sa chi 
				abbia, alla fine, pagato. La prima apertura del procedimento, il 
				2 luglio dell’86, fu una specie di finta giuridica: gli atti, 
				oltre 50 mila pagine, che il tribunale pretendeva che venissero 
				pagate, e a peso d’oro, erano del tutto sconosciuti agli 
				avvocati, cosicché fu necessario un rinvio di oltre due anni, 
				fino all'ottobre dell‘88. Tra le schermaglie legali e le 
				lungaggini, il dibattito aveva finito per perdere ogni interesse 
				e la fiducia che arrivasse a una conclusione significativa si 
				era ben presto persa. Dalle udienze, a poco e poco, scomparivano 
				i vestiti a lutto dei parenti delle vittime e i giornali 
				relegavano la cronaca nelle pagine interne. La tragedia di 
				Sheffield ha riacceso l'attenzione su una storia che cominciava 
				a divenire "lontana" nel tempo e, soprattutto, nelle coscienze. 
				Resta da chiedersi se quello che è successo nello stadio 
				inglese, la ripetizione di una follia che dopo Heysel era 
				sembrata davvero irripetibile, influirà in qualche modo sulla 
				conclusione del processo di Bruxelles. Ma c’è da dubitarne. 28 aprile 1989 Fonte: L’Unità  
				ARTICOLI STAMPA  
						
				APRILE 1989   
				
								 
					 Sedici condannati e sei assolti. 
				Riconosciuta la responsabilità della Federcalcio belga ma non 
				dell’Uefa. Duri commenti dei parenti delle vittime.  
				 Strage archiviata. Assoluzione per i 
				padroni del pallone. Sedici condanne e sedici assoluzioni; tre 
				anni di reclusione con la condizionale per 14 dei 25 teppisti 
				britannici individuati tra la folla; pene minori per due degli 
				accusati belgi; negata ogni responsabilità dell’Uefa. Il 
				processo per la strage dell’Heysel si è chiuso ieri con una 
				sentenza che lascia l'amaro in bocca. Quattro anni dopo, nessuno 
				dei responsabili di quella follia è in carcere.
				 
				 
				 
				DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. BRUXELLES - 
				Delle meticolose misure di sicurezza dispiegate il 17 ottobre 
				scorso, quando il processo per la strage dell'Heysel si era 
				aperto (o, meglio, riaperto, dopo una prima falsa partenza) sono 
				rimasti il "metal detector" all'ingresso dell'aula e un cordone 
				di poliziotti annoiati. Il grande processo alla follia della 
				violenza negli stadi non eccita più gli animi, e da un bel po' 
				di tempo. Sotto la cupola enorme del palazzo di giustizia di 
				Bruxelles, che dovrebbe simboleggiare nel suo neoclassico "kitsch" la sacralità della Giustizia, si affollano giornalisti 
				e cameramen, ma di curiosi, stavolta, non ce ne sono molti. Di 
				avvocati, sì, invece, in tocco e toga e sir Henry Livermoore, il 
				super patron degli accusati inglesi, anche con la parrucca in 
				testa, come si usa a casa sua. Tanti avvocati perché questo è un 
				processo difficile, molto "tecnico", come dice chi se ne 
				intende, e senza precedenti, almeno in Belgio: 50 mila pagine di 
				atti istruttori, elementi di prova inediti, come le riprese tv 
				che hanno permesso di identificare 26 persone (su quanti: 
				cinquecento, mille ?) "nella massa scatenata che quella sera, 
				tre anni e 11 mesi fa, travolse la tribuna "Z" e lasciò per 
				terra 39 morti, un complicato intreccio di elementi penali ed 
				elementi civili, i risarcimenti per i sopravvissuti e i parenti 
				delle vittime… Quando il presidente della Corte Pierre Verlynden 
				comincia, verso le 10 del mattino, a leggere la sentenza, le 
				ultime curiosità si sono già spente. Come finirà questo processo 
				"esemplare", più o meno già si sa. A fugare le ultime 
				incertezze, il giudice Verlynden ha fatto discretamente sapere 
				in giro che la sua sentenza era pronta da tempo, da prima, per 
				intenderci, del nuovo massacro della "guerra degli stadi", 
				quello di Sheffield, che così qualcuno aveva pensato avrebbe 
				potuto influire sul giudizio. Solo dalle file in cui si sono 
				raggruppati i parenti dei morti, le vedove con il nero del 
				lutto, le madri, i padri, i fratelli viene ancora qualche segno 
				di passione, scambi di occhiate inquiete, qualche parola a bassa 
				voce, qualche messaggio per gli avvocati di parte civile. Più 
				avanti, dove sono seduti i 32 imputati, l'atmosfera è distesa: 
				nessuno rischia troppo. E tutti già lo sanno. Pian piano, in 
				francese prima e in inglese poi, si sgranano le cifre della 
				sentenze. Undici degli accusati inglesi sono assolti: la Corte 
				non ha potuto provare nessuna particolare colpevolezza, pur se 
				li ha riconosciuti tutti nella massa inquadrata dalle telecamere 
				quella sera maledetta. Assolto il maggiore Michel Kensier, che 
				quella sera dirigeva dal suo ufficio le operazioni della 
				gendarmeria dentro e intorno allo stadio: non ha sbagliato 
				nulla, secondo il tribunale, e una responsabilità particolare, 
				per chi risponde dell'operato dei propri sottoposti, non esiste, 
				evidentemente. D’altronde, neppure il ministro degli Interni del 
				tempo, Charles Ferdinand Nothomb, sentì il dovere di dimettersi 
				(figuriamoci) e neppure di scusarsi... Assolta anche l'Uefa, 
				nelle persone del presidente Jacques George e del segretario 
				generale Hans Baugerter. L’idea di far giocare una partita "calda" come la finale della Coppa dei Campioni fra il Liverpool 
				e la Juventus in uno stadio per niente attrezzato come quello di 
				Bruxelles fu certo un errore, ma non è una colpa, secondo la 
				giustizia belga. Assolti e questo era previsto fin dall’inizio 
				anche il borgomastro di Bruxelles Hervé Brouhon e l’assessore 
				allo sport Viviane Baro. La signora Baro, la sera del 29 maggio 
				'85, era anche lei allo stadio, ma se ne andò quando 
				cominciarono gli incidenti. Non aveva visto, non sapeva che le 
				tribune dell’Heysel erano insicure, una trappola nel caso di 
				scontri fra tifosi o di aggressioni. Ed ecco le condanne. 
				Quattordici dei 26 teppisti chiamati in giudizio (la posizione 
				di uno è stata poi stralciata perché sconta già una pena in 
				patria) sono stati riconosciuti colpevoli di colpi e lesioni 
				tali da provocare la morte e condannati a tre anni di reclusione 
				con sospensione condizionale della metà della pena per un 
				periodo di cinque anni. Significa un anno e mezzo di carcere a 
				meno che, nel corso dei prossimi cinque anni, e qui in Belgio, 
				non vengano condannati per qualche altro reato penale. A 
				quell'anno e mezzo vanno tolti sei mesi, già scontati di 
				carcerazione preventiva. Ma anche i dodici mesi che restano è 
				molto, molto difficile che li debbano trascorrere davvero in 
				prigione. Il pubblico ministero Pierre Erauw avrebbe dovuto 
				chiedere l'ordine d'arresto, e fino a ieri sera non lo aveva 
				fatto. E dei quattordici condannati britannici, alla riapertura 
				dell'udienza del pomeriggio, nell'aula del processo non restava 
				che la memoria e la preoccupazione di un'avvocatessa belga che 
				aveva visto sparire il suo cliente e, probabilmente, la 
				parcella. In teoria i 14 potrebbero essere riestradati in 
				Belgio, ma chi ci crede ? Tanto per confermare l'impressione 
				che, anche in questo caso, la giustizia sia particolarmente 
				severa solo con i pesci piccoli, il tribunale, che ha assolto il 
				suo diretto superiore, ha condannato invece 9 mesi con la 
				condizionale e una fortuna in indennizzi alle parti lese per il 
				maggiore della gendarmeria Johan Mahieu che quella sera era sul 
				posto. E l’ex segretario dell'Unione calcistica belga Albert 
				Roosens che si è preso sei mesi con la condizionale sacrificato 
				sull’altare della necessità di considerare comunque responsabile 
				l'Unione in modo da assicurare una "parte solvente" per i 
				risarcimenti civili. L'udienza del mattino si conclude ed è il 
				momento, amaro, dei commenti: "Volevamo una sentenza esemplare e 
				non l'abbiamo avuta" dice Otello Lorentini, che all’Heysel ha 
				perso un figlio e dirige l’associazione dei parenti delle 
				vittime – quindi che vuole che dica ? Siamo delusi. Avrebbero 
				almeno dovuto condannare l'Uefa: sono i dirigenti del calcio 
				internazionale che hanno sbagliato allora e che potrebbero 
				sbagliare ancora". "Una sentenza deludente - aggiunge Marilena 
				Fabbro che ha perso il marito - non cercavamo vendetta, ma 
				giustizia quella sì, ci era dovuta". Poche ore più tardi 
				comincia la lettura del dispositivo civile della sentenza: i 
				risarcimenti e gli indennizzi per i morti e i feriti. Il 
				presidente spiega chi e quanto deve pagare, e a chi e perché in 
				una contabilità crudele, che stabilisce quanto "valga" un morto, 
				quanto si debba "pagare" un lutto, o il dramma di chi porta 
				ancora sul corpo o nella mente le ferite di quella sera 
				maledetta. A pagare saranno, probabilmente le assicurazioni e 
				l'Unione calcistica perché gli accusati britannici non sono "solvibili". Si tratta di povera gente. E anche questo è un 
				aspetto amaro della storia dell’Heysel che arriva alla sua fine. 29 aprile 1989 Fonte: L’Unità  
				 
					
					
						ARTICOLI STAMPA  
						
					APRILE 1989 
					
						
						
						
						  
				 Tutti fuori, nessuno paga per i morti 
				dell’Heysel di Paolo Soldini Sedici assoluzioni e sedici condanne, 
				ma nessuno è in carcere, e nessuno probabilmente ci andrà, per 
				la strage dello stadio di Heysel che costò la vita, il 29 maggio 
				di quattro anni fa, a 39 persone. Il Tribunale di Bruxelles ha 
				condannato 14 "hooligan", ma ha assolto i dirigenti del calcio 
				internazionale e le autorità belghe che della follia di quella 
				sera portano responsabilità non facili da dimenticare. DAL NOSTRO CORRISPONDENTE. BRUXELLES - 
				"Volevamo una sentenza esemplare e non l'abbiamo avuta". Otello 
				Lorentini nella tragedia del Heysel ha perso un figlio, ed è 
				presidente dell'associazione dei parenti delle vittime: il suo 
				commento vale più di ogni altra spiegazione sul significato 
				della sentenza con cui ieri si è concluso il lungo e difficile 
				processo per la strage del 29 maggio dell'85. Trentanove morti 
				(trentadue italiani), uccisi sulle gradinate dello stadio di 
				Bruxelles dalla furia dei teppisti del Liverpool, ma anche 
				dall'insipienza, dagli errori e dalla irresponsabilità di chi 
				avrebbe dovuto impedire che una simile tragedia avvenisse: 
				l'Uefa, che aveva organizzato la finale della Coppa dei 
				Campioni, Juventus-Liverpool, in uno stadio manifestamente 
				inadatto; la gendarmeria belga, che non seppe mantenere 
				l’ordine; le autorità di Bruxelles, che non si erano "accorte" 
				che l'Heysel era in realtà una trappola pericolosa. La sentenza 
				punisce solo una parte dei colpevoli, lascia la sensazione amara 
				che i morti di Heysel non abbiano diritto alla giustizia e il 
				dubbio inquietante che il fenomeno della violenza negli stadi 
				(riesploso in forma ancor più tragica a Sheffield) possa 
				continuare a sfuggire ai principi di responsabilità che regolano 
				la vita civile. Dei condannati i 14 teppisti, un ufficiale della 
				gendarmeria e il segretario dell'Unione calcistica belga nessuno 
				è in prigione e nessuno, probabilmente, ci andrà mai. 
				Riconosciuti colpevoli di "colpi e lesioni tali da provocare la 
				morte", sono stati condannati a tre anni di reclusione con 
				sospensione condizionale di metà della pena per un periodo di 
				cinque anni. Un anno e mezzo di carcere; quindi, e in Belgio, a 
				condizione che entro i prossimi cinque anni non vengono 
				condannati per altri reati nello stesso territorio belga. I 
				britannici se ne sono tornati a casa prima ancora che fosse 
				finita la lettura della sentenza ed è molto improbabile che 
				vengano in futuro rinviati in Belgio. Gli altri due 
				beneficeranno della condizionale. Per quanto riguarda i 
				risarcimenti e gli indennizzi per i morti e per i feriti, si 
				incaricheranno probabilmente le assicurazioni e l'Unione 
				calcistica, dal momento che gli accusati britannici non sono "solvibili". 29 aprile 1989 Fonte: L’Unità 
				 
					
					
						
					
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						APRILE 1989 
						
						
						  di Alfio Bernabei LONDRA - C'è grande sollievo a 
				Liverpool e in tutta l’Inghilterra dopo la sentenza pronunciata 
				ieri a Bruxelles. Il segretario all'Interno Douglas Hard si è 
				dichiarato soddisfatto del verdetto. "Il governo venne criticato 
				quando decidemmo di permettere l'estradizione dei tifosi in 
				Belgio, ma ora gli eventi hanno provato la giustezza della 
				nostra posizione. Il sistema giudiziario belga è diverso dal 
				nostro, ma nel complesso tutto si è svolto secondo le regole". 
				Alla domanda se consentirà l'estradizione dei quattordici tifosi 
				che sono stati condannati nel caso le autorità belghe decidano 
				di procedere alla loro incarcerazione, Hurd ha risposto: "È 
				troppo presto per dare una risposta. Probabilmente ci sarà un 
				appello. Vedremo". Anche a Downing Street dove la Thatcher 
				proprio oggi ha ricevuto Ciriaco De Mita l'impressione è che le 
				cose siano andate secondo i piani. Il premier è riuscito a 
				dimostrare agli altri paesi della Comunità che quando si tratta 
				di hooligan non c’è protezione che tenga. Se un tribunale 
				straniero li vuole, deve averli, affinché venga fatta giustizia. 
				Ma il sollievo negli ambienti governativi è anche dovuto al 
				fatto che la natura della sentenza non crea problemi a livello 
				diplomatico tra i due paesi. Anche sir Harry Livermoore, 
				l'avvocato di Liverpool che ha difeso alcuni degli imputati, si 
				è dichiarato soddisfatto. In passato aveva criticato le 
				procedure legali belghe trattandole come inferiori a quelle 
				britanniche tanto da sollevare dubbi sulla possibilità di 
				un'equa sentenza. "Le assoluzioni sono ok. Mi pare però che una 
				condanna alla prigione dopo che sono trascorsi quattro anni 
				dagli avvenimenti, sia un po’ forte. Allo stesso tempo devo dire 
				che, se fossero stati processati in Gran Bretagna, le cose 
				sarebbero andate peggio". Ha confermato che ci sarà un appello 
				entro i prossimi quindici giorni. "Anche se non lo chiediamo 
				noi, lo chiederanno i rappresentanti degli altri imputati belgi 
				che sono stati condannati. Speriamo solo che questo non ci 
				riporti indietro creando complicazioni per i nostri giovani. 
				Hanno sofferto abbastanza". Uno degli imputati che non è andato 
				a Bruxelles per ascoltare la sentenza ha dichiarato: "Sono stato 
				trattato ottimamente dalle autorità belghe. La sentenza è 
				giusta". Ma una reazione completamente diversa è venuta da un 
				tifoso presente alla lettura del verdetto. Si è alzato ed è 
				uscito quasi di corsa senza aspettare di conoscere la sentenza 
				e, scontrandosi coi cameramen inglesi, ha gridato: "È caos 
				completo, tutto il processo è stato un caos". La frase è servita 
				a ricordare che lo scorso anno questa definizione venne usata da 
				quasi tutti i tifosi, dai loro avvocati e dalla maggior parte 
				dei media britannici per indicare la loro mancanza di fiducia 
				nella giustizia belga. Secondo un loro imputato, Alan Woodray, 
				"il processo è stato preordinato e la sentenza non è venuta dal 
				giudice, ma da qualche altra fonte". John Smith, dirigente del 
				Liverpool Football Club, ha dichiarato; "Spero che ora si sia 
				giunti alla fine di questa storia. Si è protratta troppo a lungo 
				ed è tempo che le cose tornino alla normalità". La sentenza era 
				attesa con particolare ansia a Liverpool e a Sheffield dove 
				proprio ieri sono iniziati i lavori dell'inchiesta per stabilire 
				le responsabilità della tragedia di Hillsborough dove 
				hooliganismo, cattiva organizzazione e deficienze nelle misure 
				di sicurezza dentro e fuori lo stadio, hanno causato la morte di 
				novantacinque tifosi.   29 aprile 1989 Fonte: L’Unità  
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				APRILE 1989   
					 di Michele Serra   Non saranno molto soddisfatti, i 
				parenti delle vittime di Bruxelles, di questa sentenza blanda 
				seguita a un'istruttoria pigra. Ci si chiede quale 
				"soddisfazione giudiziaria", e insomma quanti anni di galera, ci 
				vorrebbero per lavare una macchia di dolore così indelebile 
				perché così stupida e inutile. Gli hooligans se la cavano a buon 
				prezzo; anche nel loro caso, del resto, nessun castigo 
				sembrerebbe in grado di ricondurli alla ragione, visto che 
				neppure i cento morti di Sheffield (quasi tutti tifosi del 
				Liverpool) sono serviti a placare i gruppetti di potenziali 
				assassini che riempiono gli stadi d’Europa. La sentenza di 
				Bruxelles (imperdonabile per la pilatesca decisione di non 
				coinvolgere nemmeno da lontano i capoccioni dell'Uefa, che 
				decisero di assegnare a uno stadio pateticamente vecchio e 
				insicuro una finale "calda" come Liverpool-Juventus) attribuisce 
				almeno la responsabilità civile dell'eccidio alla Federcalcio 
				belga. Cosa che consentirà ai parenti delle vittime, 
				probabilmente, di ottenere lo straccio di un risarcimento. Ma è 
				scandaloso, per tutti gli uomini di buona volontà, che i padroni 
				del calcio (coloro, per entrare nel merito, che ci mangiano 
				sopra e sul pallone ritagliando fette di potere) continuino a 
				godere di una sostanziale impunità per tutto ciò che dentro al 
				calcio accade. 29 aprile 1989 Fonte: L’UnitàARTICOLI STAMPA  
						
				APRILE 1989   
				Le reazioni a Torino "È tutta una presa in giro. 
				Come al solito i veri colpevoli non pagano" di Tullio Parisi TORINO - 
				Una sentenza che ha lasciato sconcertati. Quattordici condanne 
				per la strage dell'Heysel, tutti hooligans. Altri undici 
				teppisti liberi, nessuna pena per i poliziotti e le autorità 
				belghe. A Torino sono stanchi di ripetere le stesse cose. La 
				fiducia nella giustizia belga era già venuta meno in questi 
				quattro lunghi anni di attesa. Nessuno si illudeva più di tanto, 
				come aveva detto Scirea in questi giorni, facendosi portavoce di 
				una sensazione generale. Il presidente della Juve, Giampiero 
				Boniperti, ha detto: "Come sempre, purtroppo, si è rivelato 
				estremamente difficile individuare e colpire i responsabili. 
				Condivido e capisco l'amarezza dei parenti delle vittime. 
				Nessuna sentenza avrebbe mai potuto ripagarli, né restituire 
				loro gli affetti che hanno perso". Ma le loro reazioni 
				autentiche non lasciano dubbi sui sentimenti con cui la notizia 
				della sentenza viene accolta. Tiziana Russo, vedova del marito 
				Domenico, si era già espressa pessimisticamente in altre 
				circostanze. È ancora l'amarezza che sgorga dalle sue parole: "Non è che la logica conclusione dei fatti di questi anni. Prima 
				il tentativo di insabbiare tutto, poi i rinvii e adesso la 
				sentenza che è una presa in giro. Non si capisce perché i 
				colpevoli siano solo i teppisti e perché, fra loro, una parte 
				sia meno colpevole". Carlo Duchene, pinerolese, fu preso a 
				sprangate da James Mcgill, tifoso del Liverpool. Rimase 
				invalido, mentre l'inglese se la cavò con 40 mesi di carcere e 
				una multa di 5 milioni di franchi. "Avrebbe dovuto restare in 
				prigione per tutta la vita - dice Duchene. Ora sono diventato 
				anche più cattivo di allora, il calcio non mi interessa più, è 
				finito tutto quella sera nel settore dell'Heysel. La sentenza 
				conferma l'atmosfera che c'era al processo: gli avvocati degli 
				hooligan" hanno avuto il coraggio di accusare gli italiani. 
				Ormai si va allo stadio par sfogarsi, non più per divertirsi. 
				Isabella Landini, nipote di Gioacchino Landini, perito 
				all’Heysel, va controcorrente, solo per affermare l'angoscia 
				accumulata e per testimoniare uno stato d'animo vicino alla 
				rassegnazione: "Pensavamo peggio. Dopo tutti i rinvii, gli 
				insabbiamenti, il minimo che ci si poteva aspettare era una 
				manciata di assoluzioni. E’ vero, le pene non sono state né 
				severe, né distribuite con equità. Non vedo nomi di poliziotti o 
				di autorità tra i condannati. Eppure la polizia non ha fatto 
				niente per evitare il massacro, anzi, respingeva la folla che 
				cercava di scappare. Gli hooligans non sono stati i soli 
				responsabili. E poi, perché punirne solo una parte ? La follia 
				collettiva è stata responsabilità di tutti". Per lei, 
				diciannovenne, sarà un po’ più facile dimenticare. Per suo 
				padre, no. "Non bisogna fare di tutte le erbe un fascio: e la 
				mia famiglia ha cercato di mantenere il senso della giustizia 
				senza odiare indiscriminatamente tutti. Ma rimarrà sempre un 
				senso di profonda ingiustizia fuori, quando ti presenti agli 
				occhi della gente e non puoi nascondere il peso che ti si legge 
				in viso".            
				 29 aprile 1989 Fonte: L’Unità  
				ARTICOLI STAMPA  
						
				APRILE 1989   
				
								 
					 Giampiero Boniperti, presidente della 
				Juventus, ha così commentato la sentenza di Bruxelles 
				sull'Heysel: "Purtroppo si è rivelato molto difficile, come 
				spesso accade, individuare e colpire i responsabili. Anche se la 
				tragedia dell'Heysel è stata così atroce, da lasciare in tutti 
				noi una ferita profonda, che non potrà rimarginarsi facilmente. 
				Non abbiamo elementi sufficienti per giudicare con serenità e 
				competenza, la giustizia ha fatto il suo corso, però capisco e 
				condivido l'amarezza dei parenti delle vittime: nessuna sentenza 
				avrebbe mai potuto ripagarli, né restituire loro gli affetti che 
				hanno perso per una assurda follia collettiva che è difficile, 
				realisticamente, imputare soltanto a pochi teppisti". In Gran 
				Bretagna la sentenza ha scatenato la protesta delle famiglie dei 
				tifosi condannati. "Sono disgustata - è la reazione di Gillian 
				Evans, moglie di uno dei 14 tifosi del Liverpool indicati come 
				colpevoli dalla corte belga - ancora una volta siamo stati 
				trattati come capri espiatori. Questa non è giustizia". Joan 
				Hurst, a capo di un'associazione di solidarietà fra le famiglie 
				degli accusati, si è detta "addolorata per le mamme dei 
				condannati. Questa sentenza scarica addosso alle famiglie un 
				ulteriore carico di pressioni e problemi dopo che hanno già 
				sofferto cosi tanto". Il presidente del Liverpool, John Smith, 
				ha detto: "Processo è durato fin troppo, spero che sia l'epilogo 
				di questo sconvolgente disastro. Ora potremo ritornare il più 
				presto alla normalità". Il portavoce laborista Barry Sheerman ha 
				detto alla Bbc: "Se qualcuno va all'estero per commettere reati 
				di violenza e di aggressione è lecito che si aspetti di essere 
				portato davanti ad un tribunale nel Paese dove ha commesso il 
				crimine". r. s. 29 aprile 
				1989 
				 Fonte: La Stampa  
				 
				 
					
					
						ARTICOLI STAMPA  
						
					APRILE 1989 
					
						
						
						
						  
				
				I parenti delle vittime e gli scampati reagiscono con 
				sdegno alla sentenza sull'Heysel "Anche la legge ha perso la sua 
				partita"   di Ezio Mascarino "E le responsabilità degli 
				organizzatori ?" - si chiede Carlo Duchene che rimase in coma 
				per 27 giorni. "Non volevamo vendette, non abbiamo avuto 
				giustizia" dice Otello Lorentini che perse il figlio. "Provo gli 
				stessi sentimenti di allora" confessa Tiziana Russo, che non 
				rivide, più il marito. TORINO - La disperazione e la rabbia di 
				quei giorni si sono stemperate, ma tutti dicono: "Volevamo 
				giustizia e non c'è stata; siamo delusi, e sconfitti". Carlo 
				Duchene ha oggi 38 anni. Il 29 maggio 1985 fu preso a sprangate 
				da un tifoso del Liverpool mentre già era lontano dallo stadio: 
				"Mi aggredì alle spalle, ma io non ricordo più nulla. Ho ancora 
				in mente l'eco festosa della tifoseria italiana, lo sventolare 
				delle bandiere. Poi tutto è confuso. Non voglio più pensare, 
				altrimenti impazzirei". Rimase in coma per 27 giorni, poi si 
				riprese; la moglie dice: "Un miracolo". Abitavano a Pinerolo, 
				nel Torinese; da un mese la famiglia si è trasferita a 
				Bordighera, un negozio di parrucchiere nel centro, due passi dal 
				mare. "Mi aiuta Yvette, mia moglie; Claude, nostra figlia, ha 11 
				anni. Se sono vivo debbo molto a lei". Non c'erano più speranze, 
				i medici di Bruxelles suggerirono di far sentire a Carlo Duchene 
				la voce della figlia, registrata su un nastro. Lui ora mormora: 
				"Sento ancora quelle parole, anelli di una catena che mi ha 
				ancorato alla vita". Sulla sentenza dice: "Troppe assoluzioni, 
				pare che nessuno abbia colpe, solo i teppisti, coloro che 
				materialmente ci hanno aggrediti. E le responsabilità degli 
				organizzatori ? No, non chiedetemi un giudizio: io sono vivo, 
				molti hanno perso mariti, figli, parenti. Loro, solo loro, hanno 
				diritto a parlare". Otello Lorentini è presidente 
				dell'Associazione parenti delle vittime: ieri è uscito dal 
				tribunale a capo chino: "Avremmo voluto una sentenza esemplare, 
				siamo profondamente delusi". All'Heysel ha perso il figlio. "Lo 
				so, lo sappiamo, nessuna sentenza avrebbe potuto restituirci i 
				nostri cari. Non volevamo vendette, ma non abbiamo avuto 
				giustizia". Una "giustizia" che invocava anche Carola Bandiera 
				Landini. Abita a Torino in via (omissis), quel giorno all'Heysel 
				ha perso il marito. Ieri mattina era in aula. E' una donna 
				timida, ha portato i figli. Monica ed Andrea. Aveva detto ai 
				vicini, chiudendo casa: "voglio esserci, voglio guardare negli 
				occhi i giudici, voglio capire e sapere perché Gioacchino, mio 
				marito, è morto". E' uscita dall'aula del tribunale con gli 
				occhi gonfi di lacrime: chissà se ha saputo, se ha capito. A 
				Bruxelles doveva andare anche Tiziana Russo. 30 anni, abita a 
				Moncalieri, all'Heysel perse il marito Domenico. In quelle ore 
				drammatiche, quando le prime notizie rimbalzavamo confuse e 
				contraddittorie, aveva "rifiutato" l'ipotesi che il marito fosse 
				tra le vittime. I parenti: "Capitela, è incinta al settimo mese, 
				come può essere così sfortunata ? Continua a ripetere che 
				Domenico è vivo". Poi la bara dal Belgio, le corone dei fiori, 
				il cordoglio della città. "Eravamo felici per il bimbo che 
				doveva nascere, lui non voleva andare, "non ti lascio ", diceva; 
				fui io ad insistere. La morte lo attendeva in quello stadio". 
				Anche lei dai magistrati di Bruxelles aspettava "solo giustizia, 
				ma non basta punire solo qualche tifoso: ci sono le 
				responsabilità degli organizzatori. dell'Uefa, di chi ha venduto 
				biglietti per una zona riservata agli inglesi. Sono passati 
				quattro anni, provo gli stessi sentimenti di allora: dolore, 
				rabbia". Per non rivivere quei momenti, per non ritrovarsi in un 
				incubo, Marco Manfredi, 44 anni, dipendente dell'ospedale Santa 
				Croce di Moncalieri ha preso qualche giorno di ferie ed è 
				fuggito a Massa, in casa di parenti. "Voglio essere lasciato in 
				pace, non voglio neppure sapere", ha detto ai colleghi di 
				lavoro. Era in quello stadio, riuscì a scappare: come, rimarrà 
				sempre un mistero. Si perse, girovago per una settimana, finì in 
				Francia, rientrò in Italia e fu trovato da un amico a Torino. 
				Era in stato confusionale, di quei momenti ha ricordi vaghi, 
				confusi: un "buco nero". Si è ripreso, lavora sempre in 
				ospedale. "Ma è cambiato" - dicono i compagni.- "Parla, ride, ma 
				ogni tanto gli occhi si appannano, fissi nel vuoto, in quel 
				vuoto durato sette lunghi giorni". Delusione, profonda delusione 
				per la sentenza dei giudici di Bruxelles. "Eppure - sono ancora 
				parole di Carlo Duchene - bisogna trovar la forza per perdonare. 
				Ma anche fare di tutto per impedire che quei momenti debbano 
				ripetersi". Lui, strappato alla morte dalle parole della figlia 
				incise su un nastro, ha seguito per televisione quanto è 
				accaduto a Sheffield, altri 95 tifosi massacrati in uno stadio: 
				"Mi sono sentito lì tra loro: qualcuno mi spingeva, stavo 
				cadendo, sono caduto, mi hanno calpestato. Ancora, come quel 
				giorno, quattro anni fa".   29 aprile 
				1989 
				 Fonte: La Stampa  
				ARTICOLI STAMPA  
						
				APRILE 1989   
				
				Condannati, ma con la condizionale, i tifosi che causarono 39 
				morti Per la strage dell'Heysel nessuno 
				finisce in carcere   Assolti Comune di Bruxelles e Uefa. I 
				parenti delle vittime: "I nostri figli si sono uccisi da soli 
				?". 
 BRUXELLES - Nessuno in carcere per la 
				strage dell'Heysel. Così hanno deciso i giudici nel processo di 
				primo grado, la cui sentenza è stata letta ieri. I parenti dei 
				39 tifosi uccisi nel vetusto stadio di Bruxelles chiedevano 
				giustizia. "Ma questa sentenza è un'offesa" hanno detto alla 
				fine. Molti ricorreranno in appello, ma intanto oggi torneranno 
				in Italia "con il cuore pieno di tristezza. Così sembra proprio 
				che i nostri figli si siano uccisi da soli", come dice scuotendo 
				il capo Otello Lorentini, presidente dell'Associazione 
				famigliari delle vittime dell'Heysel. "Volevamo una sentenza 
				esemplare, ma non l'abbiamo avuta. Siamo delusi". La lettura 
				della sentenza per la strage prima di Liverpool-Juventus prende 
				sei ore abbondanti. E riserva qualche sorpresa. Le previsioni 
				della vigilia facevano temere ancor peggio. Soprattutto per gli 
				hooligans, nei confronti dei quali si parlava di un'ampia 
				assoluzione. Non è stato proprio così. Pur escludendo la 
				premeditazione, il tribunale ha ritenuto che non ci siano dubbi 
				sul fatto che 14 dei 25 tifosi inglesi incriminati abbiano 
				capeggiato le cariche selvagge che hanno ferito e ucciso i 
				tifosi: lesioni volontarie, dunque, e tre anni a tutti. Seppur 
				attenuati dalla circostanza che per la metà della pena 
				(decurtata del periodo di detenzione preventiva effettuato, 
				circa sei mesi) viene concessa la condizionale per cinque anni. 
				Ma in galera non finisce nessuno. Il pubblico ministero (Pierre 
				Erauw, che ha brillato per assenza) avrebbe potuto chiederne 
				l'arresto immediato, ma non lo ha fatto. Del resto, 
				probabilmente sarebbe stato troppo tardi. Quando, nella 
				mattinata, le condanne hanno cominciato a prendere forma si è 
				visto un immediato sfoltimento tra i ranghi dei 18 hooligans che 
				si erano presentati in aula. Altre due le condanne, ambedue 
				importanti. Una scontata: quella del capitano della gendarmeria 
				Mahieu. Era lui il responsabile della sicurezza sul campo quella 
				sera. Ha sbagliato tutto, rifugiandosi pateticamente dietro alla 
				circostanza di avere ricevuto ordini sbagliati. "Anche se è 
				vero, ed è tutt'altro che provato - ha detto con durezza il 
				presidente - un ufficiale responsabile adegua gli ordini 
				all'evoluzione delle circostanze e non si comporta da esecutore 
				cieco". A Mahieu sono stati inflitti nove mesi con la 
				condizionale, una multa di 30 mila franchi belgi (poco più di un 
				milione di lire), più un indennizzo simbolico di 5 franchi. 175 
				lire, per ogni vittima. Condannato anche Albert Roosens, 
				segretario dell'Associazione calcio belga. Sei mesi con la 
				condizionale, più multa e rimborso simbolico. Ma i toni del 
				giudice verso di lui sono stati meno duri. Comprensione, stima 
				per una carriera onorata: ma evidenza penale che era lui il 
				responsabile dell'organizzazione della partita, organizzazione 
				curata con negligenza, così come "insufficiente controllo ed 
				anarchica leggerezza" è stato rivelato dalla sentenza nella 
				vendita dei biglietti, un elemento centrale nella meccanica 
				della tragedia: italiani e britannici non si sarebbero dovuti 
				mai trovare fianco a fianco come avvenne quella sera. Maggiori 
				controlli, poi, dovevano essere fatti perché non erano mancate 
				le "avvisaglie", prima della gara: bande di hooligans avevano 
				sfasciato vetrine e negozi, seminando panico in città. 
				L'importanza della condanna di Roosens è comunque nel fatto che 
				essa trascina con sé la responsabilità civile dell'Unione calcio 
				belga, che dovrà pagare i risarcimenti. E quello dei 
				risarcimenti è un capitolo doloroso. Avviato, seppur non 
				confuso, nella sentenza, sembra promettere molto poco. I danni 
				morali assegnati dalla Corte appaiono bassissimi, oscillando tra 
				i 4 ed i 7 milioni. Ma i belgi spiegano che questi sono i 
				parametri del Paese. Tempi lunghi, invece, per i danni 
				materiali. Nella maggioranza dei casi il giudice ha sì affermato 
				il principio della loro esigibilità, ma ha assegnato una cifra 
				simbolica di rimborso, rinviando tutto ad ulteriori accertamenti 
				peritali. Che sembra aprire la strada ad una serie di 
				transazioni. Poche le decisioni in materia prese già ieri: il 
				rimborso più alto è stato assegnato alla vedova del figlio di 
				Otello Lorentini: 300 milioni di lire. Esce di scena, invece, 
				l'Uefa. La sentenza ne esclude ogni responsabilità, e la stessa 
				cosa ha deciso per il Comune di Bruxelles. Fisicamente alla 
				sbarra erano presidente e segretario generale dell'Uefa, Jacques 
				George e Hans Bargerter, e sindaco ed assessore allo sport di 
				Bruxelles, Hervé Brouhon e Vivianne Baro. Mentre l'assoluzione 
				della municipalità appariva scontata e non ha suscitato 
				reazioni, quella dell'Uefa è stata accolta male dalle parti 
				civili. Insomma, una triste conclusione dopo 5 mesi di processo, 
				84 udienze, 260 ore di dibattito. E qualcuno mormora che senza 
				la tragedia di Sheffield le cose potevano andare ancora peggio. 
				Non che volessimo vendetta - mormora Marilena Fabbro, che 
				all'Heysel ha perso marito e figlio - ma la giustizia non 
				l'abbiamo avuta. g. e.   29 aprile 
				1989   Fonte: La Stampa  
				ARTICOLI STAMPA  
						
				APRILE 1989   
				
				Sentenza Heysel, vergognoso ricorso in appello L'unione belga rifiuta di risarcire le 
				famiglie   I commenti inglesi: "Le radici delle 
				stragi nella cultura del nostro calcio". BRUXELLES - "Sentenze come questa non 
				riusciranno a tenere alla larga il teppismo", sostiene 
				l'avvocato Claudio Pasqualin che insieme ad altri cinque legali 
				ha rappresentato al processo sui fatti dell'Heysel i congiunti 
				delle vittime. E aggiunge: "I giudici sono stati troppo 
				indulgenti ed il pubblico ministero Pierre Eraux non ha neppure 
				ordinato l'arresto dei colpevoli dopo la sentenza". Amarezza 
				nelle parole di Marilena Fabbro che nella strage di Bruxelles ha 
				perduto il marito: "In base alla legge belga i quattordici 
				teppisti riconosciuti colpevoli avrebbero potuto essere 
				condannati ad una pena massima di cinque anni di reclusione. Un 
				avvocato, che ha chiesto di conservare l'anonimato, ha spiegato 
				che i giudici si sono trovati in difficoltà nel verdetto perché 
				consapevoli che nella strage erano rimasti coinvolti altri 
				tifosi del Liverpool mai assicurati alla giustizia". La 
				delusione dei familiari delle vittime dell'Heysel è ribadita da 
				Otello Lorentini, presidente dell'associazione costituita dopo 
				la strage. Lorentini ha rilevato una cauta soddisfazione solo 
				per le responsabilità riconosciute all'Unione calcio belga. Ma 
				ha espresso amarezza per la completa assoluzione dell'Uefa e del 
				governo belga. Nel commentare la sentenza il presidente 
				dell'Uefa, Jacques Georges, prosciolto da ogni accusa, se l'è 
				cavata con un generico: "Spero ardentemente che il calcio non 
				debba mai più trovarsi in veste di imputato nell'aula di un 
				tribunale". La stampa inglese non ha accennato soddisfazione per 
				la sentenza, il "Guardian" spera che proprio la tragedia di 
				Sheffield "possa aiutare Liverpool a comprendere l'angoscia in 
				Italia per il disastro dell'Heysel. Nessuna somma offerta dal 
				governo britannico, a parte le miserevoli 5000 sterline pagate 
				per ogni vittima, può compensare le perdite sofferte dalle 
				famiglie italiane". Per l'Independent la sentenza mette in 
				risalto: "...Le radici dei disastri sono insite nella cultura 
				del calcio inglese". Intanto, fatto clamoroso, l'Unione calcio 
				belga riconosciuta civilmente responsabile della tragedia 
				dell'Heysel, e quindi tenuta a risarcire i danni alle famiglie 
				delle vittime, intende ricorrere in appello contro la sentenza. 
				Fra i condannati solo per risarcimento danni anche 14 teppisti, 
				l'ex segretario dell'Unione calcio belga Roosens, un capitano 
				della gendarmeria. La Federazione belga è considerata l'unica 
				parte solvibile, sia per disponibilità proprie sia perché 
				coperta da forti assicurazioni. c. p. 30 aprile 
				1989  
				 Fonte: La Stampa  
				ARTICOLI STAMPA  
						
				APRILE 1989   
					 BRUXELLES - Le sentenze emesse per la 
				strage dell'Heysel saranno riesaminate in appello. La 
				magistratura belga ha dato parere favorevole alle istanze 
				presentate dai difensori degli imputati e dai rappresentanti 
				delle parti civili al termine del processo di primo grado, 
				conclusosi il 28 aprile. Non è stata ancora fissata la data 
				d'inizio del nuovo processo, che riguarderà tutti gli imputati, 
				con l'eccezione del vicesindaco della capitale belga Viviane 
				Baro. In primo grado i giudici hanno condannato 14 tifosi 
				inglesi a tre anni e ne hanno assolto altri 11. 19 maggio 
				1989 
				 Fonte: La Stampa  
				ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1989   
				
										 
					 ROMA - A favore delle famiglie colpite 
				tre anni fa dall'eccidio allo stadio Heysel, sarebbero stati 
				stanziati complessivamente in ambito Cee, 205 mila sterline 
				(oltre 870 milioni di lire), 200 mila Ecu (300 milioni di lire), 
				100 mila marchi tedeschi (più di 70 milioni) e oltre due 
				miliardi di lire. Lo rende noto il ministro del Turismo, Sport e 
				Spettacolo, Franco Carraro, in un documento con cui risponde ai 
				deputati Francesco Servello e Adriana Poli Bortone (msi-dn) 
				autori di una interrogazione "sulle gravi difficoltà 
				finanziarie" delle famiglie delle vittime dell'Heysel. I due 
				parlamentari chiedevano fra l'altro al ministro se non ritenesse 
				necessario promuovere "appropriate iniziative" di sostegno 
				economico "sia direttamente, sia presso la Federazione italiana 
				Gioco Calcio". L'elenco delle iniziative rese note dal ministro 
				comprende: 1°) un accredito del governo britannico presso la 
				propria ambasciata a Roma di 155 mila sterline (da destinare 
				alle famiglie colpite), oltre all'istituzione di un fondo 
				supplementare di 50 mila sterline. 2°) 200 mila Ecu stanziati 
				dalla Comunità europea che ha provveduto alla "distribuzione 
				diretta delle relative quote alle famiglie interessate". 3°) 
				L'iniziativa del Belgio per il sostegno "delle spese ospedaliere 
				e funebri". 4°) 100 mila marchi raccolti e distribuiti 
				direttamente dall'Uefa. 5°) Il complesso delle iniziative 
				italiane per oltre 2 miliardi di lire, di cui 197 milioni 
				erogati dal ministero degli Interni e ripartiti "sulla base 
				delle condizioni economiche dei rispettivi nuclei familiari". 
				Fra le altre iniziative italiane si contano 34 milioni di 
				donazioni private "suddivise secondo gli stessi criteri 
				assistenziali del ministero dell'Interno"; 320 milioni, 
				corrispondenti a 10 milioni per ogni congiunto deceduto, sono 
				stati erogati dalla Federazione italiana Gioco Calcio che ha 
				provveduto anche ad un "ulteriore contributo diretto" di 611 
				milioni. Infine la Fondazione Agnelli è intervenuta con 970 
				milioni, di cui 812 distribuiti alle famiglie delle 32 vittime e 
				158 milioni ai 34 feriti, escludendo i 220 casi di feriti 
				leggeri.   25 maggio 
				1989 
				 Fonte: Stampa Sera  
				 
				 
					
					
						ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1989 
						
					
					
						
						  
				"Chiediamo giustizia per le vittime 
				dell'Heysel se ancora non è stata fatta del tutto". Così ha 
				detto l’Arcivescovo di Torino, mons. Giovanni Saldarini, durante 
				l’omelia della messa in occasione del quinto anniversario della 
				tragedia di Bruxelles in cui ha ricordato le "vittime di uno dei 
				tanti gesti irragionevoli che si compiono sulla terra quando si 
				perde la misura". Alla cerimonia religiosa erano presenti molti 
				tifosi, dirigenti e giocatori della Juventus, fra cui il 
				presidente Boniperti e gli allenatori Zoff e Scirea. 31 maggio 1989 Fonte: L’Unità  
				ARTICOLI STAMPA MAGGIO 1989   
				
								 
					 BRUXELLES - Entro il 1991 lo stadio 
				Heysel di Bruxelles sarà interamente ricostruito. I lavori di 
				demolizione delle strutture attuali cominceranno l'anno 
				prossimo. Lo ha deciso il Consiglio comunale della capitale 
				belga. Il nuovo stadio - destinato a sostituire quello in cui 39 
				tifosi italiani trovarono la morte il 29 maggio 1985 sotto 
				l'urto degli hooligans del Liverpool, prima della finale di 
				Coppa Campioni con la Juventus - sarà in regola con le più 
				rigorose norme di sicurezza. Lo ha assicurato il borgomastro di 
				Bruxelles, Hervé Brouhon, commentando ieri sera la decisione 
				adottata dal Consiglio comunale. Nell'analisi delle cause della 
				tragedia dell'Heysel, Brouhon era stato severamente criticato: 
				lo stadio infatti appartiene al Comune e il sindaco è 
				responsabile della sicurezza delle strutture che risultarono 
				inadeguate la sera di quella tragica finale. 23 
				settembre 1989 
				 Fonte: 
				Stampa SeraARTICOLI STAMPA 
				
				SETTEMBRE 1989  |