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				Dopo 15 anni il Liverpool ricorda i 39 dell' Heysel 
				LIVERPOOL - Per la prima volta in 15 
				anni a Liverpool è stata ricordata la strage allo stadio Heysel 
				di Bruxelles dove la sera del 29 maggio '85, in occasione della 
				finale di coppa Campioni con la Juventus, violentissimi 
				disordini costarono la vita a 39 tifosi italiani. Finora la 
				terribile ricorrenza era stata lasciata passare sotto silenzio, 
				ma d'ora in poi la commemorazione avrà regolare cadenza annuale. 
				Ieri in città le campane hanno rintoccato a morte 39 volte, una 
				per ogni vittima di allora, e l'anno prossimo nel centro 
				cittadino sarà scoperta una targa di dedica.   
				30 maggio 2000  
				 
				Fonte: La Gazzetta dello Sport 
				
				 
				
					
					
					
					
					
						ARTICOLI STAMPA e WEB MAGGIO 
				
					
				
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				La 
				tragedia dell'Heysel divide Italia e Belgio 
				di Giancarlo Mola 
				La Federazione pensa a un gesto simbolico, ma i 
				padroni di casa non gradirebbero... 
				DAL NOSTRO INVIATO GIANCARLO MOLA. GEEL 
				- Non c'è nemmeno una lapide, nello stadio "Re Baldovino" di 
				Bruxelles. Non c'è un segno che ricordi la tragedia, eppure su 
				quella stessa area di terreno, il 29 maggio del 1985 morirono 39 
				persone, quasi tutti italiani. Rimasero schiacciati nel settore 
				"Z", caricati selvaggiamente dagli hooligans inglesi. Si giocava 
				la finale di Coppa dei Campioni. La partita era 
				Juventus-Liverpool. Quello stadio si chiamava "Heysel". E' un 
				ricordo scomodo, per i belgi. Che hanno fatto di tutto per 
				rimuovere una pagina oscura che riguarda soprattutto la loro 
				organizzazione di sicurezza. Hanno abbattuto la struttura, 
				l'hanno ricostruita, le hanno cambiato nome. Ma quel ricordo 
				resta indelebile. E sono in molti a volerlo mantenere vivo. 
				Compresa la Federazione italiana gioco calcio, visto che 
				mercoledì la Nazionale tornerà per la prima volta a Bruxelles, 
				per affrontare il Belgio nella seconda partita degli europei. 
				"Pensiamo da tempo di fare qualcosa - dicono adesso alla Figc - 
				e stiamo valutando le iniziative più adeguate per ricordare 
				quella strage". Ma la questione è imbarazzante, e la diplomazia 
				della Federazione è al lavoro per studiare un gesto simbolico 
				che però non urti la sensibilità del paese ospitante e della 
				stessa Uefa. I belgi non avrebbero certo piacere a riaprire una 
				ferita che brucia proprio durante quella che considerano una 
				loro festa calcistica. L'Uefa, dal canto suo, potrebbe non 
				gradire la commistione tra una vicenda che ha riguardato un club 
				e una competizione per nazionali come Euro 2000. "Gli juventini 
				della nazionale vadano a deporre almeno un mazzo di fiori sotto 
				la curva Z", aveva chiesto in una e-mail inviata a Repubblica.it 
				qualche giorno fa Francesco Piacentini, un tifoso che è stato 
				testimone della tragedia. Ma difficilmente potrà essere 
				esaudito. "Sarà difficile poter organizzare qualcosa nello 
				stadio il giorno della partita", affermano alla Figc. L'unica 
				via d'uscita potrebbe essere preparare una commemorazione, ma a 
				casa degli azzurri. E si sta pensando ad una dichiarazione 
				ufficiale del capitano della squadra Paolo Maldini, in ricordo 
				delle vittime dell'Heysel, a Geel luogo del ritiro azzurro. Le 
				trattative con i vertici del calcio europeo e belga 
				continueranno comunque, fino all'ultimo momento. Ma da parte 
				italiana la determinazione è forte: quindici anni non possono 
				essere sufficienti per far cadere l'oblio su quella serata nera.
				 
				 
				12 giugno 2000  
				 
				Fonte: La Repubblica 
				
				 
				
				
				
				
						
				
				
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				L'Italia torna nello stadio della morte, il famigerato Heysel, 
				
				ma i belgi ricordano i 39 morti con 
				una targa, sopra i rifiuti 
				di Lorenzo Sani 
				BRUXELLES, 12 GIUGNO - Un'iscrizione 
				simile a quella che in certi palazzi appone l'ingegnere che ha 
				progettato i lavori per firmare la sua opera. Altro che fiori: 
				rifiuti da stadio per ricordare le 39 vittime dell'Heysel, 
				idealmente seppellite nella maniera più umiliante sotto la 
				curva, a pochi passi da quel settore Z che improvvisamente si 
				trasformò nella più sanguinaria tonnara del tifo calcistico. 
				Forse le autorità belghe hanno pensato che fosse sufficiente una 
				ristrutturazione radicale e profonda di quell'impianto 
				fatiscente, o che bastasse cambiare il nome dedicando a re 
				Baldovino quello che quindici anni fa fu il teatro di uno dei 
				momenti più bui e dolorosi del nostro sport, per cancellare 
				anche il ricordo di quel tragico giorno di fine maggio. Anche il 
				contenuto della lapide, al limite dell'anonimato, rischia di 
				ingenerare l'equivoco: 29-5-1985, in memoria. Una data, due 
				parole, sopra i bidoni della spazzatura. Tutto qui, un omaggio 
				offensivo nel segno della raccolta differenziata del dolore. 
				Bruxelles capitale d'Europa dimentica, stende un velo 
				irriverente e per nulla pietoso sul sangue versato da tanta 
				gente comune che pensava di vivere solo un lungo attimo di 
				partecipazione collettiva alla festa del pallone e che oggi, 
				invece, non c'è più. Il tranquillo Belgio che troppo spesso, 
				ultimamente, ha scoperto il fuoco della vergogna sotto la cenere 
				dell'indifferenza e dell'attaccamento maniacale alle questioni 
				di forma, preferisce evidentemente annacquare la sostanza, 
				cancellando le ferite di un passato che ancora affligge 39 
				famiglie, padri, madri, figli, fratelli e sorelle che in quella 
				finale di coppa dei campioni tra Juventus e Liverpool, 
				stemperatasi nell'agghiacciante telecronaca della morte in 
				diretta, hanno perso gli affetti più cari. Un bene che nessuna 
				ristrutturazione potrà mai restituire loro e che era legittimo 
				attendersi fosse ricordato con onestà, coscienza e rispetto non 
				solo a Reggio Emilia dove, di fronte al vecchio stadio 
				Mirabello, un monumento rammenta a tutti il pesante tributo di 
				quel sangue innocente, perché tra i morti, quel 29 maggio 1985, 
				c'era anche un fotografo reggiano, Claudio Zavaroni. Questo 
				rimane dell'Heysel quindici anni più tardi, sul luogo del 
				delitto, in una terra che, assolutamente impreparata, torna ad 
				ospitare un grande kermesse come l'Europeo di calcio 
				preoccupandosi soprattutto di svuotare le carceri e di creare 
				nuove sale negli obitori aspettando la calata degli hooligans. 
				Questa è la loro prevenzione. Complimenti ! Questo è il 
				risultato della lezione ricavata dalla tragica esperienza di 
				quella sera di fine maggio: più celle libere e sale nella 
				morgue. Che bell'esempio.   
				12 giugno 2000  
				 
				Fonte: Quotidiano.net 
				
				 
				
				
				
				
						
				
				
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				IL RICORDO 
				Conte: "Mercoledì in campo 
				pregherò per i morti dell’Heysel" 
				Quando una prodezza è firmata Del Piero 
				o Zidane sembra una perla già vista. Se a segnare un euro-gol è 
				Antonio Conte, si entra nel campo degli eventi speciali. Ma il 
				centrocampista pugliese esce un po' fuori dal coro. Dopo il 
				sorpasso costato lo scudetto alla Juve ha stemperato la sua 
				rabbia in un lungo silenzio, rotto solo nella vigilia di Arnhem. 
				Il gol in rovesciata e il festeggiamento particolare con 
				un’esplosione di gioia liberatoria quasi per esorcizzare un 
				passato non indimenticabile per lui. Ieri poteva essere il 
				giorno del ringraziamento, quello in cui incassare i compimenti. 
				E invece Conte si presenta all’appuntamento con la stampa con il 
				volto tirato, invece di pensare alla gara conclusasi, si 
				concentra sulla gara prossima ventura, ma con una lettura 
				diversa, con un pensiero stupendo: "Mercoledì giocheremo in 
				quello che fu l'Heysel, lo stadio dell'incubo. Sono juventino 
				dall'infanzia e quel giorno rimane scolpito nella mia memoria. 
				Giocheremo lì ed io dedicherò una preghiera alle persone 
				scomparse all’Heysel". Poi, quasi con fatica, ritorna 
				all’attualità: "E’ stata una vittoria importante, ma di 
				ottimismo non ce n’è. Dobbiamo proseguire con umiltà. II Belgio 
				è una squadra solida che può dare fastidio a chiunque". Inzaghi, 
				invece si preoccupa delle critiche e delle ironie nei commenti 
				tv (perché è stato giudicato l’uomo partita ieri dalla giuria 
				Uefa) "Ho sprecato qualche occasione, ma mi tengo stretto il gol 
				su rigore. Vanno bene tutti i gol, anche quelli segnati con la 
				mano". A Venezia se lo ricordano bene. 
				13 Giugno 2000 
				Fonte: L’Unità 
				
				 
				
				
				
				
						
				
				
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				Una corona di fiori per ricordare la tragedia dell'Heysel 
				 
				 
				di Paolo Condò 
				Sarà il capitano della nostra 
				nazionale, Maldini, a compiere il gesto nel posto dove una volta 
				c'era il maledetto settore Z. Dice il milanista: "Noi non 
				vogliamo dimenticare, vogliamo ricordare". Anche Antonio Conte 
				depositerà una corona di fiori a nome della Juve: "Prima della 
				partita dirò una preghiera per quei nostri poveri tifosi".
				
				 
				DAL NOSTRO INVIATO. GEEL (Belgio) - 
				Sono passati quindici anni e molti azzurri, all'epoca, erano 
				bambini. Hanno ristrutturato lo stadio da capo a piedi, chi 
				c'era quella notte e poi non è più venuto stenterà a 
				riconoscerlo. Gli hanno perfino cambiato il nome, adesso si 
				chiama "Re Baldovino" e suona come se fosse un luogo allegro nel 
				presente e privo di un passato. Sarebbero molti gli alibi per 
				recarsi stasera allo stadio di Bruxelles fingendo che non ci sia 
				mai successo nulla, e pensando soltanto alla partita, che è pure 
				importantissima. Eppure... Da un milanista il primo ricordo con 
				parole belle da ascoltare. Sono quelle di Paolo Maldini, 
				capitano dei rossoneri e della nazionale: "Heysel, io continuo a 
				chiamarlo così e posare stasera i nostri fiori dove una volta 
				c'era il settore Z sarà un gesto di civiltà, perché la tendenza 
				a dimenticare velocemente quella tragedia è evidente. E questo 
				non è giusto. Già quando venni qui col Milan, avversario il 
				Malines, portammo una corona sotto alla curva in modo non 
				ufficiale e senza ricevere la prevista autorizzazione. Noi non 
				vogliamo dimenticare, noi vogliamo ricordare". Dagli juventini 
				in nazionale, rappresentanti simbolici di quella squadra che 
				c'era all'Heysel, le frasi che riportano il cuore e la mente a 
				un avvenimento terribile. "Trentanove morti per una partita di 
				calcio - dice Filippo Inzaghi - sono una tragedia che non ha 
				possibili paragoni. Portare i nostri fiori sotto alla curva, 
				come juventini e come italiani, è proprio il minimo che possiamo 
				fare". Molto commosse anche la parole di Antonio Conte (la 
				Juventus ricorderà a Bruxelles le vittime dell'Heysel. La 
				società torinese, ringraziando la Federcalcio e gli azzurri per 
				la sensibilità dimostrata, ha incaricato il suo capitano di 
				deporre una corona di fiori della società sulla lapide che 
				ricorda le 39 vittime di quella tragica serata del 1985): 
				"Porterò anch'io i fiori, e so già che proverò un'emozione 
				intensa, violenta. Prima della partita dirò una preghiera per 
				quei nostri poveri tifosi. Ricordo tutto di quella serata 
				maledetta, non ero un bambino purtroppo, ero già grande, nel 
				1985". Chi allora era molto giovane, un bambino di appena undici 
				anni, era Alessandro Del Piero. "Io ricordo che giocavo a 
				pallone davanti a casa in attesa della partita, non capivo 
				perché durasse tanto e quando chiedevo ai miei genitori se fosse 
				sul punto di iniziare loro mi ripetevano di restare giù, che non 
				era ancora il momento. Vollero evitarmi la vista di quelle scene 
				di morte. Vidi la partita senza conoscere i motivi di quel 
				ritardo, che appresi il giorno dopo dagli amici, restandoci 
				malissimo. Capisco che i belgi vogliano cancellare il ricordo di 
				quella tragedia, e che per farlo abbiano addirittura rifatto lo 
				stadio cambiandogli il nome. Ma noi, l'Heysel, non lo 
				dimenticheremo mai". Certo, nessuno potrà mai dimenticarlo.
				 
				 
				14 giugno 2000  
				 
				Fonte: La Gazzetta dello Sport 
				
				 
				
				
				
				
						
				
				
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				Lo 
				stadio della strage abbattuto e ricostruito 
				Heysel, un ricordo che 
				imbarazza 
				L'Italia "sfida" l'Uefa con un mazzo di fiori. 
				di Marco Ansaldo 
				INVIATO A GEEL - I belgi rimarranno a 
				guardare, come quindici anni fa quando i loro poliziotti 
				osservavano gli hooligans attaccare della brava gente fino a 
				schiacciarla contro la rete della curva Z. "Ero con il 
				comandante della Gendarmeria - ricorda Giampiero Boniperti - 
				aveva lasciato un solo uomo tra i nostri tifosi e quegli inglesi 
				che avevano già creato gravi incidenti il giorno prima. Quando 
				arrivarono i rinforzi era troppo tardi: ho ancora negli occhi la 
				carneficina". Ci furono trentanove morti e trentuno erano 
				italiani quel 29 maggio all'Heysel, Juventus-Liverpool, finale 
				della Coppa dei Campioni. I belgi fissarono i cadaveri, poi 
				guardarono anche i loro giudici comminare lievi pene, quasi un 
				buffetto, a chi aveva permesso quella strage: non tutti i 
				famigliari delle vittime sono stati indennizzati. Sono quindici 
				anni che i belgi guardano e non si sveglieranno neppure per la 
				partita che riporta l'Italia in quello stadio, che nel '94 si 
				cominciò a distruggere e dal '98 è ricresciuto come l'araba 
				fenice con altre tribune e il nome di un re morto, Baldovino. 
				L'Uefa acchiappasoldi e questi organizzatori da paese non hanno 
				pensato a un gesto, a un fiore. Il ricordo li imbarazza: quella 
				tragedia ne ha quasi partorito un'altra, sabato sera, quando 
				hanno chiuso al pubblico la Grand Place di Bruxelles e i 
				poliziotti hanno esagerato nella repressione, picchiando, 
				ferendo, arrestando chi chiedeva di festeggiare la prima 
				vittoria del Belgio. La chiamano tolleranza zero, figlia della 
				paura di trovarsi impreparati come all'Heysel, la faccia oscura 
				della stessa idiozia. "Questo è un altro stadio e poi una parte 
				importante dell'organizzazione l'hanno gestita gli olandesi", 
				spiegano gli autori della gaffe. Anche l'Uefa se ne lava le 
				mani: se la lapide dei 39 morti potesse interessare a uno 
				sponsor, qualcuno si muoverebbe ma così, gratis, perché ? Solo 
				Platini ha avuto il coraggio di un gesto forte: "In quello 
				stadio non entro più, non potrei provare gioia". Ci penseranno 
				gli azzurri a non far dimenticare. La Juve aveva chiesto che 
				almeno i suoi giocatori andassero a posare un fiore, l'idea si è 
				estesa a tutti. All'arrivo del pullman, Maldini e i compagni 
				deporranno un mazzo di 39 rose, come fece Franco Baresi 
				nell'unica occasione in cui una squadra italiana giocò 
				all'Heysel dopo la tragedia: Malines-Milan di Coppa dei 
				Campioni, 7 marzo del '90. La domenica successiva il Milan giocò 
				a Torino. Sulla curva del vecchio Comunale mani juventine posero 
				uno striscione: "Baresi, trentanove volte grazie". Conte 
				pregherà, gli altri, che erano bambini quella sera, hanno 
				raccontato ieri l'orrore di quelle immagini e il disgusto per 
				chi non ha capito l'importanza di un gesto che richiamasse a una 
				tragedia enorme, in tempi in cui se ne temono altre. "Anche 
				quando venni con il Milan - ha detto Maldini - abbiamo onorato i 
				morti contro la volontà di non si sa chi". L'Uefa, pure allora. 
				"Noi, come Federazione, non abbiamo mai dimenticato, quella 
				rimarrà per sempre una notte di dolore. Se gli altri non 
				vogliono ricordare lo facciano, noi la ricorderemo", ha spiegato 
				Antonello Valentini, il capo ufficio stampa. E pazienza se 
				l'Uefa e i belgi, vergognandosi della gaffe, faranno pagare 
				qualcosa all'Italia in questo torneo. Perché c'è il rischio: gli 
				stupidi spesso sono vendicativi.   
				14 giugno 2000  
				 
				Fonte: La Stampa 
				
				 
				
				
				
				
						
				
				
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				Tutti sotto la curva Z, l'abbraccio azzurro è da pelle d'oca 
				di Paolo Condò 
				La nazionale rende omaggio alle 
				39 vittime della tragedia dell'Heysel: viene scartata la 
				partecipazione di una delegazione, si va in gruppo. La cerimonia 
				è toccante, tanto che coinvolge anche i belgi. Tutti sotto la 
				curva Z, l'abbraccio azzurro è da pelle d'oca. 
				
				 
				DAL NOSTRO INVIATO. BRUXELLES - Sono le 
				sette e un quarto quando l'Italia esce dal suo spogliatoio, 
				entra nello stadio e, invece di dirigersi come al solito sul 
				prato verde, gira a sinistra e s'incammina sul rosso pallido 
				della pista di atletica. C'è una parola da prendere alla lettera 
				questa volta - l'Italia - perché qualcosa di potente ti si agita 
				nello stomaco mentre segui con lo sguardo la marcia degli 
				azzurri, e capisci che quel passo lento e visibilmente deciso 
				contiene i sentimenti di 56 milioni di persone, o quanti diavolo 
				siamo noi italiani. Paolo Maldini e Antonio Conte aprono la 
				sfilata perché uno è il capitano della nazionale e l'altro è il 
				capitano della Juventus, il mazzo di 39 rose bianche lo porta 
				Paolo, ma di lì a poco, quando sarà il momento, aspetterà che la 
				mano di Antonio si unisca alla sua per deporre i fiori insieme. 
				Dietro a loro, allargati su tutte le corsie, giocatori e 
				dirigenti mescolati camminano col volto serio, molti con gli 
				occhi bassi. Ci sono tutti: con Zoff, Riva, Nizzola e il resto 
				dello staff ecco Del Piero e Totti, Cannavaro e Ambrosini, Toldo 
				e un emozionatissimo Abbiati. Tutti e ventidue: una volta 
				compreso che l'omaggio della nazionale ai morti dell'Heysel non 
				era una richiesta della nostra Federcalcio, ma una semplice 
				comunicazione (nel senso che un "no" non sarebbe stato 
				accettato, e il mazzo di fiori sarebbe stato deposto 
				ugualmente), l'Uefa aveva suggerito che ad andare sotto alla 
				curva dove una volta c'era il settore Z fosse una piccola 
				delegazione, il capitano e un paio di dirigenti. "Se lo 
				scordano" è stata la risposta compatta degli azzurri, e questa è 
				un'altra di quelle cose che spiegano perché, nel vederli 
				camminare verso la lapide (In Memoriam, 29-05-85), la pelle si è 
				fatta d'oca. Nel minuto che ci mettono ad arrivare lì, il 
				disc-jockey dello stadio non ha nemmeno la sensibilità di 
				spegnere gli altoparlanti, dai quali continua a martellare la 
				disco-music di "American pie", e anche se non la sente nessuno è 
				proprio una schifezza; prima di dedicare ai belgi un pensiero di 
				rabbia, però, va detto che dietro a Maldini e Conte, con un 
				secondo mazzo di fiori incellophanato, camminano il presidente 
				della federazione di Bruxelles, Michel D'Hooghe, e il capitano 
				Lorenzo Staelens, che hanno chiesto di partecipare alla 
				cerimonia ottenendo l'ovvio abbraccio dei nostri. In molti si 
				fanno il segno della croce, mentre i fiori vengono appoggiati 
				sotto alla lapide, e i pochi tifosi belgi già presenti nella 
				curva corrono ad applaudire la scena. Una breve preghiera, poi 
				il corteo riprende la strada dello spogliatoio. Quando i 
				giocatori rientreranno in campo per il riscaldamento, un'ora 
				dopo, troveranno la migliore (e meritata) delle sorprese: tre 
				interi settori dell'altra curva riempiti di tifosi azzurri. Dopo 
				l'impressionante latitanza di una Arnhem consegnata ai turchi, 
				la nostra gente ha deciso di non lasciarli soli in questo 
				stadio. Se i belgi l'hanno intitolato alla memoria del loro re 
				Baldovino, per noi italiani avrà per sempre 39 altri nomi.
				 
				 
				15 giugno 2000  
				 
				Fonte: La Gazzetta dello Sport 
				
				 
				
				
				
				
						
				
				
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				All' Heysel contro l'oblio 
				BRUXELLES (c.s.) - Rose bianche per 
				ricordare i morti dell'Heysel. Le hanno deposte gli azzurri, in 
				testa Maldini e Conte, il capitano e uno Juventino, che hanno 
				reso omaggio a una vergogna che non si può dimenticare. Insieme 
				con gli azzurri (e con Nizzola e altri della Figc) c'erano il 
				capitano del Belgio Staelens, i dirigenti della federazione 
				belga e quelli dell'Uefa: anche il Belgio, che tanta 
				responsabilità ebbe nella tragedia, si è inchinato all'obbligo 
				del lutto. Non lo voleva fare, perché fin da allora i belgi si 
				sentono innocenti, ma in qualche modo l'Italia li ha trascinati, 
				così come ha trascinato l'Uefa che ostinatamente volle giocare 
				quella notte con i morti sotto le tribune. Certo, la sacralità 
				del momento di ricordo è stata quello che è stata: mentre i 
				giocatori deponevano i fiori, gli altoparlanti dello stadio 
				urlavano musica rock. I giocatori sono venuti come un drappello 
				d'onore, sembrava l'omaggio a una lapide di partigiani o una 
				visita a un luogo dell'Olocausto. Ma per il calcio questo stadio 
				è qualcosa di simile, e per chi ricorda il muro che c'era prima 
				e che crollò troppo tardi, quando gli italiani erano già morti 
				soffocati, questi piccoli mattoni rossi del nuovo impianto sono 
				troppo simili a quelli di allora. I belgi non hanno avuto il 
				colpo di genio di cambiare materiale. E anche il nuovo stadio è 
				stato rifatto lasciando la stessa breccia che c'era prima, che 
				servirà senz' altro per fare entrare ambulanze o altri mezzi 
				necessari, ma che allora, nella notte del 29 maggio '85, non 
				servì da via di fuga per gli spettatori ammassati. Già, il 29 
				maggio 1985. Maldini e Conte hanno lasciato le rose, il capitano 
				ha fatto il segno della croce, poi si sono girati ai fotografi e 
				compostamente, senza una parola, se ne sono andati via. Ma forse 
				bisognava avere la presenza di spirito di dire una preghiera, di 
				sostare un attimo, per ricordare che quella di allora fu una 
				lunga agonia, non un crollo improvviso di un attimo, ma un lento 
				precipitare di uomini e ragazzi verso un inferno di fronte agli 
				sguardi indifferenti delle forze di polizia e delle autorità. 
				Ecco perché il tempo non può sanare la morte dei 39 tifosi, tra 
				i quali vanno ricordati anche i 3 inglesi, (NdR: nessun 
				inglese è morto all’Heysel, ma Patrick Radcliffe, lavoratore 
				nordirlandese abitante di Bruxelles) perché la loro morte fu 
				lunga, e non ebbe l'attenzione né la considerazione di nessuno. 
				E ancora adesso qualcosa bisognerebbe fare. La lapide appesa 
				dove era il muro della curva Z recita solo: In memoriam, e sotto 
				la data. Ma in memoria di cosa e di chi ? Qui vanno scritti i 
				nomi di chi morì quella notte, è un atto di rispetto che va 
				fatto. Ora, sopra e sotto la scritta e la data, ci sono 39 linee 
				bianche: ma quegli uomini, donne e ragazzi erano qualcosa di più 
				di una semplice linea.   
				15 giugno 2000 
				
				 
				Fonte: La Repubblica 
				
				 
				
				
				
				
						
				
				
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				Ancora Heysel, che 
				vergogna 
				di Maurizio Crosetti 
				TORINO - All'Heysel, Otello Lorentini 
				perse un figlio di trent'anni, Roberto. Faceva il medico, poteva 
				salvarsi, era già sul prato, tornò indietro per soccorrere un 
				bambino, venne travolto. Otello ha 76 anni: dieci li ha 
				trascorsi in tribunale per chiedere giustizia, poi ha fondato 
				l'associazione dei parenti delle vittime diventata comitato 
				permanente contro la violenza. Oggi ha una parola sola: 
				"Vergogna". La ripeterà ai ragazzi della scuole in cui continua 
				ad andare, per raccontare. Perché la memoria resista. "Una 
				vergogna non solo l'eventualità di giocare contro gli inglesi 
				all'Heysel, ma il fatto stesso che quello stadio esista. L'hanno 
				ripulito, modificato, ma sarebbe stato più giusto lasciarlo 
				com'era, una specie di monumento ai caduti, e non usarlo mai 
				più. L'Uefa vuole solo dimenticare, hanno persino messo una 
				musichetta in sottofondo quando gli azzurri hanno portato i 
				fiori sotto la curva. Sappiano che in quella curva c'è ancora il 
				sangue, e che il nostro dolore e la nostra rabbia sono più vivi 
				che mai. Là non si deve giocare. Sono contento che Platini abbia 
				detto che non tornerà mai più all'Heysel: la memoria pretende 
				rispetto. La nostra ferita non potrà mai chiudersi, però non è 
				questa la sofferenza più profonda. Io sto male quando penso che 
				Roberto e gli altri 38 sono morti per nulla, e che nessuno ha 
				capito".   
				19 giugno 2000 
				
				 
				Fonte: La Repubblica 
				
				
				
						
				
				
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