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VIA FILADELFIA 88
Appunti dell'autore
alla seconda edizione
di Beppe Franzo
Le più rosee previsioni sono
state abbondantemente superate, sia in termini di
vendite che di consensi. Non credevo che un romanzo
sugli ultras degli anni Ottanta potesse riscuotere così
tanto interesse, partecipazione, nostalgia. La cosa più
commovente è stata però il riabbracciare vecchi amici di
gradinata di cui avevo negli anni perso i contatti,
vederci cambiati nei lineamenti, conoscere i figli che
spesso condividono identiche passioni e interessi. Le
presentazioni sono state accolte con entusiasmo, con
partecipazione, incontrando persone che spesso
conoscevano meglio del protagonista quegli avvenimenti e
decorsi storici narrati nel testo. La cosa ancor più
stupefacente è dovuta al fatto che molti di loro in
quegli anni non erano ancora nati o erano per lo più in
fasce. Motivo questo che fa comprendere come il fenomeno
ultras stia divenendo storicizzato, con i pro e i contro
che ne derivano e con la
conseguente prospettiva che ne
deriva, di un’interpretazione fittizia e di parte.
L’altro aspetto che mi ha incuriosito è stato il gioco
enigmistico nato dalla lettura del libro, con una sorta
di "indovina chi" tendente a risalire alla paternità dei
dialoghi. Spesso differenti personaggi si sono
identificati nel protagonista del capitolo, in un "uno,
nessuno, centomila" pirandelliano che trova comunanza
nei ragazzi di allora per modi d’essere e d’agire. Il dialogo e i botta e
risposta, verbali o mediatici attraverso il web con
ultras di altre tifoserie, confrontandosi su passato e
presente, ha arricchito le mie conoscenze, ampliato
degli orizzonti spesso appiattiti da usi e consuetudini.
"Vecchi ragazzi", al tempo dell’accadimento dei fatti
della narrazione politicamente agli antipodi
dell’autore, hanno apprezzato il mio sincero tentativo
di descrivere il "modus vivendi" di un ragazzo di destra
che ho cercato di narrare con assoluta sincerità e
totale assenza di "miticizzazioni". Queste nuove
conoscenze saranno da me ricordate come incontri
simpatici a conferma che le gradinate di uno stadio sono
luogo interclassista, spazi estemporanei a-politici,
dove la convivenza di ragazzi di matrice politica
avversa avviene nel nome di un intimo sentire
sprigionato dal tifo per la propria squadra di calcio. Tra le critiche, evidenzio
quella più vera, scaturita da chi non è riuscito a
capire se da parte mia ci sono rimpianti, pentimenti
oppure totale condivisione del passato. La critica e
l’esaltazione, a seconda dei momenti, di certi episodi
s’intersecano, dando forse a qualcuno l’idea di una
visione confusionaria da parte del narratore. Non è
così, almeno a mio avviso. Ho voluto "psicoanalizzarmi",
facendo emergere il mio vero "essere ultras". Deformando
considerazioni o eventi, miticizzando un certo passato o
rigettandolo per compiacere la platea e i lettori, avrei
"mistificato" il mio sentire. Lo rifaresti, mi ha
chiesto qualcuno ? Sì, senza ombra di dubbio, se potessi
ritornare a quei tempi e alla mia metrica di
ragionamento di allora; eviterei errori o eluderei
alcuni atti se (ri)analizzassi il passato con gli occhi
del presente. Pentimenti ? Nessuno. L’aggiunta di nuovo
materiale fotografico inedito, è doveroso omaggio ai
protagonisti di quegli anni e di quelle avventure.
? ? 2013
Fonte: Via Filadelfia
88 (Novantico Editrice)
Fonte Fotografia
Tifoseria:
Wikipedia.org
Per il 20 dicembre il Gruppo Nucleo organizza
cena-evento
"Per non dimenticare
Heysel"
Attesi Tacconi e Briaschi.
Sarà presentato anche il libro
"Via Filadelfia 88" di Beppe Franzo
Sono da poco terminati i lavori
per la copertura del monumento eretto a Reggio Emilia in
memoria delle 39 vittime della follia hooligans nella
notte della finale di Coppa Campioni fra
Juventus-Liverpool il 29 maggio 1985. La copertura del
monumento, progettato dallo scultore fiammingo Gido
Vanlessen, è stata realizzata grazie all’impegno del
Comitato "Per non dimenticare Heysel" di Reggio Emilia
che ha interamente anticipato le somme necessarie ai
lavori. Per questo il Nucleo 1985, che si chiama così
proprio in omaggio a un percorso comune iniziato dai
fondatori del gruppo nella notte dell’Heysel, ha deciso
di organizzare la cena evento del 20 dicembre 2013. In
questo momento storico particolare, oltre che parlare di
crisi economica, politica e culturale riteniamo sia
importante dare risalto a progetti in cui "piccoli eroi"
cercano di fare del bene in vario modo possibile. Da
sempre ci piacciono le persone che si mettono in
discussione e che preferiscono esserci piuttosto che
mancare ad un appuntamento importante. Il 20 dicembre
2013 non sarà solamente una cena , ma la dimostrazione a
noi stessi ed agli altri che siamo un popolo vero. Non
mancare perché contiamo anche su di te.
Il Direttivo del Nucleo
1985
3 dicembre 2013
Fonte: Tuttojuve.com
Via Filadelfia 88
Cari amici bianconeri, sono
giorni e giorni che i media, alcuni in veste più di
avvoltoi che di cronisti, si stanno occupando di un caso
ridicolo: la querelle tra l’Uefa e la società Juventus
riguardante uno stendardo, quello del gruppo denominato
"Via Filadelfia 88". Per spiegare l’accaduto e mettere
fine una volta per tutte alla questione, Beppe Franzo,
autore del libro Via Filadelfia 88 (alla sua terza
ristampa), mi ha gentilmente offerto la sua versione dei
fatti, con la precisione e le serietà che lo
contraddistinguono.
Perché "Via Filadelfia
88" ?
"Via
Filadelfia 88 è il titolo di un romanzo che tratta la
mia esperienza tra gli ultras bianconeri, da fine anni
Settanta ai primi anni Novanta. Di sfondo al racconto,
l’evolversi dei gruppi con le varie unificazioni e
scissioni: da Fighters, Indians e Gbn alla fugace
esperienza dei Black & White Supporters, quindi Arancia
Meccanica che si tramuta poi in Drughi e la scissione di
Vecchia Guardia. Sull’onda della pubblicazione del
libro, nasce il gruppo Facebook omonimo, a cui sono
iscritti tanti vecchi "giovani" di allora, con molti dei
quali si è dato vita ad iniziative specifiche quali gli
aiuti per il piccolo Daniele, la battaglia per la Sala
della Memoria nel Juventus Museum e altro ancora. Buona
parte di noi, ancora soliti a frequentare le gradinate,
assistono insieme alla partita portando appresso la
pezza che ci identifica: quella via e numero civico
davanti al quale per molti anni ci trovavamo in attesa
della partita. Un nome e un numero che sono nel dna di
noi vecchi ultras bianconeri".
Cos’è successo, nello
specifico, tra la Juventus e l’Uefa ?
"Tra la Juve e
l’Uefa succedono spesso tante cose e la problematica
dell’88 rientra tra i vari "inconvenienti" sollevati
dall’Uefa, cui la società bianconera ha dovuto dare una
risposta. Nello specifico, per quanto mi è stato
riferito, gli osservatori Uefa hanno identificato uno
stendardo che, a loro dire, era tacciabile di
neonazismo. Occorre spiegare, per quanti a digiuno
sull’argomento, il significato del numero 88,
prescindendo dalla Cabala o dalla Smorfia napoletana che
associa il numero al caciocavallo. Proibito in Germania
ogni forma di saluto nazista, il suddetto numero entrò
in uso tra gli skin neonazi che identificavano con esso
l’ottava lettera dell’alfabeto, la H. L’88 riconduce
pertanto alla doppia H (HH), lettere iniziali del saluto
proibito "Heil Hitler". Da allora, grazie ad una vera e
propria psicosi che si è tramutata in fobia, in special
modo da parte della comunità ebraica, ha generato il
sospetto ogni volta che il numero è apparso, sia pure
nelle più disparate forme e pubbliche manifestazioni. La
Juve ha fatto presente ai soloni dell’Uefa che non tutti
i giardini, le piazze e le vie metropolitane cui è
spettato il civico 88, sono ricettacoli di neonazisti.
Per difendersi però dall’accusa e far decadere l’ammenda
cui sarebbe presumibilmente incorsa la Società (anche se
sui quotidiani e siti web in questi giorni ho appreso
addirittura di una possibile chiusura della Curva Sud),
è stato prodotto, come prova a sostegno, il mio libro,
sotto il cui numero incriminato compare il sottotitolo
che ne spiega il contenuto: "Una Storia, una Curva". La
Juve ne è uscita vincente, con buona pace dell’Uefa e
dei suoi osservatori, pronti a tramutarsi in indefessi
"cacciatori di pezze", ma ciechi dinanzi ai veri
problemi di ordine pubblico, come quelli verificatisi
nella partita coi turchi, per colpa di questi ultimi".
Dopo
tutte le polemiche di quest’ultimo periodo, tra
striscioni, stendardi, numeri civici e discriminazioni
di varia natura, come vedi il futuro del tifo in Italia
?
"Ora più che mai vado in curva
"Solo per la Maglia". Il tifo ? Il tifo è morto
subissato dalle imposizioni della Federazione, dalle
assurde e farraginose regole dell’ Uefa, dalla logica
che ha tramutato i club calcistici in società quotate in
borsa. Lo spontaneismo da gradinata è stato surclassato
dallo sventolio delle bandierine, sicuramente
folkloristiche ma standardizzate e banali. Il tifoso è
prigioniero di cavilli burocratici e giuridici come la
Tessera del tifoso, è vincolato a partecipare all’evento
in orari abnormi. È spogliato di ogni diritto perché il
calcio moderno ha "ucciso" il tifoso sostituendolo con
lo spettatore-pagante. Il futuro sarà la partita vista
da seduti, con il posto ben identificato, come avviene
nei vari settori dello stadio, tolta la Curva Sud:
l’ultimo baluardo del tifo. Tra vent’anni, le
generazioni a venire guarderanno le vecchie foto degli
ultras anni 80 e quando qualcuno parlerà loro di tifo,
penseranno a quello epidemico o petecchiale".
Lo spirito descritto
nel tuo libro Via Filadelfia 88 esiste ancora ?
"Non esiste più perché sono
cambiati gli attori dello spettacolo. Non esiste più
perché è cambiata la mentalità. Non esiste più perché,
come detto prima, il tifo è altra cosa. Sono cambiate le
generazioni, è mutato il concetto di gruppo ultras, è
limitata al tempo stesso la possibilità di espressione,
di movimento, di socializzare attraverso il "fare
gruppo". Ma inutile piangere sulle ceneri, occorre
guardare al futuro nella speranza di cogliere nuove
forme aggregative, e non lo dico a me stesso, ma alle
nuove generazioni. Per noi, giovani di allora, lo stadio
era un’alternativa perché si socializzava, si viveva con
gente che la pensava come te. La curva di allora, almeno
la Filadelfia che ho vissuto come esperienza diretta,
può essere definito forse come uno dei pochi spazi
interclassisti dell’epoca e, in un mondo giovanile
allora alquanto politicizzato, come uno dei pochi punti
di convivenza (quasi) pacifica tra giovani con idee
politiche differenti, uniti dall’incredibile: la fede
calcistica".
Credo di non avere altro da
aggiungere. Ciò che Beppe ci ha descritto è la perfetta
fotografia del nostro tempo. Le psicosi legate ai
fantasmi del passato, la reclusione del tifoso in una
sorta di prigione dorata costituita da divieti e da pop
corn, da seggiolini sempre più comodi e da coreografie
imposte da sponsor o dalla dea televisione: questo è il
nostro mondo. Un mondo nel quale, giocoforza, siamo
stati inquadrati come tanti soldatini. Grazie di cuore a
Beppe per la disponibilità. E grazie a tutti voi,
ragazzi di Via Filadelfia 88, per aver mantenuto vivo il
ricordo di ciò che eravamo. Un saluto a tutti voi, cari
amici bianconeri. Fino alla fine forza Juventus !
17 ottobre 2013
Fonte:
Signorainrosa.com
Due parole con… Beppe
Franzo
di Stefania Camilla Carretto
La
storia della Juventus è come un film, interminabile ed
intenso, nel quale ogni emozione viene
vissuta, da milioni di persone, con ardore ed
entusiasmo. Gioie e dolori, vittorie e sconfitte.
Costellata di personaggi speciali, siano essi
calciatori, dirigenti o presidenti, la storia bianconera
annovera, tra le sue fila, anche altri importanti
protagonisti: i tifosi, vere e proprie anime di questa
gloriosa società calcistica. E, per me, juventina da
sempre, è stato un piacere conoscere ed intervistare un
tifoso bianconero DOC come Beppe Franzo. Per chi non lo
conoscesse, Beppe è stato uno dei fondatori degli
Indians, storico gruppo organizzato degli anni ’80. E’
anche autore di molte pubblicazioni, tra cui "Via
Filadelfia 88. Una storia, una curva" (Novantico
Editrice, 2011), libro che non può mancare nella casa di
ogni juventino ! Ti ringrazio, caro Beppe, per la
pazienza, la disponibilità e la precisione
nell’argomentare le risposte. E grazie di cuore
all’amico Pierluigi, in arte Piertattoo, che tra un
tatuaggio su di me e uno su di te, ci ha fatto
conoscere.
Allora, Beppe:
cominciamo ? Gli ultras criticano il calcio moderno
(campionato spezzatino, tessera del tifoso, ecc.). Tu
che hai vissuto il mondo del tifo organizzato negli anni
80, come la pensi ?
"Ti
rispondo, innanzitutto, con una citazione, che ho
ripreso nel mio libro. "La televisione, invece, è un
nemico per i tifosi. Ormai la filosofia delle grandi
società è di relegare la fruizione del calcio al piccolo
schermo. Si trasmettono un numero incredibile di partite
e così ci si allontana sempre di più dai campi di gioco.
Sono più alti i proventi che giungono con i soldi degli
sponsor che non quelli che arrivano dai tifosi. Il guaio
è che progressivamente si perdono il mito della
bandiera, il senso di appartenenza ad un gruppo, la
condivisione di gioie e amarezze con la squadra del
cuore…". (Intervista a Pietro Rava, Giocavamo, senza
numero: la Juventus che eravamo noi, Mario Parodi,
Editrice Tirrenia Stampatori, 1999) La televisione
comanda, le società accettano. Una volta le partite si
giocavano tutte alla stessa ora, di domenica pomeriggio.
Adesso, invece, si gioca il sabato, la domenica, alle
18, alle 12.30, alle 15, alle 20.45. Insomma, per
esempio, chi ha un’attività è obbligato a chiudere
presto se vuole andare allo stadio il sabato alle 18. E
se si hanno dei figli, diventa complicato andare a
vedere la partita alle 12.30 di domenica. Oltretutto, i
costi degli abbonamenti, proprio per le difficoltà
logistiche che vengono imposte, dovrebbero diminuire
anziché aumentare ! Ai presidenti - proprietari delle
squadre, evidentemente, importa poco degli spettatori
allo stadio: meglio un tifoso da salotto che uno
qualsiasi sugli spalti. Per quanto riguarda la tessera
del tifoso, il discorso è complesso, ma sì, sono contro
questa schedatura continua delle nostre vite. Siamo
osservati continuamente da una sorta di Grande Fratello,
proprio come nel libro 1984 di George Orwell. Se sei
abbonato, ai tornelli dello stadio appare il tuo nome, e
di certo i dati vanno a finire in un database che
registra l’effettiva presenza. Allo stadio, poi, ci sono
telecamere che possono identificarti. Se vuoi seguire la
squadra in trasferta devi fornire i tuoi dati. In più la
tessera del tifoso, se attivata, diventa anche una carta
di credito pre-pagata. Il mondo del calcio è sempre più
controllato dal business. Mammona ha preso il
sopravvento".
La curva e il mondo
ultras come specchio della società. Negli anni ‘70 - ‘80
molti giovani si interessavano di politica e,
altrettanti, erano attivisti. La curva, all’epoca, era
spesso espressione della politica extraparlamentare. Si
pensi alle Brigate Rossonere, fondate, tra gli altri,
dal leader di Autonomia Operaia, Toni Negri. La curva
era un po’ come un megafono per chi "non aveva voce",
per chi non comandava. Attualmente, invece, i giovani
seguono meno la politica e sono immersi in una società
nella quale ciò che conta è il denaro, l’aspetto
puramente economico del mondo. Il netto cambiamento
della società ha inciso e, se sì, quanto sul mondo
ultras ?
"Il
cambiamento sociale e politico ha certamente influito
sul mondo ultras. Per quanto riguarda il contesto
politico, sono morte le frange più estremiste
extraparlamentari e sono venute meno le estremizzazioni
del concetto politico e la netta divergenza tra sinistra
e destra. Spesso si trovano partiti di destra che
affermano concetti tipici della sinistra, o partiti di
sinistra che scimmiottano politiche sociali di destra.
Ciò non accade solo in Italia, ma in tutta Europa. Si
sta andando verso un’uniformità di pensiero europeo e
globale, che proviene da quella scuola con matrici
liberiste, che parte dagli Stati Uniti e che si basa su
una visione prettamente economicista e liberista del
mondo. Essa porta, quindi, ad un livellamento di valori,
ad un’uniformità nella società e in questo, per assurdo,
sposa le tesi della sinistra marxista. I gruppi ultras
ne hanno risentito per tutta una serie di motivi
ben
evidenti. Innanzitutto possiamo osservare come sia
entrata, nelle curve, una logica di pensiero finalizzata
anche all’ottica consumistica. Dico "anche" perché con
la mia risposta non voglio fare del mondo ultras un
tutt’unico. Ci sono gruppi ben differenti che hanno
posizioni contrapposte. Non si può fare dell’ultras
un’unica figura e con questa identificarne il pensiero,
gli usi comuni, il modus vivendi. Sicuramente la logica
consumistica è entrata nelle curve, mentre è venuta
meno, per tutta una serie di misure repressive, lo
spontaneismo che era tipico dei giovani che animavano il
panorama delle curve. Tramite filtraggi imposti si è
standardizzata la logica del tifo: bandieroni con
identiche dimensioni, trasferte identiche per modelli,
per mezzi con cui viaggiare, per orari. Questo ha creato
una standardizzazione del fenomeno ultrà ed è venuta a
mancare la logica immaginifica del contesto e della
mentalità che trascinava quel mondo, sia a destra che a
sinistra. Se la sinistra extraparlamentare si basava sul
motto "L’immaginazione al potere", la destra
extraparlamentare si contrapponeva al doppiopetto e
manganello di Almirante, per andare a ricercare spazi di
identità sociali diversi: entrambe le realtà vivevano di
emblemi, simboli, immagini forti che si ritrovavano
nelle curve. La bandiera con la croce celtica da una
parte, quella con Ernesto "Che" Guevara dall’altra.
Simboli differenti ma pur sempre simboli che davano
un’esatta connotazione di quello che poteva essere il
vivere comune. Una parte si fondava sulla logica
contenuta nel libro del TAZ di Hakim Bey e che prenderà
poi piede con i centri sociali. L’altra, invece, basava
la sua esistenza sulla logica del comunitarismo, della
concezione di comunità intesa come insieme di principi,
di valori, di uomini, ricca di simbologia forte e ben
presente. Come diceva Mircea Eliade, nel testo Mito e
Realtà, certi simboli, utilizzati nel contesto della
curva, come il canto dell’inno nazionale o lo sventolio
di una bandiera, sono emblemi che fanno parte di una
tradizione ben precisa, di qualcosa di ben radicato
all’interno della società, anche se inconsciamente
portati avanti da giovani che non sanno neanche cosa
significhino. Sicuramente il mondo ultras è mutato. Non
dico che sia peggio o meglio ma è cambiato".
Tu eri presente il 29
maggio 1985, allo stadio Heysel di Bruxelles. Come vivi
i continui cori contro quei 39 morti ? Gli inglesi non
ce l’avevano con gli juventini in quanto tali, ma in
quanto italiani. Avrebbe potuto esserci chiunque nel
famigerato settore Z. Perché nessuno lo capisce ?
"Innanzitutto,
praticamente tutti ti chiedono cos’è successo a
Bruxelles, segno che nonostante i molti libri scritti e
le trasmissioni sull’argomento, ciò che successe non è
ancora così evidente e chiaro. In realtà alcuni
compresero l’identificazione tra juventini e italiani.
La prima partita, dopo la tragedia, fu Milan - Juve di
Coppa Italia. Un gruppo di tifosi rossoneri (forse i
Commandos Tigre) ci accerchiarono per parlarci, per
capire. Prima della partita, portarono uno striscione in
campo in segno di solidarietà per i caduti dell’Heysel.
Ci furono anche molti ultrà del Toro che ci aspettarono
al ritorno da Bruxelles, per cercare di capire cos’era
successo e dimostrare la loro solidarietà. Per quanto
riguarda i cori e gli striscioni, è chiaro che molti li
utilizzano per attaccare la Juve e la propria tifoseria.
In sostanza, lo fanno per darci addosso… E’ triste,
comunque, che ancora oggi molti non abbiano capito che
poteva esserci qualsiasi altra squadra italiana, lì, e
sarebbe successa la stessa identica cosa. L’odio, come
hai sottolineato tu, era radicato nei confronti dei
tifosi in quanto italiani, non in quanto juventini. In
Italia i peggiori di tutti sono i viola: hanno cercato
in maniera subdola di fare il gemellaggio coi tifosi del
Liverpool, a distanza di anni dalla tragedia
dell’Heysel. Un atto ignobile da parte loro".
Allora, Beppe: finora
abbiamo parlato del calcio moderno, del mondo ultras
come specchio della società e della tragedia
dell’Heysel. Di domande da farti ne avrei tantissime,
ma, prima di tutto, vorrei chiederti questo: alla luce
degli ultimi attriti, come sono i rapporti tra ultras e
società Juventus ? E com’erano negli anni 80 ?
"La
Juventus è continuamente sotto i riflettori: essendo una
delle società più importanti d’Italia, se non la più
importante, è da sempre oggetto di attacchi di ogni
genere, anche i più improbabili. Per attaccarla ogni
mezzo sembra lecito. La questione inerente i rapporti
società - ultras non è propria di questi ultimi anni: è
una costante la ricerca di relazioni "proibite" e di
connubi incestuosi tra questi soggetti. La Juventus,
almeno sul piano formale, ha sempre cercato di mantenere
le distanze. Tuttavia, la logica dei tesserati
all’interno dei gruppi ultras non si può disconoscere:
sicuramente se ci sono 3000 tesserati all’interno del
gruppo, un rapporto, anche solo di fidelizzazione, tra
società e ultras esiste. Per il resto, la Juventus ha
cercato e cerca di limitare ciò che fuoriesce dal
semplice rapporto tra venditore e acquirente del
biglietto da stadio. La Juventus è una società sabauda:
la sua mentalità è tipica di un certo retaggio del mondo
piemontese, quello della chiusura, quasi della
ghettizzazione. Si è sempre agito in questo contesto
"sabaudo". Nell’ultimo periodo c’è stata una virata di
tendenza importante con lo stadio di proprietà; stadio
che si vuole far diventare modello per le altre società
italiane. Per questo, la Juventus sta cercando di limare
il più possibile il contesto ultras all’interno del suo
impianto, non ottenendo, a mio avviso, le collaborazioni
sperate. Pensando alle ultime contestazioni, è ovvio che
se la Federazione avesse imposto il divieto, d’accordo
con la Questura, di far entrare i bandieroni di certe
dimensioni, avrebbe dato una grossa mano alla Juventus,
che avrebbe potuto prendere quella decisione come
pretesto per impedire agli ultras di introdurre nello
stadio i bandieroni stessi. La società avrebbe potuto
scaricare la colpa sulla Federcalcio. Invece si è
trovata a dover optare per una scelta frontale. Vedere
gli spalti vuoti durante la partita contro lo Shakhtar,
in Champions League, ha dimostrato la fragilità e
l’incompetenza di buona parte dell’entourage
dirigenziale bianconero. Sono stati commessi errori
eclatanti".
Torniamo un attimo al
rapporto tra mondo ultras e politica. In base alla tua
esperienza, in che modo la politica entrava in curva,
negli anni ‘80 ?
"Alcuni
studi sociologici hanno cercato, anche in modo un po’
subdolo, di far passare messaggi diversi rispetto a
quello che era il contesto abitudinario. Molti di loro
vedevano le curve come un qualcosa di funzionale alla
politica extraparlamentare. In pratica identificavano la
logica del movimento extraparlamentare in quella di
coloro che andavano in curva a reclutare le persone. La
curva, infatti, era considerata terreno fertile. E’ vero
che questo è avvenuto, ma non era la logica imperante.
Lo dimostra una piazza come Roma, dove, da un lato,
c’era il mondo dei coatti e dall’altro il mondo dei
militanti politici extraparlamentari. Due mondi spesso
agli antipodi. I militanti consideravano gli altri dei
reietti che andavano allo stadio ad utilizzare simboli
impropri. Il mondo dell’ultrà, invece, concepiva, ad
esempio, il militante di destra come un topo da
biblioteca, più avvezzo a consultare i libri che non a
fare della militanza un qualche cosa di attivo. In una
piazza come Torino, invece, il mondo extraparlamentare
di destra è sempre stato presente, anche se non molto
sviluppato in termini numerici. Spesso succedeva che
coloro che facevano parte dei gruppi giovanili di allora
(Fronte della Gioventù, Vento del Nord) si ritrovassero
a far parte anche dei gruppi da stadio. Essi animavano
da una parte gli Indians e dall’altra i Granata Korps.
Noi eravamo un gruppo di giovani che viveva la propria
sfera esistenziale sette giorni insieme. Eravamo una
comunità sotto tutti i punti di vista. Facevamo
politica, ci trovavamo per andare a bere, vivevamo
determinati momenti in simbiosi e la domenica, tutti
insieme, andavamo sulle gradinate dello stadio a vivere
questa dimensione dell’essere ultras. E’ anche vero che
non tutti quelli che facevano parte del gruppo
comunitario politico venivano allo stadio. Se ne
aggiungevano altri, anche con precedente esperienza in
gruppi extraparlamentari di sinistra. Quindi seppur la
matrice identificativa del gruppo era decisamente
schierata a destra, per simbologie e per slogan, ciò non
toglie che ne facessero parte anche tanti ragazzi di
sinistra. La dimensione che prevaleva era quello
dell’amore verso la squadra. Da questo punto di vista,
la curva può essere considerata l’unico spazio
socialmente vissuto da "classi sociali" differenti. E’
forse l’unico spazio eterogeneo".
Essere ultras in un
periodo in cui i calciatori vendono le partite.
Incitare, cantare, spendere soldi per le trasferte e poi
scoprire che i propri idoli scommettono sulle loro
partite… Non ci si sente un po’ presi in giro ?
"Sicuramente,
da Calciopoli in poi, niente è più come prima. Se da un
lato scopri che c’è chi si vende le
partite, dall’altro ti rendi conto che chi è stato
punito ingiustamente, come la Juventus, si trova a
combattere contro un sistema che, pur dimostrando la sua
totale estraneità a determinati fatti, la continua a
condannare. E’ un po’ come picchiare contro un muro.
Questo, per tutta una serie di ragioni ben differenti,
legittima ampiamente la logica dell’odio eterno al
calcio moderno. E’ la sintesi del concetto di una certa
mentalità che viene racchiusa nell’osteggiare e nel
considerare del tutto arbitrarie e insulse la tessera
del tifoso, la diffida, l’imposizione di determinati
sistemi, ad esempio il dover assistere seduti alle
partite (come accade in Inghilterra). Questo crea una
diversità sugli spalti e non solo. Anche sul campo si
sta modificando il gioco del calcio con una serie di
regole nuove che niente hanno a che vedere con lo
spirito originario. La palla dentro o fuori c’è sempre
stata, ma mettere i campanellini per sapere se la palla
è entrata interamente o no significa falsare il bello
del mondo del calcio, ossia la discussione post partita,
a prescindere dalla supremazia evidente di una squadra
rispetto all’altra. Tutto questo insieme di fattori sta
creando un distacco tra quelli che hanno vissuto il
calcio in un certo modo e quelli che lo stanno vivendo
oggi. E’ un vero e proprio ricambio generazionale tra i
"vecchi" che non amano questo calcio e i "nuovi" più
frutto di una logica "pubblicistica". Ne è un esempio la
polemica tra i pinguini e gli ultras".
Non ti sembra che ci
siano personaggi che si nascondono dietro al tifo
organizzato per commettere atti vandalici che col calcio
hanno poco a che fare ? Quelli che hanno distrutto il
settore ospiti dello Juventus Stadium, per esempio.
Oppure è colpa di tutte le polemiche che precedono le
partite ?
"Esistono due dimensioni del
concepire il mondo ultras. Negli anni ’80 c’erano gruppi
che non approvavano il concetto di lama, mentre c’erano
quelli che le lame le usavano ampiamente,
anche all’interno della stessa tifoseria. In curva c’è
di tutto. Quando si pensa all’anello più duro della
catena, che è la tifoseria ultras, già si fa un’enorme
cernita all’interno della curva stessa. Chi fa parte di
quel mondo ha una concezione decisamente improntata ad
una logica, passami il termine, guerriera. Facendo
un’ulteriore differenziazione, si possono trovare coloro
che ragionano secondo una logica ultras pura, ossia
quella di affrontare il nemico in modo frontale, oppure
coloro che, per tutta una serie di ragioni e di cose che
animano queste ragioni, ad esempio la cocaina o l’alcol,
tramutano l’evento in qualcosa di nichilistico.
Ovviamente questo fa sì che si verifichino dei
cortocircuiti che niente hanno a che vedere con la
partita e con la stessa logica ultrà. Lo scontro
dovrebbe essere un mondo parallelo che non coinvolge le
famiglie. Purtroppo già negli anni ’80 succedeva che
venissero coinvolte persone che niente c’entravano col
contesto dello scontro. Succedeva allora, succede
adesso".
Ed eccoci arrivati, cari amici,
alla fine di questa lunga, interessante e coinvolgente
intervista ad un personaggio di spessore per i colori
bianconeri come Beppe Franzo. La mia intenzione era
quella di raccontare, tramite le sue parole, uno
spaccato del mondo che popola la curva bianconera. Spero
di esserci riuscita e di avervi, nel contempo, offerto
alcuni spunti di riflessione. Grazie ancora a
Beppe per la gentile disponibilità e al nostro amico,
nonché tatuatore di fiducia, Piertattoo per averci
presentato. E come sempre… Fino alla fine forza
Juventus!
5 dicembre 2012 - 10
gennaio 2013
Fonte:
Signorainrosa.com
"Via Filadelfia: una
storia, una curva"
di Beppe Franzo
Per me e molti altri, davanti
al numero civico 88 di via Filadelfia, ci
siamo
dati appuntamento per lunghi anni quando la nostra
squadra del cuore giocava in casa. Questo libro narra,
in forma autobiografica, l’arco di tempo da fine anni
Settanta ai primi anni Novanta del secolo scorso, da me
vissuto tra i gruppi ultras della tifoseria juventina.
Per i protagonisti di allora, spesso identici tra loro
al di là di bandiere e stendardi, ideologie politiche,
differenti posizioni sociali, potrà essere un salto a
ritroso nel tempo. Per ricordare, per riflettere, per
stilare le dovute considerazioni e conclusioni.
Un’esperienza che odi o ami, ma di cui ti ricorderai.
Per sempre.
Mi è stato chiesto "per chi hai scritto il libro ?" (a
tal proposito, chi volesse fare delle domande in merito
le pubblichi pure nel Gruppo, in modo che le risposte
saranno visibili a tutti). Rispondo dicendo che l’ho
scritto per me e per quelli che insieme a me hanno
vissuto quei momenti; per i più giovani che spesso in
curva, birreria o altri posti, ogni tanto chiedono di
raccontare della Generazione Ultras degli anni ’70-’80.
Spero che possa aiutarli a comprendere, a "capirci".
Senza vena di retorica, l’ho scritto anche per quelli
che a volte ricordo con nostalgia e che non sono più con
noi. L’ho apposto nella dedica ad inizio libro: "Dedico
questo libro a quanti affollano le gradinate del cielo,
in particolare: Beppe Rossi, Claudio Ardito, Roberto
Balducci, Marco Brocchi, Antonio del Ponente, i fratelli
Candela, Mario Onorato, i 39 Angeli dell’Heysel, mio
padre". La seconda domanda è una risposta indiretta ai
tanti che mi chiedono "Io ci sono, mi hai menzionato ?"
Nel testo sono omessi nomi e cognomi, chi c’era allora,
leggendo il testo e ritornando indietro con la memoria,
saprà che è lui il personaggio descritto.
Spero possa piacervi o quanto meno di non
deludervi troppo. Scrivere un testo, un romanzo del
genere non è facile: occorre cercare di ovviare alle
banalità, eludere la retorica. Il linguaggio è a volte
grezzo: ho voluto fedelmente riprodurre il gergo del
mio/nostro mondo. Grazie per la comprensione.
? 2011
Fonte: Via Filadelfia
88 (Novantico Editrice)
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