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LIBRI e HEYSEL 2018
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Heysel 29 Maggio 1985 Andrea Linfozzi 2018
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BIBLIOGRAFIA
HEYSEL
 

HEYSEL 29 MAGGIO 1985 (Andrea Linfozzi)

A sedici anni l’autore era nello stadio "Heysel" di Bruxelles per assistere alla finale della Coppa Campioni di calcio del 1985 tra Juventus e Liverpool. Sperava di vivere un sogno: vedere la propria squadra alzare al cielo per la prima volta la sospirata coppa. In quella maledetta curva "Z" gli toccò sopravvivere ad un incubo e sfuggire alla morte. Trentanove persone quella partita non la videro mai e non poterono tornare dalle proprie famiglie, persero la vita tra le macerie di quegli spalti maledetti pochi minuti prima del fischio d’inizio. Due di loro erano partiti con lui dall’Abruzzo. La tragedia più drammatica che il calcio europeo ricordi, raccontata da chi l’ha vissuta sulla propria pelle. Andrea Linfozzi è nato a Chieti il 23 agosto 1969. Si è laureato in Lettere con indirizzo archeologico. Vive e lavora a Pescara dove insegna presso l’Istituto Tecnico "Acerbo".  Nel 1998 ha vinto il "Premio Teramo" (Sezione Giacomo De Benedetti) e il Premio Fondazione Caripe. In quell’anno aveva pubblicato due raccolte di racconti con Edizioni Tracce: "L’uomo che costruiva violini" (Premio Astrolabio di Pisa) e "Lacrime e polvere da sparo". Nel 2004 ha organizzato il Premio "L’albero dei racconti" e ne ha curato l’antologia. Nel 2018 pubblica la sua personale testimonianza di reduce della strage in "Heysel 29 maggio 1985". Finalista in diversi concorsi letterari nazionali, nonché vincitore del premio "Andrea Pazienza-Ivan Graziani", a febbraio del 2019 ha pubblicato la sua ultima raccolta di storie intitolata: "Schegge di stelle". Fonte: Independently Published Editore © 11 dicembre 2018 Fotografie: Independently Published Editore © Andrea Linfozzi © Icona: Itcleanpng.com ©

 

Andrea Linfozzi : "Lacrime e polvere da sparo"

di Francesco Marroni

Molti anni fa, mentre leggevo per la prima volta i Frankenstein in una traduzione nemmeno troppo fedele e gratificante, mi venne in mente che per fare un romanzo non basta una buona idea. Non basta una buona storia. Leggendo il capolavoro che Mary Shelley cominciò a scrivere a soli diciannove anni mi sono reso conto che la letteratura non è un terreno che ammetta furbizie e improvvisazioni. La ragione per cui Frankenstein può essere a buon titolo definito "classico" è abbastanza semplice. Nonostante la sua giovanissima età, Mary Shelley scrive il romanzo con lo stesso rigore dei grandi classici di ogni epoca e di ogni nazione. Le regole dell’arte non si inventano - il pittore che 2500 anni fa dipinse la tomba del Tuffatore di Paestum seguì le stesse regole a cui si attenne Renè Magritte nel dipingere "l’uomo con la bombetta". Cambiano i contesti storici, cambiano le epoche e gli uomini, le direttrici e i criteri fondamentali della creazione artistica non cambiano mai. O, se cambiano, lo fanno in modo così impercettibile e graduale da non lasciare traccia della stessa trasformazione. Perché questa considerazione preliminare ? Dopo aver letto i racconti Andrea Linfozzi, e soprattutto dopo aver letto il racconto lungo "Stadio Heysel di Bruxelles, 29 maggio 1985", credo non si possa fare a meno di notare come l’autore sia del tutto preso dall’urgenza di narrare qualcosa di terribile che solo la "cura" scritturale, potrà essere del tutto superato e comunque immaginativamente "trasformato" da evento nefando in fatto estetico. Una tragedia, quella maturata nello stadio di Heysel di Bruxelles, che sembra partorita dal ventre eccessivo di un’epoca capace solo di spettacolarizzare la vita senza viverla. Una tragedia dello sport che nella rivisitazione autobiografica di Andrea Linfozzi diviene intensa metafora sulla condizione attuale dell’uomo, una storia che riesce a impegnare il lettore in un "discorso intorno ai valori" senza mai proclamare in modo didascalico il senso profondo della narrazione. Resta in primo piano quell’esigenza narrativa, quella voglia di narrare e di narrarsi che viene rivelata nelle ultime parole del racconto: "Mi voltai e vidi un gruppo d’ombre di figure umane […] Si agitavano, sembravano invocare giustizia, facevano cenni verso di me, affinché li evocassi, affinché li facessi venire alla luce. Allora saltai fuori dal letto, presi un foglio e una penna, e iniziai a scrivere", di qui l’urgenza di fare rivivere le ombre che implica anche l’urgenza di testimoniare ad un tempo la propria sensibilità artistica e il proprio essere in quello scenario tragico. Ma, come si diceva, esistono regole a cui nessun artista può sottrarsi se vuole sperare che nelle sue parole, nella sua pagina siano già inscritti e programmati i lettori futuri. Più l’opera è meditata, più l’opera si sgancia dall’effimera spinta dell’urgenza, più la sua "voce" riesce a parlare ai lettori che verranno, riesce cioè a crearsi uno spazio che significa innanzitutto capacità di sorprendere e di aprire sempre nuovi itinerari immaginativi, nonostante il trascorrere del tempo, nonostante il mutamento dei gusti, nonostante il succedersi delle generazioni di lettori.

Quale giovane autore Linfozzi sta imparando a conoscere quelle regole che fanno di opere come il citato Frankenstein, o per passare ad altro genere, l’Orlando Furioso, dei capolavori per tutte le epoche, ma è chiaro a tutti - e credo sia chiaro anche allo stesso Linfozzi - che la strada che conduce alla Letteratura (stavo per dire alla "Grande Letteratura") è impervia e piena di insidie. Nel nostro caso, va subito detto, l’incoraggiamento ha una sua ragione. Ha un suo fondamento proprio perché l’autore ha dalla sua parte non solo l’idea, di cui si diceva all’inizio, ma anche una sostanziale sensibilità letteraria che molto giova alla sua scrittura. Ed è grazie a questa sua sensibilità che il racconto funziona ben oltre il dato cronachistico, riuscendo a coinvolgere il lettore in una vicenda umana che si colora di tonalità spesso tendenti al grigio, di visioni che trascolorano quasi sempre nel diafano biancore della morte. Come non leggere allora le pagine dedicate alla descrizione della partenza, la snervante lunghezza del viaggio e la delusione al cospetto dello spazio incolore di un Belgio senza anima nei termini di una vera e propria missione di guerra ? A parte l’entusiasmo per la squadra del cuore, il protagonista vede tutta la realtà circostante con gli occhi di un soldato che parte per il fronte - un soldato di fanteria magari con tutto l’armamentario assurdo e minaccioso della Grande Guerra, il viaggio in autobus ha tutta l’angoscia di una tradotta anonima che si avventura per le strade dell’Europa senza una precisa meta: l’unica certezza sembra essere lo stadio della morte. La fine del viaggio significa proprio questo: la conoscenza della morte. È questo il tipo di iniziazione vissuta dal protagonista-narratore della storia. Il paesaggio congiura a creare un clima di totale isolamento: la voce di chi racconta si confronta in continuazione con un interlocutore assente. Anche il paesaggio pare sottrarsi ad ogni possibilità dialogica: "A pochi chilometri dalla città il conducente iniziò ad indugiare, a ogni crocevia, sulla strada da percorrere. Proseguimmo per alcuni chilometri alla cieca, circondati da fitti boschi. Era come essere intrappolati in un insidioso labirinto. Un benzinaio ci aiutò ad uscirne". È questa la realtà che ci descrive Linfozzi: tanto è insidioso, la minaccia è sempre dietro l’angolo. Il viaggio a Bruxelles che avrebbe dovuto essere una sorta di vacanza-premio vuol dire ripercorrere le tracce di migliaia e migliaia di minatori abruzzesi che, in quel mondo ostile, hanno trovato lavoro e una dignità, sia pure nella forma grigia e spettrale di un paesaggio senza sole. È vero: non basta una buona storia per fare un buon romanzo, ma se l’idea è buona è già un grande aiuto. E nel caso di Andrea Linfozzi, non è esagerato dire che l’idea del viaggio e la descrizione da vittima innocente della "battaglia" tra italiani e inglesi vanno al di là del semplice dato autobiografico per fare del protagonista la vittima innocente di una società, quella in cui noi tutti viviamo, che pare essere sempre sull’orlo della barbarie. Fonte: Pescarabruzzo.it © Edizioni Tracce Pescara 1998 Fotografie: Andrea Linfozzi © GETTY IMAGES © (Not for commercial use) © Independently Published Editore © Icona: Itcleanpng.com ©

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