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Sensazioni, ricordi, emozioni,
tra la realtà rurale e l'urbanizzazione. La colonia
delle suore e il militare. Le lotte studentesche, gli
opposti estremismi, il terrorismo brigatista e
stragista. La passione per le corse automobilistiche. La
gioia e il rimpianto per essere stato pilota, ma non
abbastanza professionista: "E sdegnavi le ruote coperte,
fossero le turismo, le GT o i prototipi. Soprattutto se
dovevi correrci in coppia nelle gare di durata. Che ti
mangi ancora oggi le mani". La fede juventina da Anzolin
a calciopoli, passando per la notte di Bruxelles: "Vi
sta bene. Avete avuto quello che vi meritate. Ladri
juventini. Vi piace la vostra bella coppa macchiata di
sangue. Gli imbecilli non mancavano. Allora come oggi".
I viaggi e la globalizzazione: "Belgrado, che c'era una
manifestazione al giorno contro Milosevich. Ma a quel
tempo faceva affari con l'occidente. E i morti avevano
un altro valore". La crisi economica attuale: "Che
fare ?". Tu ridurresti del 50% prezzi e costi, al
consumo, di beni, prodotti e servizi. E ridurresti gli
stipendi e i salari del 20%".
1 gennaio 2008
Fonte: Editore Gruppo
Albatros Il Filo (Collana Nuove voci)
Una storia da
raccontare
di Alessandra Di Gregorio
Il libro di Maccalli è un buon
esempio di scrittura aneddotica, sintetica e per così
dire "sincopata". Queste le tre caratteristiche che mi
vengono in mente a seguito della lettura - non dico
facilissima vista la straordinaria quantità di aneddoti,
nomi e circostanze narrati - di un libro oltremodo
snello, ben costruito e interessante. L’Autore racconta
vite che s’intrecciano e inerpicano nel percorso
frastagliato della crescita negli anni del boom
economico italiano, ma non solo. Prende a riferimento
oggetti, eventi, e soprattutto aneddoti sportivi (tra
calcio, ciclismo, automobilismo), mentre non solo si
cresce e si attraversano gli anni della scuola, delle
lotte, delle assemblee, ma si è anche testimoni di fatti
importanti come lo sbarco sulla Luna, il ’68, i
cambiamenti sociali. Insomma eventi epocali o di cronaca
locale e nazionale, bypassati attraverso gli occhi del
ricordo. Su tutti, l’amore per la
Juventus e
un’attenzione ironica e critica nel focalizzarsi sugli
spunti tratti da memoria e storia contemporanea. Più che
un romanzo o racconto, il volume è una cronistoria
lineare (nonostante i frequenti ritorni su
considerazioni e idee, ritorni da intendere come
approfondimenti, non ripensamenti). La scrittura, come
sottolineato al principio, è ai limiti della "sincope",
nel senso che sembra procedere a singhiozzo, nel suo
farsi contenitore di iperboli aneddotiche (chiamiamole
così) concatenate quasi all’infinito. Vale a dire che la
mole di informazioni immesse nei vari passaggi è sempre
molto elevata, da qui il procedere a "singhiozzo" della
lettura - dando per scontato che il lettore voglia
subito arrivare al succo dell’episodio e non fermarsi a
leggere l’elencazione della formazione della X squadra e
via dicendo. Questo comporta (di necessità) una sintesi
mirata, focalizzata, per dare l’idea che il Narratore si
rivolga a se stesso facendo un excursus che ricongiunga
ieri a oggi, e che nel frattempo, in quel segmento
temporale e storico ricco di scoperte, fatti ed emozioni
di una intera vita, riesca a cogliere anche spunti di
riflessione che riguardano le cose a lui vicine ma in
senso più trasversale, ovvero annotazioni sui grandi
temi legati allo sviluppo economico e sociale di un
Paese - il nostro - ricco di contraddizioni e turbamenti
che nel corso dei decenni hanno fornito substrato a una
crescita, di fatto, mai veramente sostanziale (o
totalmente positiva a lungo termine). Maccalli intinge
dunque la penna in un calamaio oltremodo importante,
dimostrando grande dimestichezza non solo nel disegnare
una trama così riccamente intessuta e non semplice da
gestire (nonostante la scelta di limitarsi a raccontare
piuttosto che creare al momento l’azione, cosa comunque
complicata dalla scelta dell’ordine di importanza da
assegnare ai vari ricordi), ma anche nel presentarla
attraverso il ricorso a un registro colloquiale e al
tempo stesso impegnato, lessicalmente semplice ma
linguisticamente rilevante. Il tutto, inserito in una
cornice molto contenuta (esiguo è il numero delle pagine
o per meglio dire "giusto") e di sicuro appeal per il
lettore razionale, a cui però piacciono gli amarcord da
un estremo all’altro della memoria. Vivamente
consigliato. (Recensione a cura di Alessandra Di Gregorio)
8 febbraio 2012
Fonte:
Scritturainforma.wordpress.com
Lesmo
Una storia da
raccontare uscita dalla penna di Ezio Maccalli
Viaggio dagli anni del
terrorismo a Calciopoli per lo scrittore lesmese
d'adozione
Sensazioni, ricordi, emozioni,
tra la realtà rurale e l'urbanizzazione. La colonia
delle suore e il militare. Le lotte studentesche, gli
opposti estremismi, il terrorismo brigatista e stragista
e la sua grande fede juventina, da Anzolin a calciopoli,
passando per la famosa notte di Bruxelles. Questi temi e
molti altri ancora sono contenuti in un libro,
intitolato "Una storia da raccontare", scritto da Ezio
Maccalli, 50 anni, di origini brianzole e residente a
Lesmo. "Fondamentalmente questo libro parla della mia
autobiografia, scritta però in seconda persona - ha
commentato Maccalli - e non è nient'altro che un viaggio
effettuato per associazioni di idee. Sono partito col
raccontare i miei primi anni di liceo, frequentato
presso l'istituto Frisi di Monza, per poi soffermarmi su
alcune vicende che mi hanno segnato profondamente, fino
ad arrivare a fare un primo bilancio della mia vita, che
di solito si fa attorno ai 50 anni". Tante le pagine
dedicate alla sua passione per le corse
automobilistiche. La gioia e il rimpianto per essere
stato pilota, ma non abbastanza professionista per
arrivare al grande sogno di guidare una formula uno.
"Per lavoro ho girato molti paesi d'Europa - ha
continuato lo scrittore - e ho voluto dedicare alcuni
paragrafi alla massacrante guerra nella ex Jugoslavia. A
Belgrado non passava giorno senza una manifestazione
contro Milosevic. Ma a quel tempo il dittatore faceva
affari con l'occidente e quindi tutti cercavano di
tacere". Insomma una lettura agile e piacevole che trova
il suo punto di forza nell'assenza di una frammentazione
per capitoli, in quel vortice apparentemente
disordinato, ma che prosegue per associazioni di idee.
Con un occhio al passato e uno al futuro, senza fretta.
(Frd)
27 Gennaio 2009
Fonte: Lesmo.netweek.it
NDR: Si ringrazia
vivamente Netweek.it per la cortese concessione
dell’articolo
"HEYSEL"
di Ezio Maccalli
"Arrivaste con un charter la mattina e giraste per la
città. Bianconero. E rosso. Un po’ dappertutto. Aria di
festa. Nella piazza della Cattedrale tifosi inglesi
ubriachi si fan fotografare coi poliziotti locali.
Lattine e bottiglie rotte in terra. Mangiate in un
ristorante greco. Non un pranzo memorabile. Allo stadio
presto. Che è meglio essere già là quando aprono i
cancelli. C’è già tanta gente. Poliziotti a cavallo
nella calca. Un cavallo pesta un piede ad un italiano.
Non deve essere piacevole. In coda per entrare. Lo
stadio è piccolo. Le curve hanno gradini alti venti
centimetri. E cresce l‘erba nelle crepe del cemento.
Nuvoloso, ma non piove. Lo stadio si va riempiendo.
Davanti a voi nella vostra stessa curva, quella a
sinistra guardando la tribuna centrale, i Fighters. Gli
ultrà della Juve. Alla vostra destra i distinti. Con
tifoseria promiscua. In maggioranza bianconera. Di
fronte l’altra curva. Con una transenna a divisorio
nella mezzeria. Alla vostra sinistra tifosi della Juve.
Dall’altra parte della barricata una macchia rossa.
Seduti, composti, i tifosi inglesi. Poi all’improvviso
entra un
gruppo di rossi. Canti, slogan, salti.
Cominciano a tirare oggetti contro la parte bianconera.
Qualcuno rilancia indietro. I fighters davanti a voi
cominciano a rumoreggiare. Poi di là qualcosa succede.
Le urla sono più forti, i movimenti più massicci.
Frenetici. Entra in campo della gente. Lo stadio
fischia. Porco giuda manca poco. Uscite. Che chissà
quando si gioca. Ma non ne vogliono sapere. La polizia
isola lo spicchio di curva di fronte a voi. Dove stavano
i tifosi italiani.
Pian piano la gente in
campo diminuisce. Vengono fatti salire in tribuna, nei
distinti, nella vostra curva. Ma sono già le dieci. Poi
d’improvviso gli altoparlanti annunciano che i capitani
leggeranno un comunicato. Scirea dice di stare calmi.
Giochiamo per voi. Qualche voce. Qualche notizia
comincia a filtrare. Morti a decine. Ma lo dicono gli
ultras. E chi ci crede. Finitela. E uscite. Erano infatti entrati a loro volta in campo. Non volevano che
la partita cominciasse. La polizia schiera alcuni uomini
davanti a loro. Davanti a voi. Parte un colpo. Una
scacciacani per fortuna. Poi i poliziotti si
accovacciano, cominciano a battere i manganelli per
terra. Ritmano una sorta di danza della guerra.
Attaccano. Gli ultras rinculano. Rientrano nella
recinzione dal buco che hanno fatto. Entrano le squadre.
Inizia la partita. C’è tensione. Fuori e dentro. Tacconi
ad ogni parata si gira verso la curva a pugni chiusi.
Dall’altra parte Boniek scatta. Lo stendono. Rigore.
Platini segna. Esulta. Tutti esultate. Un tiro del
Liverpool colpisce un braccio bianconero. Chiedono il
rigore. L’arbitro li zittisce. Finita. Niente cerimonia
di premiazione. Arrivano alla spicciolata i vostri con
la coppa in mano. Tardelli lancia la maglia. Uscite. Le
notizie si rincorrono sempre più precise. Sempre più
incredibili. Ora la preoccupazione è far sapere a casa
che state bene. All’aeroporto i telefoni sono presi
d’assalto. Ce la fate. E ripartite. Al ritorno in Italia
è quasi l’alba. Comprate i giornali. Ancora increduli.
Vi sta bene. Avete avuto quello che vi meritate. Ladri
Juventini. Vi piace la vostra bella coppa macchiata di
sangue. Gli imbecilli non mancavano. Allora come oggi.
Il problema è che sono parole di un padre. Dette davanti
a suo figlio. Dieci anni al massimo. Dieci di lavori
forzati ne meriterebbe il padre. Oggi come allora".
1 gennaio 2008
Fonte: Una storia da
raccontare (Gruppo Albatros Il Filo)
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