|
B
I
B
L
I
O
G
R
A
F
I
A |
|
H
E
Y
S
E
L |
|
LA TESTIMONIANZA
"Dove gli hooligans ci
minacciavano, oggi giocano e ridono i bambini"
di Alberto Tufano
Lo zaino arancione stavolta non
c’è. Poco male. I ricordi sono troppi mentre entriamo in
auto a Bruxelles le emozioni si moltiplicano metro dopo
metro, quello zaino non avrebbe potuto contenerle tutte.
Rivedo la Grand Place, bella e luminosa oggi come ieri.
E poi l’Atomium, monumento che affianca lo Stadio. Ci
siamo. Tutto è pulito, eppure io ricordo ancora quel
tappeto di bottiglie di birra vuote sul prato. Oggi i
bambini sghignazzano lieti nel vicino parco, ma io sento
ancora i cori sguaiati e minacciosi degli hooligans. E
poi vedo quelle due lapidi vergognosamente circondate da
rifiuti, ma un nome nuovo per lo Stadio e un design
sicuro e moderno... Sensazioni amare affollano il mio
cuore, mentre gli occhi ricordano i sorrisi spezzati di
quei nomi incisi nella pietra: ognuno con una sua
storia, tutte vittime senza alcuna colpa. Chi li
descrive come 39 angeli non ha torto, perché sono
martiri del calcio europeo, deceduti e ricordati
erroneamente tutti come juventini, mentre alcuni erano
spettatori neutrali. La Storia non si può cambiare, si
può solo avere memoria per affrontarne il futuro con
nuova forza. Anche per questo sono diventato un
giornalista, in fondo. Adesso il futuro per la Juve si
chiama Cardiff. Se oggi la squadra scenderà in campo con
la passione vera che gli angeli dell'Heysel avevano
quella notte del 1985, allora la vittoria non potrà
sfuggire. E il triplete avrà ancora più valore per i
tifosi, tutti i tifosi, pure quelli non bianconeri.
Forse sto sognando, buon segno: vuole dire che sono
finalmente uscito dall’incubo. Più tre trofei sul campo,
più trentanove esultanze in Cielo. Respect.
3 giugno 2017
Fonte: La Gazzetta
dello Sport
Dentro l’Heysel tra
lapidi e rifiuti Perché Bruxelles ?
di Filippo Conticello
Lo stadio rifatto con poco rispetto per la
tragedia dell’85. Il capo della sicurezza: "Sì, la
polizia sbagliò".
INVIATO A BRUXELLES (BELGIO) -
Il muretto della morte è stato ricostruito, lo stadio è
cambiato e non solo nel nome. Eppure qui, nel vecchio
Heysel di Bruxelles, la memoria è ancora labile.
Distratta. Come se nessuno volesse onorare davvero quei
39 innocenti, portati via dalla follia degli hooligan e
dalle colpe delle autorità. Fiori calpestati sotto la
lapide, perfino un bicchiere e qualche cartaccia
lasciata lì: Alberto Tufano le ha tirate via, prima di
commuoversi leggendo uno per uno i nomi delle vittime
impressi sul marmo. Lui oggi ha 49 anni e fa il
giornalista, ma non dimentica di essere un salvato in
mezzo ai sommersi. Nel 1985, a 16 anni, sognava Platini
e Scirea, poi si ritrovò vicino ai cadaveri nel
maledetto settore Z. È ritornato qui dopo oltre mille
chilometri gioiosi in auto e oggi proseguirà fino a
Cardiff: dopo quell’incubo si era ripromesso di non
vedere più un’altra finale, poi Buffon ha riacceso i
sentimenti. È uno dei due ospiti di #GazzaCardiff, il
viaggio della Gazzetta da Torino fino in Galles, passato
prima dalla Francia e ieri da Bruxelles: in fondo,
entrando al Millennium Stadium, Alberto potrà scacciare
i suoi demoni. Glielo ha ripetuto spesso in auto anche
Franco Neri, l’altro compagno in questa avventura. Un
comico davanti al tragico: per un po’ le battute hanno
fatto posto alla commozione. VERGOGNA - L’impianto che
ormai si chiama "Re Baldovino" è vestito a festa: oggi i Diavoli Rossi si allenano in pubblico. Pare che non ci
sia tempo per ricordare: si entra solo dopo insistenza,
per qualche minuto e sotto scorta. Ennesimo schiaffo per
Alberto, che trattiene le lacrime a fatica mentre
ripercorre la strada di un tempo. Passi e sospiri
lungo
la Rue de Marathon, fino al punto in cui è stato versato
più sangue: nel muretto laterale caduto per la pressione
della folla c’è un’altra targa con scritto In Memoriam
29-5-85. Nascosta, quasi dimenticata: in fondo, il
Belgio minimizza ancora le proprie responsabilità. Lo
urla pure il capo della security che non vuole dare il
suo nome, ma non si morde la lingua: "Quella sera l’ho
vista in tv, una tragedia e una vergogna nazionale. Qui
non abbiamo ancora una polizia adeguata: allora, con una
vera organizzazione e un piano di sicurezza, chissà
quante vite avremmo salvato". Quando si fa notare agli
inservienti che meriterebbe decoro il luogo in cui sono
morte 39 persone, tutti ripetono la stessa cosa: non
compete a loro. Non compete a nessuno. CENTRIFUGA -
Trentadue anni fa Alberto aveva passato un pomeriggio
sereno prima di guardare l’orrore a pochi centimetri.
Così è tornato alla Grand Place, centro di gravità della
città oggi pieno di militari antiterrorismo: ha voluto
pranzare con Neri nello stesso locale in cui quel giorno
si era seduto assieme a Roberto Lorentini, il
medico-eroe che ha sacrificato se stesso per provare a
salvare un bambino nella calca. Ennesima emozione prima
di ripartire e tornare a sorridere: se ogni viaggio
racconta qualcosa agli uomini, questo per lui è una
centrifuga di emozioni. E di chilometri: ieri mattina
era con Neri a Joeuf, nel paesino natale di Platini e in
serata ha messo piede in Inghilterra. In mezzo, sul
traghetto da Calais alle scogliere di Dover, i due hanno
cantato con i primi tifosi, il popolo bianconero in
cammino verso la Champions.
3 giugno 2017
Fonte:
La Gazzetta dello Sport
Il ragazzo con lo zaino
arancione nell’inferno dell’Heysel
"I primi assalti contro
gli abruzzesi"
di Domenico Logozzo
Un superstite racconta
in un libro la strage di 32 anni fa allo stadio di
Bruxelles. "I tifosi del Liverpool iniziarono a lanciare
pietre verso lo Juventus club di Pescara".
"Vivo questi giorni sempre con
molta angoscia, soprattutto da quando è saltata fuori
quella foto, ma sto cominciando a capire che devo
imparare a gestire il mio dolore". 32 anni dopo
l’Heysel, Torino dedica una piazza alle 39 vittime
juventine (due abruzzesi: Rocco Acerra e Nino Cerullo di
Francavilla al Mare) e in prima pagina Tuttosport
pubblica la foto-simbolo di una delle "più tristi
tragedie della storia del calcio e dello sport in
generale". In piedi tra tanti cadaveri e tanti feriti un
ragazzo con uno zaino arancione in mano e lo sguardo
perso. Il ragazzo era Alberto Tufano, ieri tifoso e oggi
giornalista. Aveva 16 anni ed una grande passione per la
Juve. "Arrivato da solo a Bruxelles. In pochi secondi
dal giorno più bello della vita a quello che poteva
essere l’ultimo". Quella foto Tufano l’ha vista per la
prima volta tanti anni dopo, nel 2012, quando i giornali
di tutto il mondo l’hanno pubblicata più volte. E questo
gli ha fatto "rompere il ghiaccio e decidere di
raccontare". Insieme al collega Francesco Ceniti della
Gazzetta dello Sport, ha ricordato l’orrore di quella
esperienza nel libro "Il ragazzo con lo zaino arancione.
Io, sopravvissuto all’Heysel, 29 maggio 1985".
Pubblicato dal quotidiano sportivo milanese in occasione
del 30° anniversario della tragedia nello stadio di
Bruxelles. Dentro l’inferno dell’Heysel, i tifosi
juventini furono letteralmente schiacciati da quelli del
Liverpool, prima dell’inizio della finale di Coppa dei
Campioni, l’attuale Champions League, che quest’anno
vede i bianconeri di nuovo in corsa per la conquista del
titolo. Il 3 giugno a Cardiff incontreranno il Real
Madrid. 19 anni dopo la squadra di Allegri vuole
riscattare la sconfitta di Amsterdam, decisa da una rete
che fa ancora discutere. Torneremo con la Coppa.
Rivediamole quelle tragiche ore nello stadio della
follia, rileggendo il drammatico racconto di Tufano.
Tanti lutti. 39 morti. Erano stati più di seicento i
tifosi juventini che dall’Abruzzo avevano seguito la
squadra del cuore a Bruxelles. Rocco Acerra e Nino
Cerullo erano partiti da Francavilla al Mare sicuri
della vittoria bianconera: "Torneremo con la Coppa".
Tornarono purtroppo in due bare. Non ci fu nessuna pietà
per i morti. Corpi straziati dalle autopsie e non
ricomposti. Tutto l’Abruzzo fu vicino al dolore delle
famiglie e della comunità francavillese. Ai funerali
parteciparono più di trentamila persone. La notte dei
barbari. Tra i primi ad essere stati presi di mira dai
tifosi inglesi nella "notte dei barbari dell’Heysel"
furono proprio gli abruzzesi, come ricorda Tufano.
"Noto
uno Juventus Club, in particolare, lo Juventus Club
Pescara, che viene investito dal lancio di bottiglie.
Alcuni signori si toccano la testa, forse sono stati
colpiti e si voltano a protestare verso gli inglesi
responsabili del gesto. Per tutta risposta ricevono il
lancio di altri oggetti: mi sembrano sassi, oppure pezzi
di intonaco dello stadio che sono stati staccati per
essere usati come pietre". Misure inesistenti. Misure di
sicurezza praticamente inesistenti, come testimonia
Tufano nel raccontare l’aggressione subita dai tifosi
dal club juventino di Pescara. "Vedo gesti di rabbia
anche tra i signori colpiti nel nostro settore e,
istintivamente, mi alzo in piedi per capire meglio cosa
sta succedendo. Sembra una piccola schermaglia tra un
paio di tifosi inglesi e i signori dello Juventus Club
Pescara colpiti dalle bottiglie, ma c’è comunque una
piccola rete da pollaio che li divide. Poliziotti non ne
vedo, anzi ne conto 6 in tutta la curva, tra settori X e
Y degli inglesi e il settore Z occupato da noi. Certo,
sulla pista di atletica, nei pressi della nostra curva,
ci sono anche due poliziotti a cavallo, quindi il totale
dei poliziotti presenti è di 8. Sta di fatto che nessuno
di essi muove un dito per sedare sul nascere quel
piccolo diverbio tra tifosi vicini di settore. Il lancio
di oggetti, anzi, si infittisce di più". Un tuono scuote
lo stadio. La situazione improvvisamente si fa
esplosiva. "Un boato, un tuono che scuote lo stadio.
Cosa è stato ? Cosa sta succedendo ? Cos’è questo
improvviso fragore ? Sono in piedi, fermo, ma tutto
intorno a me si muove. E’ un terremoto forse ? Dove
vanno tutti ? In un attimo la curva dei tifosi del
Liverpool non è più la stessa: gli inglesi, che prima
erano tutti compressi nei loro settori, sembrano essersi
mossi improvvisamente tutti insieme di circa cinque
metri verso di noi. Vedo uno spazio vuoto, piuttosto
ampio alla fine del loro settore X, quello più lontano,
però non vedo più i signori dello Juventus Club Pescara
che stavano discutendo con gli inglesi… Dove sono finiti
?". Sciacalli e speculatori. Ad Alberto Tufano chiediamo
se dopo la pubblicazione del libro ha avuto la
possibilità di entrare in contatto con qualcuno del club
juventino pescarese. "Non ho fatto alcun passo.
Ricordare e trascrivere quello che era inciso nei miei
ricordi più tristi è già stato molto doloroso per me;
non voglio indugiare troppo e rivivere ulteriormente
quei momenti, anche per distinguermi dagli sciacalli e
speculatori che hanno fatto dell'Heysel la ragione della
loro vita, narrando imbarazzanti menzogne per
ritagliarsi un ruolo nel mondo o monetizzare le loro
apparizioni con dettagli sempre più clamorosi (ho in
mente qualcuno, ma preferisco non approfondire
l'argomento). No, caro Domenico, voglio trovare il modo
per valorizzarmi come giornalista e uomo, andando oltre
l'Heysel con i miei prossimi lavori". Racconto dentro
l’orrore. Grande onestà intellettuale. Ma ritorniamo al
libro pubblicato due anni fa e che ha avuto un grande
successo di vendite. Un racconto "da dentro l’orrore".
Sconvolgente. Scrive enitii: "Per come si svolge, il
racconto di Alberto sembra quasi romanzo, sceneggiato e
pensato in ogni punto. Non è un romanzo: è tutto
tragicamente vero". Su acebookk Tufano commentò: "Io e
Francesco abbiamo scelto di narrare i fatti come se io
avessi ancora i 16 anni che avevo all'epoca, per far
vivere al lettore l'atmosfera e il dramma, momento per
momento. Onore a 39 vittime innocenti, martiri senza
bandiera di un calcio sbagliato". L’assalto degli "nimalssal settore Z, ha trasformato la finale di Coppa dei
Campioni tra Juventus e Liverpool in un campo di
battaglia. Alcool, furia, follia. Un’orda di ubriachi
all’assalto e nessuno ha fermato il massacro. "Ma quanti
saranno ? Devo cercare di scivolare verso il basso. E
quelli cosa sono ? Perché tutti quei corpi a terra ?
Sono morti o svenuti ? Morti, sembrano morti, porca
puttana ! SONO MORTI ! Le urla mi stanno entrando nel
cervello"."
al settore Z, ha trasformato la finale di Coppa dei
Campioni tra Juventus e Liverpool in un campo di
battaglia. Alcool, furia, follia. Un’orda di ubriachi
all’assalto e nessuno ha fermato il massacro. "Ma quanti
saranno ? Devo cercare di scivolare verso il basso. E
quelli cosa sono ? Perché tutti quei corpi a terra ?
Sono morti o svenuti ? Morti, sembrano morti, porca
puttana ! SONO MORTI ! Le urla mi stanno entrando nel
cervello".
Tifosi allo sbaraglio. Alberto Tufano per
quasi trenta anni quelle urla e quelle immagini di furia
e di terrore le ha tenute per sé, intimo ricordo di un
dramma mai dimenticato. Tifosi mandati allo sbaraglio in
una partita organizzata senza alcuna tutela degli
spettatori. "L’Uefa, le autorità locali, la gendarmeria
belga e il personale medico: ci sono tanti colpevoli,
ognuno ha contribuito primo e dopo a quella che non è
stata una drammatica fatalità", afferma Ceniti. E
sottolinea con amarezza che "soltanto nel 1991 i
coraggiosi familiari delle vittime, con l’associazione
voluta da Otello Lorentini, papà di Roberto (al quale il
libro è dedicato: è morto nel tentativo di salvare un
bambino), sono riusciti a ottenere la condanna dell’Uefa
per omessa prevenzione e delle autorità locali ritenute
responsabili del sangue versato in Belgio". Il ricordo
di Boniek. E poi Ceniti evidenzia che molto è cambiato
dal 1985. "Oggi sarebbe impensabile organizzare un
evento come la finale di Champions con la stessa
faciloneria di 30 anni fa. L’Uefa e il Paese che ospita
la partita più importante della stagione per i club,
lavorano 12 mesi per curare ogni dettaglio. E la
sicurezza è al primo punto. C’è voluto l’Heysel,
purtroppo". E Boniek nel rievocare nel libro di Ceniti e
Tufano le sensazioni vissute quella sera, afferma:
"C’era una mentalità sbagliata e tutti facevano finta di
nulla. Se la tragedia non fosse accaduta a Bruxelles,
sarebbe stata solo questione di tempo. Poco tempo.
L’uomo è fatto così: solo dopo avere toccato con mano il
sangue apre gli occhi e rimedia agli errori".
29 maggio 2017
Fonte: Ilcentro.it
Il peso dello zaino
di Domenico Laudadio
Il viaggio di ritorno
di Alberto Tufano in curva nel settore Z dello Stadio
Heysel di Bruxelles per riaffrontare la memoria di un
dolore muto e latente per 30 anni, oggi bagaglio
ingombrante di ricordi nel suo libro scritto a quattro
mani insieme a Francesco Ceniti, edito dalla Gazzetta
dello Sport nella ricorrenza dell’anniversario della
strage.
Confesso che coltivavo molto
più di qualche riserva prima di ripercorrere nelle
stesse scarpe di Alberto Tufano i passi all’indietro
verso il tramonto tragico del 29 maggio 1985 a
Bruxelles. Come funghi al sole dopo la pioggia, vari
libri sull’Heysel, più romanzi in verità che saggi in
uscita al trentennale, mi predisponevano negativamente
all’accoglienza. Ma ci sono funghi buoni e quelli
sospetti, alcuni potenzialmente tossici che spuntano nel
terreno artificioso della fenomenologia del dolore,
esercizio estremamente diffuso nel palinsesto di molta
programmazione televisiva e bibliografica in Italia. Da
questo punto di vista, onestamente, "Il ragazzo con lo
zaino arancione" si sottrae al pietismo palestrato da
anniversario a cifra tonda, sfuggendo ad ogni logica e
calcolo mercantile di preconfezionamento, non
trattandosi di un romanzo, ma di una lunga e liberatoria
testimonianza. Un racconto unto dal crisma della
veridicità e prim’ ancora immerso nel fonte battesimale
di sangue della Curva Z dell’Heysel. Una storia semplice
e in comune a migliaia che potrebbero assomigliarle se
raccolte fra i giovani di quegli spalti in quella sera
maledetta per gli uomini, forse, anche da Dio. La storia
individuale e autobiografica di Alberto è toccante,
abilmente gli autori, entrambi giornalisti di
professione, sono riusciti a ricreare il clima e il
personaggio nel suo linguaggio adolescenziale,
salvaguardando allo stesso tempo tecnica e ritmo
dell’esposizione. Si riassaporano certe atmosfere
vintage a cui mi legano fatalmente quegli anni
condividendo l’età e il vissuto del protagonista, nonché
l’affetto per la medesima squadra. La narrazione è
lineare quanto efficace nel trasmetterci le sensazioni,
i sentimenti e le alternanze degli stati d’animo nelle
situazioni. Dunque: animo, tanto cuore e una
spolveratina di mestiere in questa opera che merita
rispetto e certamente la lettura, essendo figlia
legittima della memoria e meritevolmente non di un’
avventuretta dai laidi scopi
editoriali. Mi ha molto
emozionato l’incontro reale fra il protagonista e
Roberto Lorentini, una delle 39 vittime, a cui è
dedicato il libro. Si erano veramente conosciuti a
Bruxelles prima della tragedia in un clima decisamente
più disteso e festoso. Le parole pronunciate nel dialogo
da Roberto ce lo riportano in vita contraddistinguendolo
come un toscano arguto e gioviale, accompagnato dal
padre Otello e dai cugini di Arezzo, del tutto ignaro di
compiere da lì a poche ore il suo destino eroico di
medico in soccorso di un
bambino e vittima sotto
l’ennesima carica brutale degli inglesi. Mi è dispiaciuta, invece, la
polemica ben circostanziata, ma altrettanto civile, fra
gli autori e Beppe Franzo, scrittore e storico della
Curva Filadelfia, altro testimone oculare presente
all’Heysel in veste di capo di un gruppo della tifoseria
organizzata bianconera. Sostanzialmente la tesi
dibattuta è nella tempistica della comparsa dello
striscione "reds animals" sugli spalti. Prima o dopo
l’inizio dell’attacco degli hooligans al settore Z ?
Nella stesura del racconto effettivamente sembra crearsi
un ambiguo rapporto di causa-effetto fra le cose, mi
auguro involontario. Franzo smentisce categoricamente
l’apparizione dello striscione anticipatamente alla
prima carica degli inglesi. Tufano ricorda esattamente
il contrario, stigmatizzando la presenza stessa del
lenzuolo quale pericolosa e inutile provocazione,
essendo fra l’altro precedentemente già stato esposto
anche a Torino in occasione della finale della Supercoppa Europea. La mia posizione a riguardo è molto
netta e va al di là della questione in oggetto e dei
soggetti che stimo entrambi e che reputo nelle posizioni
delle loro tesi comunque in buona fede: cambia davvero
poco, quasi nulla. L’aggressione infame agli "italiani"
fu premeditata e ordita molto tempo prima, a bocce
ferme. Non a caso il cantiere di lavoro, non presidiato
dalle forze dell’ordine, autentico arsenale di fortuna
adiacente al campo sportivo, fu svuotato durante
l’ingresso degli spettatori nella curva. E fra le altre
cose a nessun insulto scritto è lecito rispondere con
lanciarazzi, pietre roteanti, tirapugni, spranghe e
coltelli colpendo a destra e manca persone assolutamente
pacifiche o psicologicamente e fisicamente incapaci di
reagire virilmente fra cui donne, anziani e bambini.
L’inettitudine della polizia belga confezionò il pacco
dono omicida a sorella morte. Altro che muretto
crollato… E’ storia, è sentenza inappellabile di un
processo nel quale i costosissimi principi del foro che
difendevano quegli assassini sostennero per molte
udienze la tesi della "provocazione degli italiani".
Moralmente restiamo sempre in guardia… Sull’altro punto
della polemica riguardante il contenuto dei dialoghi fra
alcuni ultras della Juventus e i calciatori della
Juventus scesi in campo a calmare gli animi nel caos
totale di una situazione ormai sfuggita di mano, credo a
Beppe (Franzo), fonte molto più che attendibile a
riguardo, essendo attore in prima persona di quel
parlato e che, quindi, la sola richiesta fatta ai loro
beniamini fosse quella di non giocare la partita. A
onore del vero al termine dell’incontro che furono
obbligati a giocare buona parte della curva juventina
festeggiò la vittoria, ma è tutt’ altro discorso. Come
del resto sono verosimili gli episodi di sciacallaggio
anche di italiani sui cadaveri, testimoniati da Alberto
(Tufano), data la bassezza umana in certe situazioni
estreme già manifestatasi durante le grandi tragedie
nazionali, nei terremoti, su tutte, ma anche in anonimi
incidenti stradali nel nostro paese. Nulla di cui
stupirsi… Questo libro è un documento molto prezioso per
quanti volessero conoscere l’Heysel filtrandolo dagli
occhi di un ragazzo che l’ha vissuto e ne porta ancora
le cicatrici sulla pelle e più profondamente nell’anima.
Una storia nella storia quella di Alberto Tufano che in
quella curva ci è stato per tre volte: ferito dentro la
calca apocalittica, poi a riprendersi il bagaglio e dopo
trent’anni a bordo di un ricordo che fa ancora male.
Oggi che il peso di quello zaino ci è divenuto
familiare, non si è alleggerito più di tanto,
svuotandolo nei nostri pensieri. Resterà per sempre un
fardello scomodo a tormentarci la coscienza. Grazie,
Alberto e Francesco di avercelo posato per un po’ sulle
nostre spalle e buon viaggio.
13 novembre 2015
Fonte:
Giùlemanidallajuve.com
Uno zaino che non
racchiude solo storia
di Beppe Franzo
Leggendo Il ragazzo con lo
zaino arancione (La Gazzetta dello Sport, maggio 2015),
racconto dell’esperienza di Alberto Tufano, un allora
ragazzo di 16 anni passato dal giorno più bello a quello
più tragico della sua vita, ho maturato sensazioni
contrastanti e strane. La curiosità e predisposizione
nell’affrontare la lettura del libro da parte mia, hanno
lasciato spazio, terminata la stessa, a profonda
amarezza e senso di sbigottimento per il racconto di un
contesto storico che oserei definire alquanto
"arbitrario". La potenzialità diffusoria di testi come
quello in questione, che trovano ambio bacino d’utenza
grazie a "sponsor" come questi, targati "Gazzetta dello
Sport", rischiano di falsare l’esatto contesto storico
degli avvenimenti di quel 29 maggio 1985. Se poi nello
stesso trovano spazio interventi quali quelli di Andrea
Lorentini e Francesco Caremani, noti difensori
dell’ortodossia della Memoria dell’Heysel, il libro
rischia di acquisire un interesse a mio avviso
"pericoloso", in virtù della falsata narrazione
cronologica degli avvenimenti. Mi perdoni la franchezza
Alberto Tufano, che dal breve scambio epistolare tra noi
mi è sembrato ottima persona, ma le precisazioni a
seguire le reputo imprescindibili, per tener fede a quel
"dovere della memoria" che noi "reduci" dell’Heysel ci
prefiggiamo da ormai trent’anni.
La tesi di fondo più
controvertibile è la cosiddetta scintilla che ha
generato il caos nel settore Z. Secondo la tesi
sostenuta da Francesco Ceniti che ha raccontato il tutto
insieme al collega Alberto Tufano, gli allora Fighters
(gli ultrà più radicali della curva insieme agli Indians)
ad un certo punto srotolarono sulle gradinate della
propria curva lo striscione Reds Animals, già apparso a
gennaio dello stesso anno in Supercoppa. I tifosi
inglesi appena lo vedono apparire in curva - cito
testualmente - smettono di cantare e rumoreggiano. Anzi,
si arrabbiano visibilmente. La reazione di una parte dei
tifosi è immediata; dal loro settore parte un lancio di bottiglie di birra da 66cl verdi… etc. La narrazione da
adito ad una tesi assurda, nuova e del tutto arbitraria:
la provocazione da parte della curva in cui erano
racchiusi gli ultras juventini è stata all’origine del
tutto, quando invece lo striscione a cui si fa
riferimento venne esposto quando già era iniziato
l’attacco inglese nel settore opposto dello stadio e gli
ultras italiani cercarono disperatamente di correre in
aiuto dei propri connazionali (cosa che per la verità ad
un certo punto riuscì, ma a cui rimediò la polizia belga
costringendo poi gli invasori arrivati a ridosso del
settore inglese, a ripiegare). Vengono in questo
contesto completamente ribaltate le tesi della
progressiva provocazione inglese che ha poi generato
l’invasione degli hooligans, preludio alla carneficina.
Provocazioni da più parti raccontate dai testimoni
oculari degli avvenimenti che riferirono, come nel caso
di Nereo Ferlat e del suo racconto L’Ultima Curva, "di
un razzo sparato dalla curva inglese ad altezza d’uomo". Sulla descrizione di episodi di
sciacallaggio tra gli stessi tifosi juventini proprio
nel corso della drammaticità degli eventi tralascerei,
non potendo asserire l’esatto contrario, anche se fino
ad oggi, si è dibattuto dell’argomento anche in fase
processuale additando tali responsabilità o agli stessi
hooligans inglesi o rimanendo nella sfera del dubbio
(come nel caso della catenina d’oro di circa due etti
sottratta dal collo di Francesco Galli, una delle
vittime, e sostituita con una di bigiotteria). Dove
invece urge rettificare è in quel punto del racconto in
cui, a tragedia già avvenuta, alcuni giocatori della
Juve raggiungono i tifosi,
tra cui molti ultras, dei
quali si dice: "La loro unica preoccupazione pare sia
parlare con Scirea, con Tardelli, con Zibì… Vogliono
dire che, dopo quello che è successo, devono
assolutamente vincere, che vogliono 11 leoni e nessuna
pietà…". Ero tra quei tifosi, avevo potuto già, a
seguito di circostanze fortuite che ho per altro a mia
volta narrato, prendere atto dell’accaduto. Non sapevo
di tutti quei morti ma solo che c’erano dei morti
(alcuni li avevo visti coperti dai drappi sulla pista
d’atletica) e avevo raccontato il tutto agli altri
ultras come me. Quando arrivarono Cabrini e Tardelli vi
furono tutt’altre richieste che quella di giocare,
diffidandoli anzi al farlo, minacciando che se ciò fosse
avvenuto avremmo fatto di tutto per interrompere la
partita. Il solo sentimento che aleggiava era quello di
rabbia mista all’odio, della partita non fregava
assolutamente a nessuno. La descrizione di un teatrino
continuo in cui i giocatori facevano fatica a contenere
la festosa eccitazione dei tifosi che li circondavano
per poterli accarezzare e spronare, cozza con le
immagini televisive consegnate alla storia (visibili su Youtube), in cui si vedono chiaramente individui
sbraitanti con spranghe in mano, alcuni che tentano di
far da scudo tra tifosi e giocatori, ma in un clima di
stordimento collettivo, di rabbia, di sconforto. Diverso
dall’eccitazione di un classico pre partita.
Credo, e spero, che il passare
del tempo abbia annebbiato i ricordi di quei tragici
eventi (e a questo pro sarebbe doverosa una rettifica
degli autori), mentre le opinioni dei vari firmatari in
allegato al testo danno a pensare che abbiano forse non
ancora letto il libro. Nell’ottica della diffusione
della veridicità storica, leggere e non proferire parola
equivarrebbe ad assecondarne le tesi. Dal libro ne esce
la visione di tifosi juventini provocatori e istigatori
dell’orribile massacro, sciacalli e dannatamente egoisti
nel voler a tutti i costi assistere alla partita. Ben
diverso da una realtà e da una sentenza processuale che
evidenzia chiaramente carnefici e vittime.
Perdonate la
schiettezza.
1 luglio 2015
Fonte: Associazione
Quelli di... Via Filadelfia
Heysel, 30 anni dopo:
"Schiacciato dalla folla, muoio spezzato in due"
Il 29 maggio 1985 la
strage prima di Juve-Liverpool: "Il ragazzo con lo zaino
arancione", il libro in edicola con la Gazzetta,
racconta la storia di un sopravvissuto del Settore Z.
29 maggio 2015 - Milano -
Dentro l’inferno dell’Heysel 30 anni dopo. "Il ragazzo
con lo zaino arancione" è il titolo del libro che la
Gazzetta ha pubblicato per spiegare cosa è stata quella
notte insanguinata. Il protagonista è un ragazzo di 16
anni, Alberto Tufano, arrivato da solo a Bruxelles per
vedere la Juve. In pochi secondi passa dal giorno più
bello della vita a quello che poteva essere l’ultimo. Il
libro (scritto insieme con Francesco Ceniti, giornalista
della Gazzetta) è una storia nella Storia, vissuta in
presa diretta, è impreziosito da una intervista
esclusiva a Boniek (…omissis) e 29 contributi di
personaggi famosi (da Eros Ramazzotti a Leo Bonucci, da
Davide Cassani e Stefano Baldini, da Paolo Casarin e
Mauro Berruto) e testimoni della tragedia. Sotto
l’inizio del racconto.
"Lo sterno! Certo, è lo sterno!
Cacchio, aveva ragione la Morellini, la mia prof di
biologia: quando viene premuto lo sterno fa male. Eccome
se fa male ! Adesso, quindi, potrebbe cominciare anche a
mancarmi il fiato… Cazzo, la scivolata di quel signore
davanti mi ha colto impreparato: come faccio a liberarmi
? Sembriamo un’onda… Come faccio ? Non capisco più
niente con tutte queste urla… Ma chi urla ? Cosa urlate
?!? Non capisco niente, cacchio ! Dovevo fare
attenzione, sono incastrato qui da ’sta merda di
balaustra e sto bloccando quelli dietro di me… Se non
riesco a spostarmi mi ammazzeranno di botte pur di
passare.
Adesso cominciano a stringermi
pure lateralmente. Oh cazzo, cazzo ! Ma quanti saranno ?
Quanti saranno ? Devo cercare di scivolare verso il
basso. E quelli cosa sono ? Perché tutti quei corpi a
terra ? Sono morti o svenuti ? Morti, sembrano morti,
porca puttana ! SONO MORTI ! Le urla mi stanno entrando
nel cervello. Se scivolo sotto, devo pure saltarli,
meglio se provo a spostarmi sul lato. Cazzo, che male !
Lo sterno, maledizione ! Il mio sterno si sta rompendo,
devo riuscire a muovermi !!!
Quanti saranno quelli dietro me
? Sembra un’onda laterale, ma siamo tutti fermi. Tutti.
Se non riesco a spostarmi, mi spezzeranno in due contro
questa balaustra. Non riesco a capire una parola di
quello che urlano, che lingua è ? Comincia a mancarmi la
forza nelle gambe ! Cazzo ! CAZZO ! CAZZO ! Mi manca il
fiato, devo fare qualcosa ! Ma sono immobile, non riesco
a spostarmi nemmeno lateralmente, cacchio sono
incastrato ! Lo zaino, lo sento muoversi, sta scivolando
? Vorrei scivolare anche io insieme allo zaino. Vorrei
essere lo zaino. Gli zaini sentono dolore ? Hanno lo
sterno ? Sto delirando. Devo liberarmi, devo muovermi.
Non sento più le gambe. Mi si chiudono gli occhi. Devo
fare qualcosa. Non mi sente nessuno… Perché non mi sente
nessuno ?!? Respira, Alberto, cerca di respirare !
Ricordati di respirare ! Non ho forza nelle gambe per
spostarmi indietro. Così si muore ? Possibile che si
muoia così ? Come è possibile ? Respira, Alberto… Un po’
di fiato… Metti… un poco… di fiato… nei… polmon… i… "CI
STIAMO AMMAZZANDO TRA DI NOIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!".
Cosa è successo ? La pressione
si è attenuata. Quelli dietro di me hanno fatto un passo
indietro. Adesso, Alberto. Il momento è adesso ! Non
avrai un’altra occasione. La vita mi sta passando sopra:
devo afferrarla. Lo sterno è un poco più libero, devo
approfittarne ! Busto indietro… Sgancio ! Sì, il braccio
si muove ! Sono sotto la balaustra e le gambe mi stanno
reggendo ancora. Avanti ! AVANTI, ALBERTO. Ma dove sono
gli scalini ? Non sento gli scalini… Sento solo urla !
Urla dappertutto: dietro, accanto… Sotto ! Sotto ?!?!?
Questo è un incubo infinito ! Non è possibile… Urla
sotto di me ?!? Chi sono queste persone ? Come sono
finito qui ? Come… Come ?!?".
29 maggio 2015
Fonte: Il ragazzo con
lo zaino arancione (Gazzetta dello
Sport)
Fonte: Gazzetta.it
Heysel, un libro per
raccontare la tragedia con gli occhi dei superstiti
di Federico Casotti
Alberto Tufano il 29
maggio 1985 era all'Heysel nel settore Z. Insieme a
Francesco Ceniti ha raccontato la sua storia ne "Il
ragazzo con lo zaino arancione".
Esattamente trent’anni fa, il
calcio perdeva la propria innocenza nella strage
dell’Heysel. Si è parlato molto - anche se non è mai
abbastanza - delle 39 persone che nel famigerato settore
Z lasciarono la propria vita, mentre l’attenzione
dedicata a chi da quell’inferno riuscì a uscire vivo, ma
con ferite interiori impossibili da cancellare, è sempre
stata tenuta bassa, anche per la
comprensibile reticenza
dei diretti interessati. A trent’anni di distanza,
Alberto Tufano ha capito di sentirsi pronto a raccontare
la sua storia di sopravvissuto all’Heysel: coadiuvato da
Francesco Ceniti, collega della Gazzetta dello Sport, ha
dato vita a un libro, "Il ragazzo con lo zaino
arancione", che affronta la tragedia di
Juventus-Liverpool dal punto di vista dei sopravvissuti.
"Questo è un libro che ci porta direttamente dentro al
settore Z - racconta a Goal Francesco Ceniti - E’ il
racconto di un vero sopravvissuto, non era allo stadio
in un altro settore, era nel settore Z, ha rischiato di
morire, si è salvato forse per fortuna, forse perché non
era il suo momento. E’ il racconto della tragedia visto
con gli occhi di un 17enne - tanti quanti erano gli anni
di Alberto allora - che è passato dal vivere il giorno
più bello della sua vita - la sua prima trasferta,
inseguita con i risparmi di un anno - al vivere il più
brutto. Perché quell’esperienza cambierà per sempre il
suo modo di vedere il calcio, e non può essere
altrimenti per chi ha vissuto quell’attacco, ha visto
morire delle persone accanto, in quella che fu una vera
e propria azione di guerra senza alcuna spiegazione
razionale. E’ una partita spartiacque, c’è un prima e un
dopo, purtroppo è servita a far capire a chi organizza
eventi come una finale di Coppa dei Campioni che ci sono
delle responsabilità precise da dover prendere, non è
come organizzare una partita tra scapoli e ammogliati".
La genesi del libro "è stata molto difficile, è stato un
racconto tenuto dentro di sé per 30 anni, quando tornò
da Bruxelles evitò subito i giornalisti. Con tutte le
debite proporzioni del caso, sia ben chiaro, ma
l’atteggiamento suo e di tanti sopravvissuti ricorda
quello dei reduci della Shoah. C’è il senso di colpa,
l’inquietudine per essersi salvati, loro sì e altri no,
altri come Roberto Lorentini, un medico che si era
salvato, ma decise di tornare indietro a praticare la
respirazione bocca a bocca a un ferito e venne travolto
dalla calca". Per Tufano, è tuttora difficile parlare
pubblicamente dell'Heysel. "Non ne ha mai voluto parlare
- conferma Ceniti - ma sono poi subentrati due episodi.
Il primo è legato a una foto, che è quella della
copertina del libro, che lo ritrae nel settore Z, con in
mano il suo zaino arancione. Una foto che puntualmente
ogni anno veniva pubblicata sui giornali il giorno delle
rievocazione, e che lo costringeva ogni anno a fare i
conti con quel dolore personale. E un giorno, in un
parco, parlando della Juventus con un ragazzo che aveva
più o meno la stessa età di Alberto nel 1985, si accorse
che non sapeva praticamente nulla sull’Heysel, e
continuava a fare domande, voleva saperne di più. E
siccome la memoria è molto importante, soprattutto per
una strage come quella dell’Heysel, scomoda per la UEFA,
anche per la Juventus stessa, gli è sorto questo
desiderio di scrivere il libro".
La tragedia dell'Heysel
purtroppo non è mai stata oggetto di una vera memoria
condivisa, tra gli imbarazzi difficilmente
giustificabili della Juventus e la malvagità di chi
cavalcò quella tragedia in chiave anti juventina, in
barba alla memoria delle vittime. "La Juventus è rimasta
troppo tempo in imbarazzo per quella Coppa. Alla fine
sappiamo che si giocò per volere della UEFA, per
mantenere l’ordine pubblico: quella Coppa venne
assegnata, ma forse la Juventus avrebbe dovuto trovare
il modo per sottolineare come fosse qualcosa di molto
diverso dagli altri trofei. Quella Coppa la Juventus la
tiene perché è giusto così, ma nel contempo avrebbe
dovuto esprimere più solidarietà e aiuto ai famigliari
delle vittime, ad esempio nel processo. Andrea Agnelli
sotto questo aspetto ha fatto passi significativi.
Dall’altra parte c’è la stupidità umana: vedere
striscioni offensivi fa male, e vale per tutte le
tragedie, da Superga in poi. Per questo è importante far
sapere cosa è successo davvero all’Heysel, molta gente
si abbandona a cori offensivi e ingiuriosi perché non ne
sa nulla. Speriamo di arrivare presto a una memoria
condivisa sull’Heysel, voglio essere ottimista".
29 maggio 2015
Fonte: Goal.com
Heysel, 30 anni dopo,
La notte dell'orrore cominciò con l'aggressione ai
pescaresi
Il ragazzo con lo zaino
arancione racconta
di Domenico Logozzo
"Noto uno Juventus Club, in
particolare, lo Juventus Club Pescara, che viene
investito dal lancio di bottiglie. Alcuni signori si
toccano la testa, forse sono stati colpiti e si voltano
a protestare verso gli inglesi responsabili del gesto.
Per tutta risposta ricevono il lancio di altri oggetti:
mi sembrano sassi, oppure pezzi di intonaco dello stadio
che sono stati staccati per essere usati come pietre".
Tra i primi ad essere stati presi
di mira dai tifosi inglesi nella "notte dei
barbari dell’Heysel" furono gli abruzzesi. E’ quanto
emerge dalle pagine del libro "Il ragazzo con lo zaino
arancione. Io, sopravvissuto all’Heysel, 29 maggio 1985"
del giornalista Alberto Tufano e dello
scrittore Francesco Ceniti
della Gazzetta dello Sport, che l’ha pubblicato
nel trentennale della tragedia. 39 vittime, due
abruzzesi: Rocco Acerra e Nino Cerullo di Francavilla al
Mare. "Torneremo con la Coppa". Tornarono in due bare.
Non ci fu nessuna pietà per i morti. Corpi straziati
dalle autopsie e non ricomposti. Tutto l’Abruzzo fu
vicino al dolore della comunità francavillese. Ai
funerali parteciparono più di trentamila persone. Un racconto "da dentro
l’orrore". Sconvolgente. Scrive Ceniti: "Per come si
svolge, il racconto di Alberto sembra quasi romanzo,
sceneggiato e pensato in ogni punto. Non è un romanzo: è
tutto tragicamente vero". Scrive Tufano su facebook: "Io
e Francesco abbiamo scelto di narrare i fatti come se io
avessi ancora i 16 anni che avevo all'epoca, per far
vivere al lettore l'atmosfera e il dramma, momento per
momento. Onore a 39 vittime innocenti, martiri senza
bandiera di un calcio sbagliato". L’assalto degli "animals"
al settore Z, ha trasformato la finale di Coppa dei
Campioni tra Juventus e Liverpool in un campo di
battaglia. Alcool, furia, follia. Un’orda di ubriachi
all’assalto e nessuno ha fermato il massacro. Tufano è
miracolosamente sopravvissuto alla strage degli italiani
travolti, aggrediti e schiacciati. Un inferno. "Ma
quanti saranno ? Devo cercare di scivolare verso il
basso. E quelli cosa sono ? Perché tutti quei corpi a
terra ? Sono morti o svenuti ? Morti, sembrano morti,
porca puttana ! SONO MORTI ! Le urla mi stanno entrando
nel cervello".
Per quasi trenta anni quelle
urla e quelle immagini di furia e di terrore le ha
tenute per sé, intimo ricordo di un dramma mai
dimenticato. A spingerlo a "rompere il ghiaccio" ed a
scrivere "io sopravvissuto" con Francesco Ceniti -
autore fra l’altro del libro-inchiesta su Pantani che ha
fatto riaprire le indagini - è stata una foto che non
conosceva e che nel 2012 è stata ripetutamente
pubblicata dai giornali di tutto il mondo. Lo ritrae in
piedi, con lo zaino arancione in mano in mezzo alle
vittime dell’Heysel. Tifosi
mandati allo sbaraglio in una partita organizzata
senza alcuna tutela degli spettatori. "L’Uefa, le
autorità locali, la gendarmeria belga e il personale
medico: ci sono tanti colpevoli, ognuno ha contribuito
prima e dopo a quella che non è stata una drammatica
fatalità", afferma Ceniti. E sottolinea con amarezza che
"soltanto nel 1991 i coraggiosi familiari delle vittime,
con l’associazione voluta da Otello Lorentini, papà di
Roberto (a cui il libro è dedicato), morto nel tentativo
di salvare un bambino, sono riusciti a ottenere la
condanna dell’Uefa per omessa prevenzione e delle
autorità locali ritenute responsabili del sangue versato
in Belgio".
Erano stati più di seicento i
tifosi juventini che dall’Abruzzo avevano seguito la
squadra del cuore a Bruxelles. Rocco Acerra e Nino
Cerullo erano partiti da Francavilla al Mare sicuri
della vittoria bianconera: "Torneremo con la Coppa".
Tornarono in due bare. "Semplici e inermi tifosi -
scrive Ceniti - arrivati a Bruxelles sognando un giorno
di festa o, nel peggiore dei casi, di delusione
sportiva. Gioia e dolore legati ad un risultato. E
invece l’orrore dell’Heysel ha spazzato via il gioco più
bello del mondo". E precisa: "Molto è cambiato dal 1985:
oggi sarebbe impensabile organizzare un evento come la
finale di Champions con la stessa faciloneria di 30 anni
fa. L’Uefa e il Paese che ospita la partita più
importante della stagione per i club lavorano 12 mesi
per curare ogni dettaglio. E la sicurezza è al primo
punto. C’è voluto l’Heysel, purtroppo". E Boniek nel
rievocare nel libro di Ceniti e Tufano le sensazioni
vissute quella sera, afferma: "C’era una mentalità
sbagliata e tutti facevano finta di nulla. Se la
tragedia non fosse accaduta a Bruxelles, sarebbe stata
solo questione di tempo. Poco tempo. L’uomo è fatto
così: "solo dopo avere toccato con mano il sangue apre
gli occhi e rimedia agli errori".
Errori gravissimi. Misure di
sicurezza praticamente inesistenti, come testimonia
Tufano nel raccontare l’aggressione subita dai tifosi
del club juventino di Pescara. "Vedo gesti di rabbia
anche tra i signori colpiti nel nostro settore e,
istintivamente, mi alzo in piedi per capire meglio cosa
sta succedendo. Sembra una piccola schermaglia tra un
paio di tifosi inglesi e i signori dello Juventus Club
Pescara colpiti dalle bottiglie, ma c’è comunque una
piccola rete da pollaio che li divide. Poliziotti non ne
vedo, anzi ne conto 6 in tutta la curva, tra settori X e
Y degli inglesi e il settore Z occupato da noi. Certo,
sulla pista di atletica, nei pressi della nostra curva,
ci sono anche due poliziotti a cavallo, quindi il totale
dei poliziotti presenti è di 8. Sta di fatto che nessuno
di essi muove un dito per sedare sul nascere quel
piccolo diverbio tra tifosi vicini di settore. Il lancio
di oggetti, anzi, si infittisce di più". La situazione
improvvisamente si fa esplosiva. "Un boato, un tuono che
scuote lo stadio. Cosa è stato ? Cosa sta succedendo ?
Cos’è questo improvviso fragore ? Sono in piedi, fermo,
ma tutto intorno a me si muove. E’ un terremoto forse ?
Dove vanno tutti ? In un attimo la curva dei tifosi del
Liverpool non è più la stessa: gli inglesi, che prima
erano tutti compressi nei loro settori, sembrano essersi
mossi improvvisamente tutti insieme di circa cinque
metri verso di noi. Vedo uno spazio vuoto, piuttosto
ampio alla fine del loro settore X, quello più lontano,
però non vedo più i signori dello Juventus Club Pescara
che stavano discutendo con gli inglesi… Dove sono finiti
?".
Domenico Logozzo (già
Caporedattore TGR Rai)
29 maggio 2015
Fonte: Abruzzo24ore.tv
Heysel trent’anni
dopo: testimonianza di un sopravvissuto
Heysel, Bruxelles è ricordata
come la città che costò la vita a 39 spettatori presenti
allo stadio, dei quali 33 italiani, oltre 600 feriti,
per assistere alla finale di Coppa dei Campioni tra
Juventus e Liverpool il 29 maggio 1985. A trent’anni
esatti da quel gravissimo episodio che lascia aperta la
piaga della sicurezza negli stadi, viene pubblicato un
libro scritto da un giovane, Alberto Tufano, oggi
giornalista, il quale ha deciso di raccontare insieme al
collega de La Gazzetta dello Sport Francesco Ceniti
quella tragica sera. Il 29 maggio del 1985 l’autore de
Il Ragazzo con lo Zaino Arancione era un ragazzo di 16
anni partito da solo per andare a vedere la propria
squadra del cuore e trovatosi proprio nel mezzo del
luogo della tragedia nel famigerato settore Z. La tragedia dello stadio di
Heysel diventa testimonianza - Il ragazzo con lo zaino
arancione nasce con il proposito di coltivare nel modo
giusto la memoria, ricostruendo e ricordando cos’è stato
l’Heysel in modo che non si ripeta più una barbarie
simile e dare la dovuta dignità alle persone che quella
sera persero la vita. Il libro nasce proprio per gettare
chiarezza sul fatto che la tragedia dell’Heysel non fu
un incidente ma la conseguenza di un calcio non
organizzato, di leggerezze in fatto di sicurezza, di
prevenzione, di mancanza di norme da seguire in caso di
emergenza, di carenze di autorità, gendarmeria belga e
personale medico. Ne esce un libro che è di cronaca,
documentario sugli scontri di quella sera --
perché vero è tutto quello che viene narrato - ma
anche romanzo, grazie alla costruzione che non segue
l’ordine cronologico degli avvenimenti ma li giustappone
in una composizione efficace, e alla storia, il racconto
di un ragazzo di 16 anni passato nel giro di poche ore
dal giorno più bello della sua vita a quello che lo ha
segnato per sempre. Nel primo capitolo fin da subito il
lettore è gettato nella calca del settore Z, conseguenza
del pesante sfondamento dei tifosi inglesi; le pagine si
dividono poi tra il prima, con il racconto dei sacrifici
per poter andare a Bruxelles a vedere la partita,
l’entusiasmo e la passione per la squadra, la
preparazione per il viaggio, l’arrivo nella città; e il
dopo con il ritorno a casa in seguito alla tragedia. Il
libro si chiude con alcune testimonianze di persone note
e meno note che erano allo stadio quella sera o sono
state toccate dalla tragedia, una specie di coro che
ricorda come quella dell’Heysel sia stata una tragedia
collettiva. Il libro Il ragazzo con lo zaino arancione è
in edicola con La Gazzetta dello Sport da martedì 26
maggio a 7,99 euro, oltre il costo del quotidiano..
a tragedia dell’Heysel:
emblema della questione sicurezza negli stadi - Qualcosa
non ha funzionato all’interno dello stadio di Heysel
quel maledetto 29 maggio del 1985. Assurdo morire per
assistere ad una partita di calcio. Vittime
dell’inadeguatezza della struttura e dei servizi di
sicurezza e ordine pubblico belgi. Un ricordo ancora
oggi vivo tra coloro che furono diretti testimoni della
tragedia, così come per i loro congiunti. Un evento che
sarebbe dovuto essere gioioso, sereno e non tremendo e
paragonato ad un bollettino di guerra. Per questo
epilogo tragico cadde il governo in Belgio e il processo
chiuso dopo mesi si concluse con condanne per 14
hooligans, per l’ex segretario unione calcio belga e per
un capitano della gendarmeria responsabile del servizio
d’ordine. Furono assolti l’UEFA che aveva dato
autorizzazione allo svolgimento della finale in quello
stadio effettivamente inadeguato per struttura e
sicurezza e il borgomastro dell’Heysel, primo cittadino
della città ospitante la finale. (N.D.R. LL’Uefa fu poi,
condannata in Appello e Cassazione). Una partita che si
decise di far svolgere comunque, mentre si stava
consumando una immane tragedia che lasciava senza vita
39 persone delle quali 33 (N.D.R. 32) di nazionalità
italiana per partecipare all’evento sportivo. Nulla
avrebbe portato a pensare che tutto sarebbe degenerato a
causa dei purtroppo famigerati hooligans, veri e propri
teppisti neppure lontanamente equiparabili al pubblico
dei tifosi, i quali hanno provocato i gravi incidenti
all’interno dello stadio. Le vittime dell’Heysel saranno
ricordate a Bruxelles con una cerimonia pubblica e a
Torino in una messa alla Chiesa della Gran Madre di Dio,
alle 19,30. La giornata del 29 maggio - sottolinea la
società bianconera - sarà dedicata al ricordo da parte
di tutti i tesserati Juventus. Per troppi anni quelle 39
vittime - rimarca sul sito ufficiale - sono state
oggetto di scherno finalizzato unicamente ad attaccare i
colori bianconeri: un’azione vile che non dovrebbe
trovare cittadinanza in nessuno stadio ed in nessun
dibattito sportivo. Questo anniversario dovrà essere
utile anche alla riflessione per evitare che simili
comportamenti si ripetano.
29 maggio 2015
Fonti: Trend-italia.com
- Ilsecoloxix.it
Alberto Tufano, il suo
zainetto arancione e la Pallacanestro Varese
di Michele Marocco
… Omissis. Alberto Tufano,
milanese d’origine ma varesino d’adozione, è un altro
che quella sera era presente all’Heysel per tifare la
sua squadra del cuore. Aveva 16 anni ed era arrivato in
Belgio grazie ad un viaggio organizzato; aveva messo da
parte dall’inizio della stagione le paghette
settimanali, aveva venduto il motorino e, per realizzare
il sogno di assistere alla finale di Coppa dei Campioni,
si era fatto regalare le ultime 150 mila lire da un
vicino di casa. Quel sogno, tuttavia, si è tramutato in
un incubo, come racconta nel libro "Il ragazzo con lo
zaino arancione" pubblicato dalla Gazzetta e scritto
insieme al giornalista Francesco Ceniti. "Se il
Liverpool è stato inibito da tutte le competizioni
europee per sei annate, nei cinque anni successivi a
quella tragedia non sono più riuscito a guardare una
partita di calcio - racconta. E’ stato proprio in quel
periodo che mi sono avvicinato e appassionato ancora di
più al mondo del basket e, in particolare, alla
Pallacanestro Varese". Tufano, che da due anni sta
collaborando proprio con l’ufficio stampa della società
di Piazza Monte Grappa, ammette: "La Mobil Girgi è stato
il mio primo amore per quanto riguarda la palla a
spicchi e venendo al palazzetto di Varese ho
riacquistato almeno in parte quella passione per lo
sport che il 29 maggio 1985 mi è stata cancellata dai
tragici avvenimenti. Non ho superato del tutto il
trauma, però, e una ferita così grande è difficile da
rimarginare"… Omissis
29 maggio 2015
Fonte: Varesesport.com
Il
libro "Il ragazzo con lo zaino arancione"
Il ricordo dell’Heysel
di chi era nel settore Z
"Il ragazzo con lo zaino
arancione" (in edicola con la Gazzetta dello Sport a
7,99 euro) getta sin dalle prime pagine nella calca del
settore Z, il centro dell’orrore dell’Heysel. Alberto
Tufano, l’autore, oggi giornalista, all’epoca aveva 16
anni e quel 29 maggio 1985 era là, dopo essere partito
da solo per seguire la Juventus, in finale di Champions
con il Liverpool. Con il collega della Gazzetta
Francesco Ceniti ha perciò deciso di ricordare quella
tragedia, per spiegare che non si è trattato affatto di
un incidente, bensì della conseguenza di un calcio non
organizzato, di una serie di leggerezze in materia di
sicurezza, prevenzione, ordine pubblico. Il libro si
chiude con alcune testimonianze di persone, note e non,
presenti allo stadio.
27 maggio 2015
Fonte: Corriere.it
Con La Gazzetta dello
Sport il libro "Il ragazzo con lo zaino arancione"
La testimonianza di uno
dei sopravvissuti all’orrore dello stadio Heysel, per
non dimenticare la tragedia nel suo trentesimo
anniversario.
Milano, 25 maggio - Era il 29
maggio 1985 quando la finale di Coppa dei Campioni tra
Juventus e Liverpool si trasformò in un campo di
battaglia dove morirono 39 persone, nella più tragica
partita del calcio europeo fino a quel momento. A
trent’anni di distanza Alberto Tufano, oggi giornalista,
ha deciso di raccontare insieme al collega de La
Gazzetta dello Sport Francesco Ceniti quella tragica
sera. Il 29 maggio del 1985 l’autore era un ragazzo di
sedici anni partito da solo per andare a vedere la
propria squadra del cuore e trovatosi proprio nel mezzo
del luogo della tragedia nel famigerato settore Z. Con
La Gazzetta dello Sport il libro "Il ragazzo con lo
zaino arancione" nasce con il proposito di "coltivare
nel modo giusto la memoria, ricostruendo e ricordando
cos’è stato l’Heysel in modo che non si ripeta più una
barbarie simile" e dare la dovuta dignità alle persone
che quella sera persero la vita. Il libro nasce proprio
per gettare chiarezza sul fatto che la tragedia
dell’Heysel non fu un incidente ma la conseguenza di un
calcio non organizzato, di leggerezze in fatto di
sicurezza, di prevenzione, di mancanza di norme da
seguire in caso di emergenza, di carenze di autorità,
gendarmeria belga e personale medico. Ne esce un libro
che è di cronaca, documentario sugli scontri di quella
sera - perché vero è tutto quello che viene narrato - ma
anche romanzo, grazie alla costruzione che non segue
l’ordine cronologico degli avvenimenti ma li giustappone
in una composizione efficace, e alla storia, il racconto
di un ragazzo di 16 anni passato nel giro di poche ore
dal giorno più bello della sua vita a quello che lo ha
segnato per sempre. Nel primo capitolo fin da subito il
lettore è gettato nella calca del settore Z, conseguenza
del pesante sfondamento dei tifosi inglesi; le pagine si
dividono poi tra il prima, con il racconto dei sacrifici
per poter andare a Bruxelles a vedere la partita,
l’entusiasmo e la passione per la squadra, la
preparazione per il viaggio, l’arrivo nella città; e il
dopo con il ritorno a casa in seguito alla tragedia. Il
libro si chiude con alcune testimonianze di persone note
e meno note che erano allo stadio quella sera o sono
state toccate dalla tragedia, una specie di coro che
ricorda come quella dell’Heysel sia stata una tragedia
collettiva.
25 maggio 2015
Fonte: Rcsmediagroup.it
|