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HEYSEL La tragedia che la Juventus
ha cercato di dimenticare
di Jean-Philippe Leclaire
Il triplice fischio decreta la
fine della partita. 1-0, gol di Platini su rigore. Trent'anni
di attesa, ma finalmente la Juventus si è aggiudicata la
Coppa dei Campioni. I tifosi esultanti invadono il campo.
Platini fa il giro d'onore sollevando a due mani il trofeo.
Il Liverpool si ritira sconfitto. Nel mondo, quattrocento
milioni di spettatori assistono alla scena che va in onda
dalla capitale d'Europa. Sarebbe il trionfo del calcio,
se non fosse il 29 maggio 1985, se lo stadio non fosse l'Heysel,
se prima dell'inizio 39 persone non fossero morte, schiacciate,
calpestate, picchiate sui gradini del famigerato Blocco
Z. 39 vittime, 32 italiani. Dopo, i ''mai più'' d'ordinanza
si intrecciano alle polemiche sulle colpe di una catastrofe
annunciata. Quelle degli hooligans, certo. Ma anche quelle
della criminosa gestione delle autorità belghe. Un balletto
di accuse e scuse, su cui ha prevalso la legge del voltare
pagina. Nessuno ha pagato. Nessuno se non le vittime e i
loro familiari, che non hanno dimenticato il trattamento
in terra belga, il razzismo antitaliano delle forze dell'ordine,
le salme inviate in patria non ricucite dopo l'autopsia.
E neppure le scene di esultanza allo stadio e all'aeroporto
per una coppa che per molti dovrebbe essere restituita,
né l'imbarazzato, ostinato silenzio negli anni successivi.
A vent'anni di distanza, un importante reporter ha rintracciato
attori e testimoni di quella tragedia: calciatori e dirigenti
delle due squadre, telecronisti, responsabili delle forze
dell'ordine, medici, sopravvissuti, famigliari delle vittime,
hooligan più o meno pentiti. Il risultato è una telecronaca
incalzante di quella notte infernale e una ricostruzione
sconvolgente e imparziale dei processi e dello scarica-barile
politico. E' l'antidoto per un clamoroso caso di rimozione,
che ci ricorda testualmente che il sangue non si lava.
Marzo 2006
Fonte: HEYSEL (Piemme)
Heysel, il Titanic
del calcio raccontato dagli hooligans
di Andrea Parodi
Sono
in molti, in Italia, a pensare che il calcio sia morto nella
prima metà degli Anni 80, tra lo scandalo scommesse e la
tragedia dell' Heysel in occasione della finale di coppa
Campioni fra Juventus e Liverpool. Jean-Philippe Leclaire,
giornalista del quotidiano francese L' Equipe, ha voluto
paragonare il secondo evento al Titanic di tutta l' Europa
calcistica. "Quella fu une tragédie européenne", sostiene,
così come dice il sottotitolo della versione francese del
suo libro. Una tragedia europea, quindi non solo italiana.
"Del resto - continua - erano francesi il presidente dell'
Uefa (Georges, ndr) e l' unico marcatore della partita (Platini, ndr); le due squadre rappresentavano Italia e Inghilterra;
l' arbitro era svizzero (Daina) e la sede dell' incontro
era nella capitale della Comunità Europea, in Belgio". Peccato,
poi, che nella versione italiana, pubblicata da Piemme e
appena uscita in libreria, il sottotitolo sia diventato:
La tragedia che la Juventus ha voluto dimenticare. "Non
ho scelto io quel titolo - precisa Leclaire - ma lo trovo
giusto: quando ho bussato alla porta di tanti giocatori
e dirigenti della Juve di allora e di quella di oggi quasi
nessuno mi ha fatto entrare". Pazienza, perché il libro
di Leclaire ha un gran pregio: aver sentito e riportato,
per la prima volta, le varie facce della medaglia. Si può
dire che sia il primo libro globale sulla
tragedia belga.
Erano solo due i testi dedicati all' Heysel in Italia fino
ad oggi. Il primo ("L' ultima curva", Corsi Editore) è un
instant book del giugno 1985 e ormai fuori commercio da
anni, scritto da un superstite torinese, Nereo Ferlat, che
ha raccontato la tragedia nuda e cruda sull' onda dell'
emozione. Il secondo, edito nel 2003 da Libri di Sport e
curato da Francesco Caremani, è la versione dei fatti e
del processo durante i diciotto anni di lotte portate avanti
dai familiari delle vittime. Leclaire è andato oltre. Ha
sentito giocatori delle due squadre, responsabili della
polizia belga, superstiti, politici dell' epoca, ma soprattutto
gli hooligans. Emerge un libro diviso sostanzialmente in
tre parti (la tragedia, le cause, la vergogna e il pentimento),
nel quale gli ingredienti si mescolano per ricordare una
tragedia che - non va dimenticato - ha cancellato 39 vite.
Diventa centrale e importante la testimonianza di Terry
Wilson, un hooligan pentito dopo anni di totale sbandamento
tra alcool, droga e carcere. Le sue dichiarazioni, che riportiamo
qui sotto in uno stralcio dal libro, sono le più sconvolgenti.
Dal Capitolo XIII, Il pentimento.
Pagina 281. Terry Wilson, l' hooligan: "A volte mi rimprovero
di non provare ancora più rimorso. Al processo non ho visto
le famiglie delle vittime. Sarebbe stato terribile guardarle
in faccia. Ma se adesso potessi incontrarle, mi piacerebbe
chiedere loro perdono. Mi piacerebbe saperne di più sulle
trentanove persone che sono morte. Mi piacerebbe conoscere
i loro nomi, sapere che lavoro facevano, se erano sposate
o avevano bambini". Gli parliamo dei Lorentini, della lotta
di Otello, dell' infanzia protetta di Andrea e Stefano,
di Arianna, che non si è mai risposata, della nonna Lina,
che continua ad andare ogni settimana sulla tomba del figlio.
Gli raccontiamo di Roberto, detto "Ciccione", morto sulle
gradinate dell' Heysel perché invece di scappare si era
fermato a soccorrere i feriti della prima carica. Terry
Wilson ci fissa con i suoi occhi verdi. Il "selvaggio" è
scosso e si mette dolcemente a piangere.
26 marzo 2006
Fonte: La Gazzetta dello
Sport
© Fotografia:
Jean-Philippe
Leclaire (Arezzo 2005)
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