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LIBRI e HEYSEL 2015
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La notte dell'innocenza  2015  Mario Desiati
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Lo scrittore pugliese ci presenta il suo ultimo libro

Tragedia dell'Heysel, la memoria di bambino

di Mario Desiati in "La notte dell'innocenza"

di Costanza Carrieri

A Mola di Bari, nell'ambito dell'importante rassegna "Del racconto, il film", il bel romanzo del pugliese Mario Desiati: "La notte dell'innocenza". Un libro che si legge tutto d'un fiato in cui viene condivisa la sua memoria di bambino che, tornato a casa dal campetto di calcio di provincia con le macchie d’erba e qualche segno sulle gambe, si piazza davanti alla tv per ammirare per la prima volta i suoi idoli in tv e si ritrova invece a diventare parte emotiva di una grande tragedia. Quella che si è consumata il 29 maggio del 1985 nello stadio Heysel di Bruxelles. Mario all'epoca aveva otto anni. Prima di quella partita, che si giocò in diretta tv, gli scontri contarono trentanove morti e seicento feriti. La finale di Coppa Campioni tra Liverpool e Juventus, "fu in effetti una resa dei conti, una vendetta sanguinosa degli hooligans inglesi contro inermi tifosi italiani spediti nel settore Z, aggrediti con spranghe, tirapugni e pezzi di cemento di un rovinoso stadio che viene giù. Tutto questo davanti a pochi poliziotti che non capirono il dramma". Per Desiati, quelli restano ancora "morti di serie C". Morti, che a trent'anni da una immane tragedia, pesano sulle coscienze di molti. Ma, soprattutto, di un calcio che ha davvero imparato poco da quella lezione. Abbiamo incontrato Mario Desiati a Mola.

12 luglio 2015

Fonte: Ilikepuglia.it

Mario Desiati torna a Crispiano per parlare

di Heysel, trent’anni dopo la tragedia

di Vincenzo Parabita

Lo scrittore martinese presenterà il suo nuovo libro, "La notte dell’innocenza", una rievocazione di uno dei momenti più tragici dello sport mondiale visto con gli occhi di un bambino di otto anni.

Lo scrittore Mario Desiati sarà a Crispiano venerdì sera, ospite della libreria AmicoLibro, per presentare il suo nuovo libro, "La notte dell’innocenza. Heysel 1985, memorie di una tragedia", edito da Rizzoli. L’appuntamento è alle 19, alla libreria di via Regina Elena 86. Dialogherà con l’autore il giornalista Vincenzo Parabita. Per Desiati è un ritorno a Crispiano; poco più di un anno fa aveva incontrato i lettori per presentare "Il libro dell’amore proibito". Il nuovo lavoro di Desiati è una rievocazione, 30 anni dopo, di uno dei momenti più tragici dello sport mondiale visto con gli occhi increduli di un bambino davanti alla tv. È una riflessione sull’eredità dell’Heysel: cosa ci ha lasciato quella notte di trent’anni fa ? Cos’ha lasciato agli appassionati di calcio, alla nostra cultura sportiva, al Paese tutto e al suo immaginario ? Siamo cresciuti da allora o siamo rimasti lì, con il calcestruzzo insanguinato che si sgretola sotto i piedi, in uno stadio sempre più desolatamente vuoto ? IL LIBRO - 29 maggio 1985. Mario è un bambino di otto anni, felice perché il pomeriggio ha calzato per la prima volta nella sua vita un paio di scarpe da calcio con i tacchetti di ferro ed emozionato perché la sera la sua Juventus contenderà al Liverpool la Coppa dei Campioni nella finale in programma al vecchio stadio Heysel di Bruxelles. Le strade si svuotano, tutto il paese si ferma per assistere alla partita e anche Mario rientra precipitosamente a casa ancora sporco di terra. Accende il televisore sulle ultime note della sigla dell’Eurovisione e non può sapere che all’Heysel si è appena consumata una delle più gravi tragedie della storia del calcio. Non è il solo. Quando la diretta comincia in pochi ne hanno la percezione, a cominciare dal telecronista Bruno Pizzul, in pochissimi conoscono la verità.

Il bilancio finale sarà di trentanove morti e oltre seicento feriti, ma, sia pure in ritardo di un’ora e mezza e in una cornice spettrale, la partita verrà giocata ugualmente. Lo spettacolo non si ferma o meglio, come commentò Michel Platini diversi mesi più tardi, "quando cade l’acrobata, entrano i clown". La notte dell’innocenza è una ricostruzione chirurgica della diretta che incollò al televisore milioni di italiani sgomenti, impauriti, disgustati; è la rievocazione della partita vista con gli occhi increduli di un bambino, è una riflessione sull’eredità dell’Heysel: cosa ci ha lasciato quella notte di trent’anni fa ? Cos’ha lasciato agli appassionati di calcio, alla nostra cultura sportiva, al Paese tutto e al suo immaginario ? Siamo cresciuti da allora o siamo rimasti lì, con il calcestruzzo insanguinato che si sgretola sotto i piedi, in uno stadio sempre più desolatamente vuoto ? L’AUTORE - Mario Desiati dopo aver vissuto a Martina Franca ed essersi laureato in Legge si è trasferito a Roma, dove è stato capo-redattore della rivista Nuovi Argomenti ed editor junior della Mondadori. Dal 2008 al 2013 è stato direttore editoriale di Fandango Libri. Ha esordito come poeta e risulta incluso in varie antologie. In prosa il suo primo romanzo è "Neppure quando è notte" (peQuod, 2003). Nel 2006 è uscito "Vita precaria e amore eterno" per la Mondadori, con il quale ha vinto il premio per l’impegno e la letteratura civile Paolo Volponi. Nel 2006 ha curato l’antologia sul lavoro precario: "I laboriosi oroscopi" (editcoop). Per l’editore Minimum Fax nel 2007 ha curato "Voi siete qui", un’antologia coi migliori esordienti pubblicati nelle riviste letterarie italiane. Collabora con L’Espresso, Grazia, La Repubblica e L’Unità. Nel 2008 è uscito il suo terzo romanzo "Il paese delle spose infelici" (Mondadori) con il quale ha vinto il premio Mondello e dal quale è stato tratto il film di Pippo Mezzapesa. Nel 2009 è uscito il reportage "Foto di classe - U uagnon se n’ascìot" (Laterza). Con il romanzo "Ternitti" (Mondadori), invece, è stato finalista al Premio Strega 2011. Nel 2013 è uscito "Il libro dell’amore proibito" (Mondadori), che presentò in libreria, a Crispiano, a febbraio dello scorso anno. Nel 2014 ecco il libro per ragazzi "Mare di zucchero" (Mondadori). Ad aprile di quest’anno, infine, è la volta de "La notte dell’innocenza. Heysel 1985, memorie di una tragedia" (Rizzoli).

9 luglio 2015

Fonte: Corrierepl.it

"La notte dell'innocenza. Heysel 1985, memorie di una tragedia"

di Giovanna Morrone

Mario Desiati, scrittore pugliese ormai ampiamente affermato, racconta uno dei più terribili episodi della storia del calcio.

Nel suo ultimo libro Mario Desiati, scrittore pugliese ormai ampiamente affermato, racconta uno dei più terribili episodi della storia del calcio. Allo stadio Heysel di Bruxelles il 29 maggio 1985 la Juventus e il Liverpool si contesero la Coppa dei Campioni: la partita si concluse con 39 morti, la maggior parte italiani. La narrazione oscilla tra l'emozione di un bambino di otto anni, qual era all'epoca l'autore, e la raccolta di documenti, testimonianze, che gli hanno permesso da adulto di comprendere la realtà di allora e riflettere su di essa. Il bambino quel giorno ha giocato tutto il pomeriggio nel campetto vicino casa, a Martina Franca, con le prime scarpe con i tacchetti, usate, e più piccole di un numero, che lo hanno fatto sentire grande e importante; ora attende con ansia la sera: ha avuto il permesso di stare in piedi fino alle dieci e tifare e soffrire e gioire con quella Juventus da tempo la sua squadra del cuore. Spera che la partita si concluda entro il tempo stabilito dai genitori, sarebbe triste cercare di capire solo da voci e rumori esterni il risultato finale. Tutto è pronto, il vecchio enorme televisore acceso per il collegamento Rai delle 20,10, l'emozione alle stelle, ma gli incidenti iniziano un'ora prima, con morti e feriti. Il bambino non sa, non comprende, all'inizio vede solo gente per terra, alcuni che fuggono, uomini in camice, soldati a cavallo, ma venti minuti dopo l'inizio del collegamento sente la voce del cronista Bruno Pizzul, che parla di incidenti, possibili vittime e poi, a metà diretta, di 36 morti. Alle 21.42, con un'ora e mezzo di ritardo inizia la partita ma per il bambino è ora di andare a letto, lo sguardo dei genitori è severo e triste, guarda ancora qualche immagine e poi l'emozione si scioglie in pianto. A letto comincia a capire qualcosa del vocio, del correre, dell'affannarsi sul campo, delle immagini che lo hanno ipnotizzato, ma è un bambino, il sonno lo afferra, capirà, si sforzerà di capire dopo, il perché di quei 39 morti, a cui da adulto vuole rendere onore con questo libro. Lo stadio Heysel è stato costruito nel 1930 e finora nessuna ristrutturazione, è piuttosto malandato, con i muri esterni di calcestruzzo, i posti non numerati ed una capienza inferiore di molto al numero dei biglietti venduti per questa importante partita. Le autorità belghe, per separare le tifoserie avversarie, hanno previsto in mezzo un settore, il settore Z, per tifosi neutrali, che hanno acquistato il biglietto da agenzie di viaggio locali; è successo però che molti di quei biglietti sono giunti nelle mani dei bagarini e finiti successivamente in quelle di juventini, avvicinando così pericolosamente le due tifoserie, senza un'adeguata presenza delle forze dell'ordine. Alcuni tifosi inglesi la notte precedente hanno assaltato ristoranti italiani, insomma questi ed altri motivi non fanno presagire niente di buono. Ad un certo punto la rete che separa il settore Z da quelli inglesi viene tagliata, gli italiani vengono aggrediti e cercano di fuggire verso il campo ma trovano i manganelli dei poliziotti; i muri, vecchi e friabili, cedono, entrambe le tifoserie si scontrano con violenza; infine nel settore Z morti e macerie. La Juventus non vorrebbe giocare, ma i dirigenti delle due squadre si piegano alle autorità belghe, che pensano così di placare gli animi, inoltre durante la partita avranno il tempo di organizzare l'esodo. Si gioca quindi in un'atmosfera che si può immaginare, vincerà la Juventus e i giocatori saranno costretti, si dice, a fare il giro del campo con la Coppa innalzata verso il cielo. il bambino saprà della vittoria il mattino successivo, ma i festeggiamenti per strada sono sotto tono e comunque s'incaricheranno i genitori di fargli capire l'orrore di quanto accaduto. L'autore vedrà la partita 30 anni dopo, troverà scritti, testimonianze, spiegazioni, in cerca di un senso, per sé e per chi ama il calcio, un calcio che dia gioia, emozione, appartenenza senza odio. Commovente è l'elenco dei morti, il più piccolo aveva 10 anni, il più grande 58, povere vite stroncate dall'incompetenza di chi doveva mettere in atto la necessaria protezione e soprattutto dalla furia disumana di chi prende a pretesto il calcio per sfogare istinti distruttivi e bestiali.

29 giugno 2015

Fonte: Grottaglieinrete.it 

Mario Desiati: "Ero bambino, ho raccontato l'Heysel per non dimenticare"

di Elisa Chiari

Scrittore, saggista, Desiati aveva 8 anni la notte della tragedia allo stadio di Bruxelles, prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, il 29 maggio 1985, dove morirono 39 persone.

Mario Desiati la sera del 29 maggio 1985 aveva 8 anni, aspettava suo padre per la sua prima grande serata di sport da telespettatore: l’amata Juventus in finale contro il Liverpool in Coppa dei campioni. La sua serata è finita presto con una frase di papà: "Tu alle nove e mezza vai a dormire, tanto non giocano". Un imperativo protettivo, lo sguardo di un padre che difende suo figlio da uno spettacolo che non è bene mostrare a un bambino. Mario bambino scoprirà la verità in differita, attutita dalle parole della madre, incontrata per casa alzandosi di notte, mentre cerca spiegazioni per quello che vede dalla finestra: auto in strada, un carosello, ma muto. "Mamma abbiamo vinto ?". "No, stasera non ha vinto nessuno. Sono morte tante persone". A distanza di trent’anni, l’elaborazione di quella cupa prima partita è un libro intitolato La notte dell’innocenza. Heysel 1985, memorie di una tragedia.

Memorie non vissute, Desiati. Perché ha sentito il bisogno di andarle a cercare per raccontare ?

"Era la mia prima partita da spettatore, allora non è che ne dessero tante in Tv, e non l’ho vista. Ma ho capito che era accaduta una cosa tanto grave da costringermi a chiedermi come il calcio avesse potuto continuare come prima il suo gioco. Cercare è stato un modo di darsi una risposta. L’altra ragione è l’indignazione che mi assale nel prendere atto che oggi una tragedia come quella è un’occasione, sugli spalti del pallone, per insultare la memoria anziché coltivarla".

Che cosa le ha impedito di disamorarsi del pallone, dopo un esordio come quello, ammesso che si possa rispondere a una domanda così ?

"Il calcio è un fenomeno umano, è un gioco ma ci dice cose profonde di noi. Fa parte della vita andare avanti anche dopo una tragedia, sopravviverle. E’ un istinto che abbiamo, trovare una strada per superarla. Nel calcio, nel rapporto che abbiamo con lui, ci sono implicazioni che vanno oltre la partita: implicazioni politiche, sociali che spiegano in parte il divampare di certa violenza. Direi che ci sono anche implicazioni psicanalitiche: si pensi a come il gioco possa avvicinare le generazioni. Un bambino che sa della sua squadra più di quanto ne sappia il padre preso da altri interessi, il padre che davanti alla partita si emoziona come solo i bambini sanno fare".

Resta il fatto che quella tragedia non ha fatto crescere il nostro calcio in consapevolezza: si va ancora allo stadio con i coltelli, l’Heysel come Superga non sono tragedie ma insulti. Gli inglesi hanno arginato gli hooligans noi e altri facciamo fatica, possibile ?

"Credo che il calcio rispecchi la società che c’è fuori, gli inglesi hanno un diverso relazionarsi con la vita civile rispetto a noi e ad altri popoli, meno inclini al rispetto delle regole. Il calcio riflette quello che c’è fuori".

Nel libro la sua partita non vista e la sua ricostruzione a posteriori, più che dalle immagini che pure ha visto anni dopo e descrive, prendono forma soprattutto dai racconti, in particolare dal racconto letterario che ne ha fatto Ugo Ricciarelli: le parole evocano meglio delle immagini ?

"In qualche modo sì, le parole dei grandi scrittori danno spesso una dimensione in più che le immagini non riescono a evocare:  una lettura che va oltre. Quando Margherite Duras colpita dalla tragedia intervista Platini e cerca di stanarlo sul senso di aver giocato una partita a quelle condizioni, capisce che il calciatore tergiversa, scantona, a quel punto lo incalza. È lì che Platini trova quella frase: "Quando muore il trapezista entrano i clown".  Marguerite Duras afferra al volo che non resta altro da dire, che l’intervista finisce lì, perché quella frase dice tutto il non detto".

E lei a distanza di questo tempo che idea si è fatto della polemica: giocare/non giocare, la coppa alzata eccetera ?

"Mi sembra che sia fare un uso distorto della memoria, mi sembra assurdo che trent’anni dopo invece di parlare dei morti e di ricordarli si parli della Coppa, della partita, fosse anche per chiedersi se si dovesse giocarla, per ragioni di ordine pubblico. Dovremmo parlare del coraggio civile di Roberto Lorentini, un medico che sopravvissuto alla prima carica degli inglesi si era fermato a soccorrere un bambino che aveva smesso di respirare. E’ morto così, colpito dalla seconda carica degli hooligans".

Trent’anni dopo ha l’impressione che qualcosa il calcio abbia imparato ?

"Sì, forse costretto dagli eventi, come succede dopo gli incidenti aerei, ha dovuto ragionare di più meglio di sicurezza: oggi in uno stadio come quello non si potrebbe giocare una finale di Champions. Gli stadi sono molto più sicuri di allora. Ci raccontiamo la poesia di un calcio antico più bello, ma dimentichiamo che nel 1985 sono state quasi 100 le persone morte attorno a una partita di calcio in Europa. In questo senso quei 39 non sono morti invano".

Che suggestioni le evoca sapere che a una settimana dall’anniversario, trent’anni dopo, la Juventus giocherà un’altra finale di Champions ?

"Suggestioni romanzesche. E’ la storia che gioca con la trama di un romanzo circolare: Michel Platini comunque vada a finire sarà lì a mettere al collo una medaglia a ragazzi che indossano la sua maglia di allora, primi o secondi che siano, e sarà un cerchio che si chiude. Anche se spesso i calciatori non hanno tutta questa coscienza dell’enorme potenziale simbolico delle cose che accade loro di vivere". 

28 maggio 2015 

Fonte: Famigliacristiana.it

"L'iniziazione al ciclo della vita"

di Faithful

Alle 18 in punto del 29 maggio 1985 le porte dello Stadio Heysel di Bruxelles vengono aperte e in poco tempo 150.000 si riverseranno all'interno. La richiesta dei biglietti è stata enorme perché quella che si svolgerà quella sera è una partita della massima importanza per i tifosi : da una parte gli inglesi REDS , dall'altra la JUVENTUS. Molti inglesi durante la notte precedente hanno devastato locali e ristoranti accanendosi contro quelli italiani. Alcuni non hanno denaro né biglietto e si fanno vanto di riuscire ad entrare nello stadio rapinando od eludendo i controlli. Un'ora prima dell'apertura dei cancelli dello stadio alcuni " tifosi" inglesi hanno assalito una gioielleria portandosi via un bottino di 10.000 franchi belgi. La gendarmeria belga è intervenuta ed ha messo a verbale soltanto l'aggressione ad una donna e a sua figlia, titolari di un chiosco di hot dogs: pare che nessuno si sia reso conto né di quello che è avvenuto al di fuori né di quello che sta avvenendo all'interno dello stadio. Il settore Z è per lo più occupato da famiglie con bambini, da emigrati in Belgio, e da troppe persone che sono state fatte entrare lì dentro dopo essersi procurati un biglietto all'ultimo momento. I bagarini vendevano i biglietti addirittura decuplicando il prezzo eppure trovavano persone disposte a tutto pur di non perdere quello spettacolo meraviglioso. L'autore racconta con grande capacità di introspezione i suoi sentimenti di quel giorno. Bambino di 8 anni, appassionatissimo di calcio e della Juve, per la prima volta aveva indossato vere scarpe da football con i tacchetti. Felice ma teso, con cento pensieri infantili che si affacciavano alla sua mente: dalla possibilità di non riuscire a mantenere l'equilibrio allo spettacolo che si sarebbe goduto in tv due ore dopo. Sembra un racconto da poco: sarà invece il passaggio da uno stato di gioia infantile alla presa di coscienza che anche lo sport ha le sue tragedie, spesso causate dalla superficialità e dall'incompetenza. Dice nell'ultima pagina di copertina: "L'iniziazione al ciclo della vita". Il modo di raccontare di Mario Desiati è piaciuto molto anche a me che di calcio so proprio poco e i successi della Juve lambiscono appena per l'esultanza di mio figlio, ma leggere di una tragedia annunciata e quasi prevista, di 39 tifosi morti tra cui un bambino di 11 anni, di uno stadio di calcestruzzo sbriciolato da una furia inarrestabile non può lasciare indifferenti. Non solo la notizia venne data in ritardo ma sembrò quasi che questi fossero morti di seconda categoria: nei tempi successivi i venti minuti dell'attacco degli hooligans furono ricostruiti in modo abbastanza preciso: essi usarono tirapugni e spranghe su gente indifesa ma i 26 processati si difesero dicendo che avevano visto un bambino inglese aggredito e che erano in preda all'alcool, in realtà essi erano arrivati a Bruxelles guidati da un reduce della guerra alle isole Falkland la cui mente forse era già stata sconvolta dal sangue visto scorrere in quell' evento. Non aggiungo altro se non di leggere questo libro: interesserà ai tifosi della Juventus sicuramente ma anche a chi sa poco di questo terribile episodio del quale, dopo trent'anni ancora non si conosce l'esatta verità ma piacerà anche per il modo di esprimersi di questo autore che ricorda con precisione i propri sentimenti di bambino di fronte alla tragedia che ora analizza e commenta con amarezza. Una partita disputata lo stesso anche se 39 persone erano già morte e 600 giacevano ferite sugli spalti.

The show must go on.

27 giugno 2015 

Fonte: Ciao.it

La macabra recita inscenata all’Heysel

di Giorgio Dell'Arti

Clown. "Quando cade l’acrobata, entrano i clown" (Michel Platini ricordando i fatti dell’Heysel)

Finale. Mercoledì 29 maggio 1985, Bruxelles, stadio Heysel, è in programma la finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool. Prima della partita le cariche degli hooligans inglesi costano la vita a 39 persone: 32 italiani, quattro belgi, due francesi e un irlandese (fatale il crollo di un muro nel settore Z). Circa 600 i feriti. Le squadre giocarono lo stesso. Vince la Juventus 1-0 con gol di Platini su rigore (concesso per un fallo su Boniek commesso ampiamente fuori area). I bianconeri diventano così la prima squadra ad aver conquistato tutte e tre le coppe europee. Prepartita. "19.07, un minuto prima dell’incidente. Il settore Z contiene 6.000 spettatori. Il settore X e il settore Y dovrebbero contenerne circa 17.000, ma vi sono almeno 5.000 tifosi inglesi in più che sono entrati senza biglietto. Il settore Z è colorato, variegato, ci sono uomini vestiti di bianconero in modo anche pittoresco, le tute acetate e cappelli buffi a falde tese, tre tipi vestiti ironicamente da mafiosi che deridono certi radicati luoghi comuni sugli italiani. Gli sfottò sono blandi, ma gli inglesi vicino al settore Z provocano, vorrebbero uno scontro, sono troppo alterati dall’alcol per capire che davanti a loro ci sono solo famiglie e sparuti cani sciolti. La rete leggera cade facilmente, viene tagliata, scavalcata, non c’è più; un parà reduce della guerra nelle isole Falkland chiama la carica, la gente scappa, cerca una via di fuga verso il prato, ma i pochi poliziotti presenti non capiscono il dramma in corso e manganellano gli italiani che vogliono fuggire dal settore e scavalcano la recinzione che lo divide dal campo". Prandelli. Il ricordo di Cesare Prandelli, quel giorno in campo negli ultimi minuti della partita: "Manca un bel po’ al via. Siamo concentrati. Quella Coppa è importantissima. È ciò che manca alla Juve. C’è silenzio. Poi arriva Boniperti. È sconvolto. Urla. Grida che non si gioca, parla di morti, è fuori di sé. Noi non capiamo cosa stia accadendo. Boniperti va via chiamato dai dirigenti Uefa. Arriva il suo autista, uno piccoletto, ci dice di aver visto dei cadaveri sotto lenzuoli bianchi davanti allo stadio. C’era confusione. Panico. Non si capiva bene. Poi arrivò qualcuno a dirci che dovevamo andare in campo e giocare per motivi di sicurezza. Era un ordine. Nessuno di noi pensava a giocare. Mi ricordo un silenzio surreale. Occhi bassi. Io nel frattempo ero stato incaricato di dire a tutti i nostri familiari presenti di tornare assolutamente in albergo". Pizzul. Il telecronista italiano è Bruno Pizzul. "Pizzul era puntuale, professionale, mai enfatico, rigoroso nel trasmettere le informazioni che arrivavano confuse ma che lui traduceva con chiarezza e buon senso. Si percepiva la solitudine del cronista che filtrava la messe caotica di notizie incontrollabili con una cautela che lo rendeva ammirevole, come un inviato di guerra al fronte. Il fatale riscontro arriverà più tardi a metà diretta, con un sospiro: "La fonte è dell’Uefa: pare ci siano trentasei vittime". Ce ne saranno trentanove, ma l’Italia apprese in quel momento la notizia della più grave tragedia". Recita. Sull’aereo del ritorno Scirea, Cabrini, Rossi e Tardelli affidano a Gianni Mura una sorta di comunicato per spiegare cos’era davvero successo alla fine della partita: "Ci hanno consegnato una Coppa e ci hanno detto di mostrarla ai nostri tifosi. Non ci rimaneva che terminare la nostra recita. L’abbiamo fatto. Nessuno è venuto a dirci niente. Ci hanno solo raccomandato di rimanere nella metà campo dello stadio dove c’erano i tifosi della Juventus. Non sapevamo assolutamente che fare, se dirigerci verso il luogo del disastro e magari eccitare ulteriormente gli animi oppure recitare soltanto fino in fondo il ruolo che ci avevano chiesto. Lo abbiamo fatto con la morte nel cuore e speriamo soltanto che nessuno ci chieda più una cosa simile, mai più".

Notizie tratte da: Mario Desiati, La notte dell’innocenza. Heysel 1985, memorie di una tragedia, Rizzoli, Milano, pagg. 181, € 16,00.

3 giugno 2015

Fonte: Altrimondi.gazzetta.it

Heysel, autopsia e riconciliazione trent'anni dopo

di Salvatore Lo Iacono

Caro Mario Desiati,

trent'anni fa avevamo la stessa età, siamo due ragazzi del Sud, dunque con la Juve nel sangue. Così, giusto, per fissare dei paletti. Questo libro, che può leggersi in una notte o due, questo tuo ultimo libro, edito da Rizzoli, "La notte dell'innocenza. Heysel 1985, memoria di una tragedia" (181 pagine, 16 euro), è un'autopsia di tanti dolori, ed è una specie di riconciliazione. L'insanguinata Coppa dei Campioni della Juventus, conquistata nel 1985, l'hai vissuta in tv e a tanto tempo di distanza l'hai sviscerata, studiata, hai provato a comprenderla leggendo una robusta bibliografia. Da allora sembra che il calcio qualcosa abbia capito (non si giocherebbe più una partita di calcio in uno stadio fatiscente come l'Heysel), ma tanti che nel calcio sguazzano - tanti disadattati, criminali, teste calde prive di materia grigia, con un sistema talvolta complice - probabilmente non hanno capito nulla. Di quella maledetta serata restano trentanove inermi vittime e centinaia di feriti, a cui nessuno ha mai restituito dignità (ancora oggi macabramente evocate nelle offese da stadio). Tu regali loro un piccolo onesto monumento di carta: "Il calcio è un fenomeno vitale, e chiunque sia morto per questo merita lo stesso ricordo di chi ha perso la vita in un attentato terroristico come in guerra, come in un incidente". Nella rievocazione della tragedia, nella cronaca dell'agguato degli hooligans del Liverpool al settore Z dello stadio di Bruxelles (settore che doveva essere il più tranquillo nelle previsioni degli organizzatori) c'è, nelle tue pagine, una precisione che non è mai pedanteria, molto raramente è didascalica, ma in assoluto e sempre è ricerca chirurgica dei perché. C'è pure qualche imprecisione (Facchetti libero ? L'Uefa League ?), ma sono peccati veniali. Nulla in confronto al grazie che ti devo, alle piccole storie di coraggio che racconti, alle parole di tua madre nella notte della finale, al coraggio del medico Roberto Lorentini, all'elenco dei morti, con nome, cognome, età, provenienza, come una poesia struggente. Il cuore del libro sta in una domanda e in qualche altra frase: "Cosa sognavano gli uomini e le donne che sono morti ? Le loro famiglie, la loro memoria, non vanno ulteriormente oltraggiate da sterili dibattiti statistici".

2 giugno 2015

Fonte: Piolatorre.it

Trent'anni fa la tragedia dell'Heysel

di Massimo Grilli

Due libri rivivono e romanzano la tragedia dei 39 morti, per gli incidenti occorsi prima della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool allo stadio di Bruxelles.

Trent’anni fa il calcio perdeva definitivamente la sua innocenza. Heysel, 29 maggio 1985. Finale di Coppa dei Campioni, a Bruxelles, Juventus contro Liverpool. Le vittime della strage furono trentanove. Il più giovane, Andrea Casula, era un bambino di undici anni. Oggi, trent’anni dopo, le immagini che i giornali d’epoca o il web consegnano alla nostra memoria somigliano a quelle di una sorta di olocausto. E mentre scriviamo queste righe, reduci dalla quotidiana violenza cui assistiamo nei nostri stadi, ci chiediamo se quell’immane tragedia è servita a qualcosa. Il dubbio resta. Come restano - loro sì utili - tutte le testimonianze su quella notte. Perché niente vada dimenticato, sono usciti in questi giorni due libri che partono da punti di partenza diversi ma si fermano allo stesso approdo, lì dove il dolore diventa memoria condivisa. … Omissis (Vedi Articolo gemello nella pagina del libro di Anthony Cartwright e Gian Luca Favetto) L’innocenza è anche il filo rosso che si snoda nel romanzo di Marco Desiati. Protagonista un altro bambino, come se non ci fosse altro modo di rivivere la tragedia. Nella "Notte dell’innocenza" l’autore intreccia la sua storia privata - di piccolo tifoso juventino cresciuto in una città di provincia del Sud - con quella - di morte, di dolore e di ferite ancora aperte - vissuta da chi c’era, lì, all’Heysel. Adagiandosi ai tempi di una narrazione che si sviluppa riavvolgendo la diretta televisiva dell’epoca, Desiati prova a scardinare meccanismi che per anni - per decenni viene da dire - sono rimasti incagliati nell’equivoco. La domanda che il libro pone è semplice ma definitiva: siamo cresciuti da allora o siamo rimasti lì, con il calcestruzzo insanguinato che si sgretola sotto i piedi, in uno stadio sempre più desolatamente vuoto ? Un paio di mesi fa è rinata - per merito di Andrea Lorentini che all’Heysel perse suo padre Roberto - l’associazione per ricordare le vittime di quella notte. Vittime che per anni sono state dimenticate e ignorate dalle istituzioni del nostro calcio. Riannodare il filo della Storia, anche leggendo questo libro, è un buon modo per ritrovare il senso di una memoria condivisa.

LA NOTTE DELL'INNOCENZA, Heysel 1985, memorie di una tragedia; di Marco Desiati, Rizzoli editore, 176 pagine, 16 euro

15 maggio 2015

Fonte: Corrieredellosport.it

L’ Heysel di Desiati ci rende partecipi (e più consapevoli) del nostro passato

di Andrea Apollonio

Le sequenze della vita si accavallano, si stratificano, e le prime passioni - quelle più importanti, perché vissute appieno da un bambino - sono anche le prime, fatalmente, ad essere dimenticate. Eppure anch’io, come il protagonista del libro di Mario Desiati ("La notte dell’innocenza", Rizzoli 2015), ero un tifoso di provincia, di quelli che si dividono, per lo più, tra Milan (io) e Juventus (Mario); anch’io ero uno dei tanti giocatori dei campi di calcestruzzo, tra palazzoni e carreggiate senza macchine; anch’io trasformavo le partite di calcio in diretta in momenti familiari che non dovevano, né potevano essere disturbati. Al contrario di Mario, però, io non ho vissuto la tragedia dell’Heysel: sarei nato due anni dopo. E solo leggendo questo libro, intimo e speciale come pochi altri, che ci colloca nel salotto di casa Desiati in posizione defilata, ci adagia sulla poltrona vicino alla cucina e ci fa assistere a scene familiari che attingono dialoghi e descrizioni anche dal nostro passato, riesco a comprendere molte caratteristiche dello scrittore, e molti aspetti della persona, legati a doppio filo a quel mondo del calcio che è, poi, lo specchio delle nostre contraddizioni. Il libro, semplicemente, non può essere inquadrato: siamo a metà tra romanzo, invettiva, ricostruzione storica e testimonianza. Meglio così. Ad una descrizione metodica dei fatti, cui segue una lettura intensa, palpitante, assorbente, si affiancano le riflessioni su di una tragedia immane e sconosciuta, formulate da Mario nel pieno dell’età dell’innocenza. I suoi continui riferimenti al contesto salentino d’origine permettono di estrarre dal particolare paradigmi generali ma pieni di verità sul calcio, d’allora e di oggi: qual è quello che ci ricorda, ad esempio, che gli scontri tra tifosi nascondono risentimenti e frustrazioni individuali, ed in alcuni casi si trasformano in vere e proprie guerre di religione: "c’è un filo rosso che unisce guerra, religione, calcio". Spesso lo dimentichiamo, e ci troviamo impreparati davanti a quelle violenze che noi riconduciamo soltanto a follia e ignoranza. Probabilmente, se avessi avuto la sua età nel 1985, ma soprattutto se sapessi riuscire, come lui, a dosare con maestria le qualità - spesso antitetiche - di giornalista e romanziere, oggi avrei scritto qualcosa di molto simile. Perché il passato di Mario, caratterizzato dall’odore forte dell’erba gramigna dei campetti in cui giocava, è anche il mio passato: che da oggi si arricchisce di una partita finita in tragedia, mai vista né immaginata, ma senza la quale non è possibile comprendere quel calcio degli anni Novanta che si è impregnato (anche) nella mia età dell’innocenza.

13 maggio 2015

Fonte: Civesalentini.com

Il tifo e il sangue: Desiati e la tragedia dell'Heysel

di Claudia Presicce

Sono passati trent’anni esatti da quel 29 maggio 1985. Trent’anni dalla strage al vecchio stadio Heysel di Bruxelles dove si disputò la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Una carica degli hooligans verso il settore Z dove si trovavano alcuni tifosi juventini (quelli organizzati erano dall’altra parte dello stadio) e il successivo crollo di un muro, uccisero, calpestate o schiacciate, 39 persone (33 italiani) (N.D.R. 32). Oltre seicento furono feriti. Mancava ancora un’ora alla partita: la diretta Rai si aprì con un Pizzul sotto tono, la finale venne giocata ugualmente. Si disse, per permettere alla polizia belga di riorganizzarsi. "La notte dell’innocenza. Heysel 1985, memorie di una tragedia" (Rizzoli) è l’ultimo libro di Mario Desiati, che, tra ricordi personali, narrativa e cronaca, ridà voce a questa storia dimenticata riportandola nel presente.

Desiati, raccontare l’Heysel: come è approdato a questo lavoro ?

"È un certo tipo di narrativa che mi è sempre piaciuto leggere, e che per "Nuovi Argomenti" ho spesso adottato, quella che racconta delle storie vere con piglio narrativo. Questo è un evento storico che mi ha molto colpito e che nello stesso tempo è emblematico per raccontare la contemporaneità. Intorno al calcio si muovono altre dinamiche, politiche, familiari, storiche. Anche se può essere recepito come superficiale, in realtà il calcio come fenomeno umano non va sottovalutato. Ho provato a raccontarlo attraverso uno dei suoi eventi più tragici che coincide con una delle prime partite che ho seguito nella mia vita. Ho messo insieme tutto questo per creare un lavoro sulla storia e sulla contemporaneità".

Una storia di sangue di trentanove morti, ma la partita si giocò lo stesso. Qual è la sua lettura dell’evento ?

"La prima lettura è certamente quella della ferita insanabile, ma poi uno si chiede subito perché il calcio è andato avanti. Essendo un fenomeno umano, come gli altri, prosegue. Come racconta certa letteratura tedesca della ripresa della normalità dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, dopo un evento tragico la vita va avanti. Fu quasi come un incidente aereo allora, nel 1985, ma se oggi uno stadio di una finale di Coppa dei campioni non potrebbe mai essere così poco sicuro come quello, invece quel tipo di violenza che si scatena in uno stadio è purtroppo ancora di grande attualità".

Nel libro riprende il dibattito del tempo e c’è una frase terribile di Platini: "quando cade l’acrobata entrano i clown".

"La disse a Marguerite Duras perché l’Heysel colpì l’immaginario di quel periodo storico di molti scrittori: lei intervistò Platini. Poi racconto il dibattito tra Malerba, Calvino e Soldati sulla liceità di continuare a giocare quella partita, se considerare o meno quel trofeo. Mi interessava però ricordare la memoria di queste persone che spesso purtroppo sono ancora oggetto degli strali negli stadi. L’ultima volta è stato un anno fa: si inneggiava a "meno trentanove", ma molti non sanno neanche chi sono. Ho messo l’elenco dei nomi, ma al di là di questo ho unito il racconto di una storia di morte attraverso la visione di Ugo Riccarelli, la più bella su questa storia a mio avviso, e attraverso le immagini che si sono viste in diretta. Addirittura in una diretta francese si videro spirare alcune persone…".

Quando scrive di avere l’impressione di un mondo che non solidarizza più con le vittime e non condanna i carnefici sembra sottolineare una sorta di costume in Italia, o no ?

"Di fronte all’oltraggio di questa memoria, o di quella di Superga di cui ricorre l’anniversario in questi giorni, ho l’impressione che scatti subito la polemica e si tralasci la memoria delle vittime e che si passi troppo presto alla tabellina mentale, se togliere quella coppa, e non si parli di come migliorare le cose. Non si parla di migliorare la sicurezza negli stadi o di cosa fare per le famiglie delle vittime per esempio. Le cose sono molto cambiate, ma non basta".

Per una sorta di traslazione da lei evocata dal calcio alla società sembra che questo malcostume alberghi anche in altri ambiti. Mi riferisco a certe frasi che si leggono sui social network in cui si inneggia a Hitler, ecc., come se fosse cosa lecita, normale…

"I social network danno visibilità a fenomeni sempre esistiti. La bestialità di scritte violente viene fuori ogni giorno sul web e innesca polemiche. Recentemente un signore che ha ucciso la moglie ha scritto "finalmente l’ho fatta fuori" e tanti hanno messo "mi piace". Questo purtroppo credo sia sempre esistito, ma non aveva la stessa visibilità, restava nel bar di quartiere. Invece lo stadio era il primo social network, lì le cose si amplificavano e avevano grande risonanza".

Quanto la letteratura può lanciare messaggi importanti oggi ? E soprattutto arrivano ?

"La narrativa è sempre stata conseguenza del suo tempo e una certa letteratura interviene nella realtà e cambia le cose, questo l’ho sempre creduto. Ma chi scrive un libro non deve mettersi in testa di cambiare il mondo, altrimenti è un predicatore non uno scrittore. Deve magari cercare di raccontare il mondo che vorrebbe trasmettere agli altri. L’arte quando è vera alla fine lo cambia lo stesso il mondo".

12 maggio 2015

Fonte: Quotidianodipuglia.it

© Fotografia: Chiassoletteraria.wordpress.com

30 anni fa la strage dell’Heysel

39 morti ricordati dal libro di Mario Desiati, all’epoca bambino di 8 anni, davanti alla tv

In questi giorni di trent’anni fa, la strage dell’Heysel, lo stadio di Bruxelles. Erano di fronte Juventus e Liverpool, finale di Coppa Campioni, il 29 maggio 1985. L’Italia intera, almeno quella tifosa, aspetta quella sfida. Davanti alla tv c’è anche un bambino di 8 anni, Mario Desiati, che oggi dedica a quell’evento tragico un libro di ricordi e riflessioni. "La notte dell’innocenza - Heysel 1985, la notte della tragedia": s’intitola il libro (Rizzoli, 186 pag.) di Desiati, che si apre con i ricordi sportivi di un bambino che sono anche quelli di una generazione di tifosi. La cronaca di quella sera scorre fra le memorie del piccolo Mario e le notizie del telecronista Bruno Pizzul. Desiati ricorda la confusione, pure i gendarmi a cavallo piazzati sotto le tribune. Il bambino non comprende, lui aspetta solo la partita di calcio, disturbato da quel fuori programma così poco comprensibile. La madre gli dice: "Ci sono incidenti gravi", e lui candido "Ma gli incidenti non sono quelli delle macchine  ?". Purezza dell’infanzia di fronte al disastro. Il conto dei morti verrà fatto a fine partita, quando tutti saranno andati via e scongiurato il timore di incidenti ulteriori. Quella sera segnò a vita il piccolo Mario, che non smarrì la passione per il calcio, ma cominciò a capire che il calcio "sprigiona energie potentissime, alcune evidenti, altre occulte, nella quotidianità delle sfere private di milioni di appassionati, che si mutano in tensioni, risentimenti, depressione e violenza".

12 maggio 2015

Fonte: Vannizagnoli.altervista.org

 La notte dell’Heysel

La storia tragica del 29 maggio 1985 vista da un bambino di otto anni davanti alla tv, nel nuovo libro di Mario Desiati.

È uscito per Rizzoli il libro di Mario Desiati La notte dell’innocenza. Desiati racconta quello che successe la sera del 29 maggio 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles in occasione della finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool, quando il crollo di un muro sulle tribune e la calca provocata dalla pressione dei tifosi inglesi uccise 39 persone e fece oltre 600 feriti. Il libro è costruito alternando l’analisi dei documenti raccolti su quella sera, la ricostruzione della diretta televisiva e i ricordi personali di Desiati, allora bambino di 8 anni tifoso della Juventus. In questo estratto il capitolo sugli scontri successivi al crollo e sui momenti che precedono l’inizio della partita.

"Quando comincia la partita, alle 21.42, con quasi un’ora e mezzo di ritardo rispetto a quando era programmato il fischio d’inizio, per me è quasi ora di andare a letto, avevo già sforato i permessi extra che avevo trattato nei giorni precedenti. Vedendo le squadre entrare in campo vengo sollecitato da uno strano pensiero e guardo ancora per un poco la televisione. I fili d’erba di quel prato hanno visto guerra e sangue fino a pochi minuti fa, come possono adesso piegarsi sotto i tacchetti di ferro di ventidue calciatori  ? È uno dei dubbi con cui mi allontano dalla tragedia che scorre in televisione. L’erba è un pensiero che mi tormenta mentre raggiungo il letto. Porto ancora le scarpe coi tacchetti e la maglietta che ho indossato agli allenamenti del pomeriggio. Il sudore asciugandosi ha formato una patina appiccicosa sulla mia pelle e mia madre mi ordina di fare la doccia. Prima di lavarmi osservo sempre la striscia verde che lascia sul calzettone l’erba gramigna del campetto clandestino, un’erba che non c’entra con quelle che disegnano i campi da gioco. La accarezzo come qualcosa di caro. Ne sento le particelle invisibili che mi danno il potere di legarmi a chi sta giocando dentro uno stadio vero, avverto una connessione speciale con quegli dei dell’Olimpo in pantaloncini e tacchetti. Poi i dettagli di ciò che è accaduto si moltiplicano all’infinito nella mia testa. Sotto la doccia piango, e le lacrime si mischiano all’acqua che scende. Quando entro nel letto mi sento un po’ meno tremebondo e scioccato, ma non riesco ad addormentarmi subito e, prima che il sonno arrivi come un guanto a coprire la ferita della serata, nella mia mente rivedo le scene della mezz’ora concitatissima che ha preceduto il fischio d’inizio. Una trentina di juventini finalmente riesce ad arrivare a poche decine di metri dalla curva X e Y, l’ennesima carica ha portato i suoi frutti, vogliono andare verso i tifosi del Liverpool che stanno esultando. I toni si fanno concitati e la polizia li respinge, ormai ha il controllo della situazione, lancia un paio di lacrimogeni per allontanarli. Alcuni capi ultras cercano di calmare gli animi, ma ce ne sono altri che ancora, come impazziti, corrono tra i fili d’erba di quel campo insanguinato. Caccia all’uomo sotto le tribune, la telecamera segue piccoli particolari.

Le immagini degli ultras italiani sono diverse dall’iconografia odierna: sono secchi, magri, scavati, non sembrano mastodontici, muscolosi o robusti, sono ancora i figli di un’Italia che, per certi versi, opulenta non lo è mai stata neanche nel cuore degli anni Ottanta. Alle 21.30 circa compare quello striscione, "Reds Animals", in caratteri squadrati, gli stessi che accompagnano tutti gli striscioni del movimento ultras. Dopo il tafferuglio con la polizia, una quindicina di juventini guadagna quasi il terreno di gioco e lo stadio intero applaude la provocazione. È anche una liberazione, perché ormai la voce che a causare gli scontri siano stati i Reds è arrivata ovunque, non solo nelle case degli italiani attraverso i televisori, ma anche nello stadio attraverso il tam tam e il passaparola. Dalle gradinate opposte i tifosi del Liverpool cercano di arrivare verso quelli della Juve per strappargli lo striscione. Tafferugli, poi veri scontri sulla pista d’atletica, gli juventini lanciano pietre e pietre ritornano a loro, la polizia fatica a contenere singoli italiani e inglesi che superano gli sbarramenti delle forze dell’ordine. Ne arriva uno, a pochi metri dalla curva italiana, è alto, baffuto, ha la maglia dei Reds, ma gli va malissimo, una pietra gli apre in due la testa… La sua immagine con la testa fasciata, la faccia insanguinata farà il giro del mondo mentre i poliziotti lo arrestano e gli fanno attraversare tutto il campo di gioco seminando ulteriore rabbia tra le due tifoserie. Un altro gravissimo ferito, e un’altra immagine che fa il giro del mondo, è il povero fotografo scambiato per un tifoso del Liverpool, oppure semplicemente al posto sbagliato nel momento sbagliato. Mentre i poliziotti lo allontanano dalla curva juventina, una pietra, non si sa se destinata agli agenti o a lui, gli ha rotto la nuca. Il lanciatore è un ragazzo di Lecce che verrà arrestato e processato il giorno dopo per direttissima. È in questo caos che arriva la voce di Phil Neal, il grande capitano del Liverpool: ha trentaquattro anni, è preoccupato perché non sa come stia sua moglie Jane, è preoccupato che possano verificarsi altri incidenti, ma, soprattutto, ha sentito il boato del muro che cadeva. È stato tra i primi a intuire che era accaduto qualcosa di grave e probabilmente tragico. Leclaire racconta un cammeo dello spogliatoio del Liverpool, il dissidio tra il giovanissimo Ronnie Whelan che vuole giocare subito e Neal che invece è scosso, è consapevole e dunque terrorizzato da quanto sta avvenendo e dal fatto che attorno a lui molti dei suoi compagni non ne capiscono la gravità, sono ancora bambini. Dopo il messaggio di Neal, che viene letto e recepito male a causa della cattiva acustica dell’altoparlante, è il turno del capitano della Juventus. Gaetano Scirea è un uomo riservato e dal volto sereno, è un grande libero, ruolo poetico e durissimo, l’ultimo uomo davanti al portiere e il primo uomo che fa partire l’azione. Forse il più grande libero della storia del calcio italiano assieme a Giacinto Facchetti e Franco Baresi. Si ritirerà ventiquattro mesi dopo quella partita, come molti altri giocatori ha capito che il calcio è cambiato proprio in quel momento ed è un mondo a cui lui non appartiene. Morirà due anni e mezzo più tardi in un incidente stradale, in Polonia, dove era andato come osservatore juventino per assistere a un incontro della piccola squadra del Górnik contro cui la Juve avrebbe giocato un turno di Coppa Uefa. Di Gaetano Scirea rimarranno per sempre le parole pronunciate nell’altoparlante che rimanda la sua voce rauca e metallica, rotta dall’emozione, al resto dello stadio: "La partita verrà giocata per consentire alla polizia di organizzare la protezione durante l’uscita dallo stadio, non rispondete a provocazioni, restate calmi, giochiamo per voi". Appena finisce l’appello gli animi non si calmano affatto, decine di juventini caricano i poliziotti sotto la curva. È una carica violentissima e disperata, non assomiglia a quella inglese che ha distrutto il settore z, è più discontinua, assomiglia alle immagini che tutti conosciamo degli scontri in piazza negli anni di piombo: uomini imbavagliati, capelli lunghi, sciarpe in faccia, sbarre con cui sbriciolano le colonne dello stadio per procurarsi i pezzi da lanciare. La polizia risponde, e questa volta in maniera durissima. Un cordone di tre file di poliziotti avanza verso la curva sud, e finalmente riesce a riportare una parvenza di ordine. Pochi minuti e le squadre scenderanno in campo per la più assurda partita di sempre. I fili d’erba tornano a essere sovrastati dai loro padroni, le scarpe coi tacchetti percuotono il suolo verde, i chiodi bucano la terra su cui cresce l’erba, il fruscio del cuoio che rotola da una parte e dall’altra diventa, per novanta minuti, nuovamente legittimo proprietario di quel territorio profanato". (RCS Libri S.p.A. © 2015 MILANO)

9 maggio 2015

Fonte: Ilpost.it

La tragedia dell'Heysel nel nuovo libro di Mario Desiati

Il 29 maggio 1985 Mario Desiati ha otto anni ed è felice perché la sera potrà guardare in tv la sua squadra, la Juventus, scendere in campo contro il Liverpool per la finale della Coppa dei Campioni. È La notte dell’innocenza, rievocazione di quella tragica partita allo stadio Heysel di Bruxelles dove persero la vita 39 persone - 32 gli italiani - e oltre 600 rimasero ferite. È il ricordo dello scrittore così come la cronaca "chirurgica" di quelle drammatiche ore per capire se, trent’anni dopo, noi italiani siamo cresciuti. "La notte dell'innocenza" è una ricostruzione chirurgica della diretta che incollò al televisore milioni di italiani sgomenti, impauriti, disgustati; è la rievocazione della partita vista con gli occhi increduli di un bambino, è una riflessione sull'eredità dell'Heysel: cosa ci ha lasciato quella notte di trent'anni fa ?  "Un libro che racconta la tragedia dell'Heysel del 1985 e lo fa attraverso gli occhi di un bambino", dice lo scrittore martinese Mario Desiati. "Ho scritto questo libro pensando a chi non ha mai visto una partita di calcio in vita sua, raccontando come anche i morti dentro uno stadio meritano memoria". o. cri.

23 aprile 2015

Fonte: Lostradone.eu

La strage dell’Heysel rivive nel libro "La notte dell’innocenza"

di Adasso

Heysel 1985, memorie di una tragedia. Da una delle voci più interessanti della narrativa italiana, Mario Desiati, finalista al Premio Strega 2011, la rievocazione toccante e incredula di uno dei momenti più bui dello sport mondiale, nel libro La Notte Dell’Innocenza.

29 maggio 1985. Mario è un bambino di otto anni, felice perché il pomeriggio ha calzato per la prima volta nella sua vita un paio di scarpe da calcio con i tacchetti di ferro ed emozionato perché la sera la sua Juventus contenderà al Liverpool la Coppa dei Campioni nella finale in programma al vecchio stadio Heysel di Bruxelles. Le strade si svuotano, tutto il paese si ferma per assistere alla partita e anche Mario rientra precipitosamente a casa ancora sporco di terra. Accende il televisore sulle ultime note della sigla dell’Eurovisione e non può sapere che all’Heysel si è appena consumata una delle più gravi tragedie della storia del calcio. Non è il solo. Quando la diretta comincia in pochi ne hanno la percezione - a cominciare dal telecronista Bruno Pizzul -, in pochissimi conoscono la verità. Il bilancio finale sarà di trentanove morti e oltre seicento feriti, ma, sia pure in ritardo di un’ora e mezza e in una cornice spettrale, la partita verrà giocata ugualmente. Lo spettacolo non si ferma o meglio, come commentò Michel Platini diversi mesi più tardi, "quando cade l’acrobata, entrano i clown". La notte dell’innocenza è una ricostruzione chirurgica della diretta che incollò al televisore milioni di italiani sgomenti, impauriti, disgustati; è la rievocazione della partita vista con gli occhi increduli di un bambino, è una riflessione sull’eredità dell’Heysel: cosa ci ha lasciato quella notte di trent’anni fa  ? Cos’ha lasciato agli appassionati di calcio, alla nostra cultura sportiva, al Paese tutto e al suo immaginario  ? Siamo cresciuti da allora o siamo rimasti lì, con il calcestruzzo insanguinato che si sgretola sotto i piedi, in uno stadio sempre più desolatamente vuoto.

3 aprile 2015

Fonte: Laltrapagina.it

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