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LIBRI e HEYSEL 2019
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Se Dio non esiste Mauro Papa 2019
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BIBLIOGRAFIA
HEYSEL

Se Dio non esiste di Mauro Papa

Storie e riflessioni sul dramma dell'amianto a Monfalcone

Mauro Papa nasce a Gorizia il 3 maggio del 1979, ma cresce e vive a Monfalcone, dove oggi esercita la professione di avvocato. Nel suo libro d'esordio racconta del dramma dell'amianto a Monfalcone in modo struggente e non convenzionale, tra storia, romanzo e poesia. L'autore descrive ciò che accade nella sua terra, prima guardando la realtà che circonda con gli occhi dell'adolescente, poi dell'adulto ed infine del professionista che ha a che fare con il dramma dal punto di vista forense. Le storie e gli aneddoti che racconta lo portano ad una riflessione più ampia che coinvolge la vita, la natura dell'uomo, il mondo del lavoro, la giustizia. Ne esce la fotografia di una città lacerata dai lutti e dal dolore e sopraffatta dalla ricerca spasmodica del profitto ad ogni costo, anche in spregio alle regole e alla vita umana. Fonte: Etabeta © 2015 Fotografie: Etabeta © Mauro Papa © Icona: Itcleanpng.com ©

 

Mauro e l'Heysel

Tratto dal libro di Mauro Papa "Se Dio non esiste" (Storie e riflessioni sul dramma dell'amianto a Monfalcone) il brano che riguarda la memoria infantile dell'autore sulla strage dello Stadio "Heysel" di Bruxelles nel 1985.

Il sabato pomeriggio d'estate spesso andavo con i miei genitori in campagna a casa di Adelchi, il fratello di un grande centrocampista dal piede educato, e non solo. Il profumo della griglia, le partite di calcio con i fratelli della mia amica del cuore, l'anguria gigante messa inutilmente per ore sotto il rubinetto della vasca da bagno a raffreddarsi. E arrivava la sera. Il canto delle cicale risuonava ovunque, respiravo felicità fino ad inebriarmi di emozione. La mia angoscia in quegli anni era rivolta alla difficile risalita della mia squadra dopo la fine dell'epopea bonipertiana, e le discussioni a tavola vertevano sulle difficoltà di competere con i nuovi ricchi del calcio. La mia passione era talmente atavica e profonda che, dopo molte insistenze, costrinsi papà a portarmi a vedere la mia Juventus allo stadio, a poca distanza da casa. I giorni precedenti ebbi un febbrone da zebra, e la tensione mi consumava a tal punto che cercai di simulare ora dopo ora una repentina guarigione, con i miei che, pur un po’ preoccupati, mi assecondarono. "Ti vidi la prima volta dei colori della Tua città vestita, nel giallo e blu di un novembre in cui più di cent' anni fa sei nata. Elegante, irraggiungibile e indomita, come uscita da un sogno in bianco e nero. Emozione eterna per quei colori, oggi come allora, da quella Panchina al Mondo intero, che ti guarda, spesso con invidia, perché vorrebbe essere come Te, mia Vecchia Signora". Ben presto capii che anche quel mondo era bacato, perché appena entrato allo stadio e sedutomi al mio posto, con il cuore palpitante ed in preda alla trepidazione, non potei non notare uno striscione enorme che capeggiava il settore dei tifosi di casa con su scritto "29.5.1985: Grazie Liverpool". Mi porto ancora nella mente ben impresse quelle parole e quell'immagine, nonostante mio padre, vedendomi scosso, cercò di liquidare da subito la questione evidenziandomi la pochezza degli autori di quel gesto. Non ci riuscì affatto. Nonostante fossi molto giovane, ciò che era accaduto nel Settore Z quella notte di maggio me lo ricordavo bene, tanto che ero stato fino a tardi davanti alla televisione, in preda allo sconforto. Con il tempo scoprii che la pochezza di quei tifosi era un sentimento inaspettatamente diffuso nei vari strati della società. Tramandato da generazioni non solo negli stadi o nelle adiacenze di essi. Ricordo con nettezza che quel giorno un vecchio in giacca e cravatta seduto dietro a noi, e con cui mi ero improvvidamente messo a parlare di calcio, trascesa un po’ la discussione sul piano tecnico ed infastidito dalla stessa, mi disse "L'avete vinta solo coi morti". Avevo 9 anni. Il germe del pregiudizio, dell'intolleranza e della cieca acrimonia è latente nella società, e viene celato, da alcuni, attraverso il perbenismo e il moralismo davanti a episodi di violenza, che loro stessi hanno contribuito, in modo indiretto, ad alimentare. E allora quella tragedia diventa il pretesto per sputare ancora fiele: "Non dovevate festeggiarla" - "Restituitela" - "Ve l'hanno regalata". Mi è capitato più volte di leggere degli articoli su quella notte maledetta in cui l'autore indispettito per l'eccidio perpetrato, per la follia di un gruppo e per l'inefficienza organizzativa, finisse per pontificare sulla mancata restituzione della coppa e sull'inopportunità di alcuni comportamenti dei giocatori e della società. "Mezzi delinquenti", "Ladri", "Dopati", "Mafiosi", "-39", ho udito in più stadi, ma ho anche letto, sentito dire e subito: "Anche una lacrima è scesa per l'Heysel: Juventini, ma italiani". Quel pomeriggio il bambino non si lasciò sopraffare da quella violenza, e dopo un primo momento di smarrimento, inquietudine e rabbia, si abbandonò al gioco, l'emozione e l'orgoglio. Le sole vittime di quella follia sono i familiari dei 39 caduti, condannati per l'eternità dalle miserie umane. Morì anche un bambino, Andrea, che aveva la mia stessa età, in quel tardo pomeriggio in cui vidi, per la prima volta, fin dove poteva spingersi la perversione umana. "L'uomo è l'unico animale che arrossisce, ma è l'unico ad averne bisogno ?" (Mark Twain). I familiari dei caduti attendono ancora giustizia. (NdR: Si ringrazia cordialemente Mauro Papa per l’amichevole ed esclusiva concessione del brano tratto dal suo libro "Se Dio non esiste". È severamente vietato diffondere e/o riprodurre a terzi questo testo). Fonte: Etabeta © 27 novembre 2019 Fotografie: Mauro Papa © GETTY IMAGES © (Not for commercial use) © Legambientefvg.it © Etabeta © Icona: Itcleanpng.com ©

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