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MAURO PAPA
"Se Dio non esiste"
Storie e riflessioni
sul dramma dell'amianto a Monfalcone.
Mauro Papa nasce a Gorizia il 3
maggio del 1979, ma cresce e vive a Monfalcone, dove
oggi esercita la professione di avvocato. Nel suo libro
d'esordio racconta del dramma dell'amianto a Monfalcone
in modo struggente e non convenzionale, tra storia,
romanzo e poesia. L'autore descrive ciò che accade nella
sua terra, prima guardando la realtà che circonda con
gli occhi dell'adolescente, poi dell'adulto ed infine
del professionista che ha a che fare con il dramma dal
punto di vista forense. Le storie e gli aneddoti che
racconta lo portano ad una riflessione più ampia che
coinvolge la vita, la natura dell'uomo, il mondo del
lavoro, la giustizia. Ne esce la fotografia di una città
lacerata dai lutti e dal dolore e sopraffatta dalla
ricerca spasmodica del profitto ad ogni costo, anche in
spregio alle regole e alla vita umana.
Fonte:
Etabeta
Fotografie:
Ilfriuli.it - Associazioneitalianaespostiamianto.org
Mauro e l'Heysel
Tratto dal libro di
Mauro Papa "Se Dio non esiste" (Storie e riflessioni sul
dramma dell'amianto a Monfalcone) il brano che riguarda
la memoria infantile dell'autore sulla strage dello
Stadio "Heysel" di Bruxelles nel 1985.
Il sabato pomeriggio d'estate
spesso andavo con i miei genitori in campagna a casa di
Adelchi, il fratello di un grande centrocampista dal
piede educato, e non solo. Il profumo della griglia, le
partite di calcio con i fratelli della mia amica del
cuore, l'anguria gigante messa inutilmente per ore sotto
il rubinetto della vasca da bagno a raffreddarsi. E
arrivava la sera. Il canto delle cicale risuonava
ovunque, respiravo felicità fino ad inebriarmi di
emozione. La mia angoscia in quegli anni era rivolta
alla difficile risalita della mia squadra dopo la fine
dell'epopea bonipertiana, e le discussioni a tavola
vertevano sulle difficoltà di competere con i nuovi
ricchi del calcio. La mia passione era talmente atavica
e profonda che, dopo molte insistenze, costrinsi papà a
portarmi a vedere la mia Juventus allo stadio, a poca
distanza da casa. I giorni precedenti ebbi un febbrone
da zebra, e la tensione mi consumava a tal punto che
cercai di simulare ora dopo ora una repentina
guarigione, con i miei che, pur un po’ preoccupati, mi
assecondarono.
"Ti vidi la prima volta dei
colori della Tua città vestita, nel giallo e blu di un
novembre in cui più di cent' anni fa sei nata. Elegante,
irraggiungibile e indomita, come uscita da un sogno in
bianco e nero. Emozione eterna per quei colori, oggi
come allora, da quella Panchina al Mondo intero, che ti
guarda, spesso con invidia, perché vorrebbe essere come
Te, mia Vecchia Signora".
Ben presto capii che anche quel
mondo era bacato, perché appena entrato allo stadio e
sedutomi al mio posto, con il cuore palpitante ed in
preda alla trepidazione, non potei non notare uno
striscione enorme che capeggiava il settore dei tifosi
di casa con su scritto "29.5.1985: Grazie Liverpool". Mi
porto ancora nella mente ben impresse quelle parole e
quell'immagine, nonostante mio padre, vedendomi scosso,
cercò di liquidare da subito la questione evidenziandomi
la pochezza degli autori di quel gesto. Non ci riuscì
affatto. Nonostante fossi molto giovane, ciò che era
accaduto nel Settore Z quella notte di maggio me lo
ricordavo bene, tanto che ero stato fino a tardi davanti
alla televisione, in preda allo sconforto. Con il tempo
scoprii che la pochezza di quei tifosi era un sentimento
inaspettatamente diffuso nei vari strati della società.
Tramandato da generazioni non solo negli stadi o nelle
adiacenze di essi. Ricordo con nettezza che quel giorno
un vecchio in giacca e
cravatta
seduto dietro a noi, e con cui mi ero improvvidamente
messo a parlare di calcio, trascesa un po’ la
discussione sul piano tecnico ed infastidito dalla
stessa, mi disse "L'avete vinta solo coi morti". Avevo 9
anni. Il germe del pregiudizio, dell'intolleranza e
della cieca acrimonia è latente nella società, e viene
celato, da alcuni, attraverso il perbenismo e il
moralismo davanti a episodi di violenza, che loro stessi
hanno contribuito, in modo indiretto, ad alimentare. E
allora quella tragedia diventa il pretesto per sputare
ancora fiele: "Non dovevate festeggiarla" -
"Restituitela" - "Ve l'hanno regalata". Mi è capitato
più volte di leggere degli articoli su quella notte
maledetta in cui l'autore indispettito per l'eccidio
perpetrato, per la follia di un gruppo e per
l'inefficienza organizzativa, finisse per pontificare
sulla mancata restituzione della coppa e
sull'inopportunità di alcuni comportamenti dei giocatori
e della società. "Mezzi delinquenti", "Ladri", "Dopati",
"Mafiosi", "-39", ho udito in più stadi, ma ho anche
letto, sentito dire e subito: "Anche una lacrima è scesa
per l'Heysel: Juventini, ma italiani". Quel pomeriggio
il bambino non si lasciò sopraffare da quella violenza,
e dopo un primo momento di smarrimento, inquietudine e
rabbia, si abbandonò al gioco, l'emozione e l'orgoglio.
Le sole vittime di quella follia sono i familiari dei 39
caduti, condannati per l'eternità dalle miserie umane.
Morì anche un bambino, Andrea, che aveva la mia stessa
età, in quel tardo pomeriggio in cui vidi, per la prima
volta, fin dove poteva spingersi la perversione umana.
"L'uomo è l'unico animale che arrossisce, ma è l'unico
ad averne bisogno ?" (Mark Twain). I familiari dei
caduti attendono ancora giustizia.
27 novembre 2019
Fonte: Dal Libro edito da Etabeta

N.B. Si
ringrazia cordialmente Mauro Papa per l’amichevole
ed esclusiva concessione del brano tratto dal suo
libro "Se Dio non esiste". È severamente vietato
diffondere e/o riprodurre a terzi questo testo.
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