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LIBRI e HEYSEL 2010
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Quando cade l'acrobata... Walter Veltroni 2010
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BIBLIOGRAFIA
HEYSEL
 

"Quando cade l'acrobata, entrano i clown"

di Walter Veltroni

È notte. Un uomo è sul terrazzo di una stanza d’albergo sul mare; è qui per festeggiare il suo decimo anniversario di matrimonio. La donna dorme. L’uomo ripensa alla loro storia d’amore, a una relazione costruita sulla sincerità. Ritorna con il pensiero agli anni trascorsi e a un’unica bugia: un viaggio. Aveva mentito sulla destinazione, per vedere una partita di calcio: la finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool, a Bruxelles. L’uomo ripensa a quella partita, allo stadio malandato dove si svolgeva, l’Heysel. Ritorna al dramma di una vicenda che doveva essere allegra e giocosa, grandi e bambini insieme per condividere una passione. E che invece era diventata una battaglia, un insensato perdersi della ragione nella cecità della violenza. La parola Heysel avrebbe da allora significato morte: 39 morti e seicento feriti innocenti. Una strage immane per una partita di calcio, una ferita aperta e non più rimarginata. Nonostante la strage fosse già consumata, si era deciso, per motivi di sicurezza, di giocare egualmente. Walter Veltroni ci offre con questo libro un toccante monologo, una narrazione lirica volta a ricordare una strage assurda, che ha stravolto tutto ciò che di positivo lo sport rappresenta. E lo fa con misura, attraverso lo sguardo commovente di una storia d’amore. Fonte: Einaudi © 30 aprile 2010 Fotografie: Einaudi © Rtl.it © Icona: Itcleanpng.com ©

 

Modena Estate 2010: "Memorie di Sport" con Walter Veltroni

Pierluigi Senator intervista Walter Veltroni a Modena il 22 luglio 2010 nel Chiostro di Palazzo Santa Margherita all'interno della manifestazione "Memorie di Sport - Sportivo + Aperitivo" patrocinato dal Comune di Modena con il contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. 29 maggio 1985, la strage dell'Heysel segna per sempre la storia del calcio e della tifoseria. Walter Veltroni fa riemergere un trauma, un evento impresso indelebilmente nella memoria per assurdità e violenza nel suo romanzo "Quando cade l'acrobata, entrano i clown" (Einaudi, 2010), dedicato alla tragedia di Bruxelles. Fonte: Vimeo.com © 22 Luglio 2010 (Testo © Video) Icona: Itcleanpng.com ©

 

Quando cade l’acrobata, entra il Walter

di Giuseppe Ottomano

"Quando cade l’acrobata, entrano i clown" è stato l’amaro commento di Michel Platini, al termine di quella che si è rivelata una delle più orrende giornate per il calcio e per lo sport: il 29 maggio 1985 allo Stadio Heysel di Bruxelles, la sera della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. La dinamica della tragedia è nota ormai a tutti o quasi. Gli hooligans inglesi sfondarono la debole rete di recinzione tra la curva dove erano stati confinati e il settore degli spettatori neutrali: il famigerato settore Z, occupato però per la maggior parte da tifosi juventini non organizzati, ossia da normalissimi sportivi, spinti a Bruxelles dall’amore per il calcio, e giunti laggiù per con mezzi propri e in ordine sparso. L’invasione di quella zona degli spalti da parte dell’orda di teppisti inglesi aveva seminato il panico tra i presenti, che per sfuggire a quella furia devastante erano stati costretti ad arretrare in massa verso il muretto divisorio nel lato più lontano. Sia la fuga scomposta verso una inesistente via d’uscita, che lo schiacciamento dei corpi contro la parete del muretto, e infine il crollo di quest’ultimo, avevano provocato la morte di 39 innocenti, 32 dei quali di nazionalità italiana. Alla tragedia dell’Heysel sono stati dedicati documentari televisivi, libri e articoli su riviste e giornali, grondanti di drammatica intensità, e caratterizzati da complesse, laboriose ed accurate ricostruzioni ed analisi dei fatti. Oggi possiamo aggiungere un tassello al mosaico della letteratura su questa tragedia, poiché da qualche settimana è arrivata nelle librerie una novità editoriale, pubblicata da Einaudi: "Quando cade l’acrobata, entrano i clown - Heysel, l’ultima partita", a firma di Walter Veltroni. Sono 64 pagine scritte in forma di narrativa lirica, sostanzialmente una lunga poesia, ma più che una poesia è un’ode, strutturata in quintine a metrica libera, che secondo i progetti dell’autore dovrebbe essere oggetto di una rappresentazione teatrale in forma di monologo già questa estate. Mediamente ognuna delle 64 pagine contiene 3 strofe, di 5 versi l’una, i quali a loro volta sono composti, sempre in media, da 5 parole. Quindi, calcolatrice alla mano, questa prima luce veltroniana nel campo della poesia contiene meno di 5.000 parole. Per dare un’idea di lunghezza: quella di un paio di articoli su questo sito. Ma, come tutti sappiamo, il valore della poesia non si può giudicare dall’estensione dei versi. Sarà anche un fatto che la Divina Commedia si compone di più di 14.000 versi, pari a circa 85.000 parole, mentre l’Iliade di versi ne ha quasi 16.000, per un totale di quasi 100.000 parole. Ma Giuseppe Ungaretti, che come il nostro Vate Walter non legava la propria metrica a quella asfissiante camicia di forza chiamata rima, ci ha insegnato che anche un solo verso non rimato, quando immortale, può illuminarci di immenso. Eppure nell’ode del nostro poeta, nonché Walter e nonché Vate, più che lo spirito remoto dell’Ungaretti, aleggia la presenza molto più prossima del Baglioni più crepuscolare, come si può notare in questa quintina di nostalgia e riflessione sulla gioventù: Conoscere il mondo delle cose E quello dei sentimenti. Conoscere la meraviglia di scogliere lontane.

 

E di mari all’alba e di risate sfrenate. E di amicizie infinite e di amori di un’ora. Se ci fossero state anche le "sere d’estate, il mare, i giochi, le fate", un’occhiata distratta lo avrebbe potuto scambiare per Questo piccolo grande amore, ma questa non è musica leggera: è letteratura. In quest’altra strofa, invece, dipingendo l’apparizione della squadra del cuore in vestiti borghesi sul campo dell’Heysel, anche lo spirito crepuscolare del Baglioni (che perlomeno si sforzava di verseggiare in rima) si scioglie come neve al sole, per lasciare il posto a quello più naif dell’ultimo erede di casa Savoia, rivelatosi anch’egli un poeta in tempi a noi vicini: Sono vestiti in maniera elegante. Qualcuno guarda da questa parte. Come sono rossi i capelli di Boniek. E Cabrini, quant’è bello. Tardelli ci saluta, ricambiamo. Il poema non si limita a questo, ovviamente; ed altri passi appaiono un po’ meno stucchevoli, anche se solo volando come Peter Pan, con le ali invisibili della fantasia, i versi più azzeccati possono essere definiti poesia. Questo è un parere ovviamente molto personale ed anche molto isolato, ed è il caso di dirlo. Infatti, alla critica di casa nostra il libro/poema del Veltroni è piaciuto tantissimo, ed ascoltandone i commenti, si può spaziare da quelli più entusiasti di Michele Serra ("Più che un monologo è un capolavoro"), ad altri solo moderatamente entusiasti, come per il comico Paolo Rossi ("Più che un capolavoro è un libro"), passando addirittura per lo sdoganamento ufficiale da parte degli avversari politici, rappresentati da Pietrangelo Buttafuoco, che sulla rivista nemica Panorama, ha scritto che "Lui è l’artista, non il politico". Con queste parole giungiamo all’eterno dilemma dei nostri giorni: ovvero se il Vate Walter sia peggio come politico o come artista. Ma sarebbe come chiederci se è nato prima l’uovo o la gallina, e il dilemma resterebbe comunque irrimediabilmente irrisolto. Eppure, dopo avere attraversato la foresta pluviale di buoni sentimenti e reiterate lezioni di educazione civica formato discount, di cui il poema è pervaso, il completamento della lettura dell’ode, che richiede circa una mezz’ora se non si ha tanta fretta, non lascia affatto indifferenti. E nel chiudere il libro/opuscolo/ode, e nel riporlo tra gli scaffali della libreria di casa, si può avvertire un incontenibile desiderio di aprire la finestra della stanza, e colloquiare con una folla immaginaria, con lo sguardo verso l’alto, incantati da una cornice di stelle che trapuntano il cielo limpido della sera: "Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera. Osservatela in alto, a guardare questo spettacolo. Accoglietela di buon animo. Questa sera lo spettacolo offertomi è tale da restare ancora nella mia memoria, come resterà nella vostra. Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite "Questa è la carezza di Veltroni". Troverete qualche lacrima da asciugare. Dite una parola buona: "Veltroni è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza". (Dal "Discorso alla luna" di Papa Giovanni XXIII, 11 ottobre 1962: riveduto soltanto in alcuni punti del tutto marginali) Fonte: Sportvintage.it © 10 giugno 2010   Fotografie: Nientepopcorn.b-cdn.net © Einaudi © GETTY IMAGES © (Not for commercial use) Icona: Itcleanpng.com ©

 

Il campo maledetto

di Alessia Mea

Oggi sono qui a parlarvi di un "campo maledetto". Sto parlando del campo di Heysel, nel Belgio, nel quale, il 29 maggio 1985, morirono 39 persone e ne vennero ferite 600. In questo campo si dovevano sfidare, per vincere la coppa della Champions League, Juventus e Liverpool. Già prima dell'incontro lo stadio si riempì di tifosi e, per una vendita sbagliata di biglietti, nella sezione Z si trovarono mischiati o meglio separati da una semplice rete di metallo e da quattro poliziotti, i tifosi della Juve e del Liverpool. Ci tengo a precisare che quei campi erano molto mal strutturati, perché non esisteva una rete che separava il campo dai tifosi, come c'è ora, e inoltre il sistema di sicurezza di quel tempo era scadente, al contrario di oggi. Tutto si svolgeva per il meglio, quando, alcuni tifosi del Liverpool sorpassarono i poliziotti e si accanirono sopra la rete che li separava dai tifosi avversari; fecero di tutto per sfondarla, ci riuscirono e forse ubriachi cacciarono dalle tasche bastoni e vari oggetti per colpire e far del male. Arrabbiati con gli juventini, si dimenarono contro di loro, li colpirono e ovviamente in tutto questo non mancò il sangue. Tutti i tifosi juventini ancora vivi non sapevano come fare per sfuggire a tanto odio, perché davanti avevano i tifosi del Liverpool, dietro un muro e di lato delle transenne e dei poliziotti che non agivano, che erano lì con aria strafottente !!! Tutti gli juventini cominciarono a spingersi tra di loro verso il muro e alcuni morirono schiacciati e asfissiati, dopo un po' il muro non resse più e cedette, parecchi morirono e cadendo giù fecero una bruttissima fine !!! La cosa davvero più spiacevole fu che, dopo tre ore, la partita si giocò ugualmente e venne assegnata anche la coppa alla squadra vincitrice, cioè alla Juventus. Vi parlo ora di questo perché siamo nel periodo dei mondiali, ma anche perché il 17 giugno scorso, qui a Veglie, al Convento dei Francescani, è stato presente Walter Veltroni, per inaugurare la "settimana della cultura" e per presentare il suo ultimo libro "Quando cade l'acrobata entrano i clown". Io in una serata sono riuscita a leggerlo e ve lo consiglio, è un libro che parla appunto di questa tragedia e il titolo vuol significare che quel giorno maledetto si verificò la stessa cosa che accade solitamente in un circo: quando cade un acrobata, entrano i clown per distrarre le persone. Lo stesso avvenne quel giorno, la strage era l'acrobata caduto e la partita giocata immediatamente dopo rappresentava l'entrata dei clown. La partita, infatti, si giocò per distrarre la gente da quanto era successo, ma anche per non far uscire dal campo tutti i tifosi contemporaneamente, perché c'era ancora tanta paura che gli scontri potessero continuare fuori dal campo !!!

Veltroni, nel suo libro, racconta di un uomo che aveva detto alla moglie che andava a Londra per festeggiare un addio al celibato con i suoi amici, invece si era recato in Belgio per vedere quella partita. Da lì lui tornò sano e salvo per sua fortuna, ma quando arrivò a casa non ebbe il coraggio di confessare tutto a sua moglie, perché si vergognava, aveva paura di rivivere quei momenti di terrore. Una notte, mentre era a letto con la moglie, lui trovò il coraggio di parlarle, nonostante lei dormisse. Le spiegò tutto, però dentro di sé sentiva di averla tradita, non raccontandole cosa avesse veramente fatto quel giorno !!! Veltroni è riuscito ad immedesimarsi molto bene nel personaggio, come se lui fosse stato presente ai fatti. Il libro ha una capacità pazzesca di trasportare il lettore in quei tempi e io, che ho solo dodici anni, sono riuscita ad immaginare quanto è accaduto. Mi chiedo perché questi avranno fatto del male, forse erano ubriachi ??? Mi sono rimaste impresse le parole che ha detto Veltroni, ad esempio, che per lui il circo è il peggior passatempo perché si vedono gli animali in gabbia a soffrire. Nel suo libro paragona quello stadio ad un circo e i tifosi del Liverpool a delle bestie inferocite, lasciate libere, mentre il domatore se ne va ridendo (il domatore sarebbe il poliziotto che non pensa a cosa succede, anzi guarda con aria strafottente) e il pubblico rimane lì immobile, non sa che fare davanti a tutte quelle belve e, preso dal panico, muore al primo colpo !!! Per Veltroni il calcio è solo un gioco che tutti seguiamo, a volte solo per passare le serate con gli amici, ci possono essere i tifosi più "fissati", però a tal punto da uccidere no ! Il calcio è uno sport che fa ritornare gli adulti bambini e che fa ricordare cosa vuol dire fare festa e cosa vuol dire non farne, è questo il calcio: un gioco !!! Penso che parecchi di voi condividano questo pensiero e queste riflessioni e che anche un politico come Veltroni possa pensare questo !!! Ora concludo dicendo che il calcio non deve essere visto come un'occasione di odio verso gli altri, ma piuttosto come una nuova opportunità di amicizia. Credo che sia bellissimo che dei ragazzi si scambino idee sulle loro squadre o sul loro sport preferito. Ricordate: il calcio è un gioco di pace e non di guerra !!! Alessia Mea (1^ media) Fonte: Controvoci.it © 1 giugno 2010  Fotografia: Einaudi © © GETTY IMAGES © (Not for commercial use) Icona: Itcleanpng.com ©

 

Heysel, con Veltroni e Caremani

Presso la Sala delle Feste del Consiglio regionale della Toscana, in Via Cavour 18 a Firenze, Walter Veltroni e Francesco Caremani presentano i loro libri: "Quando cade l’acrobata, entrano i clown" e "HEYSEL le verità di una strage annunciata", 25 anni dopo la strage di Bruxelles, prima della finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool. Sarà presente Andrea Lorentini, giornalista e figlio di Roberto, vittima della curva Z e medaglia d’argento al valor civile, per essere morto mentre tentava di salvare un connazionale. Coordinerà il Consigliere regionale Enzo Brogi. Il 29 maggio 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles, prima della finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool, sono morte 39 persone. Muoiono nel settore Z, schiacciate e soffocate dalla calca, sotto i colpi degli hooligans inglesi instupiditi dall’alcool, con la connivenza decisiva delle autorità belghe, della polizia locale e dell’Uefa, incapaci di prevedere e d’intervenire. Una tragedia annunciata che si è abbattuta con disperante drammaticità sul calcio come sport e sulle coscienze di tutti noi come uomini prim’ancora che come sportivi. Una ferita aperta e mai rimarginata, perché non si può e non si deve morire di calcio. Quattro le vittime toscane: Bruno Balli di Prato, Giuseppina Conti di Arezzo, Giancarlo Gonnelli di Ponsacco e Roberto Lorentini di Arezzo. Da quei drammatici ricordi sono nati due libri, quello di Francesco Caremani, giornalista aretino, che ha ripercorso la cronaca del durante e, soprattutto, del dopo Heysel, e l’altro dell’Onorevole Walter Veltroni, scritto come monologo teatrale, in onore alla memoria delle 39 vittime. Per ricordare ciò che l’ambiente calcio ha cercato troppo spesso e troppo in fretta di dimenticare. Fonte: Magazine.enzobrogi.it © 31 Maggio 2010  Fotografia: Francesco Caremani © Icona: Itcleanpng.com ©

 

Il clown

di Christian Raimo

Una decina di giorni fa è accaduto, in sordina, un piccolo evento politico mascherato da altro. È uscito "Quando cade l’acrobata, entrano i clown", l’ultimo libro di Walter Veltroni. Come recita la quarta di copertina: ex-direttore dell’Unità, ex-vicepresidente del consiglio, ex-sindaco di Roma, ex-segretario dei Ds, ex-segretario del Pd, ex-candidato premier. Ma come spesso accade per la produzione veltroniana, il libro non è un saggio di analisi sociale né un memoir sull’esperienza di sindaco a Roma né un pamphlet sulla crisi della sinistra. La quarta di copertina dichiara invece che siamo di fronte a un monologo teatrale (l’argomento è la tragedia dell’Heysel, lo stadio belga dove nel 1985 morirono trentanove tifosi nella finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool). Ma anche la definizione di monologo teatrale è leggermente fuorviante se uno sfoglia il libro, che è in realtà è un poemetto di circa cento stanze di quattro cinque versi sciolti ognuno, con le maiuscole a ogni a capo. Poesia, insomma. Il primo libro di poesia di Walter Veltroni. Il quale ha incarnato, oltre i vari ruoli politici ricordati, anche quelli dell’autore poliedrico: critico cinematografico e musicale, curatore di libri disparati, biografo, romanziere. E adesso, come se la cava come poeta ? Che stile usa per confrontarsi con questa dolorosa vicenda di venticinque anni fa: una partita di calcio che non venne interrotta né oscurata alla televisione nonostante si fosse trasformata in un massacro ? Veltroni s’impegna, cerca di rendere onore ai morti calcando sul registro lirico, fa leva sul senso di empatia che questo trauma collettivo ha suscitato. Ma se anche l’intenzione può essere lodevole, il risultato è purtroppo penoso. Penoso che vuol dire: imbarazzante, stra-retorico, incomprensibile, ridicolo. Un versificare adolescenziale, ingolfato, bolso che associato al nome Walter Veltroni crea un involontario risultato comico; quando non grottesco, trattandosi di morti a cui rendere omaggio. Ci sono immagini come questa: Da quel giorno alla parola giocare si trova, come sinonimo, morire. / Un mondo che non è capace di giocare è condannato all’infelicità. / E alla violenza. / Quella che ruba la vita e prende a bottigliate il futuro. Ci sono versi in cui l’andatura prosastica diventa un po’ insostenibile: Boniek tocca a Paolo Rossi ma la palla è oscurata da un sei. / 0636911-399707-3960781-3962772 / Migliaia di matite, migliaia di fogli di carta, sono volati in quella notte di mano in mano / Nelle case degli italiani che avevano ascoltato la voce sicura di Bruno Pizzul. Ci sono associazioni presuntamente suggestive ma francamente difficili da decifrare: Cominciano a volare degli oggetti. / Sono aste di bandiere, anacronistici ombrelli.

 

Ci sono versi icastici che stentano a non risultare caricaturali: Il dolore, viene proclamato verso la fine, non è un ciao. L’effetto generale è quello di un libro di poesia di Kipli, le poesie che Corrado Guzzanti leggeva ad Avanzi vent’anni fa; una poesia parodica, che si serve degli stilemi poetici per fare altro. Purtroppo però qui l’autore è in buona fede: vuole affabulare e commuovere. Ma come già era accaduto in altri libri di Veltroni, il peso del contenuto drammatico non compensa l’assoluto deficit dello stile. Perché effettivamente lo scrittore Veltroni non è uno scrittore leggero, anzi nella sua opera si racconta spesso di morti: dei desaparecidos in Senza Patricio, dei morti del terrorismo nella Scoperta dell’alba, dei morti per consunzione nel Disco del mondo, breve vita di Luca Flores, musicista. Il suo afflato memorialistico, luttuoso, si nutre di un lessico tutto virato al lirico, all’allusivo, al metaforico, all’elisione. Ma gli scivoloni retorici si susseguono senza tregua, perché certo è difficile parlare dei morti, tanto più delle tragedie collettive. Come chiosava giustamente Vonnegut in calce a Mattatoio numero cinque: Cosa si può dire di intelligente su un massacro ? Ma soprattutto - è questo che si può rimproverare al Veltroni scrittore - rendere omaggio a chi è scomparso non ci dovrebbe esimere dal compito di fare i conti con chi che è rimasto, invece. Occorre parlare dei feriti, occuparsi dei feriti a morte; come urlava Carmelo Bene dalla Torre degli Asinelli nella sua Lectura Dantis dedicata ai superstiti della strage della stazione di Bologna nel 1981. Ma il dato più significativo è quello che questo libro cela: la tanatofilia letteraria veltroniana occulta una più seria responsabilità, quella politica. Veltroni, come ricorda la sua non breve biografia, ha ricevuto negli ultimi anni diversi mandati - a sindaco di Roma, a leader democratico, a leader dell’opposizione; mandati di cui nel momento della sconfitta si è disfatto, senza un rigo di elaborazione personale sul significato di questo fallimento. Ora, sarebbe auspicabile che sia giunto il tempo di confrontarsi con quello che gli chiedono i milioni di lettori che l’hanno votato: un’elaborazione di questo fallimento collettivo recente, non la rivisitazione poetica di lutti dissepolti dalla memoria. I morti dell’Heysel riposino in pace, la valle di lacrime di cui occuparsi è sotto gli occhi. Fonte: Minimaetmoralia.it © 17 maggio 2010 Fotografie: Imagenes.diariodevalladolid.es © Consiglio Regionale Toscana © Icona: Itcleanpng.com ©

 

Quella sera all'Heysel

di Alessandra Stoppini

"Quando cade l’acrobata, entrano i clown" è la frase che pronunciò Michel Platini per giustificare l’esultanza per il rigore e il giro di campo nella tragica finale di Coppa dei Campioni che la Juventus disputò contro la squadra inglese del Liverpool nello stadio Heysel di Bruxelles il 29 maggio 1985. Walter Veltroni ha composto un monologo teatrale su questa partita costata la morte a trentanove tifosi e che vide la squadra juventina vincere la sua prima Coppa dei Campioni "perché noi vinceremo, siamo i più forti". Con questa carneficina lo sport però non aveva niente da spartire. L’opera in versi a metro libero sarà portata in scena da Daniele Formica l’8 luglio sul palcoscenico del Ravello Festival, musiche di Riccardo Panfili. "L’idea mi è arrivata dal direttore del Festival Stefano Valanzuolo. Mi confidò di aver dedicato l’edizione 2010 al tema della follia, e quale esempio più concreto della mattanza di Bruxelles ?". Così ha dichiarato Veltroni in un’intervista al quotidiano La Stampa lo scorso 21 marzo. Il protagonista del monologo (che non ha nome e con il quale l’autore si identifica) dieci anni dopo quella drammatica vicenda si ritrova davanti ai fantasmi del proprio passato: "se ora posso parlarti in silenzio, è perché il leone ha ucciso altri e non me". Non è mai riuscito a confessare alla propria moglie che lui accanito tifoso bianconero era andato alla vigilia delle loro nozze in Belgio per assistere alla partita e quindi si era trovato dentro quella bolgia dantesca. "Non ti ho mentito, ho taciuto. Vado a Londra con gli amici… ". "Abbiamo festeggiato bene il nostro anniversario di matrimonio. Dieci anni condivisi". Di fronte al mare siciliano su una terrazza di una stanza d’albergo "che è come un pontile" prova a confessare alla moglie che dorme tutti i suoi rimorsi, il proprio senso di colpa "un bagaglio incollato al cuore, una scimmia che non lascia un attimo le tue spalle dolenti. L’autore, tifoso juventino che allora assistette inorridito allo svolgersi del dramma davanti alla televisione, attraverso i ricordi del protagonista compie la telecronaca degli avvenimenti che scatenarono la follia. La struttura dello stadio era fatiscente: priva di adeguate uscite di sicurezza, muretti divisori vecchi e fragili, tribune sgretolate "quella curva sembrava sbriciolarsi solo a toccarla". Con queste fosche premesse e "con cinque gendarmi a presidiare la curva maledetta e per giunta con i walkie - talkie scassati", circa un’ora prima dell’inizio della partita i tifosi del Liverpool "esercito pronto per la guerra" cominciarono a spingersi a ondate verso il settore Z nel quale si trovavano i tifosi italiani che si erano organizzati autonomamente. La bestiale tecnica degli hooligan era quella tristemente nota del take an end cioè prendi la curva. In tal modo furono sfondate le inadeguate reti metalliche divisorie "da pollaio". Gli spettatori spaventati arretrarono contro il muro opposto, nella grande ressa per evitare di rimanere schiacciati ci fu chi si lanciò nel vuoto, chi scavalcò entrando nel settore accanto e chi si ferì nelle recinzioni "hanno sfondato, siamo vittime e loro carnefici". Il muro inevitabilmente crollò e le persone furono travolte "erano corpi sotto altri, nulla di più". Le forze dell’ordine belga e i dirigenti UEFA decisero che la partita dovesse svolgersi ugualmente per evitare altri disordini "una voce che conosco dice in italiano che la partita si farà, è il nostro capitano". Leggendo il libro tutto ritorna in mente, la partita disputata dai ventidue gladiatori dentro l’arena maledetta costretti a giocare in un’atmosfera irreale, da incubo, con sottofondo le sirene della ambulanze. I sogni muoiono all’alba ma quella sera si spensero prima, perché all’Heysel si assistette a una delle pagine più nefaste del calcio di tutti i tempi. Chi voleva partecipare a uno spettacolo sportivo che premia le migliori squadre europee, fu testimone e pagò con la propria vita l’insensatezza di chi si divertì a giocare con le esistenze altrui "vittime innocenti, vive o morte". "Massacro per una coppa" così titolò il giorno dopo Il Corriere della Sera. Un monologo che emoziona che colpisce le coscienze di ciascuno di noi. Nella pagina dei ringraziamenti Veltroni cita "uno dei siti che testimoniano l’amore dei tifosi juventini per quelle vittime": www.saladellamemoriaheysel.it museo multimediale virtuale che raccoglie molti contenuti su quello che accadde quella sera allo stadio Heysel. Trentanove sono stati i morti dei quali trentadue italiani, quattro belgi, due francesi e un irlandese e più di seicento feriti. Per non dimenticare perché stragi inutili come questa non debbano più ripetersi. "Era di maggio, ero un ragazzo". Fonte: Ilrecensore.com © 14 maggio 2010 Video: Exora.net © Icona: Itcleanpng.com ©

 

La tragedia dell'Heysel raccontata da Veltroni

di Matteo Acmè

Era il 29 maggio 1985, la finale di coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool. Un gioco che diventa tragedia: 39 morti e 600 feriti, Michel Platini che esulta dopo il gol decisivo con il sangue dei morti in tribuna. Quel dramma è stato al centro di un incontro con Giovanni Minoli, Michele Serra, giornalista di Repubblica, Paolo Rossi, quell’anno attaccante bianconero, e Walter Veltroni che sulla tragedia dell’Heysel ha scritto un libro, intitolato Quando cade l’acrobata entrano i clown. Si tratta di un monologo che ha come protagonista un tifoso juventino che quella sera c’era, "una gazzella" che, confessa nel brano del libro recitato da Michele di Mauro, "oggi può parlare perché quel giorno il leone ha ucciso altri". "Ero con gli amici davanti alla televisione - ha iniziato Walter Veltroni - Quello che rende drammaticamente speciale la notte dell’Heysel è il contrasto fra l’attesa e la realtà: eravamo tutti pronti a una festa, noi a casa e quelli in Belgio, e ci siamo ritrovati in mezzo alla morte. Terribile". Veltroni ha parlato con i sopravvissuti, i famigliari delle vittime, ha letto e approfondito gli avvenimenti di quella sera. "Immaginate padri, figli, nipoti che aspettavano la partita: non erano ultras, era gente normale andata ad assistere a uno spettacolo - spiega l’autore del monologo - Ma a un certo punto girano la testa a sinistra e si vedono arrivare addosso la marea dei reds del Liverpool, ubriachi e armati di bottiglie rotte, spranghe, martelli… Sono scappati, si sono schiacciati contro il muro alla loro destra, sono morti calpestandosi fra di loro, di asfissia, coi volti lividi. Sono morti così perché non potevano fare altro". Quella sera anche Giovanni Minoli era allo stadio. "Ho visto tutto, e il monologo di Walter restituisce appieno le emozioni dell’Heysel. Raccoglie i dettagli di quella notte pazzesca, incredibile, mostruosa". Quello di Veltroni, secondo il conduttore de La storia siamo noi (che lunedì dedicherà una puntata proprio all’Heysel), è quasi un "libro televisivo" per la forza delle immagini che evoca. "Il 29 maggio 1985 - ha proseguito Minoli - per molti di noi ha rappresentato la fine dell’infanzia, spazzata via quando la morte si è unita allo sport". Nel "decrepito stadio" di Bruxelles, a vedere la partita era arrivato pure Michele Serra, all’epoca giovane inviato de l’Unità. "Questo libro mi ha fatto rivivere cose che avevo dimenticato - ha detto il giornalista - su tutte lo sbigottimento del giorno successivo, anche sulle facce dei giocatori che si accorgevano di quello che era realmente accaduto: quello stadio aveva visto una guerra, qualcosa che non c’entrava niente con il calcio". Ma nemmeno ai giorni nostri "la concezione  violenta del tifo è cambiata. È amaro ammetterlo, le tragedie, purtroppo, insegnano molto, molto poco". Paolo Rossi la tragedia dell’Heysel l’ha vissuta dagli spogliatoi dello stadio: "Non capivamo che cosa stesse succedendo, vedevamo ogni tanto alcuni feriti che entravano per farsi medicare, sapevamo che era morto qualcuno ma le proporzioni della tragedia ci si sono chiarite solo il giorno dopo". Per Rossi quella sera è una ferita ancora aperta: "Per questo è importante che se ne parli e se ne scriva, perché i giovani che oggi vanno allo stadio sappiano che cos’è successo". "La sera del 29 maggio 1985 - ha concluso Veltroni - abbiamo scoperto che negli stadi si può morire. La memoria di quello che è successo deve servire a vivere lo sport come un gioco e non come una guerra, deve servire a ripopolare gli stadi italiani e far sì che i bambini possano affacciarsi al verde del campo per mano ai loro padri, senza paure". Sala Gialla, ore 19.00, venerdì 14 maggio 2010. Fonte: Salonelibro.it © 14 Maggio 2010 Fotografie: Partitodemocratico.it © GETTY IMAGES © (Not for commercial use) Icona: Itcleanpng.com ©

 

Veltroni: nella mia Juve ho visto troppi giocatori senza voglia

Oggi il monologo sull'Heysel

di Federico Monga

La nuova Juve ? "Costruiamola senza fretta". La Juve di Ferrara e Zaccheroni ? "Non avevano voglia". Mourinho ? "L'Italia non deve farlo andare via". Walter Veltroni, che oggi sarà al Salone del Libro con il suo monologo teatrale "Quando cade l'acrobata, entrano i clown" ispirato alla tragedia dell'Heysel, per qualche istante abbandona il suo ritorno nell'agone politico del Pd, per ragionare di calcio, violenza e ultrà. Il Veltroni di nuovo tutto bianconero dopo il meticciato da sindaco di Roma è deluso come tanti juventini: "Quest'anno ho visto in campo giocatori che non avevano voglia, che giocavano annoiati. E questo deve essere un insegnamento per il futuro. Io non ho fretta perché le grandi squadre a partire dalla Juve di Boniperti, Cabrini e Tardelli, fino all'Inter di Mourinho passando per il Milan di Sacchi, si costruiscono con il tempo. Mi piacerebbe che i dirigenti andassero in giro per l'Italia e per il mondo a scovare i migliori giovani. Basta puntare su calciatori affermati o su campioni a fine a carriera". Perché tornare indietro a Bruxelles, al maggio del 1985 ? "In quella tragica notte abbiamo perso l'innocenza, un'altra volta dopo la stagione del terrorismo. Si era arrivati in uno stadio per gioire di una vittoria, ci siamo trovati nello stesso spazio e nello stesso tempo di fronte ai morti. Di quella sera però se ne è persa la memoria ed è per questo che ho voluto cogliere lo stimolo del direttore del Ravello Festival, Stefano Valanzuolo, che stava organizzando un'edizione sulla Follia". Quei corpi e quelle sciarpe insanguinate non hanno insegnato nulla. "Si va ancora negli stadi con il machete ma la colpa non è del calcio. Ci sono elementi esterni che sono più responsabili di un arbitro o di un presidente che sbraita. Pesano le troppe disuguaglianze sociali, le emarginazioni. I canti contro gli ebrei e i giocatori di colore nascono dalla società, dai cattivi maestri che ci sono anche nella politica". Un'atmosfera pesante. Anche Totti che fa il pollice verso alla tifoseria laziale, viene ammonito: è incitamento alla violenza. "Ma lo sfottò spesso è una giustificazione per i violenti negli stadi. In Italia i gatti sembrano tutti grigi, sfottere va bene ma è altro rispetto alle coltellate e le cariche dopo le partite". Ma Totti che prende a calci Balotelli ? "Napolitano ha fatto bene a richiamarlo, ma Francesco è una persona con una generosità umana e una coscienza civile che ha pochi paragoni nel nostro paese". Persino Mourinho è accusato di fomentare. "E invece, anche se a volte alza i toni, bisogna prenderlo con umorismo. Ma la società italiana pare aver perso anche questa qualità. Mou è un grande del calcio che sa giocare con quattro attaccanti a Londra e a Barcellona. E' uno spettacolo sempre, anche in conferenza stampa. Mi auguro che non lasci l'Italia. Fonte: La Stampa © 14 maggio 2010 Fotografie: Claudiobisio.it © Mtmteatro.it © Icona: Itcleanpng.com ©

 

Veltroni e l'Heysel "In Italia ancora troppa violenza"

di Filippo Conticello

Autore di un testo teatrale e di un libro: "Vicenda emblematica. Qui da noi nulla è cambiato".

MILANO - I clown entrarono in campo comunque, con le maglie rosse, bianche e nere. Dopo 39 morti era solo un circo, non certo calcio. Lo sapeva Michel Platini, lui per giustificare l'esultanza juventina nella sera della strage dell'Heysel disse: "Quando cade l'acrobata, entrano i clown". Venticinque anni dopo la frase è diventata il titolo del monologo teatrale edito da Einaudi di Walter Veltroni: "È il racconto di un uomo e di una bugia raccontata alla moglie, l'unica in 10 anni di matrimonio. Poco prima delle nozze disse che sarebbe andato a Londra per l'addio al celibato. Invece era a Bruxelles per Juve-Liverpool: vide la morte". Lunedì al teatro Litta di Milano un reading dell'opera è stato affidato a Claudio Bisio: "Bellissima interpretazione, ha emozionato anche me". Onorevole Veltroni, lei dov'era quel 29 maggio 1985 ? "A casa, con degli amici davanti alla tv per tifare Juve. Pensavamo di vincere e, invece, perdemmo tutti". Cosa è cambiato da allora ? "In Inghilterra i passi avanti ci sono stati. Da noi tutto è fermo: c'è violenza nella società, nella politica e negli stadi. La coscienza civile è addormentata". Lei descrive Scirea come un gigante buono e invece dalla curva che porta il suo nome piovono bombe e cori razzisti. "Già, una vergogna. Lì e in tanti altri stadi. Per risolvere il problema non può bastare una tessera come dice Maroni. Serve educazione, cultura, stadi moderni e sicuri. E poi certezza della pena, senza sconti. Basta poco: vogliamo solo un mondo in cui sia almeno consentito giocare". Fonte: Gazzetta.it © 12 maggio 2010 Fotografie: Nientepopcorn.b-cdn.net © Lastampa.it © Icona: Itcleanpng.com ©

 

Veltroni-Bisio sul palco per raccontare

l’Heysel e tutti i Titanic della storia

di Oreste Pivetta

Il Milano, 12 maggio 2010. Il ritorno di Veltroni si configura per ora (o anche) come un esordio teatrale. Perché l’altra sera, in un teatro milanese del centro, il Litta, l’ex leader del centrosinistra ha presentato un proprio monologo, affidandosi a Claudio Bisio, solo soletto in palcoscenico. Alla fine, dopo applausi calorosi, Veltroni ha dichiarato d’aver molto imparato dalla lettura drammatica di Bisio. Non è detto dunque che la prossima volta in palcoscenico, solo soletto, non salga lo stesso Veltroni... Anche se il confronto si prevede difficile tanto è stato bravo Bisio, con bella voce, sobrietà, tono asciutto, tensione, come il pubblico ha apprezzato. Il monologo si intitola Quando cade l’acrobata, entrano i clown. Bellissimo, appropriato verdetto per la storia che si racconta. Veltroni, nei ringraziamenti che chiudono il volumetto (sessantotto pagine, pubblicate da Einaudi), lo attribuisce a Michel Platini, indimenticabile eroe bianconero. La storia è quella dell’Heysel, lo stadio di Bruxelles dove si disputò venticinque anni fa (il 25 maggio 1985) una finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool una finale memorabile soltanto perché, prima che i giocatori scendessero in campo, prima che "i clown entrassero", sulle gradinate morirono trentanove tifosi juventini, aggrediti da un’onda di centinaia di tifosi (teppisti ? criminali ?) inglesi, in maglia rossa come la loro squadra. Una tragedia consentita, persino favorita dalla cultura violenta e dall’abitudine alla violenza degli hooligans, dall’alcool, dalla mancanza di misure di sicurezza, dalla inadeguatezza dell’impianto... Veltroni mette in scena la tragedia inventando un io narrante testimone e vittima, tra la folla della "tribuna Z" aggredita dalle furie di Liverpool. E scampato alla morte, così da poter ricordare, dieci anni dopo. Dieci anni sono per lui anche un anniversario di matrimonio. Allora aveva "tradito" la futura moglie, inventando alla vigilia delle nozze un addio al celibato a Londra per seguire invece la squadra del cuore in Belgio. Dieci anni dopo ricorda, pentito, il sotterfugio, la bugia (francamente insensata), scrutando il mare da una terrazza d’albergo protesa nel buio, ogni tanto rivolgendo lo sguardo verso la moglie, che dorme in pace nuda e inconsapevole. Innocente. Segue la ricostruzione del viaggio maledetto e dei minuti di morte e qui il monologo tocca i suoi momenti più credibili e ci vede coinvolti, anche la vista è stimolata: quelle maglie rosse, quelle facce rabbiose, la rete che separa e che sembra la fragile rete di un pollaio, il muro contro il quale si finisce sospinti, i cancelli che crollano e schiacciano, il padre sottratto alla tempesta, consolato dal figlio... La partita si disputò ugualmente, "per motivi di sicurezza". Qualcuno alzò la Coppa. ALLA VOCE ENZENSBERGER. Chiusa la lettura di Bisio, Veltroni ha spiegato d’aver scritto il monologo convinto dal direttore del festival di Ravello, Stefano Valanzuolo, ma soprattutto per il dovere della memoria. Ha pure spiegato d’aver tratto ispirazione da un modello celebre: La fine del Titanic, poema di Hans Magnus Enzensberger. Enzensberger scrisse una volta che sbaglia chi si aspetta la fine del mondo tutta d’un colpo: la fine è già arrivata e arriva giorno per giorno, a pezzi e bocconi. Una volta fu l’affondamento del Titanic, la gigantesca inaffondabile supertecnologica nave. Anche l’Heysel fu un colpo alla nostra eternità. Fonte: Unita.it © 12 maggio 2010 Fotografie: L'Unità © Claudiobisio.it © Icona: Itcleanpng.com ©

 

Il sogno di un giorno nell'inferno dell'Heysel

di Maurizio Crosetti

Un monologo di Walter Veltroni, "Quando cade l'acrobata, entrano i clown". Un uomo svela alla moglie una brutta bugia: dieci anni prima, di nascosto, era andato a Bruxelles per Juve-Liverpool. Là aveva visto la morte in faccia.

Un uomo racconta finalmente il suo segreto alla donna che ama, però lei non ascolta. Lei dorme, invece, dentro una notte quieta, in una camera d'albergo sul mare. Dieci anni è durato quel segreto, era anche paura e non solo bugia: lui le disse che sarebbe andato a Londra per l'addio al celibato, invece andò a Bruxelles per Juve-Liverpool e un altro tipo d'addio: alle illusioni di un ragazzo che amava il pallone, e aspettava una festa e una Coppa da vincere, finalmente. "Verrà il giorno che smetterò di sussurrare parole a questi occhi chiusi". Dieci anni col tormento della morte sfiorata e mai davvero elaborata, col senso di colpa dei sopravvissuti e la fine di tutti i sogni. L'ultima partita, veramente (è anche il sottotitolo del libro). Pesa troppo, questo silenzio, per covarlo ancora. È il meccanismo narrativo scelto da Walter Veltroni per raccontare l'Heysel, venticinque anni dopo. Un monologo teatrale, Quando cade l'acrobata, entrano i clown (Einaudi, pagg. 68, euro 9): la frase è di Michel Platini, la pronunciò per giustificare la partita a ogni costo, la finale della Coppa dei Campioni giocata comunque il 29 maggio 1985, dopo e nonostante quei trentanove morti. Una frase a effetto, ma anche una colossale sciocchezza: è tempo di dirlo. Perché quella coppa resta una delle pagine più terribili nella storia dello sport, doveva essere restituita, eppure ci fu chi riuscì addirittura a festeggiare. È un testo di notevole ambizione poetica, quello di Veltroni, scrittore e juventino appassionato. L'autore si mette in gioco, dunque a nudo, e rivela tutte le fratture che la notte di Bruxelles provocò in chi c'era e in chi guardava, e aspettava. Lei dorme, serena; lui parla, come ancora tramortito dal ricordo. E sono tutti dolori messi in fila, fotografie dell'anima ferita. Proprio questo terribile, luminoso repertorio visivo è forse la cosa migliore del libro. La rete che cedette. Le scarpe dei vivi e dei morti, eccole che rotolano dopo che i piedi hanno calpestato la vita degli altri. "Sembra una festa sui prati. Un ricevimento di matrimonio". Così precipitò quel pomeriggio dopo un giorno di sole bellissimo, sulle tribune dello stadio decrepito c'era il rosso del tramonto e delle maglie degli inglesi. "Era di maggio, ero un ragazzo". Prima, avevano giocato i bambini sullo stesso prato della tragedia. Il racconto procede per quadri che sono anche immagini di coscienza e frammenti di incubo, un viaggio nel puro terrore mascherato da festa. Si viaggiò verso Bruxelles per ricevere un regalo, il trofeo troppe volte negato alla Juve. "Io stavo andando a una partita di calcio. E mi ero vergognato di dirtelo". La vita e la morte insieme, sulle gradinate, avversari in attesa. Noi e quelli di Liverpool. "Fratelli felici di essere giovani. Insieme e diversi, come i colori in una scatola"; nel tempo strano in cui non si è più figli e non ancora padri, in quella stagione che dice addio ai giochi ma non ai sogni, e mai al pallone che ci lascerà ragazzini per sempre. "Le ore dell'attesa furono smaglianti". Poi, solo la morte. L'uomo che cammina e chiede "dove sei, dimmi dove sei ?", e cerca un figlio, o forse un padre. Il sangue. I manganelli degli assurdi gendarmi a cavallo. I bigliettini messi in mano ai giornalisti perché, per favore, chiamassero l'Italia (mica esistevano i cellulari nel 1985) e dicessero sono vivo, stiamo bene, stai tranquilla mamma. Non potevamo farlo per tutti, c'era l'agguato della morte da raccontare. Adesso il protagonista conta i capelli della sua donna che dorme. Quanto sei bella, le dice. Quanto ti amo. Devi perdonarmi e capire il mio segreto. La curva Z, l'ultima lettera come la fine di tante cose. "Goditelo, questo tempo che non tornerà". Ma gli inglesi hanno già sfondato, il muretto ha ceduto, la vita schiaccia e scappa. Non c'è ossigeno, non c'è futuro. "Ci stiamo uccidendo tra di noi, ci calpestiamo". Corpi disarticolati, pupazzi senza senso. Non c'era niente da cercare, dentro l'ultima partita. Tu dormi, io ti amo e non ho mai smesso di soffrire. "Ero corso appresso a me bambino che scappavo"... Fonte: La Repubblica © 10 maggio 2010 Fotografia: © GETTY IMAGES © (Not for commercial use) Icona: Itcleanpng.com ©

 

Heysel 1985, la notte in cui il calcio perse l' innocenza

di Dario Fertilio

In versi Walter Veltroni rievoca in un monologo la tragedia avvenuta a Bruxelles nella quale perirono trentanove persone. La vicenda. I supporter inglesi ubriachi caricarono e schiacciarono gli avversari juventini.

Ci sono attimi - lo sbarco sulla Luna o l' attentato alle Torri Gemelle di New York - in cui il tempo si ferma. Come il 20 luglio 1969 alle quattro di notte, quando Neil Armstrong mette piede fuori dall' Apollo. O l' 11 settembre 2001, di prima mattina: i grattacieli si sbriciolano dopo un’ora d' agonia. O la sera del 29 maggio 1985, allo stadio belga dell' Heysel: un tappeto di corpi insanguinati appare in diretta tv. Che cosa stavamo facendo precisamente, noi, in quelle ore ? Lo ricordiamo alla perfezione, come fosse appena successo: l' eccezionalità delle circostanze congela la memoria. Un' esperienza simile tocca al protagonista senza nome di Quando cade l' acrobata entrano i clown. Il momento scocca per lui nello stadio di Bruxelles destinato a diventare sinonimo di morte: Heysel, 1985. Ma la sua rievocazione avviene molto dopo, durante gli anni Novanta, caricandosi di forza drammatica legata a una colpa, una confessione rimandata troppo a lungo. E colui che dice "io" in questa storia è in realtà Walter Veltroni. Il politico capace di sfidare due anni fa, in campo aperto, Silvio Berlusconi, ma anche lo spirito eclettico che ha scelto ultimamente la dimensione di romanziere (La scoperta dell' alba, del 2006, e Noi, del 2009). Tuttavia nel suo Quando cade l' acrobata (Einaudi, pp. 68, euro 9) c'è dell' altro. La forma, anzitutto, audace quanto può esserlo una scansione in versi, a metro libero, in cui si mescolano linguaggio quotidiano e stile epico; e poi la chiara identificazione con il tifoso juventino al centro della vicenda, forse tormentato da un rimorso per le occasioni perdute nella vita, certo incapace di confessare a colei che era allora la sua promessa sposa d' averla tradita alla vigilia delle nozze non con un’altra donna, ma con la squadra del cuore.

 

Perché lo strano romanzo in versi gira proprio attorno a questo: al viaggio di un tifoso a Bruxelles per vedere la partita, all' esperienza tragica sulle tribune, all' impatto con l' odio, la violenza e la strage, all' odore di morte, alla vista di "quello che girava / solo tra gli spalti diventati macerie / quello che diceva a voce bassa / come parlasse tra sé e sé". I supporter inglesi ubriachi di alcol, adrenalina e stupidità caricano e schiacciano gli avversari juventini, scambiati per nemici, li sospingono contro un muro, provocano la strage: trentanove morti, più di seicento feriti, scene di disperazione sotto gli occhi allibiti del mondo. Per salvare le apparenze ed evitare un' ulteriore esplosione di rabbia, le due squadre giocano egualmente un simulacro di partita (da qui la metafora circense del titolo). Ma ormai quel che doveva accadere è stato: la fragile vernice della civiltà si è scollata, dietro alle bandiere calcistiche si sono rifatte avanti belve violente e primitive, esseri che "alzano il braccio verso di noi, contro di noi/ urlano con tutta la voce che hanno / come un canto propiziatorio del sangue". Il senso della confessione troppo a lungo rinviata sta qui: nell' aver tradito l' innocenza di una generazione, nell' avere avuto paura, nell' essere scappato una volta e nell' aver continuato a fuggire tutta la vita. Perciò il peccato commesso mentendo dieci anni prima diventa un fardello troppo pesante, "una valigia / permanente / un bagaglio incollato al cuore, una scimmia / che non lascia un attimo le tue spalle dolenti". Questo il cuore del monologo interiore veltroniano, pronunciato sulla terrazza di un' isola greca, durante una vacanza, e rivolto a una moglie inconsapevole e dormiente. Dopo aver carezzato addirittura propositi suicidi, il protagonista ripiega su un' autoassoluzione ("Io non ho pagato con la vita / ho pagato con le mie notti insonni"). E qui l' autore lascia il suo personaggio: il testo verrà recitato sulla scena, al Ravello Festival, durante la prossima edizione estiva dedicata al tema della follia, ma è già in tournée. Mirando a suscitare emozioni, Veltroni centra l' obiettivo, aiutato dai video presenti nel sito www.saladellamemoriaheysel.it - giustamente segnalato in margine al libro. Attraverso di esso oltre che nelle parole, quella tragedia ripropone il senso della barbarie moderna. L' appuntamento Domani alle 21 al Teatro Litta di Milano (corso Magenta 24), reading di Claudio Bisio tratto dal testo di Walter Veltroni. Fonte: Corriere della Sera © 9 maggio 2010 Fotografie: GETTY IMAGES © (Not for commercial use) Icona: Itcleanpng.com ©

 

Quando cade l'acrobata, entrano i clown di Walter Veltroni porta in teatro una storia di ordinaria follia

"Cara, ora posso dirlo: ero all'Heysel, non al lavoro"

di Roberto Alfatti Appetiti

La prima sospirata Coppa dei Campioni in bianconero non si dovrebbe dimenticare mai. Eppure quel 29 maggio del ’85 all’Heysel - tra una manciata di giorni saranno trascorsi 25 anni - sembra essere stato rimosso. La fuga solitaria di Boniek verso la porta avversaria e il suo atterramento a opera di un difensore del Liverpool, nettamente fuori area. Il rigore regalato e la realizzazione di Platini. Le bandiere juventine che garriscono nella tiepida notte di Bruxelles. Quasi che non fosse successo nulla, prima. Come se quei 39 tifosi bianconeri non fossero appena morti, schiacciati contro il muro divisorio, soffocati, calpestati. "Quando cade l’acrobata, entrano i clown". Così Platini "giustificò" l’esultanza e il giro di campo del dopo partita. Questa frase è diventata ora il titolo del monologo teatrale scritto da uno juventino doc, Walter Veltroni. In libreria per Einaudi dal 27 aprile, andrà in scena l’8 luglio al Ravello Festival, la cui edizione 2010 è dedicata - non a caso - al tema della follia. Era opportuno giocare ? Veltroni è ancora convinto di sì: "Altrimenti sarebbe scoppiato l’inferno". Un quarto di secolo dopo, però, è giusto ricordare quell’assurda strage. "La nostra è una società bulimica - ha dichiarato in un’intervista a La Stampa l’ex leader del Pd - che tende a mettere "pietre sopra" a troppe cose. L’Heysel ne è l’esempio classico: lo stadio fatiscente, le famiglie italiane con l’abito buono messe vicino agli hooligans del Liverpool da agenzie senza scrupoli e solo cinque gendarmi a presidiare la curva maledetta". La voce narrante è quella di un uomo che, dieci anni dopo, confessa alla moglie di essere andato a Bruxelles per vedere la partita e non, come le aveva detto, per lavoro. "Si vergognava di quella bugia, di quella impresa "bambinesca". Nel parlato di un’ora, Veltroni ci guida attraverso quel viaggio dannato ma illuminato anche da atti di eroismo. Come quello di Roberto Lorentini, il medico aretino travolto e ucciso mentre praticava la respirazione bocca a bocca a un tifoso ferito. Una lezione di umanità da tenere viva, affinché lo sport possa tornare a essere una festa di vita, il luogo dove ancora possono correre i nostri sogni di eterni adolescenti. Fonte: Il Secolo d'Italia © 23 marzo 2010 Fotografia: Tifoso Anonimo © Einaudi © GETTY IMAGES © (Not for commercial use) Icona: Itcleanpng.com ©

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