29 anni fa la strage
"Chi offende l'Heysel non sa
che cosa è stato"
di Francesco Caremani
Andrea
Lorentini è figlio di Roberto, una delle 39 vittime dell'Heysel,
29 maggio di 29 anni fa, medaglia d'argento al valor civile
perché morto tentando di salvare una persona. Otello, il nonno
scomparso lo scorso 11 maggio, ha fondato e presieduto l'Associazione
tra le famiglie delle vittime di Bruxelles sconfiggendo la UEFA
in un processo storico, e dimenticato, ottenendo così giustizia
per il suo unico figlio e per gli altri familiari. Più facile
che avere memoria e rispetto per una strage che in Italia si
è voluta scordare.
Cosa provi ogni volta che senti
un coro sull’Heysel ?
"Dolore, rabbia e impotenza perché
non posso fare nulla per zittirli. Penso anche agli altri familiari,
a Giuseppina Conti che aveva 17 anni".
Tuo nonno tifava Fiorentina,
tu Inter, in Belgio tra gli italiani sono morti sicuramente
tre interisti andati a vedere la partita con gli amici juventini,
dov'è l'errore ?
"Chi ha trent'anni non sa cos'è successo
all'Heysel, non sa che sono morti degli innocenti, che in quella
curva Z c’erano le famiglie,
tifosi del calcio andati a vedere la finale del secolo.
I cori e gli striscioni di oggi sono il frutto dell'ignoranza
e dell'idea che non ci sono avversari, ma solo nemici. Offese
ai morti sono ormai all'ordine del giorno negli stadi italiani,
in una gara al peggio del trogloditismo pallonaro, cosa si può
e si dovrebbe fare ? Non esistono morti di serie A e serie B,
il mio giudizio è netto nei confronti di chi offende l'Heysel
come Superga, Paparelli come Facchetti. Si dovrebbero applicare
punizioni esemplari: individuati i responsabili (non è difficile,
ndr) un anno lontano dallo stadio, se recidivi fuori a vita.
Ma in tutti questi anni, sull'Heysel in particolare, la Procura
federale non mi è sembrata così pronta e attenta".
Colpa
anche di chi in Italia ha cercato di dimenticare la strage dell'Heysel
?
"L'Heysel tutt’ora è un argomento tabù
per il calcio italiano e i suoi dirigenti. Riguardando la fatica
che ha fatto mio nonno non mi sorprende che gli organi di giustizia
sportiva si siano accodati al sentire comune di chi voleva cancellare
e mettere sotto traccia quella tragedia".
Otello ha sconfitto la Uefa
ottenendo giustizia con una storica condanna, ne erediterà il
testimone della memoria ?
"Mio nonno ha fatto un percorso che
si è concluso nel 2005 con l'amichevole tra le primavere di
Juventus e Liverpool ad Arezzo, percorso nel quale la vittoria
processuale ha rappresentato l'apice. Più passa il tempo e meno
occasioni ci saranno per ricordare ciò che è accaduto, ma la
memoria va allenata e se ci sarà bisogno d'intervenire lo farò,
perché non ne posso più di sentire offendere i morti, di sentire
offendere mio padre morto all'Heysel".
Perché è importante ricordare,
nei modi giusti e appropriati, tragedie come quella di Bruxelles
?
"Perché è stato troppo facile uccidere,
vedere l'essere umano che si trasforma in assassino, perché
basta poco per scatenare la follia e distruggere altre vite.
C'è la necessità di trasmettere i valori della cultura sportiva
alle nuove generazioni, anche perché dall'Heysel proprio l'Italia
sembra avere imparato poco o niente".
Suo padre è morto mentre tentava
di salvare un altro e per questo è medaglia d'argento al valor
civile, è così che ti piace ricordarlo ?
"Nella sua morte c'è la sintesi di
quello che era mio padre, un medico e un altruista. Lui era
salvo e si è gettato di nuovo nella mischia per soccorrere un
ragazzo: è morto com'è vissuto. Sì, è così che mi piace ricordarlo".
30 maggio 2014
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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Filmati amatoriali di
alcuni dei cori che dileggiano da 40 anni la Memoria
delle Vittime dello stadio Heysel di Bruxelles.
Quelle famigerate "canzoncine" infami con le quali
spesso sono derisi e profanati, oggetto di un
oltraggio vile, sistematico e impunito, da parte di
alcune recidive tifoserie italiane, spesso ignorato
dagli organi di stampa, dalla televisione e non
sanzionata a dovere dalla giustizia sportiva del
calcio. |
I Miserabili di Giulio Gori Il continuo oltraggio dei
morti dell’Heysel, i doppiopesismi di certa stampa che
somiglia a carta straccia, la miopia e l’opportunismo della
giustizia sportiva… Sono tutte sconcezze che conosco bene e
che mi feriscono, come feriscono ogni persona onesta e
perbene. Ma sono stufo anche di sentire i
ritornelli del "eh, ma gli altri…" o del "lo facciamo per
difenderci". Di fronte alle offese ai morti di ogni colore,
di fronte al razzismo, di fronte all’omofobia, di fronte
alle derive antisemite, non ci sono né noi, né loro. Le
appartenenze calcistiche scompaiono ed esiste solo la
civiltà. Non voglio soffermarmi sull’analisi semantica di un
coro, né intendo perdere un minuto per spaccare il capello
sui se e i ma di uno striscione. Non ci sono momenti o
contesti che tengano. Il calcio deve fare un passo indietro
e dobbiamo dirci se siamo uomini e donne degni di guardarci
allo specchio. Questo conta. Eppure, quanto sarebbe bello il
pallone delle sane rivalità e degli sfottò con il sorriso
sulle labbra, senza bisogno di scendere in presunte
divisioni antropologiche tra buoni e cattivi stabiliti in
base al colore di una maglia. Non sono certo un moralista,
di sicuro non mi scandalizzo per un goliardico "merda" (il
turpiloquio fa parte integrante del vocabolario di ogni
persona colta), né per gli sfottò nei confronti di una
squadra; ma ci sono limiti, come l’antisemitismo, per
citarne solo uno, che l’intelligenza dovrebbe consigliare di
non varcare. Lo dico da juventino di Firenze che ogni giorno
(non due volte all’anno) si batte, s’incazza e s’indigna
contro i cretini dei "-39". Per me, neppure gli imbecilli
sono divisibili per colore, sono tali e basta. E come non ho
paura di tirarmi addosso il sarcasmo stupefatto dei miei
concittadini quando pretendo rispetto per le vittime
dell’Heysel ("oh, ma perché ti scaldi tanto ?"), allo stesso
modo non ho nessun timore di procurarmi le antipatie dei
supporter bianconeri. Perché è arrivato il momento di
imparare a discriminare, stavolta sì, tra meschini e persone
perbene. Ciascuno si faccia un esame di coscienza e scelga
da che parte stare. A ben guardare, in questo gioco
all’insulto sistematico a uscirne con le ossa rotte è anche
il sacrosanto diritto a poter insultare davvero qualcuno:
l’insulto è una cosa importante, è un modo per manifestare i
propri valori quando qualcun altro li viola pesantemente. Ma
quando gli "altri", nessuno escluso, sono sempre carogne e
bastardi, quando i nemici sono sempre e dappertutto, quando
il minimo sospiro altrui è causa della tua indignazione,
allora insultare diventa un atto onanistico. Se poi non sei
neppure capace di usare parole di qualità, di andare al
cuore del problema (sempre che ce ne sia davvero uno), e a
causa della tua ignoranza invochi argomenti odiosi che non
c’entrano un tubo (che siano morti, razze, genocidi o
malattie), il risultato è che oltre ad essere un fesso
diventerai anche un miserabile. 13 marzo 2014
Fonte:
Juventibus.com
Fotografie: Saladellamemoriaheysel.it -
Paris Match - Tuttosport.com
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