In campo nella notte
dell'Heysel, Briaschi al BN:
"Non abbiamo
festeggiato, i segnali c'erano tutti"
di Andrea Ajello
Massimo
Briaschi è uno dei 22 giocatori scesi in campo in quella
tragica serata del 29 maggio 1985, quando in occasione
della finale dell'allora Coppa di Campioni tra Juventus
e Liverpool, persero la vita 39 tifosi bianconeri. Tra
pochi giorni saranno passati 40 anni da quella
drammatica sera e abbiamo intervistato Briaschi. L'ex
calciatore della Juventus, che ha passato tre anni a
Torino dal 1984 al 1985, ci ha fatto entrare "dentro" la
strage dell'Heysel, come l'ha definita Andrea Lorentini,
presidente dell’Associazione fra familiari delle vittime
dell’Heysel. Il racconto di chi ha vissuto in prima
persona quel 29 maggio 1985.
Qual è il primo
pensiero, la prima immagine a cui pensa quarant'anni
dopo la tragedia dell'Heysel ?
"L'immagine che torna in mente
è quella dei tifosi che abbiamo incontrato quando la
partita non iniziava mai, siamo usciti sotto la curva Z
per andare a parlare con i tifosi, per capire cos'era
successo, la prima immagine è quella".
La partita è stata
posticipata di un'ora e mezzo, ci racconti quell'attesa
e le percezioni che avevate in quel momento...
"La percezione era che fosse successo qualcosa ma non di
quello che realmente poi è accaduto, lì passava della
gente, nello spogliatoio, nei corridoi, dicevano “si
stanno menando, poi c'è un morto, due, è caduto un
muro”, notizie così, non si sapeva bene di preciso se
realmente era successo quello che c'è stato, erano tutte
notizie frammentarie".
Quando avete capito la gravità della situazione
?
"Quando siamo arrivati in
Hotel, nel viaggio dallo stadio all'Hotel ci hanno
informato di quello che è successo".
Successivamente ci sono state polemiche sui
"festeggiamenti" dopo la partita, come sono andate le
cose al triplice fischio ?
"Non abbiamo festeggiato,
abbiamo portato la Coppa sotto la tribuna, invitati dal
nostro Presidente federale. In accordo con la
gendarmeria ci hanno invitato ad andare fuori per tenere
calma la gente, perché se per caso gli altri tifosi
invadevano il campo e andavano dall'altra parte veniva
davvero una cosa assurda, questo è stato".
Le ha fatto male
leggere e sentire critiche per questo ?
"Assolutamente sì, però fastidio fino ad un certo punto
perché poi davanti ad una cosa così passa tutto in
secondo piano, giornalisti che scrivevano cose stupide,
che non erano vere e quindi secondo me era giusto dargli
il tempo che meritavano".
Nelle ore precedenti
com'era il clima ? C'era la sensazione che potessero
esserci scontri ?
"La percezione c'era stata al mattino eccome, al mattino
della partita siamo andati a fare un giro con il pullman
per fare una passeggiata in centro, ci siamo fermati in
una piazza, erano le 10 e mezza, una piazza piena di bar
e di gente. C'erano i bar presi d'assalto da questi
signori ubriachi, con le casse di birra sui tavolini.
Immaginiamoci come sono arrivati alla sera allo stadio,
i segnali c'erano tutti".
Anche perché era un
impianto inadeguato ad ospitare così tante persone e un
evento di questo tipo...
"Il fatto di aver fatto una finale di Coppa dei Campioni
in uno stadio come quello...un'organizzazione
vergognosa, nel periodo degli hooligans, era proprio il
periodo di questi delinquenti".
Lei ha giocato quella
partita dal primo minuto, come è stata viverla da dentro
?
"Quando entri in campo, nella partita più importante che
un calciatore possa giocare, non hai il tempo di pensare
ad altre cose anche se poi si sono rivelate di una
gravità incredibile ma noi in quel momento non sapevamo
l'entità della tragedia".
Quarant'anni dopo... Quella Coppa può dire di
sentirsela sua ?
"Me la sento mia perché
abbiamo fatto un girone di qualificazione
importantissimo per arrivare a disputare quella partita.
Non me la sento mia per quei 39 calciatori, perché loro
erano venuti per giocare al nostro fianco che non ci
sono più".
Fonte:
Ilbianconero.com © 17 maggio 2025
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