L'inviato Rai testimone del
dramma, le immagini storiche dell'operatore Isoardi.
"A Bruxelles sono diventato adulto
Il mio microfono diede voce ai feriti"
di Andrea Parodi
Stadio sgangherato e pietoso, torme
di inglesi ubriachi. E restammo isolati dal mondo.
IL COLLOQUIO - Posso dividere la
mia vita in due: prima e dopo l'Heysel". Carlo Nesti,
storica voce Rai del calcio, non ha dubbi: il 29 maggio
1985 la sua esistenza è cambiata. "Sono diventato adulto
quella notte", racconta oggi, a 70 anni. Viene mandato
dalla Rai a Bruxelles "per raccogliere le voci di
contorno, ma presto sono diventato il microfono dei
feriti". Arriva in tribuna stampa "in uno stadio pietoso
e sgangherato". Negli occhi le immagini della giornata,
lungo le vie e le piazze di Bruxelles lastricate di
lattine di birra, "dove torme di tifosi inglesi erano
ubriachi marci da ore e orinavano mostrandoci i genitali
per sfida". Quando si affaccia allo stadio i tifosi
inglesi già stanno caricando i tifosi italiani. Ma
ancora non è chiaro cosa sta succedendo. "In questi
quarant'anni l'ho raccontato più volte e la cosa che
faccio più fatica a far capire è che nel 1985 non
c'erano i cellulari, non c'era internet. Eravamo isolati
dal mondo, paradossalmente anche noi della stampa". "A
un certo punto arriva da me Nereo Ferlat, tifoso
torinese. Gli porgo il microfono e ascolto esterrefatto
le sue parole". È il racconto di una tragedia in corso
che ha i connotati di qualcosa di più grande. Nel
frattempo l'operatore Rai Gianfranco Isoardi corre per
andare a riprendere le scene strazianti del settore Z.
"Gianfranco ha realizzato un reportage incredibile".
Isoardi accede all'antistadio, dove scopre l'entità
della tragedia. "Arriva dove ammucchiavano i morti, solo
che non poteva neanche avvisarci". Nel frattempo Nesti
offre il suo microfono a chi da quella curva si è
salvato. "Arrivavano persone insanguinate, i vestiti
strappati, lo sguardo di chi ha visto la morte in
faccia, neanche le lacrime per piangere. Ed è così che
sono diventato adulto".
Io c'ero, ma chi non c'era,
legittimamente, può non avere ancora le idee chiare.
Da 40 anni, continuo a indignarmi
per una situazione grottesca. Chi era, effettivamente, a
Bruxelles, ha una certa versione dei fatti. Chi era,
invece, davanti al televisore, ne ha un'altra. Molti di
quelli, che erano a Bruxelles, compresi i giornalisti,
non ci sono più. La categoria dei telespettatori,
invece, si riproduce, di padre in figlio, anteponendo, a
volte, le colpe della Juve, al fatto che è stata la
stessa Juve, ad essere colpita a morte. Uno
stravolgimento della realtà.
Ricordiamoci tutti che, 40 anni fa,
era il secolo scorso, e un altro mondo, senza cellulari,
Internet, e intelligenza artificiale. Sensibilità
diverse, e reazioni diverse. Secondo voi, nel 1985,
avrebbero interrotto una partita, per il malore di uno
spettatore, nello stadio ? Penso proprio di no. Eravamo
su un altro pianeta, rispetto a oggi. E risalire su quel
pianeta, per studiarlo, non è più possibile.
Detto per inciso, la polizia,
mentre i sostenitori bianconeri morivano, era
all'esterno dello stadio, a perquisire solo gli
italiani, in quanto possessori, secondo loro, di
biglietti falsi. Potete non crederci, ma, salvo quel
ridicolo cordone di agenti, che doveva separare gli
italiani dagli inglesi, e che si volatilizzò, appena
cominciarono le cariche, non c'era un solo poliziotto,
in quella parte dell'impianto.
La diretta televisiva, purtroppo,
cominciò, quando i 39 tifosi erano già morti. Si videro
soltanto alcun replay delle cariche degli hooligans, con
una telecamera piazzata sopra la Curva Z.
Misteriosamente, la telecamera stessa non venne mai
orientata verso destra, dove si sarebbero viste le
persone, ammassate contro il muretto. Perciò, andò in
diretta soltanto la reazione violenta degli ultras
bianconeri, alimentando una interpretazione distorta dei
fatti.
Vi faccio notare una cosa, della
quale, purtroppo, non esiste una documentazione visiva.
I tifosi, insanguinati, che fuggivano verso il basso,
venivano manganellati da quegli assassini dei poliziotti
belgi, in quanto "invasori di campo". Capirete bene che,
con un atteggiamento ostile, di questo genere, da parte
delle forze dell'ordine, la parola "sicurezza", forse,
era un po' eccessiva.
Se la partita si giocò, per motivi
di ordine pubblico, è perché, almeno in questo, l'Uefa
capì che quell'ordine pubblico non era garantito da
nessuno! Ma vi rendete conto che, ben 20 minuti dopo la
strage, entrò dentro lo stadio la polizia... a cavallo ?
Ma che senso aveva ? A che cosa serviva ? Solo a
manganellare i tifosi italiani, che cercavano di
sfuggire al massacro, sul campo di gioco ?
I giocatori sapevano che, forse,
c'erano 3 morti, e, comunque, non volevano giocare.
Furono costretti, per imposizione dell'Uefa, anche
perché persino i "mammasantissina" europei si rendevano
conto di una cosa. Le forze dell'ordine, ridicolmente
colpevoli, non erano in grado di garantire la sicurezza.
In ogni caso, alla luce anche solo di 3 morti, non si
doveva festeggiare. Di questo, a distanza di 40 anni,
credimi, sono consapevoli anche i giocatori.
Purtroppo, nei confronti della
tragedia, l'atteggiamento della società Juventus è
sempre stato un po' distaccato, come se si preferisse
rimuovere, piuttosto che ricordare. Quello, che mi
spiace, è l'isolamento, nel quale si è trovato spesso il
Comitato delle famiglie delle vittime. Il verdetto del
processo, seppure non soddisfacente, è stato una
vittoria personale del grande Otello Lorentini.