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John Welsh
Curva Settore Z
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Terry Wilson
Curva Settore
XY
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L'uomo di Liverpool
che è stato soprannominato
"Eroe dell'Heysel"
ricorda la tragedia
di Luke Traynor
Il capo reporter Luke Traynor parla con l'uomo
di Liverpool soprannominato "Eroe dell'Heysel" e, 25
anni dopo, scopre come la tragedia lo abbia cambiato
come uomo.
 La
ragazza italiana stava lentamente morendo mentre un
disperato John Welsh la fissava negli occhi anneriti.
Sdraiata in modo straziante sul corpo di suo padre già
morto, un sommesso mormorio proveniva dalle labbra di
Carla Gonnelli. L'uomo proveniente da Dingle entrò
rapidamente in azione, afferrando l'indifesa 18enne e
trascinandola fuori dal caos dell'Heysel. Grazie a lui,
la 18enne Carla Gonnelli sopravvisse alle gradinate del
Settore Z e sopravvisse per raccontare la sua storia. Le
azioni eroiche di John furono registrate dalla TV, e il
suo volto venne trasmesso sugli schermi di tutto il
mondo: il fan con l'immediatamente riconoscibile maglia
gialla del Liverpool che estrasse sette italiani dalla
calca. Con commozione, il barista incontrò Carla nelle
settimane che seguirono e, dopo un incontro emotivo,
hanno iniziato un'amicizia speciale. Ancora oggi, la
voce di John è rotta dall'emozione nel ricordare il caos
in cui è stato coinvolto un quarto di secolo fa. Nella
sua casa di Liverpool, il 52enne ha raccontato al
quotidiano "Echo" di come il disastro lo perseguiti ogni
giorno, non solo negli anniversari. L'uomo che oggi è
autista di autobus racconta: "Andammo con sei amici in
traghetto in Francia e poi fino in Belgio. Arrivammo il
giorno della finale e ricordo che ridevamo insieme ai
tifosi juventini in centro città, andando in diversi
bar, cantando canzoni. Tutto sembrava a posto. Appena
arrivati allo stadio, vedemmo tifosi del Liverpool che
venivano portati fuori in barella e avevano sulle gambe
ferite di armi da taglio. I poliziotti agitavano le mani
in aria, stavano lasciando che i sostenitori andassero
ovunque avevano intenzione di andare. Mentre stavamo
entrando, la gente ci diceva di fare attenzione una
volta dentro. Avevamo i biglietti per il Settore Z, la
zona neutra in cui vi erano moltissimi tifosi italiani.
Era lì che era scoppiato il caos. Andammo a prendere un
programma della partita e, mentre ci stavamo dirigendo
verso le gradinate, udimmo un botto: era lo schianto di
un muro che stava crollando. Appena entrammo, il muro
venne giù. Fondamentalmente, i mattoni caddero su di me,
tagliandomi lungo tutto il braccio. Feci un balzo
all'indietro e fuggii sul terreno di gioco. Mio zio
Richard e io iniziammo subito a cercare di aiutare la
gente. C'era un tizio sdraiato su un muro: arrivai a
lui, ma non potevo aiutarlo perché era troppo pesante.
Le persone cadevano le une sopra le altre, gridando di
indietreggiare. Due ragazzi italiani mi urlarono di
gettarmi nella pila di corpi e di estrarli da lì. Li
incontrai più tardi, al Duomo di Torino nell'estate del
'85, volevano risposte da me: perché fosse successo,
dove erano finiti... Ma io semplicemente non ne avevo
idea. Rimasi in quel caos per alcuni minuti, vi erano
persone che si aggrappavano alle mie gambe". Forse il
ricordo più straziante, anche se edificante, evocato da
John è quello di Carla, da Pisa, che era sul punto di
soffocare quando egli la trovò. L'uomo della parte sud
di Liverpool la trascinò fuori della carneficina mentre
mormorava sommessamente giacendo sdraiata su suo padre
morto: Giancarlo, un bidello di 41 anni. John racconta:
"I suoi occhi erano completamente neri, ma era
sopravvissuta ed era ancora cosciente, anche se si
vedeva che stava per morire. Non mi ricordo bene, ma il
paramedico insistette che io la portassi sull'ambulanza.
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Andai
in ospedale con la sua stessa ambulanza, perché ero
ferito al braccio. Ho pensato che fosse morta: aveva
delle crisi sul tavolo operatorio. Avrei potuto rimanere
in ospedale, ma dissi di no, perché volevo ritornare
allo stadio e feci in ambulanza anche il viaggio di
ritorno. Trovai zio Richard fuori dallo stadio che mi
stava cercando. Dopo aver lasciato l'Heysel, la gente
continuava a fissarci. Tornammo in centro città e
vedemmo che la partita veniva trasmessa in TV nei bar,
ma noi non eravamo interessati a seguirla. Vagabondammo
per un po' e poi tornammo in Francia per prendere il
traghetto di ritorno. Non avevo più il passaporto che
era in un sacchetto con la mia roba che avevo perso nel
trambusto dentro lo stadio, ma nessuno mi fece storie.
Incontrai gli altri amici con cui eravamo partiti
soltanto due giorni dopo, a Liverpool". Dopo la
tragedia, l'amicizia tra John e Carla fiorì e si resero
visita vicendevolmente. L'adolescente ottenne un
trattamento da tappeto rosso, e il Liverpool FC le
concesse un posto a sedere nel palco presidenziale ad
Anfield Road. John aggiunge: "Incontrare nuovamente
Carla è stato terribile, da un punto di vista emotivo:
portava ancora i segni su di sé". Nel 1985 andò a vedere
la Juventus battere il Liverpool, ma fu la sua ultima
partita per lungo tempo. L'eroismo di John catturò
rapidamente l'immaginazione del pubblico e venne incluso
nella delegazione del Liverpool che visitò Torino,
insieme all'Arcivescovo Derek Worlock e al vicesindaco
Derek Hatton, per cercare di alleviare la tensione dei
rapporti. Ebbe una miriade di medaglie e onorificenze,
tra cui la cittadinanza onoraria di Torino, in
riconoscimento delle sue azioni di salvataggio. Il
ricordo dell'Heysel ha segnato John per sempre: smise di
andare alla partita ad Anfield Road per 12 mesi e poi
tornò, ma solo per acquistare un abbonamento in tribuna
principale. Egli conclude: "Liverpool come città avrebbe
dovuto fare di più per riconoscere ciò che è successo...
Ma non l'ha fatto. La mia mente torna spesso a quel
giorno: mi chiedo sempre se avessi potuto salvare
qualcun altro. Tutti cercavano disperatamente di uscire,
ma io mi sentivo abbastanza in forma, perciò potevo
darmi da fare. C'è una foto che ho visto in cui sono
ritratto in azione, la guardo e penso a cosa diavolo
stessi facendo lì. L'Heysel sarà con me per il resto
della mia vita. I riconoscimenti non sono il mio stile,
sono solo un tizio normale, non sono coraggioso:
chiunque l'avrebbe fatto. Non mi ritorna in mente solo
ogni 29 maggio, il ricordo è sempre presente: talvolta i
ricordi ritornano impetuosi anche mentre sto guidando
l'autobus...".
Fonte:
Liverpoolecho.co.uk
© 29 maggio 2010
Fotografie:
John Welsh
© GETTY IMAGES
© (Not
for Commercial Use)
Icone: It.vecteezy.com
© Pngegg.com ©
Audio: Rai (Bruno Pizzul)
©
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LA RICORRENZA
Terry Wilson, chi è l'hooligan
condannato dopo la strage dell'Heysel
La sua storia: dal pentimento
all'incontro con la famiglia Lorentini
di Andrea Pescari
Chi è Terry Wilson, l'hooligan
tifoso del Liverpool condannato per omicidio colposo
dopo i disordini che hanno portato alla tragedia
dell'Heysel. Al tempo era un giovane supporter inglese,
parte della tifoseria organizzata dei reds. Quel
drammatico 29 maggio 1985 aveva solo 18 anni e, come
altri ragazzi della sua età, era entrato a far parte di
quel lato violento che - in quegli anni - caratterizzava
particolarmente il mondo del tifo britannico. Parliamo
del fenomeno degli hooligan, termine utilizzato proprio
per indicare i tifosi più turbolenti, indisciplinati e
violenti delle squadre di calcio.
Heysel 1985 stasera in tv giovedì
29 maggio su Rai 2: nel quarantennale della tragedia, un
docufilm per non dimenticare.
LA STRAGE - La situazione allo
stadio Heysel di Bruxelles, dove a minuti si sarebbe
giocata la finale di Champions League tra Juventus e
Liverpool, è degenerata quando gli hooligan cominciarono
a spingersi verso il settore Z a ondate per sfondare le
reti e cercare di intimidire i tifosi bianconeri anche
se, quella nel settore preso di mira non era la
tifoseria organizzata della squadra torinese. Gli
juventini, preoccupati anche a causa del mancato
intervento della polizia belga, furono costretti ad
arretrare, ammassandosi contro il muro opposto al
settore della curva occupato dai sostenitori del
Liverpool. Si creò una grande calca, molti tifosi si
lanciarono nel vuoto per evitare di rimanere
schiacciati, altri ancora si ferirono contro le
recinzioni, fino a quando il muro crollò per il troppo
peso e la situazione scoppiò nel caos più totale. Nella
folla impazzita nel cercare una via d'uscita, numerose
persone rimasero schiacciate, calpestate dalla folla e
uccise nella corsa.
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LA CONDANNA DI TERRY WILSON -
Terry Wilson fu proprio uno dei 14 tifosi inglesi
condannati per omicidio colposo. Lui stesso ha
raccontato di essere stato coinvolto nella rissa in
quello che descrisse come un tentativo di "salvare un
ragazzo del Liverpool attaccato dai tifosi della Juve",
ma ammise anche che, per lui e altri, "gettarsi nella
mischia e tirare qualche pugno" era quasi una routine,
parte della mentalità dell’epoca. Così fu arrestato,
processato e condannato a 5 anni di carcere. Ne scontò
circa 9 mesi.
IL PENTIMENTO - Dopo aver scontato
la pena, Terry Wilson ha dichiarato il proprio
pentimento per quanto avvenuto in quella maledetta
tribuna. Si è avvicinato alla religione, dando spazio a
un cambiamento intimo e personale. Ha lavorato come
insegnante ed è entrato a far parte di percorsi di
sensibilizzazione sull'argomento della violenza negli
stadi di calcio, parlando della sua esperienza a giovani
studenti e tifosi. Heysel, 40 anni fa la tragedia: tra
le 39 vittime anche un umbro nella calca perse la vita
il giovane tuderte Franco Martelli e dieci restarono
feriti
L'INCONTRO CON LA FAMIGLIA
LORENTINI - Nel 2005, in occasione del ventennale della
tragedia e del ritorno di Liverpool e Juventus in
Champions League, Wilson scese fino ad Arezzo per
incontrare Otello Lorentini, padre di una delle vittime
- Roberto - e fondatore dell’Associazione dei familiari
delle vittime dell’Heysel. Un episodio che nacque dopo
che Terry chiese a un giornalista di raccontargli le
storie delle famiglie italiane coinvolte nella vicenda
per la tragica perdita dei loro cari. "Voglio andare lì,
dire che mi dispiace per il ruolo che ho avuto nella
morte di suo figlio e chiedergli perdono. Certo,
chiedere scusa non potrà mai compensare la perdita di
una persona cara, ma spero solo che facendo questo
viaggio potrò, in qualche piccolo modo, aiutare le
famiglie delle vittime, offrendo loro una sorta di
riconciliazione e pace". Dopo una lettera di Wilson,
Lorentini acconsentì all’incontro, sebbene all’inizio
fosse molto emozionato e non pronto a perdonare,
riconobbe comunque l’importanza della visita. Il padre
di Roberto chiese a Wilson di organizzare un'amichevole
tra le giovanili di Juventus e Liverpool come gesto di
riconciliazione. L'inglese riuscì a mettersi in contatto
con la società e contribuì all'organizzazione e riuscita
dell'evento simbolico.
Fonte:
© 29 maggio 2025
Fotografia:
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Fotografia: GETTY IMAGES
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for Commercial Use)
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