MORTO IL GRANDE GIGLIO, INVIATO DEL GUERINO, UNA
VITA AL SEGUITO DELLA JUVE MA NON SOLO.
Ciao Salvatore,
fotografo dei sogni
di Guido Vaciago
Da Platini "sdraiato"
all'urlo di Tardelli, dall'Heysel al rapporto con Del
Piero. Ma aveva un affetto speciale anche per il Toro. o
italiano nel gotha dell'Uefa, seguì 7 Mondiali e 9
Europei, collaborando con le più prestigiose testate
internazionali.
È
scomparso a 78 anni uno dei più bravi e celebri
fotografi sportivi di tutti i tempi. Ha immortalato la
Juve e non solo, fissando immagini iconiche. Giglio,
genio dello scatto. Cronaca, poesia e umanità. È stato
il fotografo ufficiale della Juve, ha seguito Mondiali
ed Europei, è nella lista Uefa dei 14 migliori di
sempre: coglieva l’attimo e lo sapeva dipingere.
Salvatore Giglio è stato uno dei più grandi fotografi
sportivi di tutti i tempi. Salvatore è stato anche un
amico. La sua scomparsa rappresenta, dunque,
un’inestimabile perdita professionale e un profondo
dolore personale. Perché era difficile, anzi era proprio
impossibile non affezionarsi a Salvatore e non rimanere
innamorati del suo amore per il mestiere, che si era
scelto, anzi dal quale era stato scelto a quindici anni,
quando suo padre, nel bel mezzo di una cena in un
tinello di Mirafiori di inizio Anni 60, gli disse: "Il
fotografo dell’angolo cerca un garzone, visto che di
studiare non ne hai troppa voglia, prova a presentarti
da lui". E quella che doveva essere una toppa a una vita
di periferia, è diventata uno squarcio nel destino che
ha aperto la strada al vero talento di Giglio. Il
mestiere lo ha imparato dal basso: battesimi, matrimoni
e anche qualche festa di tifosi negli Juventus Club, lui
era uno di loro e lo gasava fare le foto ai calciatori,
che poi andava a vedere la domenica al Comunale. Si
accorgono di lui, in sequenza, Giampiero Boniperti e
Italo Cucci. Il primo, nel 1976 lo fa diventare il
fotografo ufficiale della Juventus, il secondo ne coglie
il genio e spesso gli affida le copertine del suo
mirabolante Guerin Sportivo. Nota per chi è nato dopo il
90: all’epoca cadevano poche gocce di calcio in tv
(altro che la cataratte di oggi) e le foto erano uno dei
modi principali con cui ci si innamorava dei calciatori,
li si conosceva e li si studiava, perfino. Nota per chi
è nato dopo il 2000: le foto si facevano con i rullini,
36 foto a rullino per la precisione e costava lo scatto,
costava lo sviluppo. Insomma altro che i 50 scatti in 30
secondi di oggi, da quando la palla entra in area a
quando, eventualmente, finisce in rete; ai tempi di
Giglio avevi al massimo un paio di clic da bruciare,
dovevi capire di calcio per sapere quando aprire e
chiudere l’otturatore. Insomma, dovevi avere tecnica per
tirare fuori una foto decente.
"No, neanche
davanti a quei morti dimenticai di essere un
fotografo"
Undici mesi fa
la finale di Bruxelles tra Juventus e Liverpool.
Rivediamo le immagini della tragedia con il
commento in diretta del fotoreporter che le
realizzò.
Sembrano immagini di guerra, ma di una
guerra strana. Non ci sono ferite d'arma
da fuoco su quei corpi, e nemmeno le
piaghe devastanti di un'esplosione o di
un incendio. Sono corpi inerti e
accatastati, oppure allineati secondo un
ordine che rende quell'immobilità ancora
più innaturale. No, non vengono da
Beirut quelle fotografie, o da un altro
dei tanti terribili fronti di guerra. E
forse è proprio per questo che finiscono
per inorridirci ancora di più. Ma le
ricordiamo ancora quelle immagini ? Non
è una domanda retorica. Sono passati
appena undici mesi dalla tragica e
allucinante finale di Coppa dei Campioni
tra Juventus e Liverpool, eppure sembra
passato un secolo. Chi parla più quelle
39 vittime, della premeditata, cieca
violenza dei tifosi inglesi, della
colpevole inerzia della polizia belga ?
Sì, forse è di "cattivo gusto" ricordare
la serata del 29 maggio scorso allo
stadio di Bruxelles proprio alla vigilia
di una stagione calcistica come i
Mondiali del Messico: ma preferiamo
senz'altro mancare di stile, anziché
cullarci nell'ignoranza del ricordo.
Undici mesi fa quelle immagini ci
passarono sotto gli occhi ripetutamente.
Le vedemmo sugli schermi della
televisione, poi, qualche ora più tardi,
sulle pagine dei quotidiani. Provammo
orrore e raccapriccio ma non avemmo il
tempo per riflettere su ciò che esse
rappresentavano. Colpa nostra, certo,
della nostra voglia di rimuovere, di
dimenticare una storia che ci sembrava
troppo inaccettabile per essere
incasellata in qualche modo nella
memoria. Ma colpa anche di un malinteso
senso dell'attualità, che tutto brucia
nel giro di pochi giorni, a volte di
poche ore, che rende ogni notizia e ogni
immagine uguale alle altre, che ti vieta
di ragionare e di capire, di andare al
di là delle pur giuste e necessarie emozioni. E’ per questo che ora abbiamo
voluto di nuovo raccogliere le immagini
di Bruxelles, alcune inedite, e montarle
nella loro tragica successione, dando
cioè al reportage quell'unità e
continuità del racconto che invece
undici mesi fa giornali e riviste, non
ci offrirono. La scelta del bianconero
non è casuale; il colore non aggiunge
nulla alla cruda realtà di questo come
di altri avvenimenti, ma anzi rischia in
qualche modo di educarli, rendendo meno
scarno e stringente il messaggio
contenuto nelle immagini stesse. La
maggior parte delle foto che
pubblichiamo in queste pagine sono di
Claudio Papi (le altre sono di Sandro Falzone), un reporter che in quel giorno
tragico si trovava proprio della zona
dello stadio dove avvennero gli
incidenti e che quindi ebbe la
possibilità di seguirli attimo per
attimo.