Quarant'anni fa la tragedia
dell'Heysel, Carlo Nesti: "E' stata l'Hiroshima del
calcio"
di Massimo De Marzi
Il noto giornalista, che raccontò
quella notte come inviato Rai, ricorda le 39 vittime
prima di Juve-Liverpool: "Si doveva giocare per ragioni
di ordine pubblico, ma non si sarebbe dovuto assegnare
alcun trofeo".
Sono trascorsi esattamente 40 anni,
ma per qualcuno il tempo sembra essersi fermato a quella
maledetta sera del 29 maggio 1985. Doveva essere una
grande festa di sport Juve-Liverpool, finale di Coppa
dei Campioni, ma allo stadio Heysel di Bruxelles si
consumò una delle più atroci tragedie della storia dello
sport: gli hooligans inglesi, ubriachi e incontrollati,
lasciati colpevolmente nello stesso settore di molti
tifosi bianconeri, la famigerata curva Z, cominciarono
una sorta di caccia all'uomo.
Una parte delle tribune venne giù e
il bilancio fu tremendo: 39 vittime, 32 delle quali
italiane. Nonostante l'accaduto, ufficialmente per
ragioni di ordine pubblico e nel timore che gli scontri
potessero poi allargarsi anche all'esterno dello stadio,
si partita si giocò. Vinse la Juve per 1-0, grazie ad un
rigore di Michel Platini. Ma a quarant'anni di distanza
non è risultato sportivo quello che viene ricordato di
quella notte, ma il dramma che si consumò, spezzando 39
vite di persone che erano andate incontro alla morte
pesando invece di poter assistere ad una partita di
calcio.
Carlo Nesti, volto noto della tv e
della Rai per moltissimo tempo, quella sera era
l'incaricato di fare la radiocronaca assieme al mitico
Enrico Ameri.
Cosa ti torna subito in mente,
tornando a quel 29 maggio ?
"La Grand Place di Bruxelles che
all'ora di pranzo propone un colpo d’occhio incredibile:
migliaia di lattine di birra vuote, che hanno lastricato
interamente il pavimento stradale. È il segno mattutino
lasciato dagli hooligans: un’orda barbarica di ultras
inglesi, che saccheggia i bar, nelle prove generali per
lo “spettacolo” della sera. La polizia belga continua a
tenere lo stesso contegno del giorno prima: agli inglesi
è concesso tutto, mentre gli italiani vengono
perquisiti, minacciati e derisi. I connazionali sembrano
tornati quelli “usati”, negli anni Cinquanta, nelle
miniere del Belgio, cittadini del mondo di Serie C,
braccia straniere da lavori forzati, fino all’olocausto
di Marcinelle".
Le mancanze dell'organizzazione
furono evidenti fin da subito.
"Il servizio d’ordine, vergognoso
responsabile aggiunto della tragedia, ha permesso di
trasformare la curva Z nella curva della morte. Lì non
ci sono ultras inglesi e ultras italiani, bensì feroci
hooligans, già noti alle polizie di tutta Europa, al
fianco di gente comune, venuta dall’Italia. Padri,
madri, figli, famiglie indifese e desiderose solo di
assistere a una pacifica partita di calcio. In mezzo, a
dividerli, un ridicolo cordone di pochi agenti. Due ore
prima dell’incontro, cominciano le cariche degli inglesi
contro gli italiani, che indietreggiano, terrorizzati,
sparendo in una zona d’ombra.
Non posso ancora saperlo, ma la
macabra zona d’ombra è lo spartiacque fra la vita e la
morte, la compressione dei tifosi verso l’esterno, con
conseguente decesso di 39 persone calpestate e
soffocate, determina la carneficina. E i tifosi sfuggiti
al massacro si riversano sul terreno di gioco, picchiati
dalla polizia belga come invasori di campo. Chi può,
scavalca le barriere per mettersi in salvo, ed entra in
tribuna stampa".
E qui ti sei ritrovato in una
condizione che mai avresti potuto immaginare.
"Allora non esistevano ancora i
cellulari, c'erano solo poche cabine telefoniche a
disposizione, per questo d'istinto allungo il microfono
a chi voleva far sapere a casa di essere ancora vivo.
Arrivano, presso di me, come i soldati feriti di una
guerra improvvisa, inimmaginabile, bestiale. Hanno facce
stravolte, braccia insanguinate, camicie strappate. Chi
non ha avuto la fortuna di riuscire a scappare, è
rimasto schiacciato e non è più riuscito a
respirare...".
Poi i due capitani, Scirea e Neal,
salgono nella cabina dello speaker per dire: "Giocheremo
per voi". Ma era davvero necessario farlo ?
"Intanto mi fa effetto pensare che
Gaetano, poco più di quattro anni dopo, non ci sarà più,
lasciandoci fra le fiamme dell'auto, dopo un tragico
incidente. Credo che quella finale si doveva disputare
per evitare altri scontri e altri morti, ma che non si
doveva assegnare nulla, con immediata restituzione del
trofeo all’Uefa".
Carlo, dovendo usare solo una
parola per descrivere cosa è stata quella notte ?
"Fu una sorta di Hiroshima del
pallone: la “bomba atomica” del teppismo calcistico che
esplode, dopo la quale nulla sarà più come prima".
Fonte: Torinoggi.it © 29 maggio
2025
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