
Quel
giorno all' Olimpico quando il calcio
divenne follia
di
Corrado Sannucci
ROMA - Quella
domenica Vincenzo Paparelli non volle
portare i figli alla partita. "E'
pericoloso, è un derby, si picchiano, è
meglio che non veniate. Sarà per la
prossima domenica". Gabriele ricorda
tutto di quella mattina, aveva già otto
anni, con il peso e il dolore dell'
ultimo giorno passato con il padre e
della sua morte così pubblica. Poche ore
dopo, un razzo da segnalazioni partito
dalla curva sud colpì Vincenzo,
uccidendo lui e l' innocenza degli
stadi. Era una partita del calcio
anteriore a quello attuale. L' Olimpico
era quello originale, i tifosi laziali
andavano ancora in Curva sud, la Roma
era da metà classifica, la Lazio sarebbe
retrocessa a fine stagione per lo
scandalo scommesse, gli ultrà erano
ancora naif, anche se non del tutto
innocenti. "Stare allo stadio era
completamente diverso, mio padre si
alzava continuamente per andare a
salutare gli amici, poi ci andava a
prendere la Coca, oppure ci accompagnava
al gabinetto, la partita quasi non la
vedeva" ricorda Gabriele. Vincenzo non
si accorge di niente mentre la tragedia
fa entrare le scenografie e i
protagonisti. Nella notte ci sono state
attività di spionaggio, scritte fatte e
cancellate, ci sono state infiltrazioni
nei gruppi, poi sono stati introdotti
gli striscioni, uno di questi diceva
"Rocca bavoso, i morti non resuscitano".
La curva romanista reagisce, parte il
primo razzo, che con una traiettoria
impressionante, dalla curva sud va
addirittura oltre la curva nord. Subito
dopo parte il secondo, ed è quello che
uccide Paparelli. Wanda, la moglie,
seguirà l' agonia di Vincenzo fino alla
corsa in ambulanza verso l' ospedale,
minuti che le segnano l' anima per
sempre e che non vuole più ricordare. Ma
aveva raccontato a Gabriele quelli che
erano stati gli ultimi momenti del
padre. "Papà come sempre si era alzato
ed era andato a salutare gli amici. Era
stato sempre via. Quando è tornato, si è
seduto, ha raccolto per terra qualcosa
che gli era caduta, e nell' istante in
cui ha rialzato la testa è stato
raggiunto dal razzo". Bastava che quella
ricerca durasse un secondo di più e si
sarebbe salvato, il razzo avrebbe
colpito un altro, allora, ma
probabilmente alle gambe. La rabbia dei
tifosi laziali esplose, la curva sud
scese tutta verso il bordo del campo.
Nel frattempo erano entrate in campo le
squadre, il capitano Wilson fu chiamato
dai tifosi, "non bisogna giocare", gli
gridavano. Erano sette anni prima della
tragedia dell' Heysel, in cui si giocò,
e 25 anni prima della farsa dell'
Olimpico, in cui non si è giocato. L'
arbitro D' Elia, che non si attaccò al
telefono con il presidente della Lega
come sarebbe accaduto a Rosetti nel
marzo di quest' anno, prese una
decisione insieme al prefetto e al
questore: se voi mi garantite l' ordine
pubblico, disse, io vi garantisco una
partita regolare. Sì giocò, per
distrarre i tifosi dalla tentazione di
una guerriglia immediata. Finì 1-1,
segnarono Zecchini e Pruzzo, in una
partita finta. Ma da quel giorno i
tifosi laziali lasciarono per sempre la
Curva sud. Gabriele ha ancora le lettere
di Dino Viola, che con una calligrafia
un po' gotica racconta la sua angoscia.
"Vi sono costantemente vicino nel
pensiero". Seguirono anni di tormento.

"A scuola i
professori avevano un occhio di
riguardo, ma poi trovavo sempre qualche
ragazzino che ripeteva i cori contro mio
padre, imparati chissà dove. Poi
arrivava chi lo faceva tacere, zitti,
quello è il figlio". Venticinque anni
dopo, Gabriele vive dall' altra parte di
Roma, ed è un simbolo di fuga, di
bisogno di essere altrove, ma anche del
tentativo di trovare un nuovo rapporto
con la città che ha insultato, amato,
sbeffeggiato, venerato il nome di
Paparelli e che solo ultimamente sembra
avere trovare un rispetto condiviso
anche dalla parte romanista. Gabriele ha
vissuto nella città nemica che ogni
tanto esponeva la scritta, la più
frequente, la più offensiva e
demenziale, 10, 100, 1000 Paparelli. "Quante ne ho viste qui sulla Casilina".
E lui andava a cancellarle, per
difendere il ricordo del padre ma anche
la sofferenza della madre. "Per un certo
periodo mi aveva preso fissa, giravo con
il motorino e sotto il sellino avevo lo
spray". Paparelli aveva la passione del
meccanico e di andare la domenica alla
partita con i figli. "Il quadro di mio
padre è lui che torna la sera dall'
officina, la tuta sporca, la puzza di
grasso". Diversamente dalle vittime di
altre tragedie da stadio, non è mai
stato dimenticato. In Curva Nord è stato
sempre commemorato, la Sud, dopo gli
insulti (si cantò persino "Ammazzare
Paparelli è stato uno sbaglio, Eagles
Supporters è il prossimo bersaglio"),
negli anni scorsi è apparso uno
striscione di pacificazione. "Oltre i
colori, rispetto per Paparelli". La
città ne ha fatto un eroe comune e il
nome di Paparelli è conosciuto anche dai
ragazzi di quindici anni, che forse non
sanno cosa accadde e che neanche sanno
cosa si dovrebbe fare, ed evitare di
fare, perché sia capito il vero
messaggio di quella morte. "Ecco perché
io vado ancora in giro, a raccontare la
storia di papà, perché vorrei che
sparisse la violenza. Ma è tutto
inutile" dice Gabriele sconfortato.
Però, in questa città che così tanto li
ha feriti, è apparso un fenomeno nuovo,
il senso di colpa. "Ci sono tifosi
romanisti che mi fermano, che quando
sanno chi sono mi dicono: scusaci per
quello che è successo. Li guardo e vedo
che hanno vent' anni". Ci sono ragazzi
che vogliono portare la colpa di altri,
al di là dei colpevoli veri (Giovanni
Fiorillo, che sparò materialmente i
razzi e che è morto nel '93, Marco
Angelini, Enrico Marcioni; più Pericle
Gigli, il commerciante che ne vendette
tre per 15mila l' uno), che furono
condannati dopo un processo presieduto
da un magistrato importante nella storia
d' Italia, Santiapichi. "E ci sono anche
quelli che mi dicono: "Perdonami, quel
coro sui 10, 100, eccetera Paparelli, l'
ho cantato anch' io quand' ero ragazzo.
Ora me ne vergogno". Piccoli passi
avanti di pacificazione. Gabriele va
malvolentieri all' Olimpico, però si
occupa indirettamente di calcio. Lavora
in uno studio audiovisivo, dove, per lo
staff tecnico del Milan, registra le
partite dei campionati esteri, una
quarantina di dvd che invia
settimanalmente a via Turati. Ha parlato
un paio di volte al telefono con
Ancelotti, che lo conosce come Gabriele
ma non come figlio di Paparelli. Il 28
ottobre 1979 Ancelotti era in campo.
23
ottobre 2004
Fonte:
La Repubblica

Roma, 28 ottobre 1979: Vincenzo
Paparelli sempre con noi
Il 28 ottobre 1979, allo Stadio
Olimpico, è in programma il derby Roma -
Lazio. L’Italia sta vivendo gli ultimi
anni di quel ribellismo socio-politico
giovanile che da un decennio la stava
percorrendo e che è ormai alla vigilia
di quello che poi verrà definito
"riflusso". Viceversa, sta assumendo le
dimensioni di massa un nuovo fenomeno di
aggregazione -il tifo organizzato
"ultrà" - che, neppure troppo
metaforicamente, segna il passaggio di
testimone dell’impegno e dell’interesse
del mondo giovanile e che, nel ben o nel
male, sarà protagonista per i decenni
successivi. A Roma, nello specifico,
hanno visto la luce da alcuni mesi gli
Eagles Supporters Lazio (ES) ed il
Commando Ultrà Curva Sud Roma (CUCS),
due gruppi che, per dimensioni e
qualità, lasceranno decisamente il segno
nel panorama ultrà della città e
dell’intera nazione. Salvo poi essere
defenestrati (gli ES agli inizi degli
Anni Novanta, il CUCS un decennio più
tardi) dalla successiva "generazione
ultrà", per ragioni molto simili. Il
sommarsi dell’antagonismo politico ad
una rivalità calcistica già molto
sentita rappresenta una miscela
esplosiva per il derby romano, in virtù
appunto di un diffuso stereotipo (in
quegli anni ancora piuttosto verosimile)
che tendeva a spaccare la gioventù
capitolina tra "laziali - camerati" e
"romanisti-compagni"; un luogo comune a
sua volta figlio di una sommaria analisi
sociale che raccontava di una città
divisa in ceti e quartieri borghesi
(feudi biancocelesti) ed in ceti e
quartieri popolari (roccaforti
giallorosse). La partita del 28 ottobre
è dunque ad elevato rischio incidenti
come accadeva da qualche anno, l’odio
tra le due fazioni trasuda in un
rincorrersi di scritte inequivocabili
sui muri della città e sugli argini del
lungo Tevere, può concretizzarsi solo
nei due derbies stagionali: le Forze
dell’ordine sono presenti in quantità a
presidiare l’Olimpico, con la fatica di
chi (i Carabinieri) deve muoversi agile
con una pesante palandrana addosso,
eppure il dramma assume forme impreviste
e, forse, imprevedibili; sicuramente
diverse dai violenti incidenti che, lo
stesso giorno, si registrarono al derby
di Milano e a Brescia - Como. Poco prima
delle 13.30, quando manca più di un’ora
all’inizio della partita, dalla Curva
Sud parte un razzo che attraversa tutto
lo stadio e colpisce Vincenzo Paparelli,
un tranquillo tifoso laziale qualunque,
seduto nella curva opposta. Per l’uomo,
trasportato subito in ospedale, non ci
fu nulla da fare: il razzo, dopo un volo
di oltre 200 metri, lo aveva centrato in
pieno volto
causando
lesioni gravissime. Allo stadio intanto
si vivono momenti di tensione: i tifosi
laziali si abbandonano ad atti di
violenza e vandalismo, finalizzati alla
vendetta ma soprattutto a non fare
disputare l’incontro. La partita viene
invece fatta disputare, secondo il
capitano della Lazio Wilson anche per
evitare ulteriori incidenti, ma è una
farsa che si disputa in un clima di
paura: la Nord spoglia e devastata, un
pallone finito sugli spalti torna in
campo squarciato da un coltello,
qualcuno assicura persino di avere udito
dei colpi di arma da fuoco… Vincenzo
Paparelli è stata dunque la prima
vittima del teppismo calcistico in
Italia e l’episodio, giustamente,
provocò grande attenzione e
preoccupazione. Tutti si chiesero il
perché di una morte così assurda e, più
in generale, i motivi dell’escalation
della violenza negli stadi. Per la
cronaca il responsabile del lancio del
razzo omicida fu presto individuato ma
rimase per lungo tempo latitante: si
trattava di Giovanni Fiorillo, un
ragazzo di soli 18 anni, più noto
nell’ambiente curvaiolo con
l’appellativo di "Tzigano". Si saprà
anni dopo che per qualche tempo trovò
rifugio nelle valli bergamasche,
"coperto" da amici atalantini, che a
quel tempo tra le due tifoserie esisteva
un forte gemellaggio. La morte di
Paparelli occupò le prime pagine di
quotidiani generalisti e sportivi ed i
titoli dei TG RAI: ovunque prevalse
l’allarmismo, la condanna e tanta, ma
proprio tanta, retorica pseudo
moralista.
28 ottobre 2010
Fonte:
Sololalazio.blog.tiscali.it
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